Mancato versamento dell’assegno divorzile: la cessazione dell’attività di impresa non è una esimente

La cessazione dell’attività di impresa non costituisce una causa di giustificazione tale da escludere la rilevanza penale della mancata corresponsione dell’assegno divorzile in via reiterata da parte dell’ex coniuge.

Lo ha stabilito la VI Sez. Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 42543/16, depositata il 7 ottobre. L’ex coniuge non versa l’assegno divorzile. Nel caso di specie un commerciante, accusato di avere dolosamente interrotto la corresponsione dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge, è stato condannato in primo e secondo grado di giudizio, per il reato di cui all’art. 12- sexies , l. n. 898/1970. Il reato de quo , come noto, si configura per la semplice omissione di corrispondere l’assegno nella misura disposta dal giudice civile, prescindendo dalla prova dello stato di bisogno dell’avente diritto e senza necessità che tale inadempimento civilistico comporti anche il venir meno dei mezzi di sussistenza per il beneficiario dell’assegno. La difesa dell’imputato ha nondimeno proposto ricorso innanzi ai giudici romani, censurando la statuizione della Corte d’appello sotto molteplici profili. In particolare, la difesa ha evidenziato l’erroneità della sentenza gravata nella parte in cui i giudici territoriali - pur appurato l’inadempimento dell’imputato - non ebbero a tenere in debita considerazione le circostanze che avevano determinato tale stato di inadempienza. A tal proposito la difesa ha insistito nel sottolineare come il reddito dell’obbligato, a seguito della sopravvenuta cessazione della sua attività d’impresa, fosse attualmente rappresentato da soli 400 euro mensili, percepiti a titolo pensionistico, come tali del tutto insufficienti a far fronte all’impegno stabilito dalla sentenza divorzile. Sotto altro versante, è stata censurata la mancata declaratoria di intervenuta prescrizione del reato ascritto, il cui termine - nell’opinione della difesa - sarebbe spirato prima della sentenza di primo grado senza che vi fossero atti interruttivi. Con la sentenza in epigrafe la Corte di legittimità si è dunque occupata del perimetro applicativo della tipica causa esimente correlata alla fattispecie criminosa in esame i.e. l’assoluta ed incolpevole incapacità economica dell’obbligato , per poi soffermarsi sulla natura del reato in relazione al regime prescrizionale. Le condizioni che escludono l’antigiuridicità dell’inadempimento. Sul primo versante, la Corte romana ha spiegato come l’incapacità economica dell’obbligato sia tale da escludere la rilevanza penale della condotta o, comunque, l’elemento soggettivo dolo che deve sorreggerla, nei soli casi in cui 1 l’incapacità non sia riconducibile, neppure parzialmente, al comportamento dell’agente cd. incapacità incolpevole” 2 l’incapacità si estenda a tutto il periodo di tempo nel quale si sono reiterate le inadempienze. In assenza delle ridette condizioni - si spiega - l’incapacità ad adempiere non assume i caratteri della forza maggiore” e va conseguentemente confermata l’antigiuridicità della condotta inadempiente. Facendo applicazione delle coordinate ermeneutiche suesposte, la Corte ha escluso che, nel caso di specie, potesse essere invocata la ridetta causa di giustificazione, tenuto conto che la sopravvenuta cessazione dell’attività di impresa dell’imputato non era ostativa alla ricerca di una nuova fonte di reddito da diversa attività lavorativa. La natura del reato in relazione al regime prescrizionale. Il Palazzaccio è poi passato ad affrontare il tema della natura del reato al fine di appurare dies a quo e ad quem del termine di prescrizione. Sul punto, richiamando quanto già affermato con riferimento a fattispecie criminose quanto mai affini, per struttura, a quella in esame tra tutte, la violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570, c.p. , il Supremo Consesso ha confermato che la mancata corresponsione dell’assegno integra un reato permanete , e non già a condotta istantanea . In questi termini, le condotte di inadempimento di cui all’art. 12- sexies l. 1 dicembre 1970, n. 898 - osserva la Cassazione - costituiscono un unico reato, per l’appunto permanente , la cui consumazione termina con l’adempimento integrale dell’obbligo ovvero con la data di pubblicazione della sentenza di primo grado, quando dal giudizio emerga espressamente che l’omissione si è protratta anche dopo l’emissione del decreto di citazione a giudizio. Sul crinale delle considerazioni che precedono la Corte ha dunque mandato indenne da critica l’apprezzamento svolto dal giudici di merito, per l’effetto confermando la condanna inflitta all’imputato.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 settembre – 7 ottobre 2016, numero 42543 Presidente Paoloni – Relatore Girodano Ritenuto in fatto 1.La Corte di appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma di quella del Tribunale di Marsala del 2 maggio 2013, riqualificato il fatto come delitto p. e p. dall'art. 12 sexies legge numero 898/1970, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di A. C. in ordine al reato ascrittogli limitatamente alle condotte poste in essere in data anteriore al 2 novembre 2005 e, per l'effetto, ha rideterminato la pena in quella di giorni venticinque di reclusione. Ha confermato la condanna al risarcimento del danno, da liquidare in separato giudizio, in favore della parte civile P. M.A. e liquidato le spese processuali del grado di appello nell'importo di euro novecento, oltre accessori come per legge. 2.L'imputato propone ricorso per cassazione, con motivi, qui sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. penumero , sottoscritti dal difensore con il quali denuncia 2.1. vizio di violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza del reato come ritenuto e mancato riconoscimento della causa di giustificazione allegata per la impossibilità dell'imputato di versare l'assegno di mantenimento all'ex coniuge omettendo di valutare le specifiche circostanze allegate e, cioè, avere cessato l'attività economica di rivendita di bombole fin dal gennaio 2005 ed essere percettore di una pensione dell'importo di 400,00 euro mensili, utilizzati interamente per il pagamento di un prestito concesso dalla Banca di Credito Cooperativo del Belice 2.2 vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 157 cod. penumero per il mancato rilievo della intervenuta prescrizione del reato sia perché la consumazione del reato indicata nella contestazione, senza indicazione della natura permanente della condotta, si fermava a quella del 23 giugno 2003 e nessuna ulteriore contestazione vi era stata in dibattimento sia perché al momento della sentenza di primo grado 2 maggio 2013 era ampiamente decorso il termine di prescrizione sia perché, infine, il termine di prescrizione andava computato su quello ordinario anni sei e non anni sette e mesi sei poiché nessun ulteriore atto interruttivo era sopravvenuto alla emissione del decreto di citazione a giudizio del 9 marzo 2006 2.3 violazione di legge in relazione agli artt. 597 cod. proc. penumero e 14 § 5 del Patto internazionale dei diritti civili e politici e del VII Procotollo CEDU per omesso esame del terzo motivo di appello concernente la mancata applicazione della sola pena edittale in relazione al reato di cui all'art. 570, comma 1 cod. penumero 2.4 violazione di legge, in relazione agli artt. 125, comma 3 e 541 cod. proc. penumero per la mancata indicazione dei criteri di quantificazione delle spese liquidate alla parte civile sia in primo grado che all'esito del giudizio di appello. Considerato in diritto 1. II ricorso non merita accoglimento. 2. Infondato è il primo motivo di ricorso. La Corte d'Appello, in vero, ha esaminato la giustificazione fornita dall'imputato ed ha espresso una risposta esaustiva alle obiezioni sviluppate dalla difesa con i motivi di gravame ritenendo, sulla base della corretta interpretazione degli elementi probatori e della corretta applicazione delle regole della logica, di escludere che le difficoltà economiche allegate la cessazione dell'attività economica svolta ed il perdurante stato di disoccupazione sia stata tale da configurare una situazione di assoluta e incolpevole incapacità economica, e, pertanto, idonea ad integrare una causa di forza maggiore che aveva incolpevolmente precluso all'imputato l'assolvimento dell'obbligo al quale era tenuto in forza della sentenza di divorzio. Del tutto generica è l'affermazione del ricorrente secondo la quale lo status di pensionato con un assegno mensile di 400,00 euro fosse incompatibile con lo svolgimento di attività lavorativa preclusa solo da patologie altamente invalidanti. 3. La Corte palermitana ha correttamente applicato i principi interpretativi, reiteratamente affermati da questa Corte Suprema, in ordine ai limiti temporali e fattuali dell'influenza, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare ma applicabili anche alla fattispecie in esame, della condizione di impossibilità economica dell'obbligato la quale può assumere rilievo ai fini di escludere l'antigiuridicità della condotta o almeno l'integrazione dei profili soggettivi dei reato , soltanto se essa si estenda a tutto il periodo di tempo nel quale si sono reiterate le inadempienze e se consista in una situazione incolpevole di indisponibilità di introiti. Pacifica è l'affermazione secondo cui la responsabilità per omessa prestazione dei mezzi di sussistenza non è esclusa dall'incapacità di adempiere, ogniqualvolta questa sia dovuta, anche solo parzialmente, a colpa dell'agente, Sez. 6, 3 marzo 2011, numero 11696, F. Sez. 5, 22 aprile 2004, numero 36450, Communara . 4. Infondato è altresì il secondo motivo di ricorso. Nella contestazione riportata nella sentenza di appello si indica la data della consumazione con decorrenza dal 23 giugno 2003, contestazione sussumibile in quella di cd. contestazione aperta che, in fattispecie di reato permanente quale quello in esame, deve intendersi cristallizzata alla data della pronuncia della sentenza di primo grado, che blocca l'accertamento dei reato ove non risulti sopraggiunto l'adempimento principio pacifico da ultimo Sez. 6, numero 5423 del 20/01/2015, B. Rv. 262064 . Poiché la data della sentenza di primo grado è quella del 2 maggio 2013, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata e nel ricorso, deve farsi applicazione della nuova disposizione di cui all'art. 157 cod. penumero , entrato in vigore nel dicembre 2005, ben oltre il termine di consumazione del reato, norma che colloca in sei anni il termine minimo di prescrizione, non superato nell'intervallo tra la pronuncia di primo grado e la sentenza d'appello, ed in sette anni e mezzo complessivi, non ancora decorsi alla data odierna, il termine massimo. 5. Ritiene, il Collegio che l'affermazione in diritto dei giudici di appello, secondo la quale il reato di cui all'art. 12-sexies legge numero 898/1970 non ha natura di reato permanente ma di condotta istantanea con conseguente declaratoria di prescrizione delle condotte di inadempimento intervenute fino al 2 novembre 2005 non può essere condivisa. Pacifica nella giurisprudenza di questa Corte è l'affermazione secondo cui il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all'art. 570, comma secondo, numero 2, cod. penumero , è reato permanente, che non può essere scomposto in una pluralità di reati omogenei, essendo unico ed identico il bene leso nel corso della durata dell'omissione con la conseguenza che le cause di estinzione del reato operano non in relazione alle singole violazioni, ma solo al cessare della permanenza, che si verifica o con l'adempimento dell'obbligo eluso o, in difetto, con la pronuncia della sentenza di primo grado Sez. 6, numero 45462 de/ 20/10/2015, D'A., Rv. 265452 . Tale conclusione è stata confermata con riguardo alle condotte di inadempimento degli obblighi di natura economica previsti dall'art. 3 legge 8 febbraio 2006, numero 54 Sez. 6, sentenza numero 5423 de/ 20/01/2015, B., Rv. 262064 e deve ora essere ribadita anche con riguardo alla plurime condotte di inadempimento degli obblighi previste dall'art. 12-sexies legge 1 dicembre 1970, numero 898. Il delitto previsto dall'art. 12-sexies I. cit., secondo la giurisprudenza di questa Corte, si configura per la semplice omissione di corrispondere all'ex coniuge l'assegno nella misura disposta dal giudice, prescindendo dalla prova dello stato di bisogno dell'avente diritto e senza necessità che tale inadempimento civilistico comporti anche il venir meno dei mezzi di sussistenza per il beneficiario dell'assegno Sez. 6, numero 3426 del 05/11/2008, dep. 2009, C, Rv. 242680 Sez. 6, numero 11005 del 22/01/2001, Fogliano, Rv. 218616 . La norma di cui all'art. 12-sexies delinea una precisa e specifica fattispecie integrata dalla violazione di un provvedimento del giudice, configurata come reato omissivo proprio, di carattere formale, essendo individuato il soggetto attivo soltanto in chi è tenuto alla prestazione dell'assegno di divorzio e consistendo la condotta nell'inadempimento dell'obbligo economico stabilito dal provvedimento del giudice. La definizione dell'omissione e la conseguente diretta incriminazione del mero singolo inadempimento, non è, tuttavia, ex se esaustiva del contenuto della fattispecie incriminatrice e non conduce ad identificare l'inadempimento mensile nel parallelo ed autonomo l'inadempimento civilistico nel caso di continuità della condotta illecita avuto riguardo alla fonte ed al contenuto esclusivamente assistenziale dell'assegno divorzile, fondamento e natura ribaditi costantemente nella giurisprudenza penale cfr. ex multis S.U. numero 23866 del 31/1/2013, S., Rv. 255269 , e dalla dottrina e giurisprudenza civilistica che ne individuano la fonte nell'art. 143 cod. civ., quindi negli obblighi che discendono dal matrimonio, e che, pur attenuati, permangono sia in caso di separazione personale dei coniugi sia in caso di divorzio. La giurisprudenza civile, pur affermando la non coincidenza tra assegno alimentare e assegno di mantenimento, rispetto al quale il primo costituisce un minus Sez. 1 civ., numero 5381 del 16/06/1997, Rv. 505219 , per quanto riguarda l'assegno di divorzio in favore dell'ex-coniuge art. 5 legge. 898 cit. sin dal 1990, ne ha affermato la natura esclusivamente assistenziale dell'assegno, atteso che la sua concessione trova presupposto nell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che sia necessario uno stato di bisogno, e rilevando invece l'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio Sez. U civ., numero 11492 del 29/11/1990, Rv. 469964 Sez. U civ., numero 11490 del 29/11/1990, Rv. 469963 nonché giurisprudenza successiva, tra cui, Sez. L., numero 4021 del 23/02/2006, Rv. 587014 . Evidente, dunque, l'affinità sistematica e strutturale dell'obbligo in parola con quello gravante sul genitore in relazione al quale la giurisprudenza penale ha affermato il principio secondo cui l'omesso adempimento dell'obbligo di contribuzione economica quale ne sia la fonte, normativa generale artt. 147, 148 e 155 cod. civ. e legge numero 54 del 2006, artt. 1, 3 e 4 legge numero 898 del 1970, artt. 5, 6 e 12-sexies art. 337-bis cod. civ. art. 570 cod. penumero , comma 2, numero 2 o giudiziale specifica, e in relazione al diverso suo possibile contenuto deve essere considerato nel suo complesso, con la conseguenza che la condotta/fattispecie penalmente rilevante assume natura di reato permanente, la cui consumazione inizia con la prima condotta che determina l'evento proprio delle singole fattispecie incriminatrici e cessa con l'ultima. Evento che, con riguardo al delitto di cui all'art. 12-sexies legge 898 cit., pure a fronte di un inadempimento civilistico che si consolida mensilmente, non osta a considerare le plurime condotte di singolo inadempimento, ai fini penali, unitariamente, dando vita ad un reato di natura permanente venendo in rilievo, sulla scorta del fondamento e dei contenuto dell' unico obbligo assistenziale che grava sull'agente, la continuità della condotta illecita fino alla sua cessazione. Può, quindi, affermarsi il principio di diritto che le condotte di inadempimento di cui all'art. 12-sexies legge 1 dicembre 1970 numero 898 costituiscono un unico reato permanente, la cui consumazione termina con l'adempimento integrale dell'obbligo ovvero con la data di deliberazione della sentenza di primo grado, quando dal giudizio emerga espressamente che l'omissione si è protratta anche dopo l'emissione del decreto di citazione a giudizio. Consegue la infondatezza del motivo di ricorso di cui al punto 2.2 del ritenuto in fatto, nella sua complessa articolazione, sebbene la Corte di Cassazione non possa che prendere atto della intervenuta declaratoria di intervenuta prescrizione delle condotte di reati fino al 2 novembre 2005, in mancanza di impugnazione della parte pubblica. 6. Non può trovare accoglimento neppure il terzo motivo di ricorso poiché i giudici di appello hanno, sia pure implicitamente, valutato le deduzioni difensive in sede di disposta qualificazione giuridica del fatto e posta la precisazione che la Corte di merito non ha l'obbligo di esaminare, pena la nullità della decisione rilevante come vizio di violazione di legge ovvero la sua incompletezza rilevabile come vizio di motivazione, un motivo di appello manifestamente infondato Sez. 5, numero 27202, dell' 11/12/2012 dep. 2013 Rv. 256314 del genere di quello proposto con il motivo di gravame alla luce dell'univoco inquadramento della fattispecie concreta nella ritenuta fattispecie incriminatrice di cui all'art. 12 sexies I. 898/1970 e della generica formulazione del motivo di ricorso. 7. Non si sottrae alla conclusione di manifesta infondatezza il motivo di ricorso, nella sua duplice articolazione, relativo alla congruità delle spese processuali liquidate in favore della parte civile. Il giudizio sulla congruità delle spese liquidate in primo grado espresso dalla Corte di appello assolve all'obbligo di motivazione sul punto anche avuto riguardo alla indeterminatezza della censura sollevata con il ricorso, indeterminatezza che inficia anche il motivo concernente la disposta liquidazione in sede di appello. Deve, infatti, ritenersi che, allorché la richiesta della parte civile sia contenuta nei limiti di una ragionevole opinabilità e risulti che il giudice abbia concretamente esercitato il potere di controllo a lui spettante, non sia consentita l'impugnazione per Cassazione della relativa disposizione, sotto il profilo dei vizio di motivazione, se l'impugnazione non è accompagnata dall'esposizione, sia pure sommaria, delle ragioni di illegittimità della liquidazione e non venga addotta la violazione dei limiti tariffari relativi alle attività difensive certamente svolte dal patrono di parte civile. Ciò in quanto la motivazione della sentenza è funzionale, sotto il profilo in esame, all'interesse dell'imputato a formulare i rilievi attinenti alla pertinenza delle voci di spesa, alla loro congruità e alla loro documentazione, laddove presentino margini di opinabilità e necessitino, per la loro pregnanza, di analitica esposizione. Quando, invece, la liquidazione operata in concreto dal giudice sia tale da coprire certamente le voci di spesa i ndefetti bil mente sostenute dalla parte civile, e sia contenuta nei valori medi di cui alla Tabella allegata al decreto numero 55 del 10 marzo 2014, la motivazione non potrebbe che dare atto del rispetto di tali valori, per cui la sua mancanza non determina quel pregiudizio che costituisce la ragione della ricorribilità in Cassazione. Nel caso di specie, i giudici di appello hanno liquidato, a favore della parte civile costituita, un importo complessivo che coincide con quello minino spettante per le fasi di studio, introduttiva e decisionale del grado di appello, per cui nessun pregiudizio è derivato all'imputato dalla mancata esplicitazione delle ragioni della determinazione. 8. Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, ammessa a gratuito patrocinio e, pertanto da liquidare in favore dello Stato, spese che, avuto riguardo ai parametri di cui al decreto dei 10 marzo 2014, numero 55, si liquida, in misura prossima al minimo, come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile, P. M.A., che liquida in favore dello Stato in complessivi euro 1.400,00 oltre il 15% spese generali, IVA e CPA.