Il favoreggiamento di un mafioso implica l’agevolazione dell’associazione criminale stessa

Il favoreggiamento operato dal ricorrente nel caso di specie in favore di un latitante ha prodotto effetti nei confronti dell’intero clan. La predetta statuizione non si pone, pertanto, in contrapposizione con la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione riguardo alla configurabilità dell'aggravante prevista dall'art. 7 della l. n. 203/1991, quando la condotta favoreggiatrice abbia avuto come beneficiario un soggetto che riveste un ruolo apicale all'interno della struttura associativa.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 40243/16, depositata il 27 settembre. Il caso. Il Tribunale del Riesame di Napoli ha confermato la sentenza emessa dal gip del medesimo Tribunale con cui era stata disposta la custodia cautelare in carcere nei confronti dell’imputato, provvisoriamente accusato di avere favorito la latitanza di un indagato, esponente di un clan camorristico operante nella città di Napoli. Ricordatone l'arresto in flagranza, avvenuto nella propria abitazione ove ospitava il latitante in questione, il Tribunale ha respinto le giustificazioni addotte dall'indagato di essere rimasto all'oscuro della caratura criminale del ricercato, evidenziando per contro gli elementi indiziari suscettibili di dimostrare la piena consapevolezza della sua condotta quanto alla contestata aggravate speciale, il Tribunale ha ricordato che il latitante è il genero e braccio destro di un noto capo clan, all'epoca anch'egli latitante, ove l'aiuto fornitogli implicava di fatto un aiuto all'associazione criminale complessivamente considerata. Delitto di favoreggiamento. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso l’imputato limitatamente alla sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 7 l. n. 203/1991. Il ricorrente sostiene che, pur essendo il latitante un esponente di spicco della associazione camorristica, non può trovare applicazione l'aggravante de qua al delitto di favoreggiamento, atteso che solo quando venga fornito ad un soggetto posto ai vertici del sodalizio l'aiuto può integrare un'agevolazione in favore dell'intera associazione. L'agevolazione dell'intero sodalizio criminale. Ma il ricorso è infondato e pertanto va rigettato. La Corte ha infatti argomentato che il favoreggiamento operato dal ricorrente in favore del latitante ha prodotto effetti nei confronti dell’intero clan. La predetta statuizione non si pone, pertanto, in contrapposizione con la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione riguardo alla configurabilità dell'aggravante prevista dall'art. 7 l. n. 203/1991 quando la condotta favoreggiatrice abbia avuto come beneficiario un soggetto che riveste ruolo apicale all'interno della struttura associativa Il principio espresso da tale giurisprudenza vuole, infatti, significare che la condotta favoreggiatrice prestata a beneficio di tale categoria di soggetti implica ex se l'agevolazione dell'intero sodalizio criminale di stampo mafioso che, articolato su base rigidamente gerarchica, viene in tal modo preservato nella sua struttura, garantendosene la guida, la permanenza in vita e la realizzazione del programma criminale . L'aggravante di cui all'art. 7 della legge n. 203/1991 è, infatti, di tipo soggettivo ed è volta a punire più duramente condotte destinate a sostenere la vita del gruppo criminale complessivamente considerato. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 9 - 27 settembre 2016, n. 40243 Presidente Carcano – Relatore Villoni Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza impugnata, il Tribunale del Riesame di Napoli ha confermato quella emessa dal GIP del medesimo Tribunale in data 07/03/2016 con cui era stata disposta la custodia cautelare in carcere nei confronti di R.M., provvisoriamente accusato di avere favorito la latitanza di P.P., espo nente del clan camorristico C. operante nella città di Napoli quartieri Vo mero - Arenella e così del delitto di cui all'art. 378, comma 2 cod. pen. aggra vato ai sensi dell'art. 7 l. n. 203 del 1991. Ricordatone l'arresto in flagranza, avvenuto nella propria abitazione ove ospi tava il latitante, il Tribunale ha respinto le giustificazioni addotte dall'indagato di essere rimasto all'oscuro della caratura criminale del P., evidenziando per contro gli elementi indiziari suscettibili di dimostrare la piena consapevolezza della sua condotta quanto alla contestata aggravate speciale, il Tribunale ha ricordato che il latitante è il genero e braccio destro del riconosciuto capo clan L.C., all'epoca anch'egli latitante, ond'è che l'aiuto fornitogli implicava di fatto un aiuto all'associazione criminale complessivamente considerata, la cui operatività sarebbe stata compromessa dall'arresto del P., comportando l'interruzione della catena di comando da parte dei soggetto che rivestiva ruolo apicale. 2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il M., limitatamente alla sussi stenza dell'aggravante di cui all'art. 7 l. n. 203 del 1991. Il ricorrente deduce violazione di legge sostanziale e processuale e vizio di mo tivazione, sostenendo che pur essendo il P. un esponente di spicco della associazione camorristica, tale definito dallo stesso Tribunale di Napoli, ma non il capo clan, non può trovare applicazione l'aggravante de qua al delitto di favoreg giamento, atteso che solo quando venga fornito ad un soggetto posto ai vertici del sodalizio l'aiuto può integrare un'agevolazione in favore dell'intera associa zione. Quanto alla normativa processuale, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 274 e 275 cod. proc. pen. evidenziando che, pur avendo il Tribunale ricordato che per i reati aggravati ex art. 7 l. n. 203 del 1991 vige la sola presunzione re lativa di adeguatezza della custodia in carcere art. 275, comma 3 , la ha di fatto trasformata in presunzione assoluta, addossandogli l'onere di non avere fornito dimostrazione dell'intervenuta rescissione con gli ambienti dei clan camorristico in questione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e pertanto va rigettato. 2. La Corte territoriale ha congruamente argomentato che il favoreggiamento operato dal ricorrente in favore di P.P. ha prodotto effetti in favore dell'intero clan C., atteso che il P. era colui che riceveva gli ordini direttamente dal capo del gruppo camorristico, L.C., all'epoca anch'egli latitante e provvedeva al pagamento degli stipendi degli affiliati, sia liberi che detenuti. La predetta statuizione non si pone, pertanto, in contrapposizione con la co stante giurisprudenza di questa Corte di Cassazione riguardo alla configurabilità dell'aggravante prevista dall'art. 7 l. n. 203 del 1991 quando la condotta favo reggiatrice, variamente atteggiantesi art. 378 o 390 cod. pen. , abbia avuto come beneficiario un soggetto che riveste ruolo apicale all'interno della struttura associativa ex pluribus Sez. 5, sent. n. 16556 del 14/10/2009, dep. 2010, Virruso e altri, Rv. 246952 Sez. 5, sent. n. 6199 del 30/11/2010, dep. 2011, Mazzola e altri, Rv. 249297 Sez. 2, sent. n. 26589 del 26/05/2011, Laudicina, Rv. 251000 Sez. 6, sent. n. 45065 del 02/07/2014, P.G. in proc. Di Caterino e altri, Rv. 260837 Sez. 5, sent. n. 26699 del 25/02/2015, Maione e altri, Rv. 263989 . Il principio espresso da tale giurisprudenza vuole, infatti, significare che la con dotta favoreggiatrice prestata a beneficio di tale categoria di soggetti implica ex se l'agevolazione dell'intero sodalizio criminale di stampo mafioso che, articolato su base rigidamente gerarchica, viene in tal modo preservato nella sua struttura, garantendosene & lt la guida, la permanenza in vita e la realizzazione del program ma criminale& gt Sez. 6, n. 45065/14 cit. . Nulla impedisce, peraltro, che l'aiuto sotto varie forme prestato ad un espo nente dell'associazione, anche se non collocato in posizione apicale, ma rico prente un ruolo strategico o comunque essenziale nell'organigramma criminale si pensi al custode dell'arsenale , possa svolgere i medesimi effetti a favore dell'intero sodalizio. Nella fattispecie, invero, è il tipo di ruolo ricoperto dal componente favorito P. del gruppo criminale che, pur non essendone collocato al vertice, svol geva compiti essenziali 'vitali' secondo la definizione datane dal Tribunale per la funzionalità e la gestione corrente dell'organizzazione. L'aggravante di cui all'art. 7 della legge n. 203 del 1991 è, infatti, di tipo sog gettivo ed è volta a punire più duramente condotte destinate a sostenere la vita del gruppo criminale complessivamente considerato. Tornando alla fattispecie, lo sconvolgimento della vita familiare accettato dal ricorrente, disposto ad allontanare dalla propria abitazione i figli minori al solo fine di ospitare il marito di una 'poco frequentata' cugina C.E. , per caso figlia del capo clan L., è stato correttamente valutato dal Tribunale quale elemento oltre modo significativo della piena consapevolezza da parte del M. non solo della caratura associativa del soggetto favorito ma anche del suo ruolo anche per la sola affinità con il capo clan all'interno del sodalizio criminale e delle conseguenze che la scelta di favorirlo aveva per la vita del gruppo. 3. Infondata è anche la seconda doglianza. Non è dato, invero, dubitare che la presunzione di adeguatezza stabilita dallo art. 275, comma 3 cod. proc. pen. per i reati commessi al fine di agevolare le associazioni di cui all'art. 416-bis cod. pen. sia di carattere relativo e del resto il ricorrente ha in maniera pertinente richiamato la sentenza della Corte Costituzio nale n. 57 del 2013 resa al riguardo. Il tema controverso riguarda, piuttosto, la motivazione adottata dal Tribunale per ritenere adeguata al caso di specie la custodia in carcere. Sotto tale prospettiva la censura non coglie nel segno, atteso che appare del tutto logico ritenere che un soggetto così inserito nelle logiche personali e fami liari del gruppo criminale associato in esame denoti un'alta pericolosità, nel senso di proclività a reiterare condotte agevolatrici dei clan, dalle quali probabilmente e considerati anche i rapporti di parentela diretta con il soggetto posto al vertice associativo, potrebbe difficilmente sottrarsi. 4. Il rigetto del ricorso comporta la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.