Dubbi sulla condotta dell’avvocato: l’esposto al COA non è reato

Non integra il delitto di diffamazione la condotta di colui che invii un esposto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati contenente dubbi o perplessità sulla correttezza professionale del proprio legale, ricorrendo in tal caso la causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 42576/16 depositata il 7 ottobre. La vicenda. Il Tribunale di Nola confermava la sentenza con cui l’imputato veniva condannato per il reato di diffamazione commesso nei confronti di un avvocato per averne offeso la reputazione comunicando al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati che la richiesta degli onorari da parte del legale senza il previo rilascio della fattura costituiva un tentativo di truffa. L’imputato ricorre per la cassazione del provvedimento lamentando la mancanza dell’elemento soggettivo del reato. Diritto di critica. La giurisprudenza di legittimità afferma che non integra il delitto di diffamazione la condotta di chi invii un esposto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati contenente dubbi o perplessità sulla correttezza professionale del proprio legale, ricorrendo in tal caso la causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p. e dunque l’esercizio del diritto di critica finalizzato ad ottenere un controllo dell’Ordine su eventuali violazioni deontologiche. Nel caso di specie, l’imputato, pur nell’erroneo convincimento che la mancata emissione della fattura per i servizi professionali resi dall’avvocato integrasse gli estremi di un illecito tributario, aveva agito per ottenere un controllo da parte dell’Ordine e non voleva dunque ledere la dignità o la reputazione dell’avvocato. Tale condotta rientra dunque pacificamente negli estremi di cui alla norma citata, non avendo egli divulgato fatti attinenti alla persona offesa a chicchessia. La S.C. sottolinea inoltre come l’Ordine degli Avvocati a cui l’esposto era destinato aveva accertato la palese infondatezza e la mancanza di ogni ipotetica violazione penale della condotta della persona offesa, escludendo in tal modo ogni lesione alla dignità e alla reputazione dell’avvocato. In conclusione, la Corte annulla la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 20 luglio – 7 ottobre 2016, n. 42576 Presidente Savani – Relatore Fidanzia Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 15 aprile 2015 il Tribunale di Noia, in funzione di giudice di appello, ha confermato la sentenza di primo grado, con cui C. R. è stato condannato alla pena di giustizia per il reato di diffamazione ai danni di M. A. per aver offeso la reputazione di quest'ultimo comunicando al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Noia che la richiesta dal parte dei legale di onorari per una diffida allo stesso inoltrata, senza il previo rilascio di una fattura per la prestazione richiesta, costituiva a suo dire un tentativo di truffa . 2. Ha proposto personalmente ricorso per cassazione l'imputato affidandolo al seguente motivo. 2.1. E' stata dedotta la mancanza in capo allo stesso dell'elemento soggettivo del reato ascritto, essendo operativa la causa di giustificazione di cui all'art. 51 c. p. o della causa di non punibilità ex art. 598 c.p., non avendo il ricorrente l'intento di calunniare l'avvocato. Lamenta altresì la mancata diffusione della diffamazione attraverso l'esposto effettuato al Consiglio dell'Ordine. Infine, lamenta che il giudice di secondo grado, nel negare l'intervenuta prescrizione, non aveva indicato i periodi di sospensione della stessa prescrizione. Considerato in diritto 1. II primo motivo è fondato e va pertanto accolto. Va osservato che questa Corte ha avuto già modo di osservare che non integra il delitto di diffamazione la condotta di colui che invii un esposto al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati contenente dubbi e perplessità sulla correttezza professionale del proprio legale, considerato che, in tal caso, ricorre la generale causa di giustificazione di cui all'art. 51 cod. pen., sub specie di esercizio del diritto di critica, preordinato ad ottenere il controllo di eventuali violazioni delle regole deontologiche Sez. 5 n. 33994 del 05/07/2010 , Rv. 248422 . Nel caso di specie, l'iniziativa dell'imputato, controparte del cliente assistito dall'avvocato, odierna persona offesa - pur nel convincimento erroneo che la mancata emissione della fattura da parte di quest'ultima per la propria prestazione professionale, in coincidenza di una richiesta di recupero crediti, integrasse un illecito tributario e nel dubbio che lo stesso fatto potesse avere anche una rilevanza penale - era parimenti finalizzata ad ottenere il controllo da parte dell'Organo competente di eventuali violazioni di regole deontologiche poste in essere dal legale e non voleva quindi lederne la dignità e reputazione. La condotta dell'imputato rientra quindi nell'esercizio dei diritto di critica di cui all'art. 51 cod. pen., non avendo l'imputato inteso divulgare a chicchessia fatti attinenti alla persona offesa oggetto delle proprie censure ma solo investire l'organo a ciò deputato della valutazione della correttezza dell'operato del legale. Né la palese erroneità del convincimento da parte del ricorrente dell'antigiuridicità del fatto denunciato - la mancata emissione della fattura da parte dell'avv. M. - appare idonea ad incidere sull'elemento soggettivo del delitto di diffamazione, non avendo peraltro il prevenuto voluto rappresentare un fatto falso. Peraltro, l'organo cui l'esposto del ricorrente è stato destinato, l'Ordine degli avvocati del Circondario di Noia, ne ha potuto agevolmente accertare la palese infondatezza, così come ha potuto valutare la mancanza di ogni rilevanza penale della condotta della persona offesa, per onor dei vero rappresentata dall'imputato solo in termini dubitativi confidando nel giudizio di un organo dotato di una competenza qualificata in materia. Inoltre, proprio la particolare competenza dell'organo che ha ricevuto l'esposto - unico destinatario della comunicazione inviata dal ricorrente - che ha potuto verificare de piano l'insussistenza degli addebiti, esclude che sia stata lesa la dignità e la reputazione dell'avv. M Ne consegue che deve annullarsi sentenza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Annulla sentenza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.