Schiaffo sul sedere della militare: maresciallo condannato per ingiuria

Ricostruito l’episodio verificato in una stazione dei Carabinieri nel nord Italia. Nessun equivoco sulla condotta tenuta dall’uomo, che ha anche abusato del suo grado di superiore gerarchico.

È stato un semplice schiaffo sul sedere così un maresciallo cerca di ridimensionare la condotta da lui tenuta nei confronti di una militare. Tutto inutile, però l’uomo è condannato per il reato di ingiurie”. Cassazione, sentenza n. 42357, sezione Prima Penale, depositata il 6 ottobre 2016 . Abuso. Nessun tentennamento per i giudici militari una volta ricostruito l’episodio – verificatosi in una stazione dei Carabinieri nel nord Italia –, difatti, viene ritenuto evidente l’abuso compiuto dal maresciallo. Logica la condanna, con pena, sospesa, di sei mesi di reclusione militare e obbligo di versare 1.500 euro come risarcimento alla persona offesa. In sostanza, è univoca, secondo i giudici, la lettura del comportamento tenuto dal maresciallo. La donna, nel transitare unitamente ad altri militari per le scale della sede di servizio , aveva incrociato un suo superiore gerarchico che fermatosi di lato, la toccava con una mano, a mo’ di pacca, sui glutei, accompagnando il gesto con la frase Su, a lavorare” . E uguale certezza è manifestata dai magistrati della Cassazione. A loro avviso, difatti, proprio la posizione di comando del maresciallo permette di qualificare il suo gesto come un abuso del grado . Confermata, quindi, in via definitiva la condanna emessa in appello.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 15 marzo – 6 ottobre 2016, n. 42357 Presidente Vecchio – Relatore Di Tomassi Ritenuto in fatto 1. Con la decisione in epigrafe la Corte militare di appello confermava la sentenza emessa in data 16 dicembre 2014 dal Tribunale militare di Verona, che aveva dichiarato G. P. responsabile dei reato di ingiuria ad inferiore, ex art. 196 cod. pen. mil . pace, commesso il 25 marzo 2009, condannandolo, in concorso di circostanze attenuanti generiche, alla pena, sospesa, di sei mesi di reclusione militare, e al risarcimento dei danni, contestualmente liquidati nella misura dì 1.500,00 euro, in favore della persona offesa costituita parte civile, C.G Acquisite le dichiarazioni testimoniali della G. e di numerosi altri soggetti, e la documentazione prodotta, concernente anche lo stato dei luoghi, si era ritenuto provato che nella data indicata il Mar. ord. dei Carabinieri G., in servizio presso il nucleo operativo della Stazione dei Carabinieri di Bra, nel transitare unitamente ad altri militari per le scale della sede di servizio, aveva incrociato il Mar. A.s. UPS P., suo superiore gerarchico, che, fermatosi di lato, la toccava con una mano, a mo' di pacca, sui glutei, accompagnando il gesto con la frase su a lavorare . Era stato appurato, in particolare, che la G., riferendo sconcerto, aveva raccontato l'accaduto al Mar. Manchia e su consiglio di questo aveva fatto rapporto al Col. L., senza tuttavia presentare denunzia -querela. Il procedimento penale era quindi scaturito dalla archiviazione della querela per diffamazione presentata nel novembre successivo nei confronti della G. dal P., a seguito della instaurazione nei suoi confronti di procedimento disciplinare. La linearità, coerenza e complessiva attendibilità delle dichiarazioni della G. era considerata corroborata dalla manifestata assenza di animosità dalle dichiarazioni rese da colleghi e superiori ai quali aveva riferito nell'immediatezza l'accaduto dalle dichiarazioni inoltre dei Vice Brig. C. che, presente unitamente ad altro militare, F., al piano terra della caserma, aveva riferito di avere visto il P. fermarsi sulle scale con le spalle al muro, e dare con la mano destra [ .] una leggera pacca, uno schiaffo, sui glutei dei maresciallo G. dicendo una frase del tipo su a lavorare dalla contraddittorietà della querela dei P. e delle sue stesse dichiarazioni difensive rese a dibattimento, nella prima ammettendosi il gesto, assertivamente istintivo, per mettere in sicurezza sulle scale l'inferiore in grado, in dibattimento avendo addirittura il P. negato, in contrasto con i dati testimoniali e documentali, di essere stato presente in ufficio quel giorno. 2. Ha proposto ricorso il P. a mezzo del difensore avvocato B.S., chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata. Denunzia violazione di legge e vizi della motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova 2.1. con riferimento alla valutazione del materiale probatorio e, in particolare, delle prove dichiarative, quanto ad attendibilità della persona offesa, coincidenza delle sue dichiarazioni con quelle dei C. sensibilmente divergenti invece quanto a ora, persone presenti, connotazioni dei gesto, frase che l'avrebbe accompagnato, reazione dei Mar. G. , attendibilità delle dichiarazioni dei C. tra l'altro in contrasto anche con quanto risultante dal memoriale di servizio , contraddittorietà delle dichiarazioni dei P. che aveva affermato sempre, invece, che all'ora riferita neppure era in caserma 2.2. con riferimento alla mancata applicazione dell'art. 199 cod. pen. mil . pace, non spiegando la sentenza impugnata quale sarebbe stato il servizio in corso, escludendo persino la parte civile di avere sentito la frase su a lavorare , evocata a giustificazione e comunque dimostrando anzi detta frase esattamente il contrario ovverosia che si era in pausa dalle dichiarazioni del Mar. G. non risultando la presenza di altri militari in servizio, al di fuori del F. che nulla aveva però percepito con riferimento, perciò, alla mancata applicazione della più lieve fattispecie dell'art. 226 cod. pen. mil . pace, improcedibile per mancanza della richiesta di cui all'art. 260 cod. pen. mil . pace 2.3. con riferimento alla determinazione della pena, motivata per reationem alla sentenza di primo grado e senza considerare la meritoria condotta professionale dei P., attestata dalla documentazione prodotta, e senza giustificare le valutazioni in punto di gravità del danno e intensità del dolo 2.4. con riferimento alla liquidazione dei danni patiti dalla parte civile, non accompagnata da adeguata motivazione sui criteri adottati e giustificata sulla base di elementi contraddittori emergenti dalle dichiarazioni della persona offesa e dei teste C. tra loro in contrasto 2.5. con riferimento alla applicabilità dell'art. 131-bis cod. pen. per la speciale tenuità dei fatto. Considerato in diritto 1. II ricorso, per molti aspetti al limite dell'ammissibilità, appare nel complesso quantomeno infondato. 2. Quanto alle censure relative alla valutazione dei materiale probatorio, è sufficiente ricordare che la sentenza impugnata, richiamati gli elementi di prova considerati dal Tribunale e confermatane la valutazione cfr. in fatto, par. 1, cui per brevità si rimanda , a ragione della conferma della sentenza di primo grado e in risposta alle doglianze articolate nell'atto d'impugnazione, ha - in breve - osservato, in punto di responsabilità - che la ricostruzione alternativa proposta dalla difesa era meramente congetturale e si fondava su una teoria complottistica che non solo non trovava riscontri ma risultava smentita dallo stesso sviluppo della vicenda processuale l'imputazione era scaturita dalla iniziativa dello stesso imputato di denunciare per diffamazione la persona offesa, a seguito della archiviazione della sua querela i testi escussi risultavano pienamente credibili, le loro dichiarazioni erano caratterizzate da serenità e apparivano evidentemente ispirate dal solo desiderio di chiarire, anche a distanza di tempo, i fatti le dichiarazioni testimoniali della G. e dei C. risultavano pienamente dimostrative del fatto contestato le discrasie evidenziate dalla difesa erano marginali e ampiamente spiegabili con la diversa attenzione posta da ciascuno a particolari aspetti dell'episodio e al loro ricordo più o meno nitido, così anzi dimostrando la genuinità di entrambi la circostanza, in particolare, che la G. non avesse udito la frase su a lavorare , non solo appariva spiegabile per il suo stato emotivo, ma ne confermava attendibilità e genuinità, trattandosi di particolare che avrebbe militava a favore della sua versione. Sicché, a fronte della conforme e adeguata motivazione dei giudici di merito in punto di valutazione delle prove e delle risposte, esaustive e plausibili, date alle contrastanti prospettazioni difensive, sostanzialmente riprodotte nell'atto di ricorso, le doglianze riferite all'affermazione di responsabilità appaiono all'evidenza infondate, laddove sostengono vizi di motivazione o travisamento delle prove, oltre che in definitiva generiche e tendenti a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti esclusivamente attinenti all'apprezzamento, che risulta correttamente operato, del materiale probatorio. 3. Anche la doglianza concernente l'art. 199 cod. pen. mil . pace e alla ritenuta sussistenza della intraneità al servizio della condotta in contestazione è da ritenere quantomeno infondata alla luce delle risposte già versate in atti dalla Corte di appello alle analoghe censure sviluppate nell'atto di appello. Ineccepibilmente la sentenza impugnata ha infatti rilevato che erano proprio la posizione di comando del P. e l'attualità dei servizio che connotavano e caratterizzavano come abuso del grado il gesto dei primo, accompagnato dall'esortazione di andare a lavorare, in un contesto orario, ambientale e logistico inequivocabilmente di servizio cfr. sent. imp., pagine 32-35, cui può farsi per il resto integrale richiamo . 4. Inammissibili sono le deduzioni concernenti l'entità della pena, non solo perché non oggetto di specifico motivo di appello, ma anche perché riferite a valutazioni squisitamente di fatto articolate sulla base dei parametri considerati nell'art. 133 cod. pen. ritenuti nel caso di specie prevalenti sulla base di insindacabili apprezzamenti di merito, e perché nella sostanza anche generiche e prive di autosufficienza. Inammissibili sono le censure sull'entità della liquidazione dei danni riconosciuti alla parte civile, parimenti riferite a valutazioni di fatto, di necessità espressione di un giudizio meramente equitativo trattandosi per altro di quantificazione estremamente contenuta. E inammissibile è, infine, la richiesta di applicazione dell'art. 131-bis cod. pen., vuoi perché detta richiesta neppure risulta avanzata alla Corte di appello, pur potendo la relativa valutazione essere sollecitata almeno in sede di discussione successiva alla novella legislativa vuoi perché non risulta dagli atti alcun elemento da cui, anche implicitamente, desumere che il fatto sia stato considerato dai giudici di merito – ai quali tale valutazione è di principio riservata - di particolare tenuità 5. II ricorso non può, pertanto, che essere rigettato. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione alla parte civile C.G. delle spese sostenute nel presente giudizio, che tenuto conto della natura della controversia e dell'impegno profuso, vanno liquidate, come da dispositivo, in complessivi euro 4.000,00 quattromila , oltre accessori IVA, CPA e spese generali forfettarie come per legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento a favore della costituita parte civile delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 4.000,00 quattromila oltre accessori come per legge.