Il curatore fallimentare non subentra negli obblighi di gestione dei rifiuti della società fallita

Non sussistendo alcun fenomeno successorio del curatore fallimentare nella titolarità delle posizioni giuridiche riconducibili al fallito, non può essere contestata alla curatela la violazione delle disposizioni dettate dal Testo Unico Ambientale in materia di gestione di rifiuti.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 40318/16, depositata il 28 settembre. Il caso. Il Tribunale di Belluno assolveva dal reato di cui all’art. 256, comma 4, d.lgs. n. 152/2006 Testo Unico Ambientale il curatore fallimentare di una s.r.l. indagato per aver omesso di trasmettere alla competente autorità le informazioni necessarie per lo svolgimento dell’attività di controllo sull’impianto rifiuti della società richieste dall’autorizzazione ambientale ECO rilasciata dalla Provincia di Belluno. Il Giudice riteneva il fatto non sussistente in quanto dopo la dichiarazione di fallimento non era stato autorizzato l’esercizio provvisorio dell’impresa ed il curatore non poteva dunque essere chiamato a rispondere dell’omissione contestata. Avverso tale pronuncia ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica che invoca l’orientamento giurisprudenziale secondo cui al curatore fallimentare sono ascrivibili gli oneri connessi alla gestione di rifiuti anche nel caso di sospensione o cessazione definitiva dell’attività. Il reato contestato. La condotta contestata è riconducibile al combinato disposto di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 256 d.lgs. n. 152/2006 che punisce colui che con inosservanza delle prescrizioni contenute nelle specifiche autorizzazioni svolga attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio e intermediazione di rifiuti, nonché di abbandono, deposito incontrollato o realizzazione e gestione di una discarica. L’elemento soggettivo. Il ricorrente lamenta l’erronea applicazione del comma 4 della norma citata, sostenendo che, a seguito della dichiarazione di fallimento, il curatore avrebbe dovuto subentrare all’amministratore unico negli obblighi derivanti dalla gestione dell’impianto di rifiuti inerti quale pubblico ufficiale a cui gli artt. 30, 31 e 42 l.fall. attribuiscono il compito di amministrare il patrimonio dell’impresa fallita. Il Collegio sottolinea però come, per poter contestare il reato il parola, sia necessaria l’attribuzione all’indagato della qualità soggettiva di gestore di una discarica autorizzata secondo la definizione di cui all’art. 2, d.lgs. n. 36/2003 e, posto che nel caso di specie il curatore non era stato autorizzato all’esercizio provvisorio dell’attività dal giudice delegato, tale qualifica non può essergli ricondotta essendo la fase operativa dell’attività cessata al momento della dichiarazione di fallimento. Il curatore non è successore del fallito. Né può essere invocato in tal senso un fenomeno successorio tra il fallito e il curatore, in forza del quale quest’ultimo subentri nella titolarità dei rapporti giuridici connesso all’attività d’impresa esercitata dalla società in bonis . Il principio è stato riconosciuto anche dalla giurisprudenza amministrativa e, in particolare, dal Consiglio di Stato che con la sentenza n. 3274/2014 ha chiarito che il Fallimento non acquista la titolarità dei suoi beni, ma ne è solo un amministratore con facoltà di disposizione . Ne consegue che il curatore del fallimento, pur potendo subentrate in specifiche posizioni negoziali originariamente imputate al fallito, non è rappresentante né successore del fallito stesso ma mero terzo subentrante nell’amministrazione del patrimonio per l’esercizio dei poteri conferitigli dalla legge, sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori. In conclusione, la curatela fallimentare non poteva essere considerata nominalmente titolare dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di gestione della discarica e non poteva dunque essergli contestata l’omessa osservanza dei relativi obblighi. Per questi motivi la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 giugno – 28 settembre 2016, n. 40318 Presidente Andreazza – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 28/04/2015 il Tribunale di Belluno pronunciò, all’esito di giudizio abbreviato, sentenza di assoluzione con la formula perché il fatto non sussiste nei confronti di S.P. , imputata del reato di cui all’art. 256, comma 4, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per non avere ottemperato alle prescrizioni di cui agli artt. 9, 10 e 11 dell’autorizzazione ambientale ECO n. rilasciata dalla provincia di in data omissis , poiché, nella sua qualità di curatore fallimentare della ditta R.A. S.r.l., aveva omesso di trasmettere all’Arpav le informazioni necessarie ad organizzare l’attività di controllo sull’impianto di rifiuti inerti della predetta società, sito in loc. omissis . Fatti accertati in omissis dal omissis . 1.1. Secondo la sentenza impugnata, infatti, non avendo il Tribunale provveduto, dopo la dichiarazione di fallimento della R.A. S.r.l. in data 14 luglio 2010, a disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa ai sensi dell’art. 104 del R.D. 16/03/1942 n. 267 Legge fallimentare , il curatore non poteva essere chiamato a rispondere della condotta omissiva contestata, essendo il fallimento privo dei poteri gestori eccedenti la liquidazione della società e il soddisfacimento della massa dei creditori ed essendo la gestione e il controllo dell’impianto di rifiuti strettamente connessi all’esercizio dell’impresa, che, appunto, non era stato autorizzato dal giudice. Né, sottolineò la sentenza, la disponibilità giuridica dei rifiuti poteva imporre l’adempimento di obblighi gravanti sull’impresa fallita, in assenza di un’attività di impresa che comportasse la gestione degli stessi. 2. Avverso la sentenza di non luogo a procedere propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Belluno deducendo, con un unico motivo di impugnazione, la manifesta illogicità della motivazione per vizio interpretativo art. 606, comma 1, lett. b cod. proc. pen. . Secondo il ricorrente, infatti, il costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte ascriverebbe al curatore fallimentare gli oneri connessi all’attività di gestione di attività inquinanti anche in caso di temporanea sospensione o definitiva cessazione delle stesse. La stessa autorizzazione ambientale ECO n. 41, rilasciata dalla provincia di Belluno in data 4 aprile 2008, del resto, avrebbe precisato che gli obblighi di informazione e comunicazione dovessero riguardare anche la fase post-operativa e, dunque, dovessero sussistere anche dopo la cessazione delle attività di gestione dell’impianto, all’evidente scopo di consentire la realizzazione del controllo pubblico sugli effetti ambientali dell’attività industriale anche dopo la sua conclusione. La permanenza di un siffatto obbligo sarebbe stata conosciuta dallo stesso curatore, il quale, secondo il ricorrente non a caso, aveva provveduto alla nomina di un responsabile tecnico ciò allo scopo di designare un soggetto che potesse interloquire con l’Arpav, cui la nomina era stata segnalata, per gli aspetti connessi agli obblighi legali sopravviventi alla cessata attività di gestione. Né potrebbe affermarsi, rileva ancora il ricorrente, che il trasferimento in capo al curatore degli obblighi connessi alla gestione, originariamente incombenti sull’impresa, sia impedito dall’assenza di una norma ad hoc e dal conseguente divieto di estensioni analogiche delle norme penali, avendo la giurisprudenza della Suprema Corte chiarito che l’effetto successorio deve essere affermato alla stregua di una interpretazione teleologica della fattispecie incriminatrice contestata cfr. Sez. 3, n. 37282 del 12/06/2008, Naso, Rv. 241068 . 2.1. Con memoria del 27/05/2016, la difesa dell’imputata ha in primo luogo dedotto l’inammissibilità del ricorso proposto dal pubblico ministero, evidenziando come le censure poste a fondamento dell’impugnazione non attengano ad un preteso vizio interpretativo della legge penale o di altre norme giuridiche né, comunque, ad una ritenuta illogicità del tessuto motivazionale della sentenza, quanto piuttosto alla prospettazione di una alternativa ricostruzione del fatto. Sul merito del ricorso, la difesa ne ha rilevato l’infondatezza innanzitutto sul presupposto che non essendo stata la curatrice fallimentare autorizzata alla prosecuzione dell’attività di impresa, non potrebbe esserle rimproverato il mancato rispetto delle cautele imposte a chi eserciti l’attività di smaltimento dei rifiuti propria dell’esercizio della discarica ciò che varrebbe anche per la fase post-operativa, la quale consisterebbe, comunque, in un’attività imprenditoriale di gestione dell’impianto. Né, rileva ancora la difesa dell’imputata, gli obblighi in questione avrebbero potuto essere traslati automaticamente su un altro soggetto, considerato il carattere strettamente personale dell’autorizzazione in quanto fondata sulla idoneità del soggetto autorizzato. Nessun vuoto di tutela conseguirebbe, inoltre, al mancato trasferimento degli obblighi gestori in capo al curatore fallimentare, considerato che in caso di mancata osservanza delle prescrizioni imposte con l’autorizzazione da parte dell’originario gestore, l’ente conferente è tenuto ad adempiere, in via sostitutiva, agli obblighi gestori, all’uopo avvalendosi delle apposite garanzie finanziarie costituite, ai sensi dell’art. 14 del decreto legislativo n. 36 del 2003, proprio per coprire i relativi costi. Del tutto infondata sarebbe poi, secondo la difesa, la prospettazione del pubblico ministero laddove qualificherebbe il curatore come un successore dell’imprenditore fallito, del quale, pertanto, erediterebbe ogni obbligo. Una prospettiva, questa, che la giurisprudenza delle Sezioni civili della Corte di cassazione avrebbe, ormai da lungo tempo, decisamente escluso. Considerato in diritto 3. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere rigettato. 3.1. L’art. 256, comma 4, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 Testo unico ambientale individua il trattamento sanzionatorio da applicare a colui il quale ponga in essere, con inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni , taluna delle condotte contemplate dai 3 precedenti commi dello stesso articolo ovvero le attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti comma 1 , quelle di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti realizzati dai titolari di imprese o dai responsabili di enti comma 2 o, infine, quelle di realizzazione o di gestione di una discarica comma 3 . Per quanto di rilevanza in questa sede, dunque, viene in rilievo, nel caso di specie, la condotta descritta proprio dal combinato disposto dei commi 3 e 4 dell’art. 256 T.U. ambientale. Si è, infatti, contestato a S.P. , pur nella particolare sintesi che caratterizza l’imputazione, la mancata osservanza delle prescrizioni di cui agli artt. 9, 10 e 11 che erano state impartite, con l’autorizzazione ambientale ECO n. 41, rilasciata dalla provincia di Belluno in data 4 aprile 2008, in relazione all’esercizio dell’impianto di rifiuti inerti attraverso il quale la ditta R.A. S.r.l., di cui l’imputata era stata nominata curatore fallimentare, aveva in precedenza svolto l’attività di gestione della discarica sita in loc. omissis . Tali prescrizioni imponevano al soggetto autorizzato, ovvero alla ditta R.A. S.r.l., di eseguire il controllo del livello di falda e della composizione delle acque sotterranee al fine di rilevare tempestivamente eventuali situazioni di inquinamento art. 9 di effettuare tale monitoraggio con frequenza semestrale in fase post-operativa , eseguendo altresì un controllo annuale del parametro degli idrocarburi art. 10 di provvedere alla misurazione dei parametri meteo-climatici , con obbligo di conservare e tenere a disposizione degli organi di controllo copia dei dati rilevanti art. 11 . Inoltre, al fine di organizzare, da parte della Provincia, l’attività di controllo sull’impianto di rifiuti inerti di proprietà della società, sito in loc. omissis , l’art. 9 prescriveva l’obbligo, in capo alla ditta, di trasmettere copia delle analisi alla Provincia mentre l’art. 11 stabiliva che copia dei dati rilevati in occasione della misurazione dei parametri meteo-climatici dovesse essere conservata e tenuta a disposizione degli organi di controllo. Alla stregua della espressa descrizione delle condotte rilevanti contenuta nell’imputazione deve, dunque, ritenersi che l’ipotesi delittuosa configurata, consistente nella violazione degli obblighi di comunicazione all’Arpav, riguardasse, unicamente, la mancata trasmissione di copia delle analisi sul livello di falda e sulla composizione delle acque sotterranee, ai sensi dell’art. 9 dell’autorizzazione. Le prescrizioni relative allo svolgimento delle analisi in questione e ai relativi obblighi comunicativi riguardavano, secondo l’espressa previsione dell’art. 10, anche la fase post-operativa ciò all’evidente fine di assicurare il controllo pubblico anche dopo la cessazione dell’attività di gestione, strettamente intesa, della discarica. Secondo l’ipotesi formulata dal Pubblico ministero, per effetto della dichiarazione di fallimento della ditta R.A. S.r.l. il curatore fallimentare sarebbe subentrato all’amministratore unico della predetta società negli obblighi sullo stesso gravanti in relazione all’attività di gestione dell’impianto di rifiuti inerti. Ciò sul presupposto che, in caso di fallimento, la responsabilità del titolare si trasferisca alla curatela fallimentare, essendo il curatore fallimentare pubblico ufficiale e avendo il compito di amministrare il patrimonio dell’impresa in sostituzione del suo titolare ai sensi degli artt. 30, 31 e 42 della Legge fallimentare. A sostegno di tale impostazione, lo stesso Pubblico ministero, nell’atto di impugnazione, ha citato l’orientamento giurisprudenziale, dettato in materia di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti ai sensi dell’art. 256, comma 4, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, secondo cui, nella materia in esame, il ruolo del curatore non potrebbe ridursi a quello di soggetto comune v. Sez. 3, n. 37282 del 12/06/2008, Naso, Rv. 241068 , subentrando nella situazione del patrimonio del debitore fallito, la cui disponibilità giuridica e materiale non la proprietà viene a questi sottratta e trasferita agli organi del fallimento così Sez. Un., n. 29951 del 24/05/2004, C. fall. in proc. Focarelli, Rv. 228164, in motivazione . Secondo questo Collegio, tuttavia, tale percorso ricostruttivo non può essere condiviso. Preliminarmente, giova ribadire che la fattispecie contestata è quella risultante dalla integrazione dei commi 3 e 4 dell’art. 256 del testo unico ambientale una fattispecie che sanziona le condotta di inosservanza di determinate regole contenute in un provvedimento amministrativo di natura autorizzatoria da parte di un soggetto che rivesta la specifica qualifica di gestore di una discarica autorizzata, la quale versi in fase operativa o, eventualmente, anche post-operativa, secondo la definizione offerta dall’art. 2 del d.lgs. 13/01/2003, n. 36. Dunque, affinché possa configurarsi una responsabilità dell’odierna ricorrente per la mancata inosservanza delle menzionate prescrizioni è necessario che alla stessa possa essere attribuita la suddetta qualifica soggettiva. Nel caso di specie, dal momento che la curatrice non era stata autorizzata, dal giudice delegato, all’esercizio provvisorio dell’attività di impresa ai sensi dell’art. 104 della Legge fallimentare - ed essendo quindi la curatela priva di poteri gestori eccedenti la liquidazione della società ed il soddisfacimento della massa dei creditori-, è pacifico che in capo a S.P. non potesse attribuirsi la qualifica di gestore di una discarica autorizzata in fase operativa, essendo tale fase cessata con il fallimento della ditta R.A. S.r.l NP l’acquisizione di una siffatta qualifica potrebbe essere riconducibile al dispiegarsi di un fenomeno successorio tra il fallito ed il curatore, in forza del quale il secondo subentri nella titolarità di tutti i rapporti giuridici connessi all’attività di impresa riferibili al primo. Tale successione, infatti, è pacificamente negata dalla giurisprudenza, sia civile che amministrativa, la quale rileva come la società dichiarata fallita conservi la propria soggettività giuridica e rimanga titolare del proprio patrimonio, perdendone unicamente la facoltà di disposizione secondo quanto stabilito dall’art. 42 R.D. n. 267/1942, a mente del quale la sentenza che dichiara il fallimento, priva dalla sua data il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento , secondo un meccanismo riconducibile allo schema dello spossessamento dei beni. Correlativamente, come osservato da Cons. St., Sez. V, 13/05-30/06/2014, n. 3274, Fall. Società Marconi di Garzitto Giancarlo & amp C. S.a.s., c/o Comune di Pavia di Udine, il Fallimento non acquista la titolarità dei suoi beni, ma ne è solo un amministratore con facoltà di disposizione, laddove quest’ultima riposa non sulla titolarità dei relativi diritti ma, a guisa di legittimazione straordinaria, sul munus publicum rivestito dagli organi della procedura giusta l’art. 31 R.D. n. 267/1942, secondo cui il curatore ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite cfr., in termini, anche Cons. St., Sez. V, 29/072003, n. 4328 Cons. St., Sez. V, 16/06/2009, n. 3885 . Il curatore del fallimento, pertanto, pur potendo sottentrare in specifiche posizioni negoziali del fallito cfr. l’art. 72 R.D. n. 267/1942 , in via generale non è rappresentante, né successore del fallito, ma terzo subentrante nell’amministrazione del suo patrimonio per l’esercizio di poteri conferitigli dalla legge così Cass. civ., Sez. I, 23/06/1980, n. 3926 in termini analoghi v. anche Cass. civ., Sez. I, 14/09/1991, n. 9605 . Ne consegue che la curatela non può considerarsi nominalmente titolare della autorizzazione allo svolgimento dell’attività di gestione della discarica. Esclusa, alla stregua dell’interpretazione qui accolta, la possibilità di configurare, in capo alla curatela, l’attribuzione di obblighi di gestione della fase post-operativa in conseguenza di un fenomeno successorio concernente i rapporti giuridici nella titolarità del fallito, occorre dunque verificare se, come sostenuto dal Procuratore generale, il subentro negli obblighi gestori, di natura prettamente conservativa, successivi alla cessazione dell’attività operativa dell’impianto di smaltimento, possa essere fondato su norme speciali. A questo riguardo deve riconoscersi che alcune disposizioni, come quelle in materia di amianto, pongono sì degli obblighi specifici, anche in conseguenza della mera disponibilità di determinati beni, di svolgere attività volte ad eliminare talune fonti di pericolo per la salute pubblica, ma gli stessi non potrebbero evidentemente estendersi al di là di quanto espressamente previsto. In questo ambito sembra collocarsi il precedente giurisprudenziale di questa Corte cfr. Sez. 3, n. 37282 del 12/06/2008, Naso, Rv. 241068 , citato, in maniera quindi non pertinente, dal Pubblico ministero di primo grado precedente che, in realtà, riguardava una ipotesi di deposito incontrollato di rifiuti altamente inquinanti prodotti da alcuni beni aziendali sui quali il curatore aveva poteri di amministrazione, rispetto al quale lo stesso giudice di legittimità ipotizzava un più corretto inquadramento nella fattispecie contemplata dal successivo art. 257, probabilmente anche in considerazione dei particolari obblighi previsti, in materia di amianto, dalla legge n. 257 del 1992 e dal relativo regolamento attuativo, i quali pongono specifici obblighi di sorveglianza in capo all’attuale detentore dei beni v., in argomento, T.A.R. Friuli-Venezia Giulia n. 441/2015, che ha affermato la responsabilità del curatore fallimentare per la mancata bonifica di un sito inquinato da amianto . Viceversa, negli altri casi, e dunque al di fuori di espresse previsioni normative, la possibilità che determinati obblighi originariamente incombenti sul responsabile o sul proprietario dell’area cui la violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa si pensi, ad es., agli obblighi di ripristino dello stato dei luoghi finalizzati alla rimozione di una situazione di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente , possano trasferirsi in capo alla curatela, presuppone, comunque, l’esistenza di un fenomeno successorio. È, questo, il caso degli adempimenti ai sensi dell’art. 192, comma 4, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, a mente del quale qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni . Su tali premesse, anche l’orientamento assolutamente prevalente in seno alla giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che il potere, attribuito alla curatela, di disporre dei beni fallimentari secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato non comporti, necessariamente, il dovere di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti. Di qui, dunque, l’assenza di una cornice normativa di carattere generale diretta a disciplinare lo svolgimento di attività conservative nella fase post-operativa nel caso in cui il soggetto giuridico originariamente autorizzato allo svolgimento dell’attività gestoria sia venuto meno. Né, infine, un obbligo in capo alla curatela potrebbe fondarsi sull’art. 13 del d.lgs. 13/01/2003, n. 36, le cui disposizioni si limitano ad affermare la responsabilità del gestore per tutte le fasi di gestione della discarica, ivi compresa quella post-operativa. Tale principio, del tutto pacifico, presuppone, infatti, la preventiva attribuzione della qualifica soggettiva di gestore ciò che, nel caso di specie, è appunto controverso e costituisce oggetto della complessa questione di diritto qui affrontata. In altri termini, il richiamo alle disposizioni dell’art. 13 del d.lgs. 13/01/2003, n. 36 si risolve, nella sostanza, in una costruzione giuridica circolare, non riuscendo a dimostrare in alcun modo che il gestore, in capo al quale incombono gli obblighi di natura conservativa, debba essere identificato, in caso di fallimento del soggetto autorizzato, nel curatore. Peraltro, ove anche si affermasse, secondo la tesi qui non condivisa, che la fonte degli obblighi comunicativi e delle attività conservative che ne costituiscano oggetto sia rinvenibile non nel provvedimento autorizzativo di gestione della discarica, quanto piuttosto in norme speciali, quale ad esempio il ricordato art. 13 del d.lgs. n. 36 del 2003, si realizzerebbe una non consentita dilatazione della dimensione tipica della fattispecie incriminatrice, la quale verrebbe a ricomprendere, accanto alle condotte di inosservanza del provvedimento amministrativo, anche i comportamenti omissivi rispetto a determinate norme speciali. In questo modo, però, si realizzerebbe, a fronte della contestazione di specie, un procedimento interpretativo di natura sostanzialmente analogica il quale, ancorché ispirato a comprensibili esigenze di tutela della salute pubblica, deve certamente ritenersi non consentito dai principi generali del sistema penale sostanziale, in quanto realizzato in mala partem . 4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato in quanto infondato. P.Q.M. Rigetta il ricorso del pubblico ministero.