Quando l’imputato può invocare la provocazione

Ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione, deve essere riscontrata la sussistenza del fatto ingiusto altrui, connotato da obiettiva ingiustizia in termini di effettiva contrarietà alle regole giuridiche, morali e sociali comunemente accettate in un determinato momento storico, a nulla rilevando le convinzioni dell’imputato e la sua sensibilità personale.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 39706/16 depositata il 23 settembre. Il caso. La Corte d’appello di Milano confermava la condanna dell’imputato per il reato di omicidio pluriaggravato del padre, negando la concessione dell’attenuante della provocazione invocata dalla difesa sulla base del particolare e difficile contesto familiare in cui l’evento si era verificato quale conseguenza di un furioso litigio in cui l’imputato era intervenuto a difesa della sorella. La sentenza viene impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione dalla difesa che si duole per il mancato riconoscimento della provocazione e per il rigetto dalla richiesta di prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti. La rilevanza del contesto sociale. Il Collegio non ritiene fondate le censure e sottolinea che l’argomentazione con cui i giudici di merito hanno escluso l’attenuante della provocazione risultano immuni da vizi logici e giuridici. La configurabilità dell’attenuante in parola si fonda infatti sulla sussistenza del fatto ingiusto altrui, connotato in termini di obiettiva ingiustizia, quale effettiva contrarietà alle regole giuridiche, morali e sociali nell’ambito della comunità in un determinato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale. La provocazione per accumulo. Nel caso di specie, considerando che sulla base delle testimonianze rese dalla sorella e dai vicini di casa dell’imputato risultava che dopo la discussione tra quest’ultimo e la vittima la contesa pareva essere risolta e che l’imputato era tornato sui suoi passi per colpire mortalmente il padre, non può ritenersi sussistente nemmeno l’attenuante della provocazione c.d. per accumulo che richiede la prova dell’esistenza di un fattore scatenante che giustifichi l’esplosione del comportamento in occasione di un episodio collocabile alla fine di una lunga serie di altri simili che abbiano portato ad una carica di dolore e sofferenza sedimentata nel tempo. Allo stesso modo, anche la seconda censura si rivela infondata in quanto correttamente i giudici di merito hanno valutato gli elementi favorevoli alla concessione delle attenuanti generiche, giungendo a considerarli equivalenti alle circostanze aggravanti contestate. In conclusione il ricorso viene rigettato e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 4 marzo – 23 settembre 2016, n. 39706 Presidente Vecchio – Relatore Esposito Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 17/06/2015 la Corte di assise di appello di Milano confermava la sentenza del G.U.P. del Tribunale di Busto Arsizio del 16/07/2014 di condanna di C.J.D. alla pena di anni 14 di reclusione in ordine al reato di omicidio pluriaggravato del padre C.L.J. fatto del –omissis . 2. Si riassumono le vicende processuali limitatamente agli aspetti rilevanti per l’oggetto del presente procedimento. 3. L’imputato interveniva nel corso di una discussione insorta tra il proprio padre e la propria sorella, C.R.D. , dopo aver prelevato da uno dei cassetti della cucina un coltello per il pane lungo cm. 21, si dirigeva verso la persona offesa sferrando nei confronti di quest’ultima con direzione dall’alto verso il basso una sola coltellata che attingeva, recidendo il vaso aortico ed il polmone sinistro, provocando così un’anernizzazione acutissima con shock emcruggico-ipovolernico. a cui seguiva in tempi rapidissimi il decesso di C.L.J. . Subito dopo l’omicidio, l’imputato denunciava il delitto, avvenuto nell’abitazione familiare e alla presenza della sorella R. . 4. Già in occasione dei primi accertamenti emergeva la forte conflittualità dei rapporti tra il padre e i due figli la vittima, nel dicembre 2012, aveva denunciato due ragazzi per il loro comportamento, ovvero perché intolleranti alle regole della convivenza e ostili nei suoi confronti, oltre che per maltrattamenti e insulti. In un’occasione J. aveva a suo dire afferrato 4 coltelli da cucina, se ne era infilati 3 nella cintura, e lo aveva minacciato brandendo il quarto. I vicini di casa confermavano le frequenti liti, che si sentivano attraverso le pareti delle abitazioni, in particolare tra R. e il padre. Al contrario l’imputato sosteneva, davanti al P.M., che il padre si comportava con i figli come un dittatore, che era solito picchiarlo davanti alla sorella, mentre lui non aveva mai reagito, né si era rivolto alle forze dell’ordine. 5. La dinamica dell’omicidio veniva ricostruita attraverso le dichiarazioni di R. , che raccontava di essere rientrata quella sera intorno alle 23.30 e di avere trovato la porta di casa chiusa con la catenella, così da non poter entrare, pur avendo le chiavi. Aveva quindi detto al fratello che secondo lei il padre agiva così per rompere i coglioni . A fronte di tali parole il padre le aveva intimato rispetto, se voleva vivere in quella casa, posizionandosi nel contempo davanti alla porta della camera da letto dei figli. J. si era allora rivolto al padre, chiedendogli il motivo per cui litigava con lui e la sorella per ogni minima questione. Nasceva quindi una discussione tra i due, e a un certo punto J. si allontanava verso la cucina. R. pensava che il fratello avesse deciso di lasciar perdere e fosse tornato a vedere la televisione nel contempo cercava di spostare il padre per entrare in camera, mentre questi continuava a ripetere che quella sera non dovevano dormire in casa, dicendo anche se oggi dormirete qua io andrò in carcere , senza tuttavia fare nulla, e senza alzare le mani. Improvvisamente la ragazza vedeva il braccio del fratello tra lei e il padre allungarsi pensava a un pugno, ma il padre non reagiva. Tutto si svolgeva rapidamente il fratello aveva fatto un passo indietro, e a quel punto R. notava il sangue sulla maglia del padre, che prima indietreggiava un poco e poi cadeva al suolo, lungo il corridoio. Anche i vicini quella sera non udivano nulla di particolare, se non una discussione in tono più blando rispetto al solito. Uno di loro, F.M. , riferiva di avere sentito l’uomo che diceva è possibile sono vostro padre esigo un pò di rispetto , e poi un rumore, come un tonfo. 6. Sulla base di tali elementi i giudici di merito escludevano l’ipotesi di un intervento dell’imputato per difendere la sorella dalla violenza del padre, e che la condotta dell’imputato fosse scaturita da un dolo d’impeto. La Corte d’appello evidenziava sia le difficili condizioni dei due fratelli, abbandonati ancora piccoli da entrambi i genitori, vissuti in un paese dilaniato dalla guerra, costretti ad affrontare in Italia i problemi derivanti da un inserimento territoriale e familiare, spaventati dalla prospettiva di un rimpatrio, dovuto alla problematica convivenza col padre e con la sua nuova compagna. Il padre dei due giovani si adoperava per farli arrivare in Italia, spendendo per questo una notevole somma di denaro, e qui si preoccupava della loro educazione anche scolastica. Sia J. che la sorella R. subito mostravano insofferenza alle regole, non solo in famiglia, ma anche a scuola, così che il padre si era visto costretto a chiedere aiuto all’autorità di P.S. localmente competente. L’esposto da lui presentato alcuni mesi prima costituiva infatti una accorata richiesta di aiuto, finalizzata a porre fine ad una situazione di vera e propria impotenza dell’uomo di fronte alla situazione venutasi a creare. La vittima e la convivente avevano agito in buonafede, avendo fatto di tutto perché i due figli del C. potessero ottenere il ricongiungimento familiare se così non fosse stato l’uomo, in Italia dal 1993, non si sarebbe attivato, ma si sarebbe limitato a continuare a mandare loro del denaro, o nemmeno quello. Dall’annotazione di servizio del 22/12/2012 emergeva che C.L. si era recato ancora in Commissariato per riferire che, dopo che i figli erano stati sentiti dagli operanti che li avevano convocati all’esito dell’esposto paterno entrambi si erano adoperati per sistemare le proprie camere, effettuando le dovute pulizie , e seppure non avevano ancora modificato alcuni atteggiamenti, sembrava si volessero attenere alle regole pattuite al loro arrivo in Italia , così che lo stesso si diceva speranzoso di una risoluzione bonaria della vicenda , e pronto ad aggiornare l’Ufficio sull’andamento delle dinamiche familiari. Anche tale condotta e tale speranza inducono pertanto a ritenere L. non un padre padrone, ma semplicemente un padre che, dopo molti anni, per sua esclusiva volontà, aveva deciso di prendere con sé due figli ormai più che adolescenti, sradicati dal paese natale, di cultura e abitudini diverse, che non conoscevano la lingua italiana. Nessuno, nemmeno R. nell’immediatezza dei fatti, descriveva il diverbio col padre come un’aggressione i vicini avevano sentito pronunciare da L. proprio le stesse parole riferite da R. e da J. e concordemente descrivevano un alterco verbale svoltosi addirittura in tono minore rispetto al solito. Anche R. sosteneva di pensare che il fratello fosse tornato in cucina, dove stava guardano la televisione. Al contrario senza motivo, l’imputato tornava indietro e sferrava una sola micidiale coltellata al padre, dall’alto in basso, che penetrava in profondità sotto il collo dell’uomo e ne provocava l’immediato decesso. L’arma usata, l’unicità e la profondità del fendente nonché il punto del corpo attinto dimostravano le intenzioni dell’imputato che si armava e tornava sui suoi passi, palesando piena consapevolezza del proprio agire e delle sue prevedibili conseguenze. Era poi posto l’accento sul comportamento successivo dell’imputato, che immediatamente comprendeva l’accaduto, scappava e si costituiva. 7. I giudici di merito ritenevano di negare la concessione dell’attenuante della provocazione R. escludeva nell’immediatezza atteggiamenti violenti del padre nei suoi confronti, a dimostrazione dei toni non accesi e della conclusione della pregressa vicenda. 8. Le attenuanti generiche erano riconosciute per la giovane età e per il comportamento tenuto, significativo non di autentico pentimento, ma della volontà di collaborare. L’imputato tuttavia comunque cercava di addossare alla vittima la responsabilità della sua azione, così che il giudizio di bilanciamento tra circostanze era ritenuto tale da non potersi superare l’equivalenza. Pur dandosi atto della difficile situazione di J. , che aveva vissuto la guerra e l’abbandono, tuttavia, doveva osservarsi che la vittima aveva fornito appoggio e aiuto ai due figli che, al contrario, non gli mostravano gratitudine né riconoscenza. La difficoltà di convivenza tra soggetti praticamente sconosciuti e con abitudini molto diverse comportava necessariamente problemi di reciproco adattamento la causa scatenante del litigio di quella sera, ovvero la frase volgare di R. all’indirizzo del padre, e la sua comprensibile reazione se vuoi vivere in questa casa devi avere rispetto davano conto di un contesto che non giustificava l’invocata ulteriore benevolenza a favore dell’imputato. 9. La difesa di C.J.D. proponeva ricorso per Cassazione avverso tale sentenza, chiedendone l’annullamento, per violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e , in relazione agli artt. 62 n. 2, 62 bis e 69 cod. pen L’impugnazione investe la pronuncia della Corte di merito, sul diniego della concessione della provocazione e sul rigetto della richiesta di prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti contestate. 9.1. Ad avviso della difesa, la Corte aveva motivato il diniego della concessione dell’attenuante della provocazione in base alle sole dichiarazioni rese da C.R. il 02/08/2013 nell’immediatezza dell’uccisione del padre, in evidente stato di shock per l’accaduto, non valutando le sue successive dichiarazioni al Commissariato di P.S. di Busto Arsizio del 12/08/2013, in cui descriveva con toni accesi la lite e lo scontro fisico col padre, che non le consentiva il rientro nella sua stanza, da lei tenuta chiusa a chiave, impedendo a chi che sia l’ingresso, quindi come ne fosse la padrona esclusiva. Le espressioni e i comportamenti attribuiti dalla C. al padre avevano contenuti di minaccia e di violenza. Riferiva R. di un intervento del fratello, che costituiva il riscontro ad un rapporto di sofferenza vissuto dei due fratelli col padre e la sua convivente. La minaccia di buttar fuori di casa i figli, privi di reddito e di qualsiasi supporto, esposti ad una situazione drammatica, consentivano di comprendere lo stato d’animo del ricorrente, in quanto proprio con l’esposto in atti al commissariato di P.S., il padre e la convivente prospettavano di rimandare i figli in XXXXXX. Il pensiero di essere cacciati di casa sicuramente sconvolgeva l’imputato molto protettivo verso la sorella psicologicamente fragile come risultante dalle osservazioni dell’assistente sociale e della psicologa, i quali da lei ricevevano precisi riferimenti sulla difficile situazione familiare, sulle condotte del padre e della convivente, sulle umiliazioni e sulle restrizioni imposte. Tali dichiarazioni consentivano di ricostruire il litigio non come un irrilevante incomprensione tra padre e figli, ma come l’esplosione di uno stato d’animo da tempo compresso e indicativo di contestazione della condotta del padre. Ad avviso della difesa, nella ricostruzione del fatto i giudici di merito aveva un’immagine statica dell’episodio. Non tenevano conto della circostanza che nessuna traccia dell’accoltellamento era rinvenuta sulla maglietta indossata dalla parte offesa e questo non si spiegava se non col fatto che dal litigio tra C.R. ed il padre scaturiva un vero scontro fisico, dove R. nel voler spostare il padre, lo prendeva per la maglia, tirandogliela in modo da scoprire la parte del corpo dove era colpito dalla coltellata. La difesa sosteneva che il delitto d’impeto era dovuto ad un raptus omicida ed era giustificabile solo col coinvolgimento di C.R. e nel forte litigio tra lei e il padre. Prima di questo litigio, il ricorrente era tranquillo in casa, non aveva avuto motivi di discussione col padre e aveva ormai una condotta di maggiore rispetto e di conciliabilità tale impeto era frutto di una condizione psicologica, non psicopatologica né di una personalità malata. Il soggetto che compiva il delitto viveva un senso di impotenza nel nostro caso, ripetutosi giorno per giorno fino a trasformarsi in una gabbia ossessiva dove improvvisamente l’elemento scatenante determinava la perdita dei freni inibitori. Ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione concorrevano lo stato d’ira costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile che determinava la perdita dei poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi un fatto ingiusto altrui, non un comportamento antigiuridico in senso stretto, ma anche dalla violazione di norme di convivenza quale era la minaccia di cacciare di casa i figli, R. ed il fratello, nella consapevolezza che essi erano privi di un posto in cui rifugiarsi quindi in uno stato di abbandono un rapporto di causalità psicologica tra l’offesa e la reazione, sussistente nella specie indipendentemente dalla proporzionalità tra loro. Ciò emergeva dalla ricostruzione dei rapporti famigliari, che risultava dalle dichiarazioni di R. all’assistente sociale ed allo psicologo, alla deposizione delle amiche e alle dichiarazioni stesse ispirate alla massima limpidezza. 9.2. Secondo la difesa, la concessione dell’attenuante della provocazione e la stretta relazione intercorsa tra i disagi della vita familiare, le incomprensioni col padre, il vissuto del ricorrente, il suo comportamento successivo quando chiamava le forze dell’ordine per confessare il delitto e la sua giovane età imponevano alla Corte di merito di concedere le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti contestate, ai sensi dell’art. 69 cod. pen Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. Col primo motivo di ricorso la difesa di C.J.D. chiedeva il riconoscimento dell’attenuante della provocazione di cui all’art. 62 n. 2 cod. pen La motivazione dei giudici in ordine al diniego di detta attenuante risulta congrua ed immune da censure. Entrambi i giudici di merito premettevano che la vicenda si inseriva in un difficile contesto familiare, determinato dall’improvviso trapianto dell’imputato e della sorella stranieri in Italia e dalla loro difficile relazione col padre anche per via della presenza in casa della sua convivente. Il padre si mostrava autoritario coi figli, però si era attivato per ottenere il ricongiungimento con loro a loro volta, anche i due fratelli risultavano dal rendimento scolastico inadeguato e di carattere difficile pregresse minacce del figlio a mezzo di coltello nel dicembre 2012, continui litigi dei figli, soprattutto della ragazza col padre , tanto da costringere il padre a contatti con le autorità di P.S In ogni caso, nelle sentenze era chiarito, sulla base delle testimonianze della sorella e dei vicini di casa, che la sera del fatto era effettivamente avvenuto un alterco tra l’imputato e la figlia, scaturito da una frase offensiva della ragazza e, subito dopo una breve discussione tra il padre e l’imputato la contesa, tuttavia, era di natura blanda, inferiore per entità ai litigi pregressi. Inoltre, come emerso dalle dichiarazioni della ragazza, la vicenda si era comunque in qualche modo ricomposta e J. , dopo essersi allontanato dalla stanza, era ritornato sui suoi passi ed aveva colpito il padre alla gola. In presenza di tale contesto, legittimamente era esclusa la sussistenza dei requisiti per la configurabilità della provocazione e, in particolare del fatto ingiusto altrui , che deve essere connotato dal carattere dell’ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale da ultimo v. Cass., Sez. 1, 11/03/2016 n. 16585, M.L., non massimata . Nel caso in esame, peraltro, non si è realizzata l’attenuante della provocazione neanche nella forma c.d. per accumulo, per la quale si richiede la prova dell’esistenza di un fattore scatenante che giustifichi l’esplosione, in relazione ed in occasione di un ultimo episodio, pur apparentemente minore, della carica di dolore o sofferenza che si affermi sedimentata nel tempo, la cui esistenza è, tuttavia, da escludersi, pur in presenza di fatti apparentemente ingiusti della vittima, allorché la reazione appaia sotto ogni profilo eccessiva e talmente inadeguata rispetto all’ultimo episodio dal quale trae origine, da fare escludere la sussistenza di un nesso causale tra offesa, sia pure potenziata dall’accumulo, e reazione cfr. Cass., Sez. 5, 04/07/2014 n. 51237, Basile, Rv. 261728 . Nel contesto sopra descritto, l’utilizzazione di un coltello per uccidere il padre con un colpo alla gola si dimostrava sicuramente eccessivo, per fronteggiare le presunte pregresse vessazioni paterne, riferite dal solo imputato. 2. Il secondo motivo di ricorso attiene alla richiesta della difesa di riconoscimento della prevalenza e non della mera equivalenza delle attenuanti generiche rispetto alle aggravanti contestate. Con motivazione esauriente, la Corte di appello denegava la prevalenza, a seguito della valutazione negativa del comportamento processuale dell’imputato, che incolpava esclusivamente il padre dell’accaduto, sottraendosi alle proprie responsabilità. Va premesso che la valutazione di elementi favorevoli alla concessione delle attenuanti generiche ha natura del tutto diversa dalla valutazione finalizzata al giudizio di comparazione, poiché quest’ultimo giudizio è diretto alla determinazione della concreta entità del reato ed all’adeguamento della pena al fatto ed alla personalità del colpevole pertanto, non sussiste contraddittorietà di motivazione allorché il giudice di merito, vagliata una serie di elementi favorevoli alla concessione delle attenuanti generiche, pervenga ad un giudizio di semplice equivalenza e non di prevalenza con la circostanza aggravante sul punto v., Cass. Sez. 5, 04/06/2010 n. 35828, Gambardella, Rv. 248501 Sez. 4, 21/10/1985, Lippi . In tema di circostanze del reato, con riferimento alla globalità del giudizio di comparazione tra circostanze attenuanti e aggravanti, previsto dall’art. 69 cod. pen., tale giudizio può ritenersi adeguatamente motivato se il giudice pone in risalto una sola delle circostanze suscettibili di valutazione di prevalenza o di equivalenza rispetto alle altre circostanze, per dimostrare la ragione del proprio convincimento infatti, il giudice non è tenuto a specificare analiticamente le singole circostanze e ad indicare le rispettive ragioni che lo hanno indotto a formulare il giudizio di comparazione conf. Cass., Sez. 2, 15/06/2000 n. 9387, Pranteddu, Rv. 216924 . Nel caso in esame l’organo giudicante esponeva analiticamente i parametri valutativi adottati, esercitando correttamente il proprio potere discrezionale cfr. Cass., Sez. 2, 18/10/1985, Cellammare . 3. In conclusione, il ricorso va rigettato e, quale conseguenza il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali art. 616 cod. pen. . P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.