La ""linea sottile"" tra registrazioni fonografiche e intercettazioni

Se lo strumento di captazione, portato dalla persona offesa, risulta collegato a delle ricetrasmittenti, in uso alla polizia, lo scambio tra l'imputato e la vittima non è, soltanto, registrato, ma anche ascoltato dagli agenti. Si tratta di un'intercettazione, che richiede l'applicazione degli artt. 266 e 267 c.p.p

E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 39378/16, depositata il 22 settembre. Il caso. La Corte d'Appello di Milano, confermando quanto statuito dal gip in sede di rito abbreviato, condannava un imputato per ripetuti abusi sessuali, tentati e consumati, ai danni di una persona in condizioni di inferiorità psichica ai sensi degli artt. 81 cpv., 56, 609-bis, co. 1 e 2, n. 1, c.p. . Il condannato ricorreva per cassazione, lamentando la violazione di norme processuali per l'assenza di un'autorizzazione all'intercettazione di una conversazione tra la persona offesa e l'imputato, posta in essere mediante un apparecchio di fonoregistrazione fornito alla stessa vittima dalle forze dell'ordine, con autorizzazione del pm, ma in assenza di quella del gip l'impugnante contestava il mancato rispetto degli artt. 266 e 267 c.p.p., tacciando la suddetta prova di acquisizione illegale. In secondo luogo, il ricorrente eccepiva un vizio di motivazione in relazione alla condizione di inferiorità psicofisica della persona offesa. Documento o atto del procedimento? La Suprema Corte ha ricordato come, con riferimento all'utilizzabilità di registrazioni di conversazioni poste in essere da un soggetto partecipante al dialogo e senza autorizzazione del gip, la giurisprudenza sia divisa. Una scuola di pensiero ritiene che la suddetta tipologia di registrazione sia una memorizzazione di un fatto storico e possa essere usata nel dibattimento come una prova documentale la trascrizione, in questa ipotesi, sarebbe soltanto una trasposizione di quanto contenuto nel supporto magnetico della registrazione. Opposta giurisprudenza, invece, non considera la registrazione fonografica realizzata da uno dei partecipanti alla conversazione, in accordo con la polizia giudiziaria e attraverso strumenti dalla stessa forniti, come un documento secondo questo diverso filone di pensiero la suddetta prova sarebbe la documentazione di un'attività di indagine, la quale richiede un provvedimento autorizzativo da parte del pm, ma non comporterebbe un'osservanza stretta delle forme indicate dagli artt. 266, 267 c.p.p I sostenitori della seconda tesi rinvengono un fondamento della stessa in una pronuncia a Sezioni Unite sentenza n. 26795/2006 e in altre decisioni ad esempio la n. 19158/2015 che attribuiscono alla registrazione, posta in essere con le modalità in esame, la qualifica di documentazione di attività d'indagine, con riferimento all'utilizzo investigativo del dispositivo di captazione. In questo caso, pur essendo necessaria una tutela del diritto alla segretezza delle conversazioni e delle comunicazioni, di cui all'art. 15 Cost., sarebbe sufficiente un controllo dell'autorità giudiziaria meno stringente rispetto a quello doveroso nelle ipotesi di intercettazioni art. 266, 267 c.p.p. le registrazioni fonografiche, infatti, comportano un diverso livello di intrusione nella sfera della riservatezza rispetto alle intercettazioni. . una diatriba ininfluente nel caso di specie. Gli Ermellini hanno rilevato la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale, mostrando di aderire al filone che ritiene necessario un provvedimento motivato e autorizzativo dell'autorità giudiziaria per la tipologia di registrazioni fonografiche sopra descritte. Nel caso di specie, però, il Collegio non ha ritenuto necessario rimettere la questione alle Sezioni Unite in questa circostanza, infatti, a parere della Corte, ci si troverebbe di fronte ad un'intercettazione di conversazione da parte di soggetti terzi. Lo strumento di captazione, infatti, era collegato a delle ricetrasmittenti in uso alle forze dell'ordine lo scambio tra l'imputato e la persona offesa, pertanto, non è soltanto stato registrato dalla vittima, ma anche ascoltato dagli agenti di polizia, i quali, sulla base di quanto udito, hanno provveduto ad arrestare il reo. L'intercettazione, pertanto, richiedeva l'applicazione non verificatasi degli artt. 266 e 267 c.p.p. e l'inosservanza di tali disposizioni comporta l'inutilizzabilità della prova. Nel caso in esame, però, la decisione della Corte territoriale ha trovato fondamento, secondo gli Ermellini, anche in altri elementi, tra cui le dichiarazioni della persona offesa e la consulenza tecnica, con conseguente inammissibilità del motivo di gravame per carenza del requisito di specificità. L'abuso della condizione di inferiorità psichica. Nessun vizio di motivazione, infine, vi sarebbe nella decisione della Corte territoriale, a parere dei Giudici di Piazza Cavour, in relazione all'abuso della condizione di inferiorità psichica della vittima. La personalità della vittima è stata ampiamente tratteggiata, così come ha avuto luogo il confronto tra la condizione del soggetto agente e quella della persona offesa. Gli Ermellini hanno ricordato che vi è abuso della condizione di inferiorità psichica di un soggetto quando sussiste una consapevolezza di tale status, o comunque di una debolezza, della vittima, cui consegue un approfittamento da parte dell'agente, attraverso comportamenti subdoli oppure induzione indebita a compiere determinati atti. Anche lo sfruttamento della menomazione fisica della persona offesa integra un'ipotesi di abuso, ha chiosato il Collegio. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 marzo – 22 settembre 2016, n. 39378 Presidente Grillo – Relatore Liberati Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 11 novembre 2014 la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del 7 aprile 2009 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Como, che, in esito a giudizio abbreviato, aveva condannato C.C. alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione in relazione a vari episodi di violenza sessuale tentata e consumata in danno di persona in condizioni di inferiorità fisica e psichica artt. 81 cpv., 56, 609 bis commi 1 e 2, n. 1, cod. pen. . Nel disattendere l’impugnazione dell’imputato in ordine alla qualificazione giuridica degli episodi, alla sussistenza della aggravante di cui all’art. 609 bis, comma 2, n. 1, cod. pen., alla consumazione del reato di cui al capo B ed alla utilizzabilità della intercettazione ambientale posta a base della affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al capo C, la Corte territoriale ha ritenuto sussistente l’abuso delle condizioni di inferiorità psichica della vittima, anche sulla base della consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero da cui era emersa l’esistenza di un disturbo da stress post traumatico della parte offesa posto in relazione ai fatti contestati ed un disturbo della personalità di Tipo Dipendente, derivante dalla patologia fisica della vittima, che sin dall’infanzia aveva avuto una incidenza negativa sul suo sviluppo psicofisico . La Corte d’appello ha poi ritenuto che le modalità e le circostanze dell’episodio di cui al capo B fossero assolutamente idonee a porre in pericolo la sfera di libertà sessuale della vittima, non essendovi dubbi circa il dolo dell’agente e le sue finalità, ed ha escluso l’eccepita inutilizzabilità della registrazione della conversazione tra la vittima e l’imputato eseguita mediante apparecchiature fornite dalla polizia giudiziaria, trattandosi della documentazione di attività di indagine, che non richiede l’osservanza delle forme di cui agli artt. 266 e ss. cod. proc. pen. Infine è stato condiviso il trattamento sanzionatorio, evidenziando la parzialità del risarcimento del danno e la mancanza dei presupposti per ricondurre i fatti alla ipotesi lieve di cui all’ultimo comma dell’art. 609 bis cod. pen. di cui peraltro non era stata fatta richiesta in sede di conclusioni in primo grado . 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato, mediante il suo difensore, affidato a due motivi. 2.1. Con il primo motivo ha denunciato violazione di norme processuali, per la mancanza di autorizzazione alla esecuzione della intercettazione della conversazione tra la vittima e l’imputato mediante apparecchio di fonoregistrazione fornito alla parte offesa dalla polizia giudiziaria su autorizzazione del Pubblico Ministero, non essendo state osservate le forme stabilite dagli artt. 266 e 267 cod. proc. pen. ed essendo di conseguenza stata utilizzata una prova illegalmente acquisita. 2.2. Con un secondo motivo ha lamentato vizio di motivazione in ordine alla contestata esistenza di una situazione di inferiorità psicofisica della parte offesa, per il mancato espletamento della necessaria comparazione tra le condizioni dell’agente e della vittima onde accertare la inferiorità di quest’ultima rispetto al primo. 2.3 Con memoria depositata il 7 marzo 2016 ha prospettato un nuovo motivo di ricorso, lamentando mancanza di motivazione in ordine alla riconducibilità dei fatti alla ipotesi di cui all’ultimo comma dell’art. 609 bis cod. pen., oggetto di specifico motivo di appello, in ordine al quale la Corte territoriale aveva omesso del tutto di motivare. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Per quanto riguarda il primo motivo, mediante il quale è stata denunciata violazione di legge processuale per l’indebito utilizzo delle registrazioni delle intercettazioni delle conversazioni tra l’imputato e la persona offesa, eseguite mediante apparecchio di fonoregistrazione fornito dalla polizia giudiziaria alla persona offesa su autorizzazione del Pubblico Ministero ma in mancanza di autorizzazione del Giudice per le indagini preliminari, va evidenziato, in linea di fatto, che, secondo quanto risulta dal testo della sentenza impugnata, il 23 agosto 2008 il Pubblico Ministero aveva autorizzato la polizia giudiziaria a fornire alla persona offesa un apparecchio trasmettitore, collegato a due ricetrasmittenti in dotazione alla polizia, attraverso le quali era stata eseguita la registrazione della conversazione svoltasi all’interno della automobile dell’imputato tra costui e la persona offesa. 1.1. Va dunque rilevato che a proposito del regime di utilizzabilità delle registrazioni di conversazioni eseguite da uno dei partecipanti al colloquio, qualora, come nel caso di specie, effettuate in assenza di un provvedimento autorizzativo del Giudice per le indagini preliminari ai sensi degli artt. 266 e ss. cod. proc. pen., vi sono differenti orientamenti nella giurisprudenza di questa Corte. 1.2. Secondo un primo orientamento, la registrazione fonografica di una conversazione telefonica effettuata da uno dei partecipi al colloquio costituisce una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, utilizzabile in dibattimento quale prova documentale, rispetto alla quale la trascrizione rappresenta una mera trasposizione del contenuto del supporto magnetico contenente la registrazione da ultimo, Sez. 5, n. 4287 del 29/09/2015, Pepi, Rv. 265624, che in motivazione ha precisato che la registrazione della conversazione tra presenti è qualificabile quale prova documentale anche nell’ipotesi in cui sia stata effettuata su suggerimento o incarico della polizia giudiziaria conf., Sez. 1, n. 6339 del 22/01/2013, Pagliaro, Rv. 254814, nella quale, nel ribadire che non è riconducibile alla nozione di intercettazione la registrazione fonografica di un colloquio svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, operata, sebbene clandestinamente, da un soggetto che ne sia partecipe o, comunque, sia ammesso ad assistervi, costituendo, invece, una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova, è stato ulteriormente chiarito che tale principio non viene meno per la circostanza che l’autore della registrazione abbia previamente denunciato fatti di cui sia vittima conf. Sez. 6, n. 31342 del 16/03/2011, Renzi, Rv. 250534 . 1.3. Secondo altro orientamento tra cui, da ultimo, a Sez. 2, n. 7035 del 29/01/2014, Polito, Rv. 258551 , la registrazione fonografica occultamente eseguita da uno degli interlocutori d’intesa con la polizia giudiziaria e con apparecchiature da questa fornite non costituisce documento, utilizzabile ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen., ma rappresenta la documentazione di un’attività di indagine, che non implica la necessità di osservare le forme previste dagli artt. 266 e ss. cod. proc. pen., richiedendo comunque un provvedimento motivato di autorizzazione del Pubblico Ministero. A sostegno di tale interpretazione è stato, in particolare, sottolineato, richiamando la nozione di documento di cui alla pronuncia delle Sezioni Unite nella sentenza n. 26795/2006 Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234267, nella quale, con riferimento alla materia delle videoregistrazioni, è stata rimarcata la distinzione esistente tra documento e atto del procedimento oggetto di documentazione, chiarendo che le norme sui documenti, contenute nel codice di procedura penale, sono state concepite e formulate con esclusivo riferimento ai documenti formati fuori, anche se non necessariamente prima, e, comunque, non in vista e in funzione del processo nel quale si chiede o si dispone che essi facciano ingresso , che la registrazione fonografica occultamente eseguita da uno degli interlocutori d’intesa con la polizia giudiziaria e con apparecchiature da questa fornite, non costituisce un documento formato fuori del procedimento, utilizzabile ai fini di prova ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen., ma rappresenta, piuttosto, la documentazione di un’attività d’indagine , dato l’uso investigativo dello strumento di captazione che in tal caso viene realizzato. Se ne è tratta la conseguenza che una simile attività, venendo ad incidere sul diritto alla segretezza delle conversazioni e delle comunicazioni, tutelato dall’art. 15 Cost., a differenza della registrazione effettuata d’iniziativa di uno degli interlocutori, richiede un controllo dell’autorità giudiziaria, che non implica, tuttavia, la necessità di osservare le disposizioni relative all’intercettazione di conversazioni o comunicazioni di cui agli artt. 266 e ss. cod. proc. pen., in quanto le registrazioni fonografiche, per il diverso livello di intrusione nella sfera di riservatezza che ne deriva, non possono essere assimilate, nemmeno nell’ipotesi considerata, alle intercettazioni telefoniche o ambientali e non possono, quindi, ritenersi sottoposte alle limitazioni ed alle formalità proprie di queste ultime, ritenendosi pertanto sufficiente un livello di garanzia minore, rappresentato da un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria, che può essere costituito anche da un decreto del Pubblico Ministero conf. Sez. 2, n. 42939 del 10/10/2012, Zupo, Rv. 253819 Sez. 6, n. 23742 del 07/04/2010, Angelini, Rv. 247384 . Tale orientamento è stato ulteriormente sviluppato nella sentenza n. 19158 del 2015 Sez. 2, n. 19158 del 20/03/2015, Pitzulu, Rv. 263526 , nella quale è stato affermato che la registrazione di conversazioni effettuata da un privato su impulso della polizia giudiziaria non costituisce una forma di documentazione dei contenuti del dialogo, ma una vera e propria attività investigativa che comprime il diritto alla segretezza con finalità di accertamento processuale, con la conseguente necessità di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, ovvero un decreto motivato del pubblico ministero, in forma scritta, con conseguente ostensione e fruibilità processuale della motivazione. 1.4. Benché, dunque, si versi in una ipotesi di contrasto tra difformi orientamenti interpretativi, tra i quali il Collegio ritiene, per le considerazioni riportate a proposito della distinzione tra documento e atto del procedimento oggetto di documentazione, di aderire a quello che richiede un provvedimento motivato di autorizzazione per disporre la registrazione fonografica occultamente eseguita da uno degli interlocutori d’intesa con la polizia giudiziaria e con apparecchiature da questa fornite, non ricorrono nella specie i presupposti per rimettere la questione alle Sezioni Unite, in quanto nella specie ricorre una ipotesi di vera e propria intercettazione di conversazione da parte di terzi, giacché l’apparecchio trasmettitore fornito alla persona offesa, da questa utilizzato per registrare la conversazione con l’imputato, era collegato a due ricetrasmittenti in dotazione alla polizia giudiziaria, attraverso le quali era stata eseguita la registrazione della conversazione svoltasi all’interno della automobile dell’imputato tra costui e la persona offesa poiché detta conversazione non venne solamente registrata dalla persona offesa utilizzando l’apparecchiatura ad essa fornita dalla polizia giudiziaria successivamente alla denuncia , ma anche ascoltata e registrata dagli agenti di polizia giudiziaria, che sulla base di quanto ascoltato provvidero ad arrestare l’imputato in flagranza, è configurabile una vera e propria intercettazione di conversazione da parte di terzi estranei ad essa, che la ascoltarono e registrarono, come tale soggetta alla disciplina autorizzativa dettata dagli artt. 266 e ss. cod. proc. pen., nella specie pacificamente non osservata. Ne consegue la fondatezza della censura e l’inutilizzabilità dell’elemento probatorio costituito dalla registrazione della conversazione avvenuta nella automobile dell’imputato tra questi e la persona offesa il 23 agosto 2008. 1.5. L’esclusione di tale elemento non determina, però, insufficienza od illogicità della motivazione, in quanto i giudici di merito hanno fondato l’affermazione di responsabilità dell’imputato anche su altri elementi, di per se soli sufficienti a ritenere accertate le condotte ed integrati i reati contestati, tra cui le dichiarazioni rese dalla persona offesa alla polizia giudiziaria ed al Pubblico Ministero ritenute intrinsecamente attendibili per la loro spontaneità, genuinità ed assenza di interesse, ed in ordine alle quali non sono stati sollevati rilievi di sorta dal ricorrente le dichiarazioni del convivente della madre della persona offesa, con cui la vittima si era confidata il giorno successivo al primo episodio di violenza verificatosi nel maggio 2008 le annotazioni di servizio dei Carabinieri della Stazione di Menaggio e del posto di frontiera di Oria Valsolda uffici presso i quali la persona offesa aveva tentato di presentare querela il 16 agosto 2008, successivamente al secondo episodio di violenza le dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti in ordine alla personalità dell’imputato ed alla fragilità della persona offesa la consulenza tecnica svolta su quest’ultima che ha concluso per la sussistenza di un disturbo post traumatico da stress, riconducibile ad una violenza sessuale subita, e per la individuazione di una personalità debole, dipendente, con un difetto organico, che aveva inciso sul suo sviluppo psichico . Sulla base di tale complesso di elementi i giudici di merito sono pervenuti ad affermare la responsabilità dell’imputato, con argomenti non espressamente censurati dal ricorrente e di per se sufficienti a giustificare la decisione di condanna. Ciò comporta l’inammissibilità del motivo di ricorso in esame, a causa della mancanza del necessario requisito di specificità, giacché quando, come nel caso in esame, con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta prova di resistenza , in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino, come nel caso in esame, sufficienti a giustificare l’identico convincimento Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, Calabrese, Rv. 262011 Sez. 4, n. 24455 del 22/04/2015, Plataroti, Rv. 263731 . 2. Il secondo motivo, mediante il quale è stato denunciato vizio di motivazione, a proposito della sussistenza dell’abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica di cui all’art. 609 bis, comma 2, n. 1, cod. pen., è infondato. 2.1. La Corte d’appello ha al riguardo, anzitutto, sottolineato, sulla base degli esiti della consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero e delle dichiarazioni rese da parenti, amici e conoscenti della vittima, lo stato di grave fragilità e debolezza psichica della persona offesa, conseguente alla patologia fisica labiopalatoschisi di cui è portatrice, evidenziando come tale patologia sin dall’infanzia aveva avuto una ricaduta negativa sul suo sviluppo psico-fisico, determinando anche una condizione di emarginazione del ragazzo e di discriminazione all’interno del gruppo dei suoi coetanei, ed anche il bisogno di una figura carismatica maschile in funzione di padre, che lo aveva portato ad un atteggiamento di eccessiva sottomissione a figure adulte maschili ed aveva caratterizzato questa patologica ed ossessiva dipendenza. Di tale condizione, qualificata dal consulente tecnico come disturbo della personalità, nota nell’ambiente circoscritto in cui vivevano l’imputato e la persona offesa, ebbe a profittare il ricorrente, ingenerando nel giovane quel senso di fiducia e di affidamento di cui aveva bisogno presentandosi come amico dei genitori , reiterando le condotte dopo il primo episodio, avendo verificato la debolezza e la fragilità della persona offesa, che non aveva denunciato i fatti. 2.2. Tali considerazioni risultano del tutto adeguate ed immuni dai vizi di contraddittorietà ed illogicità denunciati dal ricorrente, perché sono stati evidenziati i tratti della personalità della vittima che ne determinano una condizione di particolare fragilità e soggezione, qualificata come disturbo della personalità in senso tecnico, specie nei confronti di figure adulte maschili, ed è stato operato il raffronto tra tali condizioni e la condotta dell’imputato, sottolineando come questi fosse a conoscenza di tale stato del ragazzo, del suo difetto fisico e della sua fragilità emotiva conseguente a tale difetto ed alla sua condizione generale , e ne abbia approfittato, soprattutto dopo aver constatato la sua scarsa resistenza in occasione del primo episodio di violenza e l’assenza di reazioni da parte della vittima. È stato, dunque, operato dai giudici di merito il raffronto, di cui il ricorrente lamenta invece l’omissione, tra le condizioni della vittima e quelle dell’agente, pervenendo, all’esito di tale giudizio, alla affermazione dell’abuso di tali condizioni da parte dell’imputato, sul corretto rilievo che la nozione di tale abuso presuppone, appunto, la consapevolezza di una condizione di inferiorità o, comunque, di debolezza della vittima nei confronti dell’agente, ed il consapevole approfittamento di tale condizione, mediante comportamenti subdoli cfr., Sez. 3, n. 38787 del 23/06/2015, P., Rv. 264699 , o l’induzione indebita al compimento di atti ai quali altrimenti la vittima non avrebbe consentito cfr. Sez. 3, n. 9442 del 18/03/2015, C., Rv. 266451 Sez. 3, n. 16899 del 27/11/2014, I., Rv. 263344 Sez. 3, n. 44978 del 22/10/2010, C., Rv. 249111 , o, comunque, il doloso sfruttamento della menomazione della vittima, mediante la strumentalizzazione delle sue condizioni, allo scopo di accedere alla sfera intima della persona che, versando in uno stato di difficoltà, viene ridotta ad un mezzo per l’altrui soddisfacimento sessuale Sez. 3, n. 20766 del 14/04/2010, T., Rv. 247655 . Ne consegue, in definitiva, l’infondatezza della censura, risultando del tutto insussistente il vizio di motivazione al riguardo denunciato dal ricorrente mediante detto motivo. 3. La doglianza formulata con la memoria depositata il 7 marzo 2016, mediante la quale è stata denunciata mancanza di motivazione in ordine alla configurabilità della ipotesi attenuata di cui all’ultimo comma dell’art. 609 bis cod. pen., oggetto di specifica doglianza formulata con l’atto d’appello che la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare, è inammissibile a cagione della sua novità. Costituisce, invero, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui con i motivi nuovi non è consentito dedurre violazioni in precedenza non prospettate, in quanto i motivi nuovi presentati a sostegno dell’impugnazione devono avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, solo i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati già enunciati nei motivi originariamente proposti a norma dell’art. 581, comma primo, lett. a , cod. proc. pen. così Sez. 3, n. 18293 del 20/11/2013, G., Rv. 259740, che in motivazione ha evidenziato che l’ammissibilità di censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l’impugnazione determinerebbe una irragionevole estensione dei tempi di definizione del processo oltre che lo scardinamento del sistema dei termini per impugnare conf., ex plurimis, Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, Platamone, Rv. 254301 Sez. 5, n. 14991 del 12/01/2012, Strisciuglio, Rv. 252320 analogamente, del resto, a quanto è da dirsi con riferimento all’ambito dell’appello incidentale in rapporto a quello dell’appello principale, aspetto esaurientemente sviluppato da Sez. U, n. 10251 del 17/10/2006, Michaeler, Rv. 235699. Ora, nella specie, con il ricorso per cassazione l’imputato ha lamentato esclusivamente l’indebita utilizzazione della registrazione della conversazione con la persona offesa e l’insufficienza della motivazione in ordine alla condizione di inferiorità psicofisica della persona offesa, con la conseguenza che risulta evidente l’assoluta novità della doglianza relativa alla configurabilità della attenuante di cui all’ultimo comma dell’art. 609 bis cod. pen., estranea ai motivi di ricorso, che hanno ad oggetto altri punti della sentenza impugnata e cioè l’utilizzabilità di una prova e la sussistenza dell’abuso delle condizioni di inferiorità psicofisica della vittima ed anche alle doglianze formulate con i motivi principali dell’atto d’appello, con la conseguente inammissibilità della censura a causa della sua novità, essendo estranea alle censure formulate con i motivi di ricorso. 4. In conclusione il ricorso deve essere respinto, stante l’inammissibilità del primo motivo e del motivo nuovo e l’infondatezza del secondo motivo, con la conseguente condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.