Falsa rapina alle Poste: per il direttore scatta la condanna per peculato

Il direttore dell'ufficio postale è un pubblico ufficiale poiché possiede tutti i necessari poteri certificativi la natura pubblicistica del servizio postale non è venuta meno per effetto della trasformazione del relativo ente in società per azioni.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, sezione Sesta Penale, con la sentenza n. 40747, depositata il 29 settembre 2016. Una finta rapina, e sparisce la cassa. Due persone, uno è il direttore di un ufficio postale, vengono condannati in primo e secondo grado per peculato e simulazione di reato secondo l'accusa si sono impossessati di oltre centottanta mila euro, fingendo una rapina ai danni dell'ufficio postale diretto dal primo dei due imputati. Giunta la seconda condanna, viene proposto ricorso per cassazione. Nulla da fare le censure sollevate non scalfiscono la motivazione della sentenza d'appello. Vediamo, però, le questioni più rilevanti affrontate nel giudizio di legittimità. La chiamata in correità del coimputato nel medesimo procedimento. Il sodalizio tra il direttore dell'ufficio postale e il compare non ha retto alle prove dell'accertamento giudiziario quest'ultimo ha confessato, ammettendo le proprie, e le altrui, responsabilità senza guadagnarci nulla il trattamento penale è identico per i due . L'ex socio, già direttore dell'ufficio rapinato , è nei guai più di prima, dato che su di lui pesano anche le dichiarazioni eteroaccusatorie dell'altro coimputato. Nei motivi di ricorso, il direttore - chiamiamolo per brevità così - solleva non poche doglianze tutte incentrate a mettere in crisi l'attendibilità del coimputato. La Cassazione, sotto questo profilo, è tranciante ci sono sia i riscontri interni - sotto il profilo della coerenza narrativa - sia quelli esterni, rispetto ad ulteriori elementi di prova. Per valutare la chiamata in correità come attendibile, secondo la S.C., non importa che nel narrato vi siano eventuali imprecisioni. Esse, infatti, non sono un elemento di per sé sufficiente ad escludere l'attendibilità del dichiarante allorché il giudice abbia bilanciato prudentemente gli elementi indiziari ed abbia ritenuto che quelli a sostegno della credibilità dell'accusa prevalgano sugli altri di segno opposto. Peculato o appropriazione indebita? Il ricorrente, tra le altre questioni, ha anche messo in dubbio la natura pubblicistica della propria attività di raccolta del risparmio . Oggi la posta è anche una banca, e in più agisce sotto forma societaria. No, dice la Corte il direttore, per il solo fatto di esercitare poteri certificativi, è un pubblico ufficiale e, a prescindere dalle forme in cui l'attività viene oggi esercitata, la funzione postale mantiene un rilievo pubblico. Essendovi tutti i presupposti soggettivi, quindi, la condotta appropriativa non potrà che rientrare nel peculato. E con riguardo ai presupposti oggettivi? E' così scontato che il denaro presente nelle casse dell'ufficio postale sia finalizzato allo svolgimento di una pubblica funzione? Il Bancoposta è un servizio privato. Lo dicono gli Ermellini in una loro precedente pronuncia del 2015, puntualmente richiamata nei motivi di ricorso proprio per avvalorare la tesi che la condotta del direttore infedele non sia inquadrabile sotto la fattispecie di peculato ma sotto quella laica di appropria zione indebita. Secondo questo indirizzo interpretativo - che la Cassazione, comunque, non riterrà decisivo nel caso di specie - il dipendente che si appropria del denaro risponderebbe, appunto, di appropriazione indebita. La Suprema Corte, nel caso di specie, però afferma che il direttore, a prescindere dal tipo di servizio esercitato, fa uso dei propri poteri pubblicistici certificativi al momento in cui gli vengono consegnate le somme da inserire in cassaforte. Rimane quindi un pubblico ufficiale, e di conseguenza la sua condotta illecita non può che essere inquadrata sotto il fuoco del peculato. Non concordiamo con questa conclusione, che a nostro avviso, non si coordina con il precedente giurisprudenziale sopra cennato, se non attraverso un distinguo un pò labile se la funzione bancaria è privata , non potranno che esserlo tutte le attività ad essa connesse. Semmai, nel caso di appropriazione di somme provenienti dalla raccolta del risparmio, potrebbe ugualmente ricorrere la fattispecie del peculato soltanto nel caso in cui la condotta illecita si perfezioni dopo che il denaro è stato immesso nella cassaforte da quel momento in poi si è conseguentemente confuso con il resto delle riserve presenti in ufficio. Effettivamente, su questo punto, occorrerebbe probabilmente maggiore chiarezza.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 giugno – 29 settembre 2016, n. 40747 Presidente Rotundo – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 27 marzo 2014 la Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza del G.u.p. presso il Tribunale di Napoli del 17 dicembre 2010, che all’esito di giudizio abbreviato condannava F.G. e R.A. , quest’ultimo quale direttore dell’ufficio postale di – omissis , alla pena di anni cinque di reclusione ciascuno per i reati, entrambi commessi in data – omissis , di peculato, per essersi impossessati della somma di Euro 182.000,00 di proprietà delle Poste italiane s.p.a., e di simulazione di un delitto di rapina aggravata posto in essere, ad opera di ignoti, in danno del su indicato ufficio postale, al fine di ottenere l’impunità in ordine al delitto di peculato. 2. Avverso la su indicata decisione della Corte d’appello ha personalmente proposto ricorso per cassazione il F. , censurando la mancata concessione delle attenuanti generiche in prevalenza sulla contestata circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 7, cod. pen., la sproporzione del relativo trattamento sanzionatorio, in quanto irrogato nella stessa misura di quello individuato a carico del coimputato, ed il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 117 cod. pen 3. Avverso la su indicata decisione ha inoltre proposto ricorso per cassazione il difensore del R. , che ha dedotto due motivi di doglianza il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato. 3.1. Con il primo motivo si deducono vizi della motivazione, anche per travisamento della prova, e la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., in relazione all’affermazione di responsabilità del R. , per non avere la Corte d’appello tenuto conto dei rilievi espressi dalla difesa nei motivi di gravame e nelle memorie depositate il 27 aprile 2009 ed il 25 marzo 2014. Non è stata correttamente valutata la chiamata in correità da parte del F. le cui dichiarazioni accusatorie non erano disinteressate e sono stati ignorati elementi decisivi che ne smentivano l’attendibilità ad es., riguardo alla riferita circostanza di fatto secondo cui il vicedirettore dell’ufficio postale, Ro.An. , non si sarebbe assentato il 15 dicembre 2007 giorno in cui sarebbe stata organizzata, ma non perfezionata, la finta rapina quando invece egli, quel giorno, non si recò al lavoro per congedo feriale, contrariamente all’assunto del chiamante in correità . Ulteriore travisamento ha avuto ad oggetto la valutazione della documentazione prodotta a sostegno della memoria difensiva del 25 marzo 2014 e dei motivi d’appello riguardo al fatto che il R. avrebbe giustificato una telefonata fatta al F. il giorno della rapina, ossia il 1 febbraio 2008, adducendo motivi pretestuosi, quando invece la chiamata, secondo quanto provato dalla difesa, era avvenuta per informare il F. dell’esito infausto di un titolo di credito e della necessità di provvedere alla regolarizzazione contabile, a seguito di una comunicazione pervenuta all’ufficio postale di – omissis dal Centro contabile di []. Altro argomento rilevante, ma ignorato dai Giudici di merito, è rappresentato dal fatto che gli autori della rapina si limitarono a chiedere la consegna di due plichi contenenti la somma di 180.000 Euro consegnati poco prima dal portavalori, e non anche il denaro custodito in cassaforte 55.000 Euro di contanti che non vennero prelevati il dato, confermato anche dalla documentazione contabile e dalle dichiarazioni del vicedirettore, dimostra l’estraneità del ricorrente ai fatti e l’assenza di un accordo, considerato che solo lui conosceva l’esistenza della somma lasciata in cassaforte e che lo stesso F. ha dichiarato di aver appreso tale circostanza dal R. qualche giorno dopo l’evento de quo . Vizi di illogicità e contraddittorietà colpiscono la motivazione anche riguardo alle modalità di corresponsione al R. delle somme trafugate, poiché secondo quanto riferito dal F. la parte consegnata al R. non era pari alla metà come erroneamente affermato in sentenza , bensì all’importo di circa ottantamila Euro, avendo egli trattenuto della somma totale una quota di circa centomila Euro. Infine, sebbene i Giudici di merito abbiano fatto riferimento a dubbi sull’esito dell’accertamento riguardo al numero delle banconote contenute nella borsa ove sarebbero stati inseriti i due plichi con i soldi trafugati, questa in realtà non avrebbe potuto essere nascosta sotto il sedile anteriore della vettura del F. , come è emerso da una consulenza tecnica di parte e da una comunicazione delle Poste italiane in merito al numero delle banconote e alla consistenza volumetrica di entrambi i plichi laddove il F. ha dichiarato che l’accordo era quello di nasconderla sotto il seggiolino . 3.2. Con il secondo motivo di ricorso, inoltre, si deducono violazioni di legge e vizi della motivazione in relazione alla sussumibilità della fattispecie concreta nel reato di peculato in luogo di quello di appropriazione indebita, non risultando in atti alcuna prova del vincolo di destinazione della somma sottratta all’adempimento di una funzione pubblica delegata alle Poste italiane s.p.a 3.3. Con motivi nuovi depositati in data 9 giugno 2016 il difensore del R. ha svolto ulteriori argomentazioni a sostegno del secondo motivo di ricorso, menzionando al riguardo la sentenza n. 10124 del 10 marzo 2015 di questa Suprema Corte ed insistendo sulla omessa riqualificazione del fatto contestato in quello di appropriazione indebita, per non avere il Giudice di merito esaminato in concreto il fatto, né il contesto nel quale era maturato, con riferimento alla provenienza e destinazione della somma sottratta. Non si evincono dalle sentenze di merito elementi in tal senso, né la Corte distrettuale ha risposto, sul punto, ai motivi d’appello specificamente dedotti nell’interesse dell’imputato, che svolgeva normali funzioni di tipo bancario. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono infondati e vanno rigettati per le ragioni qui di seguito partitamente indicate. 2. In ordine al ricorso proposto dal R. emerge con chiarezza, dalla motivazione dell’impugnata pronuncia, come la Corte territoriale abbia, con congrua e lineare esposizione logico-argomentativa, esaminato e puntualmente disatteso le deduzioni ed i rilievi critici mossi dalla difesa, giustificando la valutazione di responsabilità dell’imputato nella sua qualità di direttore del su indicato ufficio postale sulla base di un complesso di convergenti risultanze probatorie, e in particolare delle dichiarazioni confessorie del coimputato F. , il cui analitico e globale apprezzamento ha consentito ai Giudici di merito di accertare la programmata realizzazione, in concorso con quest’ultimo, dell’attività di appropriazione delle somme di denaro acquisite nella disponibilità dell’ufficio. Al riguardo, infatti, le conformi decisioni dei Giudici di merito risultano avere puntualmente vagliato il contenuto, pregnante ed univoco, delle dichiarazioni, sia etero che auto-accusatorie, del F. , illustrandone in termini di lineare coerenza le ragioni della ritenuta attendibilità, intrinseca ed estrinseca, sulla base di specifici elementi di riscontro. In tal senso, in particolare, le su citate pronunzie hanno posto in rilievo con argomenti correttamente illustrati e non smentiti o incrinati, nel loro coerente sviluppo logico e nella conseguenzialità del relativo epilogo decisorio, dalla formulazione delle doglianze in ricorso prospettate numerosi profili ricostruttivi della fondatezza del tema d’accusa enunciato nella correlativa imputazione, e segnatamente a l’accertata assenza dal servizio, nel giorno della simulata rapina, del vice-direttore dell’ufficio postale Ro.An. , che occupava la stessa stanza del R. circostanza della quale poteva essere a conoscenza solo quest’ultimo, che in tal senso lo aveva in effetti autorizzato, informandone per via telefonica lo stesso F. immediatamente prima della simulata rapina b il legame attestato da tutti gli impiegati di stretta vicinanza con il F. , che, sebbene privo di mansioni, era solito intrattenersi nell’ufficio, durante le ore di lavoro, in compagnia del R. c il fatto che il F. , amico del direttore ed abituale frequentatore dell’ufficio postale, abbia fatto ingresso da solo nei locali utilizzando la porta riservata al personale, secondo quanto confermato dal teste C.M. , ex postino che, sebbene non più in servizio, continuava a gestire l’apertura delle porte di sicurezza di accesso agli uffici d il mancato funzionamento del servizio di videosorveglianza, inattivo dal periodo in cui erano stati effettuati i lavori di ristrutturazione e il fatto che tutti i testimoni, secondo quanto evidenziato in particolare nella decisione di primo grado, hanno riferito di aver appreso dell’avvenuta rapina e della sua presunta dinamica esclusivamente dal racconto che ne fece il R. f la sovrapponibilità del contenuto delle predette dichiarazioni confessorie con la ricostruzione della dinamica storico-fattuale già operata dagli organi investigativi g l’accreditamento della rilevante somma di ventimila Euro, avvenuto nel OMISSIS sul conto corrente intestato alla moglie del F. ed autorizzato dallo stesso R. , quale anticipo di denaro che il primo avrebbe poi dovuto restituire all’ufficio operazione annullata a distanza di poche ore proprio su disposizione del direttore, che a tal fine incaricò un’impiegata dell’ufficio e che, secondo quanto evidenziato dai Giudici di merito, era a conoscenza delle difficoltà economiche in cui il F. versava per essere stato protestato, tanto da far apparire assai strana l’operazione di annullamento all’impiegata che curò la pratica, rimasta sorpresa di aver ricevuto l’ordine da persona diversa dal titolare del conto h i molteplici contatti emersi dalle operazioni di intercettazione ed intercorsi fra i due coimputati successivamente all’intervenuta sottrazione delle somme di denaro, dai quali risultava che i due dovevano incontrarsi e che era lo stesso R. a dare al F. le indicazioni necessarie per raggiungerlo elementi, questi, ragionevolmente ritenuti dai Giudici di merito confermativi dell’attendibilità delle dichiarazioni del coimputato in ordine alla circostanza della successiva consegna, al R. , della quota non ancora corrisposta dei proventi di comune appropriazione . La valutazione del contenuto delle dichiarazioni accusatorie del coimputato, dunque, è stata dai Giudici merito correttamente ponderata alla luce degli ulteriori elementi di prova che ne hanno confermato l’attendibilità, in maniera tale da verificarne la concordanza sul nucleo essenziale del narrato, rimanendo indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto, a meno che tali discordanze non siano evidentemente sintomatiche di una insufficiente attendibilità del dichiarante stesso il che, nel caso di specie, non è avvenuto, come correttamente e logicamente argomentato nelle decisioni di primo e secondo grado . Nessuna connotazione di decisività sul piano della completezza ed univocità della valenza del risultato probatorio coerentemente delineato dai Giudici di merito all’esito del su indicato percorso ricostruttivo possono pertanto assumere, entro tale prospettiva, gli argomenti difensivi già espressi in sede di gravame v., in narrativa, il par. 3.1. ed incentrati su taluni, secondari o comunque marginali, aspetti della vicenda storico-fattuale ad es., l’assenza del vice-direttore in un giorno diverso da quello in cui il reato è stato commesso, ovvero la possibilità di collocare o meno sotto il sediolino dell’autovettura del F. il borsone con la somma di denaro oggetto della simulata rapina, o, ancora, le modalità di ripartizione fra i complici dei proventi della comune azione delittuosa , la cui significatività, per un verso, è stata dai Giudici di merito già compiutamente esaminata escludendone qualsiasi possibilità di valorizzazione ai fini di un’eventuale ricostruzione alternativa del quadro degli elementi oggetto del tema d’accusa, e, per altro verso, non può sotto alcun profilo ritenersi idonea, così come prospettata, ad infirmare la complessiva coerenza e tenuta logica dei passaggi motivazionali relativi alla ritenuta affidabilità della su indicata fonte dichiarativa. L’esistenza di eventuali imprecisioni, infatti, non è un elemento di per sé sufficiente ad escludere l’attendibilità del dichiarante allorché, alla luce di altri elementi obiettivi di riscontro, il Giudice di merito abbia valutato globalmente, con prudente apprezzamento, il materiale indiziario ed abbia ritenuto, con congrua motivazione, la prevalenza degli elementi che sostengono la credibilità dell’accusa. A fronte della particolareggiata analisi delle dichiarazioni accusatorie del chiamante in correità e della motivata verifica dai Giudici di merito condotta sia in merito alla loro attendibilità intrinseca, sia riguardo all’esistenza di riscontri estrinseci dell’attendibilità della fonte dichiarativa, il ricorrente si è limitato, da un lato, a prospettare una diversa e più favorevole valutazione di alcuni aspetti della vicenda in esame, dall’altro lato a contrapporre un’alternativa rilettura di taluni dei presupposti fattuali individuati a sostegno del giudizio di credibilità, sulla base di obiezioni o di argomenti deduttivi che le conformi decisioni di merito hanno specificamente esaminato e motivatamente disatteso. Né, come è noto, rientra nei poteri della Corte di legittimità quello di effettuare, secondo quel che in sostanza si chiede da parte del ricorrente, una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento del motivato apprezzamento di merito al riguardo svolto nell’impugnata decisione, essendo il relativo sindacato circoscritto alla verifica dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari profili o segmenti del percorso motivazionale ivi tracciato verifica il cui esito, per quanto sopra esposto e considerato, non può che dirsi ampiamente positivo nel caso qui preso in esame. 3. Alla stregua della ricostruzione della vicenda storico-fattuale sì come dai Giudici di merito compiutamente illustrata in motivazione, deve ritenersi corretta la qualificazione in termini di peculato della condotta dell’imputato, non essendo condivisibile l’assunto secondo cui egli non avrebbe operato nell’ambito dell’esercizio di funzioni pubbliche, ma nell’espletamento di una attività privatistica, quale deve considerarsi quella della raccolta del risparmio, e si sarebbe quindi reso responsabile del meno grave reato di appropriazione indebita di cui all’art. 646 cod. pen., non punibile per mancanza di querela. Irrilevante, sul punto, deve ritenersi la circostanza di fatto, dalla difesa prospettata nei motivi nuovi v. supra, il par. 3.3. ed ancor prima nei motivi di gravame, secondo cui la somma di denaro sottratta venne consegnata su richiesta di un’agenzia privata. Dalla decisione di primo grado che sul punto ha dato conto di quanto riferito dal vice-direttore Ro.An. emerge la ricostruzione di quel che di norma avveniva al momento della consegna dei plichi contenenti le somme di denaro portate dai corrieri al riguardo, infatti, i Giudici di merito hanno evidenziato che nel momento in cui il denaro arrivava prima della pausa pranzo come nel caso di specie esso veniva subito riposto, ancora custodito nei plichi, in cassaforte e quest’ultima veniva subito chiusa il direttore, inoltre, firmava la ricevuta e riceveva i plichi, verificandone i sigilli, con la conseguenza che solo dopo si procedeva alla verifica del loro contenuto. Secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte Sez. 6, n. 3897 del 09/12/2008, dep. 2009, Cappiello, Rv. 242520, che richiama in motivazione Sez. 6, n. 34884 del 07/03/2007, Incarbone, Rv. 237693 il direttore dell’ufficio postale riveste la qualità di pubblico ufficiale, in considerazione sia dei suoi poteri certificativi che della natura pubblicistica dei servizi postali, anche dopo la trasformazione dell’amministrazione postale in ente pubblico economico e della successiva adozione della forma della società per azioni. Non pertinente dunque, sotto il profilo or ora evidenziato, deve ritenersi il richiamo dal ricorrente effettuato al precedente di questa Corte Sez. 6, n. 10124 del 21/10/2014, dep. 2015, De Vito, Rv. 262746 , secondo cui il dipendente di Poste Italiane s.p.a. che svolga un’attività di tipo bancario cosiddetto bancoposta non riveste la qualità di persona incaricata di pubblico servizio, con la conseguenza che l’appropriazione di somme dei risparmiatori commessa con abuso del ruolo integra il reato di appropriazione indebita e non quello di peculato. Presupposto di tale ragionamento è la valenza assegnata al dato positivo, ossia al d.P.R. 14 marzo 2001, n. 144 Regolamento recante norme sui servizi di bancoposta , che in materia secondo la citata pronunzia riveste importanza centrale, operando testualmente e chiaramente una piena equiparazione dell’attività di bancoposta a quella delle banche comuni . È prevista, infatti, una netta separazione contabile tra le attività bancarie e le altre non solo postali , così limitandosi qualsiasi commistione nella gestione delle provviste dell’una e dell’altra attività . Sicché le attività di bancoposta sono chiaramente distinte dai servizi postali, sia perché disciplinate da differenti e specifiche normative di settore d.P.R. n. 144 del 2001 e d.lgs. n. 261 del 1999 , sia perché separate dal punto di vista organizzativo e contabile. La conclusione raggiunta da tale pronunzia, pertanto, è che l’attività bancaria delle Poste non costituisce esercizio di pubblico servizio, ma è un’attività privata al pari di quella svolta dalle banche, con il logico corollario che l’impiegato che svolga tali servizi non riveste la qualifica di pubblico ufficiale e nemmeno quella di incaricato di pubblico servizio. Oggetto di tale decisione, tuttavia, è solo la qualificazione in senso privatistico del settore legato all’attività di raccolta del risparmio, che non può essere esclusa, secondo quanto precisato nella relativa motivazione, per il fatto che le Poste s.p.a. operino per conto della Cassa depositi e prestiti, essendo quest’ultima equiparabile ad un comune azionista che non interviene personalmente nei rapporti con la clientela, regolati esclusivamente dalle forme del diritto civile. Del tutto diversa, di contro, deve ritenersi, per quanto sopra esposto, la fattispecie qui presa in esame, poiché in essa, attraverso i comportamenti inerenti alla ricezione, custodia e verifica del contenuto dei plichi contenenti somme di denaro consegnate all’ufficio postale, non viene in rilievo il concreto svolgimento di un’attività di tipo bancario, bensì la stessa precondizione di regolarità dell’esercizio delle diverse tipologie di funzioni che possono svolgersi nelle attività dell’amministrazione postale, ove la relativa garanzia di destinazione delle somme alla cassa viene attestata proprio in forza dei poteri certificativi attribuiti al direttore dell’ufficio postale in ragione della pubblica funzione rivestita, poteri che di norma si esplicano nel rilascio di documenti aventi efficacia probatoria, sui quali non può incidere la natura privatistica assunta dall’ente Poste Italiane arg. ex Sez. 5, n. 32406 del 18/03/2015, Li Vigni, Rv. 265294 . Sul punto, allora, non può che ribadirsi il portato dell’insegnamento in linea generale espresso da questa Suprema Corte Sez. Un., n. 10086 del 13/07/1998, Citaristi, Rv. 211190 , secondo cui, al fine di individuare se l’attività svolta da un soggetto possa essere qualificata come pubblica, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 357 e 358 cod. pen., è necessario verificare se essa sia o meno disciplinata da norme di diritto pubblico, quale che sia la connotazione soggettiva del suo autore, distinguendosi poi nell’ambito dell’attività definita pubblica sulla base di detto parametro oggettivo la pubblica funzione dal pubblico servizio per la presenza nell’una o la mancanza nell’altro dei poteri tipici della potestà amministrativa, come indicati dal predetto art. 357 comma 2, cod. pen Sulla base della ricostruzione in fatto operata dai Giudici di merito e dei canoni esegetici in questa Sede stabiliti, al direttore di un ufficio postale che si appropri di somme di denaro prelevate direttamente dalla cassa dell’ufficio deve pertanto riconoscersi agli effetti del contestato reato di peculato la qualità di pubblico ufficiale, avuto riguardo ai poteri di certificazione esercitati per le consegne o i versamenti di somme di denaro effettuati dagli utenti e per la contabilizzazione dei relativi passaggi o movimenti. 4. Infondate, sino a lambire il margine dell’inammissibilità, devono poi ritenersi le doglianze formulate nel ricorso del F. . Alla luce dei principii sinora illustrati la sentenza impugnata è esente dai vizi denunciati, avendo, con motivazione puntuale e logica, indicato specificamente l’attivo e consapevole contributo dal ricorrente fornito alla programmazione delle modalità dell’attività delittuosa, partecipando e fornendo un contributo tutt’altro che trascurabile sia alla fase dell’ideazione che a quella dell’esecuzione. È noto, in relazione a tale profilo, che anche gli estranei al pubblico ufficio o al pubblico servizio possono concorrere nel delitto di peculato quando risulti provata, come concordemente riconosciuto ed evidenziato dai Giudici di merito nel caso in questione, la loro compartecipazione all’attività criminosa del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio. Parimenti infondate, infine, devono ritenersi le censure difensive prospettate in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio e al giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche, poiché la Corte distrettuale ha correttamente indicato, con motivazione congrua ed immune da vizi logico-giuridici, le ragioni giustificative del suo apprezzamento, confermativo di quello già espresso dal primo Giudice e specificamente incentrato su una valutazione di merito riguardo alla premeditazione dell’azione delittuosa e alla gravità del delitto programmato, soppesando i vari aspetti della vicenda anche sotto il profilo della proporzionalità un insieme di valutazioni, quelle or ora menzionate, frutto dell’esercizio di un potere discrezionale congruamente argomentato, rispettoso dei parametri normativi e, in quanto tale, non assoggettabile a sindacato in questa Sede, ponendosi, di contro, le deduzioni difensive sul punto formulate nella mera prospettiva di accreditare una diversa valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti fattuali che giustificherebbero un esito decisorio alternativo nella definizione dei molteplici profili del trattamento sanzionatorio. 5. Al rigetto dei ricorsi, conclusivamente, consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Ne discende, altresì, la rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che, avuto riguardo alla natura ed entità delle questioni dedotte, vanno complessivamente liquidate secondo le statuizioni in dispositivo meglio indicate. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione in solido delle spese sostenute dalla parte civile costituita, che liquida in Euro tremila, oltre spese generali, IVA e CPA.