Il reato omissivo improprio presuppone l’individuazione certa della condotta “doverosa”

Il giudizio contro – fattuale, indispensabile per la valutazione del fatto antigiuridico colposo valevole anche per il reato omissivo improprio , impone al giudicante di verificare se il comportamento doveroso, non posto in essere, sarebbe stato in grado, qualora eseguito, di evitare concretamente l’evento. Pertanto, identificata compiutamente la condotta doverosa” che avrebbe dovuto tenere l’agente, il quesito afferente l’ efficacia salvifica del comportamento va risolto alla luce del parametro della significativa probabilità di scongiurare il danno.

In tal senso hanno deciso i Giudici della Quarta sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 39445/16 depositata il 22 settembre, in materia di responsabilità medica derivante da diagnosi omessa e/o errata. Il caso. La Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, condannava tre sanitari ritenuti responsabili del proseguo della malattia subita dalla costituita parte civile, attinta da frattura diafisaria III prossimale della tibia destra. A differenza del Giudice di prime cure, la Corte territoriale riteneva i tre imputati pienamente responsabili del reato di lesioni personali colpose commesse in danno della persona offesa, per non essersi accorti di una frattura malleolare, condannandoli, di tal sì, oltre che alla pena ritenuta di giustizia, al risarcimento dei danni in solido col responsabile civile. Il ricorso per Cassazione. Avverso siffatto provvedimento ricorrono al terzo grado di giudizio gli imputati, per mezzo dei propri difensori, con articolati motivi di censura, dei quali merita disamina quello relativo alla lamentata violazione dell’articolo 40 c.p. e vizio motivazionale, per non avere, la Corte d’appello, motivato adeguatamente circa l’efficienza eziologica delle omissioni rinvenute. Nella specie, avveniva che l’anziana denunciante, affetta già da gravi patologie, a seguito di una caduta accidentale riportava una frattura diafisaria III prossimale della tibia destra. Giunta in ospedale i primi due sanitari coinvolti procedevano ad operazione chirurgica, a seguito della quale la persona offesa veniva dimessa con prognosi pari a giorni sessanta e terapia di analgesici ed anticoagulanti. La paziente, tuttavia, decideva di sottoporsi ad altro esame radiografico presso una diversa casa di cura, ove le veniva refertata una frattura scomposta bimalleolare della caviglia destra, sempre riconducibile alla caduta accidentale ed in via di consolidazione. Tuttavia, i medici dell’ultima casa di cura cui si rivolgeva la paziente non ritenevano opportuno un ulteriore intervento chirurgico, rinviando a fine estate un’ulteriore valutazione del quadro clinico. Non contenta, la denunciante si portava presso altra casa di cura, ove le veniva effettuate due operazioni, che, sulla scorta delle sue dichiarazioni, avrebbero ripristinato la situazione compromessa dell’arto destro. Secondo il Tribunale i profili di colpa dei primi medici meritava di essere esclusa. Invece, i Giudici di appello ritenevano rimproverabile in capo ai sanitari un’omessa comunicazione delle condizioni dell’arto alla paziente e di un omesso intervento, che avrebbero congiuntamente potuto evitare un ingiusto allungamento della sofferenza e dei tempi di guarigione. Il punto di vista della Corte di Cassazione. I Giudici della Quarta sezione penale accolgono i ricorsi proposti nell’interesse degli imputati. Nel caso che ci occupa, la Corte territoriale ha omesso di motivare in merito al nesso causale rinvenuto tra le mancanze informative e quelle terapeutiche addebitate ai prevenuti. Quali cautele avrebbero dovuto adottare i medici per evitare l’evento? Rammentano gli Ermellini che la contestazione a titolo di colpa presuppone che, una volta catalizzata la trasgressione alla norma cautelare, possa essere individuata la condotta positiva idonea ad evitare l’evento illecito. E’ questo il cosiddetto giudizio contro – fattuale, indispensabile per la valutazione del fatto antigiuridico colposo valevole anche per il reato omissivo improprio , che impone al giudicante di verificare se il comportamento doveroso, non posto in essere, sarebbe stato in grado, qualora eseguito, di evitare concretamente l’evento. Dunque, identificata compiutamente la condotta doverosa, in merito alla efficacia salvifica della medesima, il quesito va risolto alla luce del parametro della significativa probabilità di scongiurare il danno. Nella fattispecie in esame, il Giudice di secondo grado, in primo luogo, non ha individuato con certezza la condotta doverosa che avrebbero dovuto tenere i medici. Di talché, è conseguenza logica l’impossibilità di identificare con certezza un percorso adeguatamente giustificato sul giudizio contro-fattuale e, quindi, sul nesso causale tra condotta omissiva colposa ed evento dannoso. Per questi motivi, la Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, al quale va anche rimessa la regolamentazione delle spese tra le parti in giudizio.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 16 giugno – 22 settembre 2016, n. 39445 Presidente Piccialli – Relatore Dovere Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Milano ha parzialmente riformato quella emessa dal Tribunale di Milano, con la quale B.C. , A.M. , M.N. e D.R. erano stati assolti dal reato di lesioni personali colpose commesse in danno di R.L. , nelle rispettive qualità di sanitari che in varia guisa erano intervenuti nel trattamento medico alla quale la R. era stata sottoposta a seguito di frattura diafisaria III prossimale della tibia destra. Sull’impugnazione della parte civile Ro.Lu. la Corte di Appello, infatti, ha ritenuto gli imputati responsabili del protrarsi della malattia della paziente, non essendosi avveduti di una frattura malleolare e pertanto li ha condannati al risarcimento dei danni, in solido con il responsabile civile. 2. La settantenne R.L. , affetta da sclerosi multipla degenerativa, che nel corso del tempo l’aveva resa quasi del tutto invalida, il -omissis era caduta accidentalmente nel bagno della propria abitazione ed era stata trasportata all’ospedale ortopedico Galeazzi dove, sottoposta ad esame radiografico, le era stata diagnosticata una frattura diafisaria III prossimale tibia destra in malattia demielinizzante. La donna era poi stata ricoverata presso il reparto di chirurgia del ginocchio del menzionato Ospedale e, dopo l’effettuazione di una tomografia assiale computerizzata, l’ -omissis era stata sottoposta dal dottor D. , primario del reparto, e dal dott. M. , in qualità di 2 operatore, ad un intervento di riduzione e sintesi della frattura tibiale con applicazione di placche e viti. Il 17 maggio la R. , che accusava forti dolori all’arto destro, soprattutto alla caviglia, era stata dimessa con una prognosi di 60 giorni, con la raccomandazione di assumere farmaci analgesici cd anticoagulanti. Il 22 giugno, la R. decideva di recarsi presso la casa di cura privata XXXXX per sottoporsi all’accertamento radiografico richiesto dei medici curanti del XXXXXXXX le veniva refertata una frattura scomposta bimalleolare della caviglia destra, anch’essa riconducibile all’evento traumatico del 7 maggio, in via di viziosa consolidazione, con conseguente rischio di alterazione della normale anatomia dei tessuti coinvolti. Alla visita del -omissis , la paziente sottoponeva all’attenzione della Dott.ssa B. e del Dott. A. le lastre del -omissis . I sanitari, tuttavia, non reputavano necessario un secondo intervento chirurgico, rinviando alla fine dell’estate la valutazione del quadro clinico. Poiché il dolore non accennava a diminuire, la signora R. si rivolgeva alla clinica privata -omissis , dove veniva sottoposta a due interventi a distanza di pochi giorni il primo in data -omissis di riduzione della frattura bimalleolare e ripristino dell’asse peroneale ed un secondo, in data -omissis , di rimozione di una vite prossimale tibiale sporgente. A seguito di tali interventi, la paziente poteva conservare una normale anatomia dell’arto inferiore destro, essendo state corrette le modalità di consolidamento della lesione ed inoltre, stando alle sue dichiarazioni, essendo cessato lo stato di sofferenza. 2.1. Il primo giudice aveva ritenuto che non fosse possibile affermare con certezza che era mancata da parte del M. e del D. la diagnosi della frattura malleolare e che, all’inverso, i dati probatori indicavano essere avvenuta la consapevole scelta di non intervenire sulla medesima scelta che reputava non censurabile. Quanto alla analoga scelta dei dottori B. ed A. , il Tribunale escludeva la ricorrenza di profili di colpa. La Corte di Appello, per contro, pur convenendo con il primo giudice sulla ricostruzione appena esposta, ha ritenuto che il riscontro della frattura malleolare avrebbe imposto ai sanitari di darne comunicazione alla paziente e di intervenire sia per la protezione dell’arto in funzione di un idoneo consolidamento sia per l’attenuazione del dolore nulla di ciò era stato fatto, con l’effetto di un aggravamento della condizione di sofferenza della R. e di un allungamento dei tempi necessari alla guarigione, che il c.t. dr. Basile aveva calcolato in cinquanta giorni. 3. Avverso tale decisione ricorrono per cassazione gli imputati. 3.1. M.N.G.S. articola sei motivi con i quali deduce 1 violazione dell’art. 576 cod. proc. pen. ritenendo che non ricorra nella specie una delle ipotesi che autorizzano l’appello della parte civile 2 3 vizio motivazionale perché la sentenza impugnata contraddice quanto affermato dal Tribunale a riguardo della prevedibilità del disallineamento dei monconi della frattura malleolare in paziente quale la R. perché interpreta le dichiarazioni del dr. Basile, che si riferivano a quel che di solito accade, come riferite allo specifico e peculiare caso della R. , affetta da grave sclerosi multipla degenerativa con grave inabilità motoria e osteoporosi perché formula un giudizio di trasgressione cautelare ponendosi in una prospettiva ex post e non in quella ex ante perché non tiene conto del rapporto costi-benefici di un intervento, quale delineato dal Tribunale. Denuncia altresì l’omessa motivazione in merito al comportamento tenuto dal M. e fonte di responsabilità. Lamenta la violazione dell’art. 40 cod. pen. ed il vizio motivazionale, per non aver motivato la corte distrettuale a riguardo della efficienza eziologica delle omissioni rinvenute. Infine deduce l’insussistenza del danno. 3.2. B.C.E. , A.M. e D.R. ricorrono con atto unitario a firma del comune difensore avv. Mario Brusa. L’esponente, riportando una pluralità di brani della sentenza impugnata, censura che essa abbia rimproverato agli imputati l’omessa informazione della paziente e l’aggravamento della condizione di sofferenza di questa mentre il capo di imputazione fa riferimento alla omessa diagnosi e all’omesso trattamento terapeutico della frattura malleolare. Denuncia l’omessa motivazione in relazione al nesso di causalità fra il protrarsi della malattia e l’inadeguatezza delle informazioni fornite alla paziente. Denuncia poi omessa motivazione in ordine alla determinazione dell’ammontare della riconosciuta provvisionale. 4. L’8.6.2016 è stata depositata memoria difensiva nell’interesse della parte civile, con la quale si contrastano le deduzioni dei ricorrenti. Considerato in diritto 5. I ricorsi sono fondati. 5.1. Principiando dal ricorso proposto nell’interesse del M. va ritenuta l’infondatezza del primo motivo la tesi del ricorrente secondo la quale è ammesso l’appello della sola parte civile avverso l’assoluzione in primo grado solo ove essa non abbia a fondamento la verifica dei fatti oggetto del capo di imputazione non trova riscontro nella giurisprudenza di legittimità, per la quale è ammissibile l’impugnazione proposta dalla parte civile avverso la sentenza di assoluzione preordinata a chiedere l’affermazione della responsabilità dell’imputato, quale logico presupposto della condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno. Non controverso che detta richiesta non può condurre ad una modifica della decisione penale sulla quale si è formato il giudicato in mancanza dell’impugnazione del P.M. , viene rimarcato che essa tende all’affermazione della responsabilità dell’imputato per un fatto previsto dalla legge come reato, sì da giustificare la condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno. Ed è per tale motivo che è risultato dibattuto se l’impugnazione della parte civile debba fare riferimento specifico, a pena di inammissibilità, agli effetti di carattere civile che si intendono conseguire senza limitarsi alla richiesta concernente l’affermazione della responsabilità dell’imputato . Quesito che ha trovato risposta negativa in Sez. U, n. 6509 del 20/12/2012 dep. 08/02/2013, P.C. in proc. Colucci e altri, Rv. 254130. In tale quadro, la circostanza che il giudice dell’impugnazione, decidendo sulla domanda civile dipendente dall’accertamento del reato possa in via incidentale statuire in modo difforme sul fatto oggetto dell’imputazione, con l’effetto di differenti decisioni potenzialmente in contrasto tra loro, non sovverte la posizione assunta dalla giurisprudenza cfr., ex multis, Sez. 2, n. 5072 del 31/01/2006 dep. 09/02/2006, P.C. in proc. Pensa, Rv. 233273 . Ne consegue anche la manifesta infondatezza del motivo che rileva una contraddittorietà ed erroneità in relazione al giudicato penale che si sarebbe formato con la pronuncia del Tribunale, in specie a riguardo della prevedibilità del disallineamento dei frammenti ossei anche in caso di paziente con quasi totale capacità motoria. Per quanto si è scritto risulta evidente che tal contrasto è del tutto fisiologico nel sistema delle relazioni tra azione penale ed azione civile e peraltro non è a tale contrasto che si riferisce l’art. 606, lett. e cod. proc. pen. quando menziona la contraddittorietà della motivazione. L’ulteriore rilievo, di una contraddizione e di una erroneità della sentenza impugnata, si concreta in realtà nella censura di una erronea valutazione” delle particolarità del caso, che ha condotto la Corte di Appello a ritenere prevedibile la scomposizione della frattura ed è quindi non consentita in questa sede, siccome unicamente portatrice di una valutazione antagonista, senza che vengano neppure evidenziati fratture logiche tra premesse e conclusioni del sillogismo giudiziale. Circa l’omessa motivazione in merito alla condotta colposa che sarebbe valsa l’affermazione di responsabilità al M. , è sufficiente rilevare che il ricorrente evidentemente pretermette quanto la Corte di Appello ha scritto a pg. 12, laddove rileva la mancata annotazione in cartella e nel diario clinico della deliberazione di non intervenire in alcun modo, neppure sul piano conservativo e cautelare, deliberazione che, per l’adesione fatta alla decisione del D. , era attribuibile anche al M. . In altri termini, al M. si è rimproverato quanto più specificamente è stato attribuito al D. , per aver condiviso le scelte fatte da questi. L’ultimo motivo, sotto la impropria titolazione insussistenza del danno” propone in sostanza la censura alla motivazione impugnata, nella parte in cui ha ritenuto l’esistenza di una lesione personale derivata dalle condotte ascritte all’imputato. Si tratta di un motivo che si sostanzia nella contrapposizione di affermazioni alla valutazione della Corte di Appello, come tale non consentito. 5.2. Fondato, per contro, è il quinto motivo del ricorso del M. , che può essere trattato unitamente a quello degli ulteriori ricorrenti, stante la comunanza delle doglianze. Si lamenta che la Corte di Appello non abbia reso motivazione in merito al nesso causale evidentemente rinvenuto tra le omissioni informative e terapeutiche attribuite agli imputati in parola e le ulteriori lesioni patite dalla R. . Infatti colgono il vero gli esponenti quando rilevano che nulla dice la Corte di Appello circa le cautele che in concreto sarebbero valse ad evitare l’evento. Risulta pertinente rammentare che l’addebito a titolo di colpa presuppone che, una volta individuata una trasgressione a norma cautelare, sia possibile affermare che la condotta doverosa avrebbe evitato l’evento illecito. Si tratta, come ben noto, del cd. giudizio contro fattuale interno all’illecito colposo un giudizio contro fattuale è richiesto, infatti, anche dal reato omissivo improprio , che conduce a verificare se la condotta doverosa che non è stata tenuta fosse stata in grado, qualora eseguita, di evitare l’evento concretamente verificatosi. Orbene, l’operazione intellettuale che va sotto il nome di giudizio contro-fattuale richiede innanzitutto che venga preliminarmente descritto ciò che è accaduto solo dopo aver accertato che cosa è successo” si propone al riguardo la definizione di giudizio esplicativo” è possibile chiedersi cosa sarebbe stato se fosse intervenuta la condotta doverosa giudizio predittivo” . Si tratta di una puntualizzazione tutt’altro che neutrale sul piano delle implicazioni. Basti pensare che se del giudizio predittivo si ammette la validità anche in presenza di esiti non coincidenti con la certezza processuale oltre ogni ragionevole dubbio” , sicché può dirsi che la condotta doverosa avrebbe avuto effetto impeditivo anche se tanto può affermarsi solo con elevata probabilità logica”, per il giudizio esplicativo la certezza processuale nei sensi sopra indicati deve essere raggiunta. Ove si tratti di reati omissivi impropri può dirsi che la situazione tipica, donde trae origine l’indifferibilità dell’adempimento dell’obbligo di facere, deve essere identificata in termini non dubitativi ove così non fosse non sarebbe possibile neppure ipotizzare l’omissione tipica. Si tratta di piani correlati ma distinti e non sembra ammissibile che i deficit di conoscenza che incidono sul giudizio esplicativo possano essere colmati da una particolare evidenza dell’attitudine salvifica del comportamento doveroso mancato, perché in realtà senza una preliminare incontroversa delineazione del quadro fattuale quell’attitudine si può predicare solo in termini astratti Sez. 4, n. 23339 del 31/01/2013 dep. 30/05/2013, Giusti, Rv. 256941 . Identificata compiutamente la condotta doverosa va quindi risolto il quesito in merito alla sua valenza salvifica, impostato alla luce del parametro della significativa probabilità di scongiurare il danno Sez. 4, n. 19512 del 14/02/2008 dep. 15/05/2008, P.C. in proc. Aiana, Rv. 240172 Sez. 4, n. 31980 del 06/06/2013 dep. 23/07/2013, Nastro, Rv. 256745 . Orbene, la sentenza impugnata risulta omissiva in modo decisivo per più versanti innanzitutto per quello della identificazione della condotta doverosa, perché dopo aver dato atto che la letteratura al riguardo non è unanime e che alcuni specialisti evidenziano da una parte il rischio di sovraccarico dell’arto affetto da osteoporosi, in caso di applicazione di placche dall’altra il pericolo di trombosi, qualora si opti per l’immobilizzazione , asserisce che esiste un’ulteriore opzione terapeutica rappresentata dalla prescrizione di idonee cautele nei movimenti e di antidolorifici specifici. Non si sa bene quanto consapevolmente, la Corte territoriale cerca di velare il carattere apodittico dell’affermazione richiamandosi alla miglior scienza ed esperienza del settore, alle buone pratiche ampiamente diffuse e consolidate nel settore di competenza del medico, allo stato dell’arte, senza mai svelare la fonte dalla quale ha tratto la conoscenza di ambiti che le sono fisiologicamente preclusi e che devono necessariamente entrare nel processo attraverso il media rappresentato dall’esperto per un’ampia trattazione dell’argomento cfr. Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010 dep. 13/12/2010, Cozzini e altri, Rv. 248944 e Sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013 dep. 09/04/2013, Cantore, Rv. 255105 . Beninteso, non si tratta di precludere al giudice il ricorso al buon senso piuttosto si impone la consapevolezza della complessità della medicina come di altre branche del sapere e del trattamento terapeutico, la quale preclude l’assunzione di giudizi che non siano nutriti dell’analisi tecnica dei dati disponibili, concernenti il paziente e la malattia. Esemplificando donde ricava la Corte di appello la certezza che non vi fossero significative controindicazioni alla prescrizione alla R. anche di quelle prescrizioni” e raccomandazioni” e terapie idonee ad alleviare il dolore alle quali essa non è in grado di dare un nome proprio? La Corte distrettuale rimprovera agli imputati anche di aver dato una inadeguata informazione alla R. circa l’esistenza della lesione al tratto epifisario prossimale del malleolo e l’esistenza di soluzioni alternative. Al riguardo è necessario rimarcare, in vista di un nuovo giudizio, che è errato attrarre nel nucleo della condotta colposa l’inadeguata informazione al paziente se non si chiarisce quale funzione prevenzionistica avrebbe avuto nel caso specifico una informazione adeguata. Sotto tale profilo la Corte di Appello sembra ridurre la rinvenuta negligenza alla violazione dell’art. 33 del Codice deontologico, laddove impone al medico di fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle alternative diagnostiche. Senza interrogarsi sulla funzione cautelare di una simile previsione che certo non può essere quella di dare un senso alle sofferenze della paziente e in definitiva confondendo una norma di dovere con una regola cautelare cfr. per la distinzione, Sez. 4, sent. n. 12478 del 19-20.11.2015 dep. 24.3.2016, De Bernardinis, in corso di massimazione . Ma quando, con il massimo sforzo interpretativo, si volesse dedurre dalle parole della motivazione impugnata, che quell’informazione adeguata avrebbe avuto la funzione di indurre la R. alla immobilità, ancora risulterebbe palese la criticità del percorso logico-giuridico tracciato dalla corte territoriale, perché essa affida ad una congettura l’ulteriore sviluppo dell’accertamento, dichiarando la sola verosimiglianza dell’effettuazione, da parte della paziente, di movimenti incontrollati che hanno favorito il disallineamento dei monconi . Sicché non viene esibita certezza neppure in merito al negativo effetto di una informazione inadeguata. 5.3. La sentenza impugnata deve quindi essere annullata, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, al quale va rimessa anche la regolamentazione delle spese tra le parti nel presente giudizio. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette la regolamentazione delle spese tra le parti nel presente giudizio.