In amore e dall’arresto … vince chi fugge

Le Sezioni Unite respingono l’interpretazione più poliziesca della quasi flagranza di reato ex art. 382 c.p.p Per arrestare non è sufficiente la sola dichiarazione della vittima o di altri testimoni del fatto di reato, quando il colpevole è già fuggitivo e mancano altri riscontri.

Così le Sezioni Unite con la sentenza n. 39131/2016, depositata il 21 settembre. Il fatto processuale. A seguito di accoltellamento ai danni di persona offesa poi dichiarante il fatto alle forze di polizia, veniva arrestato personaggio già noto alle forze dell’ordine – detto lo zingaro” -, intanto in fuga. Gli inquirenti nulla avevano trovato - né armi bianche né strumenti per la lesione alla vittima - nell’abitazione o in corpo all’offensore poi rinvenuto a seguito di investigazione, tal che lo avevano tratto in arresto sulla base delle sole dichiarazioni della vittima, assente qualsivoglia altro riscontro al fatto. Il giudice per le indagini preliminari, ritenute insufficienti le dichiarazioni della persona offesa, non aveva convalidato il fermo per insussistenza del requisito della quasi flagranza, avendo operato le forze di polizia non direttamente, ma sulla sola segnalazione della vittima. Il procuratore della Repubblica locale non si era arreso ed aveva avanzato ricorso per cassazione avverso il diniego della convalida. Le Sezioni Unite invocate si pronunciano sulla sufficienza del solo dichiarato della vittima ai fini dell’arresto dell’offensore, appurata una distonia giurisprudenziale. La soluzione rigettata. L’interpretazione poliziesca della quasi flagranza di reato, l’ inseguimento” ex art. 382 c.p.p. è anche di tipo metaforico. Evidentemente le Sezioni Unite non hanno sostenuto la soluzione più congeniale all’attività investigativa delle forze dell’ordine. Per il procuratore della Repubblica ricorrente l’ inseguimento” delle forze di polizia ex art. 382 c.p.p., legittimante l’arresto immediato dell’offensore, va inteso in senso metaforico, purchè l’attività investigativa si sia protratta senza soluzione di continuità – sia consistita in una serie ininterrotta di atti investigativi -, anche quando sia stata innescata dalla sola dichiarazione della vittima o di altri testimoni. D’altronde la norma ex art. 382 c.p.p. non pare richiedere l’immediata percezione del fatto di reato da parte delle forze dell’ordine e l’evidente riferibilità del fatto all’offensore, prevedendo anche l’ipotesi dell’inseguimento post-factum . In breve, tra reato ed inseguimento può non esservi immediatezza materiale. Vi deve essere, tuttavia, un collegamento di tipo investigativo, che conduce al reo . La soluzione accolta è quella più garantista. Non si può arrestare sulla base della sola dichiarazione della vittima o di altri testimoni, in assenza di percezione del fatto di reato da parte delle forze dell’ordine o del privato. Vi è una primaria ragione sistemica, ispirata dall’art. 13 della Costituzione. Non si possono offrire interpretazioni estensive dei casi in cui si procede alla privazione della libertà personale, come nel caso delle misure precautelari, quando mancano provvedimenti motivati dell’autorità giudiziaria e l’apprensione personale viene svolta per iniziativa delle sole forze di polizia o del privato cittadino. Dunque, sotto il profilo letterale, l’ inseguimento” ex art. 382 c.p.p. che legittima l’arresto è solo quello diretto e materiale, non quello investigativo e metaforico. Soccorre un ulteriore e significativo argomento storico sono state espunte le previsioni nei precedenti codici di procedura penale – del 1865 e del 1913 – che prevedevano l’arresto anche per l’inseguito dal pubblico clamore”, dunque anche in caso di assenza di immediatezza fra il fatto di reato e l’arresto. L’inciso è stato espunto già nel codice del 1930 ed in quello attuale. Per inseguimento”, per altro, non occorre nemmeno offrire una semantica troppo ristretta, la norma si riferisce anche al caso in cui l’arresto avvenga in luogo diverso da quello di commissione del reato, pur presenti le forze dell’ordine al momento della consumazione dell’illecito.

Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 24 novembre 2015 – 21 settembre 2016, n. 39131 Presidente Marasca – Relatore Vecchio Ritenuto in fatto 1. I Carabinieri della stazione di Caulonia Marina, il -omissis , in via -omissis di quel comune, trassero in arresto V.C. nella ritenuta quasi flagranza del delitto di lesione personale aggravata dall’uso di un coltello , commesso in danno di B.R. , rappresentando quanto segue nel relativo processo verbale. 1.1. Su disposizione impartita dalla centrale operativa del comando della compagnia in seguito alla telefonata colla quale la moglie del B. , S.C. , aveva denunziato il reato , una pattuglia dei militari si era recata presso la tabaccheria gestita dal figlio della vittima, sita nella ridetta via XXXXXX, constatando la presenza all’interno del locale dello stesso B. , ferito superficialmente al cuoio capelluto, al lobo dell’orecchio sinistro e al braccio sinistro. La vittima aveva dichiarato che era stata accoltellata da tal C. , soprannominato lo XXXXXXX. E di tanto i componenti della pattuglia avevano prontamente informato il maresciallo comandante della stazione. 1.2. In precedenza B. , mentre si dirigeva in bicicletta alla volta del proprio terreno, era stato raggiunto, lungo via XXXXXXX, da V. costui aveva reiterato le rimostranze, espresse quella stessa mattinata, per la mancata restituzione di una bilancia e, nonostante B. avesse rinnovato l’assicurazione che avrebbe restituito l’utensile, V. dapprima gli aveva sferrato alcuni calci alle gambe quindi aveva prelevato dalla cassetta porta oggetti della propria bicicletta un coltello e aveva colpito più volte l’interlocutore, ferendolo. La vittima si era sottratta alle ulteriori coltellate, fuggendo e riparando in cerca di aiuto presso il campo del suo vicino, D.V.G. , il quale lo aveva prontamente soccorso. Era sopraggiunto V. , brandendo l’arma e proferendo minacce di morte. Ma D.V. , intimando pressantemente a V. di desistere, aveva posto termine alla aggressione aveva, quindi, accompagnato B. in via XXXXXX, presso la tabaccheria del figlio. Dal locale la S. aveva, poi, chiamato i Carabinieri. 1.3. Il maresciallo comandante della stazione, sulla base delle indicazioni onomastiche del feritore trasmessegli dai componenti della pattuglia in seguito alle dichiarazioni rese loro dalla vittima , pervenne subito alla identificazione di V. , persona a lui nota per pregressa conoscenza si recò, quindi, anche egli presso la fazione XXXX e ivi, avendo avvistato V. nelle adiacenze della tabaccheria B. , lo arrestò. In concomitanza dell’arresto i Carabinieri procedettero a perquisizione personale, veicolare e domiciliare a carico dell’arrestato allo scopo di sequestrare il coltello e cose pertinenti al reato. Tutte e tre le perquisizioni diedero esito negativo. 2. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Locri, all’esito dell’interrogatorio dell’arrestato, sentito il difensore, ha deliberato di non convalidare l’arresto, rigettando la richiesta in tal senso formulata dal Pubblico Ministero. Pur riconoscendo il concorso di gravi indizi di reità, in ordine al delitto di lesione personale pluriaggravata, ai sensi degli artt. 582, 585, secondo comma, n. 2, e 61, primo comma, n. 1, cod. pen., e di esigenze cautelari, il giudice a quo ha reputato che difettasse il requisito della flagranza o della quasi flagranza del reato. In proposito il Giudice per le indagini preliminari ha motivato, con citazione di pertinenti arresti della giurisprudenza di legittimità, che alla individuazione dell’autore della condotta delittuosa i Carabinieri erano pervenuti solo in ragione delle dichiarazioni della persona offesa , mentre V. non aveva indosso alcuna traccia del reato, atteso che il coltello utilizzato per il ferimento non era stato rinvenuto e atteso che gli indumenti, indossati dall’arrestato, non recavano macchie di sangue o altre tracce del reato sicché era da escludere anche alo stato di quasi flagranza in quanto la polizia giudiziaria aveva appreso il fatto non direttamente , bensì ed esclusivamente dalla denunzia della persona offesa e solo successivamente aveva proceduto all’inseguimento del colpevole . 3. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri ha proposto ricorso per cassazione, mediante atto recante la data del 30 giugno 2014, denunziando inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e inosservanza delle norme processuali . Il ricorrente si duole del diniego della convalida dell’arresto e, in proposito, dopo aver ricapitolato lo svolgimento dei fatti, sulla base dei primi accertamenti della polizia giudiziaria, e l’azione dei Carabinieri operanti, deduce il Giudice delle indagini preliminari non ha convalidato l’arresto facoltativo, del quale peraltro ricorrevano pacificamente tutte le altre condizioni titolo del reato, gravità del fatto e pericolosità del reo soltanto per la ritenuta carenza della quasi flagranza ma tale conclusione è erronea. Sul punto il Procuratore della Repubblica obietta, invocando conformi arresti di legittimità, affatto in termini, che, ai fini della quasi flagranza , nella nozione di inseguimento del reo deve intendersi compresa anche l’azione di ricerca immediatamente posta in essere purché protratta senza soluzione di continuità, sulla scorta delle indicazioni delle vittime, dei correi o di altre persone a conoscenza dei fatti . 4. La Quinta Sezione penale, assegnataria del ricorso, l’ha rimesso alle Sezioni Unite a norma dell’art. 618 cod. procomma pen. con ordinanza in data 18 febbraio 2015. Sulla considerazione che il thema decidendum attiene all’esatto significato da attribuire alla nozione di quasi flagranza la Sezione rimettente ha rilevato e illustrato nei termini che seguono un contrasto giurisprudenziale al riguardo. 4.1. Secondo l’orientamento prevalente la quasi flagranza non è ravvisabile, se l’inseguimento dell’indagato sia stato intrapreso dalla polizia giudiziaria per effetto e solo dopo l’assunzione di informazioni dalla persona offesa o da altri testi presenti in loco nel momento della commissione del reato. L’indirizzo in parola valorizza il carattere eccezionale della privazione della libertà personale, che si traduce nell’arresto e ravvisa il fondamento e la giustificazione dell’istituto nella diretta percezione della polizia giudiziaria della azione delittuosa, ovvero in difetto dell’inseguimento del reo o, infine, della circostanza che costui presenti tracce o rechi cose le quali rivelino che egli immediatamente prima abbia commesso il reato. A siffatte condizioni che abilitano all’arresto non sono assimilabili le investigazioni e le ricerche che la polizia giudiziaria, subito dopo la commissione del reato, intraprende affatto tempestivamente, sulla base delle dichiarazioni assunte, anche informalmente, dalle persone presenti al fatto, così pervenendo alla individuazione della persona dell’indagato. 4.2. L’orientamento contrario, richiamato dal Procuratore della Repubblica ricorrente, sostiene, invece, che la nozione di inseguimento del reo deve essere estesa al di là della accezione strettamente etimologica scilicet di attività di chi corre dietro, tallona e incalza, a vista, la persona inseguita , fino a comprendere anche la azione di ricerca, immediatamente eseguita protratta senza soluzione di continuità, sulla base delle ricerche immediatamente predisposte sulla scorta delle indicazioni delle vittime, dei correi o di altre persone a conoscenza dei fatti e nel tempo strettamente necessario, occorrente alla polizia giudiziaria per giungere sul luogo del delitto, acquisire notizie utili e iniziare le ricerche . L’indirizzo in parola ravvisa il fondamento dell’arresto nella correlazione tra il dato temporale di prossimità fra la commissione della azione delittuosa e la privazione della libertà del suo autore con l’elemento funzionale del controllo anche indiretto e della repressione del reato esercitati dalla polizia giudiziaria tempestivamente intervenuta. 4.3. In conclusione la Sezione -rimettente, preso atto del contrasto, ha ravvisato la necessità dell’intervento delle Sezioni Unite, al fine di stabilire cosa debba intendersi con esattezza per quasi flagranza , essendo, in proposito, ineludibile il chiarimento circa il significato degli elementi fondamentali nella costruzione della definizione della quasi flagranza, rappresentati dalla percezione della azione delittuosa e dall’inseguimento del reo . 5. Nella requisitoria il Procuratore generale, previa ricognizione delle ipotesi di flagranza enunciate dell’art. 382, comma 1, cod. procomma pen. inquadrate nella cornice costituzionale alla stregua del principio della inviolabilità della libertà personale, sancito dall’art. 13 Cost. , ha considerato che, in punto di fatto, la polizia giudiziaria non aveva colto l’arrestato nell’atto di commettere il reato di lesione personale , né lo aveva sorpreso con cose o tracce compromettenti dalle quali appariva che l’indagato aveva perpetrato la azione delittuosa immediatamente prima sicché assumeva esclusivamente rilievo la disamina della residua previsione, contemplata nella citata disposizione del codice di rito, dell’inseguimento dell’autore del reato. In proposito il requirente ha osservato che, sebbene il progresso tecnologico colla possibilità del controllo a distanza mediante sistemi elettronici e satellitari renda non più adeguata alla realtà fenomenica e, pertanto, superata la tradizionale definizione dell’inseguire, come azione di chi corre dietro a chi fugge, tallonandolo da presso , tuttavia resta estranea alla nozione dell’ inseguimento la differente ipotesi della attività investigativa della polizia giudiziaria, ancorché tempestivamente intrapresa e proseguita colla ricerca del reo celermente e fruttuosamente compiuta in tempi rapidi. Infatti soggiunge il Procuratore generale deve essere mantenuta netta e ferma la distinzione tra la previsione normativa dell’inseguimento e la categoria dottrinaria del c.d. inseguimento investigativo , che, invece, si colloca fuori dell’alveo della interpretazione, conforme ai principi costituzionali della disciplina dell’arresto. In tale prospettiva il quid proprium della flagranza è ravvisato dal Procuratore generale nella situazione di evidenza probatoria caratterizzata dal peculiare legame tra il reato commesso e il contesto nel quale l’indiziato viene tratto in arresto . Tale legame è diretto nella flagranza in senso proprio mentre è indiretto nelle ipotesi della quasi flagranza, caratterizzate, entrambe, dal criterio temporale, che si combina, nel primo caso, col nesso teleologico dell’inseguimento del reo e nel secondo col nesso logico delle tracce rivelatrici della commissione del reato . Con specifico riguardo alla previsione dell’inseguimento prosegue il requirente la flagranza ricorre non solo nella ipotesi in cui la polizia giudiziaria, avuta diretta percezione della azione delittuosa nella attualità della relativa commissione e non avendo, tuttavia, potuto procedere in continenti all’arresto del reo, datosi alla fuga, lo rincorra, lo raggiunga e lo acciuffi, ma anche nella ipotesi ulteriore in cui l’autore del reato sia fuggito, immediatamente dopo aver perpetrato il delitto, e la polizia giudiziaria successivamente intervenuta si sia posta sulle sue tracce per effetto delle informazioni fornite da terzi , presenti al fatto, i quali abbiano indicato agli operanti la direzione di fuga del reo. Siffatta interpretazione evita di restringere ingiustificatamente l’alveo delle ipotesi di arresto in flagranza e soddisfa il requisito della stretta continuità spazio-temporale tra la commissione del reato e l’arresto, in quanto, al momento dell’intervento della polizia giudiziaria permane il nesso teleologico tra il reato e l’autore, che consente di operare il relativo collegamento sulla base della diretta percezione del comportamento post delictum del reo in fuga e sulla base delle dichiarazioni dei terzi che materialmente assistettero alla condotta delittuosa . Alla luce di siffatte considerazioni il Procuratore generale ha motivato il rigetto del ricorso, rilevando che, nella specie, difettava il nesso spazio-temporale tra la commissione del delitto e l’arresto dell’indagato la misura precautelare era stata adottata solo all’esito di una corposa attività di indagine , sebbene compiuta a breve lasso di tempo dal fatto il delitto di lesione personale era stato commesso in epoca anteriore e, soprattutto, in altro luogo sito a considerevole distanza l’indagato, dopo la consumazione del delitto, non era stato inseguito da alcuno e, prima di essere individuato dai Carabinieri e arrestato, si era anche disfatto del coltello sicché la cesura del continuum che deve sussistere tra la commissione del reato e la sorpresa del suo autore precludeva la adozione della misura. 6. Con decreto del 27 marzo 2015 il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali e ne ha fissato la trattazione per la udienza camerale del 28 maggio 2015, successivamente differita a quella odierna, per impedimento del componente relatore, giusta decreto del 4 maggio 2015. Considerato in diritto 1. La questione di diritto sottoposta alle Sezioni Unite è la seguente Se può procedersi all’arresto in flagranza sulla base di informazioni della vittima o di terzi fornite nella immediatezza del fatto . L’art. 382 del vigente codice di rito, sotto la rubrica Stato di flagranza , condensa nel comma 1 le corrispondenti previsioni racchiuse nel secondo e nel terzo comma dell’art. 237 cod. procomma peri. 1930 eccettuata la disposizione relativa alla flagranza del reato permanente già contenuta nel secondo inciso del primo comma del previgente articolo che attualmente trova collocazione nel comma 2 del ridetto art. 382 . La partizione della materia nei due distinti commi operata dal previgente codice analogamente alle precedenti codificazioni e, soprattutto, l’incipit del terzo comma dell’art. 237 cit. che recitava Si considera pure in stato di flagranza chi , hanno offerto solida base alla tradizionale distinzione dottrinaria tra la flagranza in senso proprio e la quasi flagranza, secondo la terminologia che è tuttora generalmente adottata pur dopo la codificazione del 1988. Per vero, la formulazione letterale dell’art. 237, secondo comma, cod. procomma pen. 1930, è transitata affatto inalterata nell’art. 382, comma 1, cod. procomma pen. È in stato di flagranza chi viene colto nell’atto di commettere il reato tuttavia in luogo del segno immediatamente successivo del punto finale della disposizione previgente nella costruzione sintattica della norma attuale la congiunzione disgiuntiva ovvero salda nella medesima proposizione principale del ridetto comma 1 le previsioni di entrambi i casi della quasi flagranza contenuti nel terzo comma dell’art. 237 cod. procomma pen. 1930, enunciandoli con qualche variazione meramente terminologica, v. Sez. 1, n. 3318 del 08/07/1992, Maglione, Rv. 192032 mediante la ulteriore proposizione subordinata del periodo, introdotta analogamente dal pronome relativo e articolata nella ulteriore disgiunzione. Sicché non già si considera , bensì è in stato di flagranza anche chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima . Siffatte ulteriori due previsioni, pertanto, non devono più ritenersi meramente equiparate alla prima, in virtù della fictio legis , bensì integrano, disgiuntamente e a pieno titolo esattamente al pari della prima lo stato di flagranza. Consegue che il sintagma quasi flagranza resta ormai privo di ogni valore giuridico concettuale e assume nella accezione corrente la funzione di espressione puramente indicativa dei due casi di flagranza de quibus . Orbene la quaestio iuris in esame è pertinente allo specifico stato di flagranza costituito dall’ inseguimento dell’autore del reato. Le variazioni letterali apportate al riguardo dall’art. 382, comma 1, cod. procomma pen. rispetto alla formulazione della corrispondente previsione dell’art. 237, terzo comma, cod. procomma pen. 1930 sono modeste scilicet subito dopo il reato , polizia giudiziaria e persona offesa , rispettivamente al posto di immediatamente dopo il reato , forza pubblica e offeso dal reato e non assumono rilievo ai fini della soluzione del quesito di diritto. Subito è sinonimo di immediatamente ed è, per vero, assai dubbio che con la sostituzione dell’avverbio sia stato conseguito l’intento del legislatore delegato, espresso nella Relazione al Progetto preliminare del vigente codice di rito, di restringe re la possibilità di interpretazioni estensive alle quali poteva dar luogo la precedente formulazione immediatamente dopo il reato v. Relazione cit., in G.U., supplemento ordinario n. 2, al n. 250 del 24 ottobre 1988, p. 97, comma 1 . Orbene, i temi di indagine attengono a alla nozione di inseguimento del reo b alla relazione, temporale e logica, che lega l’inseguimento al reato. 2. La ordinanza impugnata sì è uniformata al prevalente e più rigoroso indirizzo della giurisprudenza di legittimità. Secondo il principio di diritto espresso da tale orientamento non sussiste la condizione di cosiddetta quasi flagranza qualora l’inseguimento dell’indagato da parte della polizia giudiziaria sia stato iniziato non già a seguito e a causa della diretta percezione dei fatti da parte della polizia giudiziaria, bensì per effetto e solo dopo l’acquisizione di informazioni da parte di terzi Sez. 3, n. 34899 del 24/06/2015, Amistà, Rv. 264734 Sez. 1, n. 43394 del 03/10/2014, Quaresima, Rv. 260527 Sez. 4, n. 15912 del 07/02/2013, Cecconi, Rv. 254966 Sez. 6, n. 19002 del 03/04/2012, Rotolo, Rv. 252872 Sez. 3, n. 34918 del 13/07/2011, Z., Rv. 250861 Sez. 6, n. 20539 del 20/04/2010, R., Rv. 247379 Sez. 5, n. 19078 del 31/03/2010, Festa, Rv. 247248 Sez. 2, n. 35458 del 06/07/2007, Di Benedetto, Rv. 237802 Sez. 2, n. 7161 del 18/01/2006, Morelli, Rv. 233345 Sez. 4, n. 17619 del 05/02/2004, Sakoumi, Rv. 228180 Sez. 5, n. 3032 del 21/06/1999, Carrozzino, Rv. 214473 Sez. 3, n. 4860 del 20/11/1990, dep. 1991, Ponticelli, Rv. 186494 . Le ragioni che sorreggono l’affermazione del principio testé enunciato possono essere sinteticamente ricapitolate nei termini che seguono. La provvisoria privazione del diritto fondamentale della libertà personale, di iniziativa della polizia giudiziaria e in carenza di alcun provvedimento motivato della autorità giudiziaria, rappresenta, per vero, istituto di carattere affatto eccezionale e in tal senso è espressamente connotato dall’articolo 13, terzo comma, Cost Le disposizioni della legge ordinaria e, segnatamente, del codice di rito, che disciplinano l’arresto sono, pertanto, di stretta interpretazione articolo 14, primo comma, preleggi . Orbene, la dilatazione della nozione della quasi flagranza sino a prescindere dalla coessenziale correlazione tra la percezione diretta del fatto delittuoso quantomeno attraverso le tracce rivelatrici della immediata consumazione, recate dal reo e il successivo intervento di privazione della libertà dell’autore del reato, deborda dall’ambito della interpretazione estensiva dell’articolo 382, comma 1, cod. procomma pen Attraverso progressivi slittamenti e assimilazioni tra l’ipotesi specifica dell’inseguimento contemplata nella disposizione e quelle più generiche e, pertanto, differenti delle ricerche ovvero delle investigazioni tempestive si finisce col contravvenire al tenore testuale della norma. Gli è che il lemma inseguire, denotante, con tutta la sua pregnanza, l’azione del correre dietro chi fugge , e l’ulteriore requisito cronologico di immediatezza, subito dopo il reato , richiesto dalla legge, postulano la necessità della correlazione funzionale tra la diretta percezione della azione delittuosa e la privazione della libertà del reo fuggitivo. La conclusione si rinsalda alla luce della considerazione della ratio legis . La eccezionale attribuzione alla polizia giudiziaria o al privato del potere di privare della libertà una persona trova concorrente giustificazione nella altissima probabilità e, praticamente, nella certezza della colpevolezza dell’arrestato. Ebbene, sono proprio la diretta percezione e constatazione della condotta delittuosa da parte degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria procedenti all’arresto, che possono suffragare, nel senso indicato, la sicura previsione dell’accertamento giudiziario della colpevolezza. Mentre, in difetto, apprezzamenti e valutazioni, fondati sul piano affatto differente degli elementi investigativi assunti ancorché prontamente e magari anche in loco dalla polizia giudiziaria, non offrono analoghe sicurezza e affidabilità di previsione v., in proposito, Sez. 1, n. 6642 del 11/12/1996, dep. 1997, Palmarini, Rv. 207085 . 3. L’orientamento contrario presente in modo significativo nella giurisprudenza più risalente nel tempo e, tuttavia, pur recentissimamente ribadito con pronunce deliberate in consapevole contrasto col prevalente indirizzo ravvisa la ipotesi della flagranza anche qualora, subito dopo la commissione del reato, la polizia giudiziaria, prontamente intervenga, assuma le informazioni del caso dalla persona offesa o dai testimoni presenti al fatto, e immediatamente si ponga, sulla scorta delle stesse, all’ inseguimento dell’autore del reato, celermente pervenendo senza alcuna interruzione della attività di investigazione e di ricerca, tempestivamente intrapresa all’arresto dell’indagato. Secondo il principio conseguentemente affermato lo stato di quasi flagranza sussiste anche nel caso in cui l’inseguimento sia iniziato per le informazioni acquisite da terzi inclusa la vittima , purché non sussista soluzione di continuità fra il fatto criminoso e la successiva reazione diretta ad arrestare il responsabile del reato. Sez. 3, n. 22136 del 06/05/2015, B., Rv. 263663 Sez. 1, n. 6916 del 24/11/2011, Vinetti, Rv. 252915 Sez. 2, n. 44369 del 10/11/2010, Califano, Rv. 249169 Sez. 4, n. 29980 del 2G/06/2006, Sali, Rv. 234816 Sez. 5, n. 2738 del 07/06/1999, Giannatiempo, Rv. 214469 Sez. 4, n. 1314 del 12/04/1995, Bianchi, Rv. 202108 Sez. 1, n. 1646 del 12/04/1994, Padovano, Rv. 198882 Sez. 1, n. 402 del 19/02/1990, Mastrodonato, Rv. 183661 . Alla base dell’indirizzo in parola risiede la convinzione che la giuridica essenza del concetto di flagranza o quasi flagranza consista nella relazione di continuità tra la commissione del delitto e la reazione diretta ad arrestarne l’autore Sez. 3, n. 22136 del 06/05/2015, 8., cit. . Ciò che conta è che la polizia giudiziaria si attivi immediatamente post delictum e inneschi una sequela ininterrotta di atti della più varia tipologia di natura investigativa, di materiale ricerca, di vero e proprio inseguimento che, senza soluzione di continuità, culminino nell’arresto del reo. Il costrutto argomentativo che sorregge l’assunto si sviluppa nei termini che seguono. L’argomento letterale, piuttosto che l’indirizzo prevalente, suffraga, invece, la tesi contraria in relazione alla previsione dell’inseguimento l’art. 382, comma 1, cod. procomma pen. non richiede, nella sua formulazione testuale, che chi procede all’arresto abbia veduto l’agente mentre commetteva il fatto e, neppure, che abbia veduto il reo fuggire dal luogo dove ha commesso il fatto v. ibidem . La norma configura la ipotesi del reo, colto dalla polizia giudiziaria nell’atto di commettere il reato, e la ipotesi dell’inseguimento, subito dopo la commissione del delitto, come casi autonomi e alternativi dello stato di flagranza mentre, se si reputi necessario che l’inseguitore debba aver avuto una propria diretta percezione del fatto , quella dell’ inseguimento divent erebbe una ipotesi subordinata all’ipotesi precedente della percezione del reato v. ibidem . Il lemma inseguire comprende nel suo significato non solo l’azione di chi corre dietro a taluno che fugge, ma anche quella di chi procede in una determinata direzione, secondo più punti di riferimento, al fine di raggiungere qualcuno o qualcosa Sez. 2, n. 44498 del 04/11/2015, Isaia, n.m. . Il concetto di inseguimento , pertanto, non può non dilatarsi alla confinante accezione di perseguimento così da estendersi ermeneuticamente nel concetto di esplicazione di indagine che sortisce immediatamente dalla notitia criminis e, senza soluzione di continuità, conduce in tempo oggettivamente breve ad arrestare l’autore del reato Sez. 3, n. 22136 del 06/05/2015, B., cit. . 4. Le Sezioni Unite ritengono di dover ribadire il prevalente indirizzo che negli anni più recenti si è andato progressivamente affermando nella giurisprudenza di legittimità. 4.1. Deve riconoscersi che il contrario orientamento risponde alla esigenza pratica, variamente avvertita nella opinione pubblica, di assicurare la pronta reazione istituzionale nella repressione dei reati, di maggior gravità, dei quali la polizia giudiziaria o, nei casi previsti, il privato abilitato all’arresto ha contezza nel medesimo contesto storico-temporale della loro perpetrazione. Siffatta esigenza trovava, peraltro, sul piano normativo, remoti addentellati nella più estesa nozione della flagranza del reato, contemplata nei codici di rito che precedettero quello del 1930. L’art. 47, primo comma, cod. procomma pen. 1865 recitava È flagrante reato il crimine o delitto che si commette attualmente, o che è stato poco prima commesso . E, analogamente, l’art. 168, primo comma, cod. procomma pen. 1913 disponeva È flagrante il reato che si commette attualmente o che è stato poco prima commesso . Sicché a prescindere dai casi di quasi flagranza distintamente contemplati dagli artt. 47, secondo comma, cod. procomma pen. 1865 e 168, terzo comma, cod. procomma pen. 1913 la flagranza in senso proprio comprendeva anche il caso del reato, commesso poco prima , cioè non nella immediatezza, bensì in un momento cronologicamente anteriore dal quale era trascorso un apprezzabile intervallo temporale, ancorché modesto e contenuto. Il dato codicistico comportava, dunque, la legittimità dell’arresto dell’autore del reato sol perché il fatto era stato commesso poco prima ed era, quindi, tuttora flagrante . 4.2. Ma già alla stregua dell’art. 237, primo comma, cod. procomma pen. 1930 peraltro entrato in vigore nella stessa cornice costituzionale dei due precedenti codici di rito del Regno d’Italia, v. infra 4.8. era venuta meno la base normativa che attribuiva alla polizia giudiziaria la potestà di procedere solo in virtù delle informazioni tempestivamente assunte dalla persona offesa o da terzi all’arresto dell’autore del reato che era stato poco prima commesso . La citata disposizione, infatti, considerava flagrante esclusivamente il reato che si commette attualmente , in quanto non aveva riprodotto la ulteriore previsione estensiva della flagranza recata dai corrispondenti articoli dei codici precedenti. In conclusione, anche in base all’art. 382, coma 1, cod. procomma pen., che non ha variato la enunciazione letterale dello stato di flagranza contenuta nell’art. 237, secondo comma, cod. procomma pen. 1930, il dato meramente cronologico, costituito dalla brevità del lasso di tempo trascorso dalla commissione del reato pur nella sinergia colla indagine dalla polizia giudiziaria, tempestivamente incoata e, senza alcuna interruzione, rapidamente conclusa non assume giuridica rilevanza, sulla base del diritto positivo salvo i casi particolari dell’arresto ritardato previsti da speciali disposizioni , al fine di offrire fondamento di legittimità all’arresto del reo nella indicata prospettiva della soddisfazione della esigenza della pronta reazione istituzionale alla attività criminale. 4.3. In carenza della deprehensio in ipsa perpetratione facinoris , il reo continua a versare nello stato di flagranza, qualora, subito dopo il reato sia inseguito. La norma si sofferma a enumerare categorie di inseguitori la polizia giudiziaria, la persona offesa o altre persone. Ma, in effetti, in virtù dell’ultimo termine della disgiunzione, chiunque può inseguire l’autore del reato. Il punto controverso risiede nella accezione della voce verbale. Il lemma inseguire nella norma coniugato in forma passiva designa la azione del correre dietro a chi fugge, o anche a chi corre, cercando di raggiungerlo, di solito con intenzione ostile, o anche per afferrarlo, arrestarlo, e talvolta solo per superarlo . Non è condivisibile la tesi che l’art. 382, comma 1, cod. procomma pen. sia comprensivo di previsione ulteriore e affatto diversa fondata sulla accezione del verbo in senso figurato o puramente metaforico, così da includere la ipotesi dell’autore del reato che venga fatto oggetto di incalzante attività investigativa, in seguito alla ricezione della notitia criminis , e, pertanto, sotto tale profilo risulti perseguito dalla polizia giudiziaria, come il caso citato a titolo di esempio da un Autore in epoca non recente dell’ arresto eseguito tre ore dopo la consumazione del fatto a seguito di chiamata di correo che abbia posto la polizia giudiziaria sulle tracce dell’arrestato . Innanzitutto il contesto linguistico del periodo, composto dalle proposizioni che compongono il testo normativo, conduce a escludere la postulata assimilazione. Nel comma 1 dell’art. 382 cod. procomma pen. norma nella quale il legislatore, ridefinendo lo stato di flagranza, ha concentrato in una unica disposizione le previsioni collocate in commi distinti del corrispondente articolo del codice abrogato, in prospettiva unitaria condotte e situazioni assumono rilievo nella evidenza della loro materialità, siccome espresse da dati effettuali, quali l’essere il soggetto colto nell’atto di commettere il reato ovvero l’essere sorpreso con cose o tracce dalla quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima. Con particolare riguardo a tale ultima previsione è significativo l’intervento del legislatore colla novella recata dall’art. 7 della legge 18 giugno 1955, n. 517, di riformulazione del testo originario dell’art. 237, terzo comma, cod. procomma pen. 1930 secondo la quale bastava che le cose o le tracce della quasi flagranza potessero far presumere che il reo avesse commesso poco prima il delitto , così sostituendo alla soggettività della valutazione la valorizzazione dell’oggettività del dato segnaletico, rivelatore della reità. Orbene la assimilazione all’inseguimento materiale dell’ inseguimento figurato, c.d. investigativo, risulta palesemente incoerente rispetto al contesto semantico del linguaggio normativo. Soccorre, poi, a contrariis l’argomento storico-comparativo. Laddove gli artt. 47, secondo comma, cod. procomma pen. 1865 e 168, terzo comma, cod. procomma pen. 1913, includevano tra i casi di quasi flagranza anche quello dell’inseguimento inteso nella accezione figurata era, infatti, considerato in flagranza anche chi fosse inseguito dal pubblico clamore , siffatta previsione è stata definitivamente espunta dai testi normativi fin dalla entrata in vigore del codice di rito del 1930. Sicché la stessa evoluzione del diritto positivo esclude alla evidenza la interpretazione avversata. 4.4. Deve, inoltre, considerarsi la assoluta peculiarità della misura precautelare dell’arresto in flagranza rispetto agli altri provvedimenti coercitivi. Nell’arresto in flagranza la esecuzione della coercizione è coessenziale rispetto alla deliberazione di chi lo esegue. A’ termini degli artt. 380, 381 e 383 cod. procomma pen. non è giuridicamente configurabile la esistenza di un arresto che non sia materialmente eseguito, bensì soltanto come per es. il fermo dell’indiziato di delitto semplicemente disposto. La attività di privazione della libertà personale del reo e la deliberazione di chi esegue l’arresto di esercitare la relativa potestà sono inscindibili la misura precautelare consiste e si esaurisce nella sua materiale esecuzione, perché è dalla legge prevista come essenzialmente attuosa. La configurazione normativa della misura, in termini di materiale esplicazione della corrispondente potestà di polizia giudiziaria, risulta, per vero, speculare rispetto alla denotazione delle ipotesi di flagranza, che risiede nella pertinenza sul piano fattuale alla condotta delittuosa, cotta nel mentre si compie ovvero, tosto che sia consumata, nelle immediate proiezioni materiali della perpetrazione l’inseguimento del reo o la sorpresa di costui con cose o tracce rivelatrici della subitanea commissione del delitto. E perspicuamente la dottrina, già nel penultimo secolo trascorso, rilevava che il carattere dei casi di flagranza è quello di non essere staccati dalla esistenza del reato . Ulteriore conforto riceve, pertanto, la conclusione che l’arresto eseguito sebbene dopo brevissimo lasso di tempo dal fatto e tuttavia in virtù della assunzione e, dunque, della valutazione di informazioni rese dai presenti alla polizia giudiziaria e all’esito alle pronte e fruttuose ricerche dell’ indicato autore del reato, resta affatto estraneo alla previsione normativa dello stato di flagranza costituto dell’inseguimento dell’indagato. Conclusivamente appare fondata la severa censura formulata in dottrina a commento della sentenza Sez. 1, Mastrodonato, cit. da un Autore secondo il quale la contraria opinione rompe la sequenza logica della norma . 4.5. La successone sul piano temporale, stabilita dalla legge in termini di immediatezza, tra il reato e l’inseguimento del suo autore rivela il nesso che avvince, sul piano logico, la condotta delittuosa alla previsione normativa del succitato stato di flagranza. Se l’inseguimento origina subito dopo il reato , necessariamente l’inseguitore deve aver personale -percezione, in tutto o in parte, del comportamento criminale del reo nella attualità della sua concreta esplicazione è proprio tale contezza che eziologicamente dà adito all’inseguimento orientato teleologicamente alla cattura del fuggitivo, autore del reato. Non è condivisibile la tesi del Procuratore generale il quale ricomprende nello stato di flagranza il caso in cui, essendosi consumato il reato ed essendo già iniziata la fuga, la polizia giudiziaria, intervenga in loco e, quindi, si ponga sulle tracce del fuggitivo, per effetto delle informazioni acquisite dai testi presenti circa la identità dell’autore del delitto e la direzione di fuga di costui. Inseguire e fuggire designano azioni differenti la prima è transitiva e richiede le attività concomitanti e antagoniste di due persone cioè, dell’inseguitore e dell’inseguito mentre la seconda, là dove prescinde dalla attualità dell’inseguimento, è affatto intransitiva. Secondo la previsione della legge l’inseguimento in continenti e non la fuga avvince il reo allo stato di flagranza, in quanto assicura, per le ragioni indicate, il pregnante collegamento tra il reato e il suo autore. Mentre la mera fuga già incoata di taluno dal locus coinmissi delicti non permette in difetto della denunzia degli astanti di inferire la reità del fuggitivo, posto che il precipitoso allontanamento dalla scena del crimine può indifferentemente correlarsi a ragioni diverse dalla colpevolezza come, ad esempio, alla esigenza di tutelare la propria incolumità, di chiedere soccorso etc. e l’inseguimento, qualora sia intrapreso non immediatamente, bensì sulla scorta delle dichiarazioni acquisite dai testimoni, non corrisponde alla previsione dell’art. 382, comma 1, cod. procomma pen., in quanto la disposizione esige che l’indagato sia inseguito subito dopo il reato . 4.6. Non ha pregio la obiezione che la ipotesi dell’inseguimento risulterebbe in definitiva assorbita in quella dell’arresto del reo colto dell’atto di commettere il reato. La ratio della previsione normativa dell’inseguimento risiede, infatti, nella estensione della possibilità della esecuzione dell’arresto dell’autore del reato, in luogo diverso da quello di commissione del delitto e dopo apprezzabile intervallo di tempo dalla relativa consumazione, nella ipotesi che il reo, pur essendo stato scorto nell’atto della perpetrazione, sia riuscito a darsi alla fuga. Né, infine, appare fondato l’argomento che, laddove la legge ammette l’arresto dell’indagato a opera del privato art. 383, comma 1, cod. procomma pen. , sarebbe senza giustificazione svilito il contributo informativo del testimone oculare del fatto che dia adito all’inseguimento della polizia giudiziaria, quando, invece, il privato è abilitato a procedere direttamente all’inseguimento e all’arresto del reo. Il raffronto è mal posto. Nel vigore del codice previgente, la Corte costituzionale, risolvendo positivamente la questione della legittimità costituzionale della disposizione dell’art. 242, primo comma, cod. procomma pen. 1930, relativa alla facoltà di arresto da parte dei privati, ha spiegato che, in tale evenienza, il privato cittadino, autore dell’arresto, allorché agisce in presenza delle condizioni e rimane nei limiti stabiliti dalla norma stessa, assume la veste di organo di polizia, sia pure straordinario e temporaneo, ed in conseguenza viene a godere, nell’esercizio delle funzioni pubbliche assunte, della stessa speciale posizione giuridica conferita agli ufficiali di polizia giudiziaria, come risulta dal n. 2 dell’art. 357 del codice penale Corte cost., sent. n. 89 del 1970 . Ebbene ai fini della legittimità dell’arresto ciò che rileva è che colui che lo esegue si determini indipendentemente dalla condizione personale di appartenenza alla forza pubblica ovvero di privato cittadino in virtù della diretta percezione della situazione fattuale, costitutiva dello stato di flagranza dell’autore del reato, e non sulla base di informazioni ricevute da terzi. 4.7. Nella dottrina sono diffusamente avvertiti il rischio di pericolose estensioni giurisprudenziali e di prassi poliziesche, che attraverso la dilatazione del concetto di inseguimento, conducano, lontano dal concetto stesso di flagranza , a inammissibili interpretazioni oltre i limiti della norma la quale, invece, si correla alla previsione costituzionale che connota in termini di eccezionalità i provvedimenti provvisori di restrizione della libertà personale adottati dalla autorità di polizia. Si riconosce, peraltro, che, ai fini dello stato di flagranza, l’inseguimento non necessariamente implica la rincorsa a vista del reo, bensì può manifestarsi in concreto nei modi più svariati, per esempio, attraverso l’esecuzione di blocchi stradali ovvero con il circondare l’edificio in cui si è nascosto l’autore del reato . Purtuttavia, in modo pressoché concorde gli Autori escludono la possibilità della assimilazione all’inseguimento vero e proprio di quello ideale , ovvero del c.d. inseguimento investigativo , dispiegato dalla polizia giudiziaria sulla base di informazioni prontamente assunte. Ricorrente è il rilievo che il legislatore, imprimendo con l’art. 382, comma 1, cod. procomma pen. una sistemazione unitaria ai casi della flagranza in senso proprio e della quasi flagranza in precedenza contemplati in distinte disposizioni , ha inteso porre a fondamento della unificata previsione dello stato di flagranza il rapporto di contestualità tra la condotta del reo e la percezione della stessa o del nesso tra il reato e il suo autore . In proposito è stato osservato In ogni caso la flagranza del reato giustifica l’arresto in quanto chi vi procede sia diretto testimone del fatto ovvero solo quando sia, comunque, immediata la percezione di un nesso tra il reato e il suo autore. Non è dunque legittimo l’arresto quando manchi in chi vi procede l’immediata e autonoma percezione delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato. Non è legittimo l’arresto che si fondi sulla percezione di testimoni o sulle dichiarazioni confessorie resa dallo stesso accusato, perché in questi casi, mancando una percezione diretta dei fatti, si richiede un apprezzamento di elementi probatori estranei alla ratio dell’istituto . Pur ribadendo la esclusione dall’ambito dello stato di flagranza dell’inseguimento intrapreso dalla polizia giudiziaria sulla scorta della sollecita acquisizione di informazioni dalle persone presenti al fatto, un Autore sostiene che non sia necessario che gli inseguitori abbiano una percezione diretta della commissione dell’illecito , in quanto può supplire la percezione diretta della fuga del reo, a condizione che, in una unica sequenza temporale , l’inseguimento sia intrapreso nel momento che coincide con quello in cui inizia la fuga e che la fuga stessa sia incoata dall’autore del reato nel preciso momento che coincide con la cessazione della condotta delittuosa . Per vero, tuttavia, la ritenuta necessità della doppia coincidenza consumazione del reato-fuga e fuga-inseguimento , alla luce del pertinente esempio addotto dallo stesso Autore l’inseguimento del rapinatore, sorpreso dalla polizia, all’uopo accorsa in loco, mentre fugge dalla banca rapinata comporta in definitiva che la evidenza probatoria dell’inseguimento trova pur sempre ancoraggio nella diretta percezione della condotta criminale nella immediatezza e attualità dell’impossessamento della refurtiva. In generale gli Autori concordano nella affermazione che lo stato di flagranza si caratterizza sulla base della percezione della evidenza prima facie della reità e che tale evidenza giustifica l’arresto dell’autore del reato a opera degli ufficiali o agenti della polizia giudiziaria, senza l’ordine del magistrato, appunto perché è ridotto al minimo il pericolo di una ingiusta privazione della libertà. 4.8. L’indirizzo prevalente della giurisprudenza di legittimità, pienamente confortato dalla dottrina, trova decisivo avallo nella piena conformità della ermeneutica della norma al dettato della Costituzione. In materia di libertà personale, laddove l’art. 26 dello Statuto Albertino si limitava a sancire genericamente , al primo comma, la relativa guarentigia e a stabilire, nel comma successivo, che Niuno può essere arrestato se non nei casi previsti dalla legge, e nelle forme che essa prescrive , con ben più pregnante formulazione, l’art. 13, primo comma, Cost. proclama La libertà personale è inviolabile . E il secondo coma appresta la tutela stabilendo che le restrizioni della libertà personale sono ammesse nei soli casi e modi previsti dalla legge , su disposizione della autorità giudiziaria e con atto motivato . Nell’ambito della materia disciplinata dal comma successivo sono generalmente collocate salvo qualche isolata e non recente obiezione dottrinaria le disposizioni della legge ordinaria relative all’istituto dell’arresto in flagranza. L’art. 13, terzo comma, Cost. contempla, infatti, che in casi eccezionali di necessità e urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori de libertate sottoposti alla comunicazione alla autorità giudiziaria e alla convalida della stessa, da eseguirsi entro termini perentori, a pena di revoca e, comunque, di perdita di ogni effetto . La sancita eccezionalità delle ipotesi di privazione della libertà personale a opera della autorità di polizia, di iniziativa e senza provvedimento della autorità giudiziaria, osta alla espansione in senso figurato della previsione dell’inseguimento così da includere l’accezione confinante Sez. 3, n 22136 del 06/05/2015, cit. e, pertanto, differente del perseguimento del reo attraverso la sollecita attività di investigazione e ricerca. In proposito, peraltro, il Giudice delle leggi, in relazione alle disposizioni sull’arresto contenute nel previgente codice di rito, non ha mancato di rilevare che sì tratta di norme di stretta interpretazione, e quindi non suscettibili di applicazione estensiva , in quanto trovano collocazione nell’ambito della deroga al principio che incentra nella sola autorità giudiziaria ogni potere di disporre misure incidenti sulla libertà delle persone Corte cost., cent. n. 89 del 1970 . La eccezionalità dell’arresto in flagranza da apprezzarsi, ovviamente, non sul piano empirico della frequenza statistica della pratica di polizia, bensì sul piano squisitamente giuridico per la natura derogatoria dell’istituto sottolineata dalla sentenza da ultimo citata si rinsalda alla considerazione che la privazione della libertà a opera della polizia giudiziaria ovvero, nei casi ammessi, da parte del privato, trova ragionevole giustificazione nella constatazione da parte di chi procede all’arresto della condotta del reo, nell’atto stesso della commissione del delitto, ovvero della diretta percezione di condotte e situazioni personali dell’autore del reato, immediatamente correlate alla perpetrazione e obiettivamente rivelatrici della colpevolezza sicché appare assai remota e praticamente esclusa la eventualità di ingiustificate privazioni della libertà personale. In conclusione, così definiti i confini della misura precautelare dell’arresto in stato di flagranza, risulta evidente che nel relativo ambito non deve essere compresa la privazione della libertà dell’indagato allorché sia operata, seppure in tempo prossimo alla commissione del reato, sulla base delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria dai testimoni del fatto. 5. Alla luce delle considerazioni che precedono la risposta al quesito proposto dalla Sezione rimettente si compendia nella affermazione del seguente principio di diritto Non può procedersi all’arresto in flagranza sulla base 41 informazioni della vittima o di terzi fornite nella immediatezza del fatto . 6. L’applicazione del principio di diritto, testé enunciato, al caso oggetto del presente scrutinio di legittimità, comporta il rigetto del ricorso. Infatti, alla stessa stregua delle prospettazioni in punto di fatto del Pubblico Ministero ricorrente e secondo quanto, peraltro, pacificamente emerge dalla ordinanza impugnata, all’arresto dell’indagato i Carabinieri procedettero dopo alcune ore dalla commissione del reato esclusivamente sulla base delle dichiarazioni loro rese, dalla vittima e dalle persone informate dei fatti nonché degli esiti obiettivi delle lesioni rilevati sul corpo della persona offesa , senza che ricorresse la ipotesi dell’inseguimento del reo ed essendo fuori discussione gli altri due casi dello stato di flagranza, per la netta cesura intervenuta tra la consumazione del reato e l’intervento successivo della polizia giudiziaria. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 24 novembre 2015 – 21 settembre 2016, n. 39131 Presidente Marasca – Relatore Vecchio Ritenuto in fatto 1. I Carabinieri della stazione di Caulonia Marina, il -omissis , in via -omissis di quel comune, trassero in arresto V.C. nella ritenuta quasi flagranza del delitto di lesione personale aggravata dall’uso di un coltello , commesso in danno di B.R. , rappresentando quanto segue nel relativo processo verbale. 1.1. Su disposizione impartita dalla centrale operativa del comando della compagnia in seguito alla telefonata colla quale la moglie del B. , S.C. , aveva denunziato il reato , una pattuglia dei militari si era recata presso la tabaccheria gestita dal figlio della vittima, sita nella ridetta via XXXXXX, constatando la presenza all’interno del locale dello stesso B. , ferito superficialmente al cuoio capelluto, al lobo dell’orecchio sinistro e al braccio sinistro. La vittima aveva dichiarato che era stata accoltellata da tal C. , soprannominato lo XXXXXXX. E di tanto i componenti della pattuglia avevano prontamente informato il maresciallo comandante della stazione. 1.2. In precedenza B. , mentre si dirigeva in bicicletta alla volta del proprio terreno, era stato raggiunto, lungo via XXXXXXX, da V. costui aveva reiterato le rimostranze, espresse quella stessa mattinata, per la mancata restituzione di una bilancia e, nonostante B. avesse rinnovato l’assicurazione che avrebbe restituito l’utensile, V. dapprima gli aveva sferrato alcuni calci alle gambe quindi aveva prelevato dalla cassetta porta oggetti della propria bicicletta un coltello e aveva colpito più volte l’interlocutore, ferendolo. La vittima si era sottratta alle ulteriori coltellate, fuggendo e riparando in cerca di aiuto presso il campo del suo vicino, D.V.G. , il quale lo aveva prontamente soccorso. Era sopraggiunto V. , brandendo l’arma e proferendo minacce di morte. Ma D.V. , intimando pressantemente a V. di desistere, aveva posto termine alla aggressione aveva, quindi, accompagnato B. in via XXXXXX, presso la tabaccheria del figlio. Dal locale la S. aveva, poi, chiamato i Carabinieri. 1.3. Il maresciallo comandante della stazione, sulla base delle indicazioni onomastiche del feritore trasmessegli dai componenti della pattuglia in seguito alle dichiarazioni rese loro dalla vittima , pervenne subito alla identificazione di V. , persona a lui nota per pregressa conoscenza si recò, quindi, anche egli presso la fazione XXXX e ivi, avendo avvistato V. nelle adiacenze della tabaccheria B. , lo arrestò. In concomitanza dell’arresto i Carabinieri procedettero a perquisizione personale, veicolare e domiciliare a carico dell’arrestato allo scopo di sequestrare il coltello e cose pertinenti al reato. Tutte e tre le perquisizioni diedero esito negativo. 2. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Locri, all’esito dell’interrogatorio dell’arrestato, sentito il difensore, ha deliberato di non convalidare l’arresto, rigettando la richiesta in tal senso formulata dal Pubblico Ministero. Pur riconoscendo il concorso di gravi indizi di reità, in ordine al delitto di lesione personale pluriaggravata, ai sensi degli artt. 582, 585, secondo comma, n. 2, e 61, primo comma, n. 1, cod. pen., e di esigenze cautelari, il giudice a quo ha reputato che difettasse il requisito della flagranza o della quasi flagranza del reato. In proposito il Giudice per le indagini preliminari ha motivato, con citazione di pertinenti arresti della giurisprudenza di legittimità, che alla individuazione dell’autore della condotta delittuosa i Carabinieri erano pervenuti solo in ragione delle dichiarazioni della persona offesa , mentre V. non aveva indosso alcuna traccia del reato, atteso che il coltello utilizzato per il ferimento non era stato rinvenuto e atteso che gli indumenti, indossati dall’arrestato, non recavano macchie di sangue o altre tracce del reato sicché era da escludere anche alo stato di quasi flagranza in quanto la polizia giudiziaria aveva appreso il fatto non direttamente , bensì ed esclusivamente dalla denunzia della persona offesa e solo successivamente aveva proceduto all’inseguimento del colpevole . 3. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri ha proposto ricorso per cassazione, mediante atto recante la data del 30 giugno 2014, denunziando inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e inosservanza delle norme processuali . Il ricorrente si duole del diniego della convalida dell’arresto e, in proposito, dopo aver ricapitolato lo svolgimento dei fatti, sulla base dei primi accertamenti della polizia giudiziaria, e l’azione dei Carabinieri operanti, deduce il Giudice delle indagini preliminari non ha convalidato l’arresto facoltativo, del quale peraltro ricorrevano pacificamente tutte le altre condizioni titolo del reato, gravità del fatto e pericolosità del reo soltanto per la ritenuta carenza della quasi flagranza ma tale conclusione è erronea. Sul punto il Procuratore della Repubblica obietta, invocando conformi arresti di legittimità, affatto in termini, che, ai fini della quasi flagranza , nella nozione di inseguimento del reo deve intendersi compresa anche l’azione di ricerca immediatamente posta in essere purché protratta senza soluzione di continuità, sulla scorta delle indicazioni delle vittime, dei correi o di altre persone a conoscenza dei fatti . 4. La Quinta Sezione penale, assegnataria del ricorso, l’ha rimesso alle Sezioni Unite a norma dell’art. 618 cod. procomma pen. con ordinanza in data 18 febbraio 2015. Sulla considerazione che il thema decidendum attiene all’esatto significato da attribuire alla nozione di quasi flagranza la Sezione rimettente ha rilevato e illustrato nei termini che seguono un contrasto giurisprudenziale al riguardo. 4.1. Secondo l’orientamento prevalente la quasi flagranza non è ravvisabile, se l’inseguimento dell’indagato sia stato intrapreso dalla polizia giudiziaria per effetto e solo dopo l’assunzione di informazioni dalla persona offesa o da altri testi presenti in loco nel momento della commissione del reato. L’indirizzo in parola valorizza il carattere eccezionale della privazione della libertà personale, che si traduce nell’arresto e ravvisa il fondamento e la giustificazione dell’istituto nella diretta percezione della polizia giudiziaria della azione delittuosa, ovvero in difetto dell’inseguimento del reo o, infine, della circostanza che costui presenti tracce o rechi cose le quali rivelino che egli immediatamente prima abbia commesso il reato. A siffatte condizioni che abilitano all’arresto non sono assimilabili le investigazioni e le ricerche che la polizia giudiziaria, subito dopo la commissione del reato, intraprende affatto tempestivamente, sulla base delle dichiarazioni assunte, anche informalmente, dalle persone presenti al fatto, così pervenendo alla individuazione della persona dell’indagato. 4.2. L’orientamento contrario, richiamato dal Procuratore della Repubblica ricorrente, sostiene, invece, che la nozione di inseguimento del reo deve essere estesa al di là della accezione strettamente etimologica scilicet di attività di chi corre dietro, tallona e incalza, a vista, la persona inseguita , fino a comprendere anche la azione di ricerca, immediatamente eseguita protratta senza soluzione di continuità, sulla base delle ricerche immediatamente predisposte sulla scorta delle indicazioni delle vittime, dei correi o di altre persone a conoscenza dei fatti e nel tempo strettamente necessario, occorrente alla polizia giudiziaria per giungere sul luogo del delitto, acquisire notizie utili e iniziare le ricerche . L’indirizzo in parola ravvisa il fondamento dell’arresto nella correlazione tra il dato temporale di prossimità fra la commissione della azione delittuosa e la privazione della libertà del suo autore con l’elemento funzionale del controllo anche indiretto e della repressione del reato esercitati dalla polizia giudiziaria tempestivamente intervenuta. 4.3. In conclusione la Sezione -rimettente, preso atto del contrasto, ha ravvisato la necessità dell’intervento delle Sezioni Unite, al fine di stabilire cosa debba intendersi con esattezza per quasi flagranza , essendo, in proposito, ineludibile il chiarimento circa il significato degli elementi fondamentali nella costruzione della definizione della quasi flagranza, rappresentati dalla percezione della azione delittuosa e dall’inseguimento del reo . 5. Nella requisitoria il Procuratore generale, previa ricognizione delle ipotesi di flagranza enunciate dell’art. 382, comma 1, cod. procomma pen. inquadrate nella cornice costituzionale alla stregua del principio della inviolabilità della libertà personale, sancito dall’art. 13 Cost. , ha considerato che, in punto di fatto, la polizia giudiziaria non aveva colto l’arrestato nell’atto di commettere il reato di lesione personale , né lo aveva sorpreso con cose o tracce compromettenti dalle quali appariva che l’indagato aveva perpetrato la azione delittuosa immediatamente prima sicché assumeva esclusivamente rilievo la disamina della residua previsione, contemplata nella citata disposizione del codice di rito, dell’inseguimento dell’autore del reato. In proposito il requirente ha osservato che, sebbene il progresso tecnologico colla possibilità del controllo a distanza mediante sistemi elettronici e satellitari renda non più adeguata alla realtà fenomenica e, pertanto, superata la tradizionale definizione dell’inseguire, come azione di chi corre dietro a chi fugge, tallonandolo da presso , tuttavia resta estranea alla nozione dell’ inseguimento la differente ipotesi della attività investigativa della polizia giudiziaria, ancorché tempestivamente intrapresa e proseguita colla ricerca del reo celermente e fruttuosamente compiuta in tempi rapidi. Infatti soggiunge il Procuratore generale deve essere mantenuta netta e ferma la distinzione tra la previsione normativa dell’inseguimento e la categoria dottrinaria del c.d. inseguimento investigativo , che, invece, si colloca fuori dell’alveo della interpretazione, conforme ai principi costituzionali della disciplina dell’arresto. In tale prospettiva il quid proprium della flagranza è ravvisato dal Procuratore generale nella situazione di evidenza probatoria caratterizzata dal peculiare legame tra il reato commesso e il contesto nel quale l’indiziato viene tratto in arresto . Tale legame è diretto nella flagranza in senso proprio mentre è indiretto nelle ipotesi della quasi flagranza, caratterizzate, entrambe, dal criterio temporale, che si combina, nel primo caso, col nesso teleologico dell’inseguimento del reo e nel secondo col nesso logico delle tracce rivelatrici della commissione del reato . Con specifico riguardo alla previsione dell’inseguimento prosegue il requirente la flagranza ricorre non solo nella ipotesi in cui la polizia giudiziaria, avuta diretta percezione della azione delittuosa nella attualità della relativa commissione e non avendo, tuttavia, potuto procedere in continenti all’arresto del reo, datosi alla fuga, lo rincorra, lo raggiunga e lo acciuffi, ma anche nella ipotesi ulteriore in cui l’autore del reato sia fuggito, immediatamente dopo aver perpetrato il delitto, e la polizia giudiziaria successivamente intervenuta si sia posta sulle sue tracce per effetto delle informazioni fornite da terzi , presenti al fatto, i quali abbiano indicato agli operanti la direzione di fuga del reo. Siffatta interpretazione evita di restringere ingiustificatamente l’alveo delle ipotesi di arresto in flagranza e soddisfa il requisito della stretta continuità spazio-temporale tra la commissione del reato e l’arresto, in quanto, al momento dell’intervento della polizia giudiziaria permane il nesso teleologico tra il reato e l’autore, che consente di operare il relativo collegamento sulla base della diretta percezione del comportamento post delictum del reo in fuga e sulla base delle dichiarazioni dei terzi che materialmente assistettero alla condotta delittuosa . Alla luce di siffatte considerazioni il Procuratore generale ha motivato il rigetto del ricorso, rilevando che, nella specie, difettava il nesso spazio-temporale tra la commissione del delitto e l’arresto dell’indagato la misura precautelare era stata adottata solo all’esito di una corposa attività di indagine , sebbene compiuta a breve lasso di tempo dal fatto il delitto di lesione personale era stato commesso in epoca anteriore e, soprattutto, in altro luogo sito a considerevole distanza l’indagato, dopo la consumazione del delitto, non era stato inseguito da alcuno e, prima di essere individuato dai Carabinieri e arrestato, si era anche disfatto del coltello sicché la cesura del continuum che deve sussistere tra la commissione del reato e la sorpresa del suo autore precludeva la adozione della misura. 6. Con decreto del 27 marzo 2015 il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali e ne ha fissato la trattazione per la udienza camerale del 28 maggio 2015, successivamente differita a quella odierna, per impedimento del componente relatore, giusta decreto del 4 maggio 2015. Considerato in diritto 1. La questione di diritto sottoposta alle Sezioni Unite è la seguente Se può procedersi all’arresto in flagranza sulla base di informazioni della vittima o di terzi fornite nella immediatezza del fatto . L’art. 382 del vigente codice di rito, sotto la rubrica Stato di flagranza , condensa nel comma 1 le corrispondenti previsioni racchiuse nel secondo e nel terzo comma dell’art. 237 cod. procomma peri. 1930 eccettuata la disposizione relativa alla flagranza del reato permanente già contenuta nel secondo inciso del primo comma del previgente articolo che attualmente trova collocazione nel comma 2 del ridetto art. 382 . La partizione della materia nei due distinti commi operata dal previgente codice analogamente alle precedenti codificazioni e, soprattutto, l’incipit del terzo comma dell’art. 237 cit. che recitava Si considera pure in stato di flagranza chi , hanno offerto solida base alla tradizionale distinzione dottrinaria tra la flagranza in senso proprio e la quasi flagranza, secondo la terminologia che è tuttora generalmente adottata pur dopo la codificazione del 1988. Per vero, la formulazione letterale dell’art. 237, secondo comma, cod. procomma pen. 1930, è transitata affatto inalterata nell’art. 382, comma 1, cod. procomma pen. È in stato di flagranza chi viene colto nell’atto di commettere il reato tuttavia in luogo del segno immediatamente successivo del punto finale della disposizione previgente nella costruzione sintattica della norma attuale la congiunzione disgiuntiva ovvero salda nella medesima proposizione principale del ridetto comma 1 le previsioni di entrambi i casi della quasi flagranza contenuti nel terzo comma dell’art. 237 cod. procomma pen. 1930, enunciandoli con qualche variazione meramente terminologica, v. Sez. 1, n. 3318 del 08/07/1992, Maglione, Rv. 192032 mediante la ulteriore proposizione subordinata del periodo, introdotta analogamente dal pronome relativo e articolata nella ulteriore disgiunzione. Sicché non già si considera , bensì è in stato di flagranza anche chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima . Siffatte ulteriori due previsioni, pertanto, non devono più ritenersi meramente equiparate alla prima, in virtù della fictio legis , bensì integrano, disgiuntamente e a pieno titolo esattamente al pari della prima lo stato di flagranza. Consegue che il sintagma quasi flagranza resta ormai privo di ogni valore giuridico concettuale e assume nella accezione corrente la funzione di espressione puramente indicativa dei due casi di flagranza de quibus . Orbene la quaestio iuris in esame è pertinente allo specifico stato di flagranza costituito dall’ inseguimento dell’autore del reato. Le variazioni letterali apportate al riguardo dall’art. 382, comma 1, cod. procomma pen. rispetto alla formulazione della corrispondente previsione dell’art. 237, terzo comma, cod. procomma pen. 1930 sono modeste scilicet subito dopo il reato , polizia giudiziaria e persona offesa , rispettivamente al posto di immediatamente dopo il reato , forza pubblica e offeso dal reato e non assumono rilievo ai fini della soluzione del quesito di diritto. Subito è sinonimo di immediatamente ed è, per vero, assai dubbio che con la sostituzione dell’avverbio sia stato conseguito l’intento del legislatore delegato, espresso nella Relazione al Progetto preliminare del vigente codice di rito, di restringe re la possibilità di interpretazioni estensive alle quali poteva dar luogo la precedente formulazione immediatamente dopo il reato v. Relazione cit., in G.U., supplemento ordinario n. 2, al n. 250 del 24 ottobre 1988, p. 97, comma 1 . Orbene, i temi di indagine attengono a alla nozione di inseguimento del reo b alla relazione, temporale e logica, che lega l’inseguimento al reato. 2. La ordinanza impugnata sì è uniformata al prevalente e più rigoroso indirizzo della giurisprudenza di legittimità. Secondo il principio di diritto espresso da tale orientamento non sussiste la condizione di cosiddetta quasi flagranza qualora l’inseguimento dell’indagato da parte della polizia giudiziaria sia stato iniziato non già a seguito e a causa della diretta percezione dei fatti da parte della polizia giudiziaria, bensì per effetto e solo dopo l’acquisizione di informazioni da parte di terzi Sez. 3, n. 34899 del 24/06/2015, Amistà, Rv. 264734 Sez. 1, n. 43394 del 03/10/2014, Quaresima, Rv. 260527 Sez. 4, n. 15912 del 07/02/2013, Cecconi, Rv. 254966 Sez. 6, n. 19002 del 03/04/2012, Rotolo, Rv. 252872 Sez. 3, n. 34918 del 13/07/2011, Z., Rv. 250861 Sez. 6, n. 20539 del 20/04/2010, R., Rv. 247379 Sez. 5, n. 19078 del 31/03/2010, Festa, Rv. 247248 Sez. 2, n. 35458 del 06/07/2007, Di Benedetto, Rv. 237802 Sez. 2, n. 7161 del 18/01/2006, Morelli, Rv. 233345 Sez. 4, n. 17619 del 05/02/2004, Sakoumi, Rv. 228180 Sez. 5, n. 3032 del 21/06/1999, Carrozzino, Rv. 214473 Sez. 3, n. 4860 del 20/11/1990, dep. 1991, Ponticelli, Rv. 186494 . Le ragioni che sorreggono l’affermazione del principio testé enunciato possono essere sinteticamente ricapitolate nei termini che seguono. La provvisoria privazione del diritto fondamentale della libertà personale, di iniziativa della polizia giudiziaria e in carenza di alcun provvedimento motivato della autorità giudiziaria, rappresenta, per vero, istituto di carattere affatto eccezionale e in tal senso è espressamente connotato dall’articolo 13, terzo comma, Cost Le disposizioni della legge ordinaria e, segnatamente, del codice di rito, che disciplinano l’arresto sono, pertanto, di stretta interpretazione articolo 14, primo comma, preleggi . Orbene, la dilatazione della nozione della quasi flagranza sino a prescindere dalla coessenziale correlazione tra la percezione diretta del fatto delittuoso quantomeno attraverso le tracce rivelatrici della immediata consumazione, recate dal reo e il successivo intervento di privazione della libertà dell’autore del reato, deborda dall’ambito della interpretazione estensiva dell’articolo 382, comma 1, cod. procomma pen Attraverso progressivi slittamenti e assimilazioni tra l’ipotesi specifica dell’inseguimento contemplata nella disposizione e quelle più generiche e, pertanto, differenti delle ricerche ovvero delle investigazioni tempestive si finisce col contravvenire al tenore testuale della norma. Gli è che il lemma inseguire, denotante, con tutta la sua pregnanza, l’azione del correre dietro chi fugge , e l’ulteriore requisito cronologico di immediatezza, subito dopo il reato , richiesto dalla legge, postulano la necessità della correlazione funzionale tra la diretta percezione della azione delittuosa e la privazione della libertà del reo fuggitivo. La conclusione si rinsalda alla luce della considerazione della ratio legis . La eccezionale attribuzione alla polizia giudiziaria o al privato del potere di privare della libertà una persona trova concorrente giustificazione nella altissima probabilità e, praticamente, nella certezza della colpevolezza dell’arrestato. Ebbene, sono proprio la diretta percezione e constatazione della condotta delittuosa da parte degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria procedenti all’arresto, che possono suffragare, nel senso indicato, la sicura previsione dell’accertamento giudiziario della colpevolezza. Mentre, in difetto, apprezzamenti e valutazioni, fondati sul piano affatto differente degli elementi investigativi assunti ancorché prontamente e magari anche in loco dalla polizia giudiziaria, non offrono analoghe sicurezza e affidabilità di previsione v., in proposito, Sez. 1, n. 6642 del 11/12/1996, dep. 1997, Palmarini, Rv. 207085 . 3. L’orientamento contrario presente in modo significativo nella giurisprudenza più risalente nel tempo e, tuttavia, pur recentissimamente ribadito con pronunce deliberate in consapevole contrasto col prevalente indirizzo ravvisa la ipotesi della flagranza anche qualora, subito dopo la commissione del reato, la polizia giudiziaria, prontamente intervenga, assuma le informazioni del caso dalla persona offesa o dai testimoni presenti al fatto, e immediatamente si ponga, sulla scorta delle stesse, all’ inseguimento dell’autore del reato, celermente pervenendo senza alcuna interruzione della attività di investigazione e di ricerca, tempestivamente intrapresa all’arresto dell’indagato. Secondo il principio conseguentemente affermato lo stato di quasi flagranza sussiste anche nel caso in cui l’inseguimento sia iniziato per le informazioni acquisite da terzi inclusa la vittima , purché non sussista soluzione di continuità fra il fatto criminoso e la successiva reazione diretta ad arrestare il responsabile del reato. Sez. 3, n. 22136 del 06/05/2015, B., Rv. 263663 Sez. 1, n. 6916 del 24/11/2011, Vinetti, Rv. 252915 Sez. 2, n. 44369 del 10/11/2010, Califano, Rv. 249169 Sez. 4, n. 29980 del 2G/06/2006, Sali, Rv. 234816 Sez. 5, n. 2738 del 07/06/1999, Giannatiempo, Rv. 214469 Sez. 4, n. 1314 del 12/04/1995, Bianchi, Rv. 202108 Sez. 1, n. 1646 del 12/04/1994, Padovano, Rv. 198882 Sez. 1, n. 402 del 19/02/1990, Mastrodonato, Rv. 183661 . Alla base dell’indirizzo in parola risiede la convinzione che la giuridica essenza del concetto di flagranza o quasi flagranza consista nella relazione di continuità tra la commissione del delitto e la reazione diretta ad arrestarne l’autore Sez. 3, n. 22136 del 06/05/2015, 8., cit. . Ciò che conta è che la polizia giudiziaria si attivi immediatamente post delictum e inneschi una sequela ininterrotta di atti della più varia tipologia di natura investigativa, di materiale ricerca, di vero e proprio inseguimento che, senza soluzione di continuità, culminino nell’arresto del reo. Il costrutto argomentativo che sorregge l’assunto si sviluppa nei termini che seguono. L’argomento letterale, piuttosto che l’indirizzo prevalente, suffraga, invece, la tesi contraria in relazione alla previsione dell’inseguimento l’art. 382, comma 1, cod. procomma pen. non richiede, nella sua formulazione testuale, che chi procede all’arresto abbia veduto l’agente mentre commetteva il fatto e, neppure, che abbia veduto il reo fuggire dal luogo dove ha commesso il fatto v. ibidem . La norma configura la ipotesi del reo, colto dalla polizia giudiziaria nell’atto di commettere il reato, e la ipotesi dell’inseguimento, subito dopo la commissione del delitto, come casi autonomi e alternativi dello stato di flagranza mentre, se si reputi necessario che l’inseguitore debba aver avuto una propria diretta percezione del fatto , quella dell’ inseguimento divent erebbe una ipotesi subordinata all’ipotesi precedente della percezione del reato v. ibidem . Il lemma inseguire comprende nel suo significato non solo l’azione di chi corre dietro a taluno che fugge, ma anche quella di chi procede in una determinata direzione, secondo più punti di riferimento, al fine di raggiungere qualcuno o qualcosa Sez. 2, n. 44498 del 04/11/2015, Isaia, n.m. . Il concetto di inseguimento , pertanto, non può non dilatarsi alla confinante accezione di perseguimento così da estendersi ermeneuticamente nel concetto di esplicazione di indagine che sortisce immediatamente dalla notitia criminis e, senza soluzione di continuità, conduce in tempo oggettivamente breve ad arrestare l’autore del reato Sez. 3, n. 22136 del 06/05/2015, B., cit. . 4. Le Sezioni Unite ritengono di dover ribadire il prevalente indirizzo che negli anni più recenti si è andato progressivamente affermando nella giurisprudenza di legittimità. 4.1. Deve riconoscersi che il contrario orientamento risponde alla esigenza pratica, variamente avvertita nella opinione pubblica, di assicurare la pronta reazione istituzionale nella repressione dei reati, di maggior gravità, dei quali la polizia giudiziaria o, nei casi previsti, il privato abilitato all’arresto ha contezza nel medesimo contesto storico-temporale della loro perpetrazione. Siffatta esigenza trovava, peraltro, sul piano normativo, remoti addentellati nella più estesa nozione della flagranza del reato, contemplata nei codici di rito che precedettero quello del 1930. L’art. 47, primo comma, cod. procomma pen. 1865 recitava È flagrante reato il crimine o delitto che si commette attualmente, o che è stato poco prima commesso . E, analogamente, l’art. 168, primo comma, cod. procomma pen. 1913 disponeva È flagrante il reato che si commette attualmente o che è stato poco prima commesso . Sicché a prescindere dai casi di quasi flagranza distintamente contemplati dagli artt. 47, secondo comma, cod. procomma pen. 1865 e 168, terzo comma, cod. procomma pen. 1913 la flagranza in senso proprio comprendeva anche il caso del reato, commesso poco prima , cioè non nella immediatezza, bensì in un momento cronologicamente anteriore dal quale era trascorso un apprezzabile intervallo temporale, ancorché modesto e contenuto. Il dato codicistico comportava, dunque, la legittimità dell’arresto dell’autore del reato sol perché il fatto era stato commesso poco prima ed era, quindi, tuttora flagrante . 4.2. Ma già alla stregua dell’art. 237, primo comma, cod. procomma pen. 1930 peraltro entrato in vigore nella stessa cornice costituzionale dei due precedenti codici di rito del Regno d’Italia, v. infra 4.8. era venuta meno la base normativa che attribuiva alla polizia giudiziaria la potestà di procedere solo in virtù delle informazioni tempestivamente assunte dalla persona offesa o da terzi all’arresto dell’autore del reato che era stato poco prima commesso . La citata disposizione, infatti, considerava flagrante esclusivamente il reato che si commette attualmente , in quanto non aveva riprodotto la ulteriore previsione estensiva della flagranza recata dai corrispondenti articoli dei codici precedenti. In conclusione, anche in base all’art. 382, coma 1, cod. procomma pen., che non ha variato la enunciazione letterale dello stato di flagranza contenuta nell’art. 237, secondo comma, cod. procomma pen. 1930, il dato meramente cronologico, costituito dalla brevità del lasso di tempo trascorso dalla commissione del reato pur nella sinergia colla indagine dalla polizia giudiziaria, tempestivamente incoata e, senza alcuna interruzione, rapidamente conclusa non assume giuridica rilevanza, sulla base del diritto positivo salvo i casi particolari dell’arresto ritardato previsti da speciali disposizioni , al fine di offrire fondamento di legittimità all’arresto del reo nella indicata prospettiva della soddisfazione della esigenza della pronta reazione istituzionale alla attività criminale. 4.3. In carenza della deprehensio in ipsa perpetratione facinoris , il reo continua a versare nello stato di flagranza, qualora, subito dopo il reato sia inseguito. La norma si sofferma a enumerare categorie di inseguitori la polizia giudiziaria, la persona offesa o altre persone. Ma, in effetti, in virtù dell’ultimo termine della disgiunzione, chiunque può inseguire l’autore del reato. Il punto controverso risiede nella accezione della voce verbale. Il lemma inseguire nella norma coniugato in forma passiva designa la azione del correre dietro a chi fugge, o anche a chi corre, cercando di raggiungerlo, di solito con intenzione ostile, o anche per afferrarlo, arrestarlo, e talvolta solo per superarlo . Non è condivisibile la tesi che l’art. 382, comma 1, cod. procomma pen. sia comprensivo di previsione ulteriore e affatto diversa fondata sulla accezione del verbo in senso figurato o puramente metaforico, così da includere la ipotesi dell’autore del reato che venga fatto oggetto di incalzante attività investigativa, in seguito alla ricezione della notitia criminis , e, pertanto, sotto tale profilo risulti perseguito dalla polizia giudiziaria, come il caso citato a titolo di esempio da un Autore in epoca non recente dell’ arresto eseguito tre ore dopo la consumazione del fatto a seguito di chiamata di correo che abbia posto la polizia giudiziaria sulle tracce dell’arrestato . Innanzitutto il contesto linguistico del periodo, composto dalle proposizioni che compongono il testo normativo, conduce a escludere la postulata assimilazione. Nel comma 1 dell’art. 382 cod. procomma pen. norma nella quale il legislatore, ridefinendo lo stato di flagranza, ha concentrato in una unica disposizione le previsioni collocate in commi distinti del corrispondente articolo del codice abrogato, in prospettiva unitaria condotte e situazioni assumono rilievo nella evidenza della loro materialità, siccome espresse da dati effettuali, quali l’essere il soggetto colto nell’atto di commettere il reato ovvero l’essere sorpreso con cose o tracce dalla quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima. Con particolare riguardo a tale ultima previsione è significativo l’intervento del legislatore colla novella recata dall’art. 7 della legge 18 giugno 1955, n. 517, di riformulazione del testo originario dell’art. 237, terzo comma, cod. procomma pen. 1930 secondo la quale bastava che le cose o le tracce della quasi flagranza potessero far presumere che il reo avesse commesso poco prima il delitto , così sostituendo alla soggettività della valutazione la valorizzazione dell’oggettività del dato segnaletico, rivelatore della reità. Orbene la assimilazione all’inseguimento materiale dell’ inseguimento figurato, c.d. investigativo, risulta palesemente incoerente rispetto al contesto semantico del linguaggio normativo. Soccorre, poi, a contrariis l’argomento storico-comparativo. Laddove gli artt. 47, secondo comma, cod. procomma pen. 1865 e 168, terzo comma, cod. procomma pen. 1913, includevano tra i casi di quasi flagranza anche quello dell’inseguimento inteso nella accezione figurata era, infatti, considerato in flagranza anche chi fosse inseguito dal pubblico clamore , siffatta previsione è stata definitivamente espunta dai testi normativi fin dalla entrata in vigore del codice di rito del 1930. Sicché la stessa evoluzione del diritto positivo esclude alla evidenza la interpretazione avversata. 4.4. Deve, inoltre, considerarsi la assoluta peculiarità della misura precautelare dell’arresto in flagranza rispetto agli altri provvedimenti coercitivi. Nell’arresto in flagranza la esecuzione della coercizione è coessenziale rispetto alla deliberazione di chi lo esegue. A’ termini degli artt. 380, 381 e 383 cod. procomma pen. non è giuridicamente configurabile la esistenza di un arresto che non sia materialmente eseguito, bensì soltanto come per es. il fermo dell’indiziato di delitto semplicemente disposto. La attività di privazione della libertà personale del reo e la deliberazione di chi esegue l’arresto di esercitare la relativa potestà sono inscindibili la misura precautelare consiste e si esaurisce nella sua materiale esecuzione, perché è dalla legge prevista come essenzialmente attuosa. La configurazione normativa della misura, in termini di materiale esplicazione della corrispondente potestà di polizia giudiziaria, risulta, per vero, speculare rispetto alla denotazione delle ipotesi di flagranza, che risiede nella pertinenza sul piano fattuale alla condotta delittuosa, cotta nel mentre si compie ovvero, tosto che sia consumata, nelle immediate proiezioni materiali della perpetrazione l’inseguimento del reo o la sorpresa di costui con cose o tracce rivelatrici della subitanea commissione del delitto. E perspicuamente la dottrina, già nel penultimo secolo trascorso, rilevava che il carattere dei casi di flagranza è quello di non essere staccati dalla esistenza del reato . Ulteriore conforto riceve, pertanto, la conclusione che l’arresto eseguito sebbene dopo brevissimo lasso di tempo dal fatto e tuttavia in virtù della assunzione e, dunque, della valutazione di informazioni rese dai presenti alla polizia giudiziaria e all’esito alle pronte e fruttuose ricerche dell’ indicato autore del reato, resta affatto estraneo alla previsione normativa dello stato di flagranza costituto dell’inseguimento dell’indagato. Conclusivamente appare fondata la severa censura formulata in dottrina a commento della sentenza Sez. 1, Mastrodonato, cit. da un Autore secondo il quale la contraria opinione rompe la sequenza logica della norma . 4.5. La successone sul piano temporale, stabilita dalla legge in termini di immediatezza, tra il reato e l’inseguimento del suo autore rivela il nesso che avvince, sul piano logico, la condotta delittuosa alla previsione normativa del succitato stato di flagranza. Se l’inseguimento origina subito dopo il reato , necessariamente l’inseguitore deve aver personale -percezione, in tutto o in parte, del comportamento criminale del reo nella attualità della sua concreta esplicazione è proprio tale contezza che eziologicamente dà adito all’inseguimento orientato teleologicamente alla cattura del fuggitivo, autore del reato. Non è condivisibile la tesi del Procuratore generale il quale ricomprende nello stato di flagranza il caso in cui, essendosi consumato il reato ed essendo già iniziata la fuga, la polizia giudiziaria, intervenga in loco e, quindi, si ponga sulle tracce del fuggitivo, per effetto delle informazioni acquisite dai testi presenti circa la identità dell’autore del delitto e la direzione di fuga di costui. Inseguire e fuggire designano azioni differenti la prima è transitiva e richiede le attività concomitanti e antagoniste di due persone cioè, dell’inseguitore e dell’inseguito mentre la seconda, là dove prescinde dalla attualità dell’inseguimento, è affatto intransitiva. Secondo la previsione della legge l’inseguimento in continenti e non la fuga avvince il reo allo stato di flagranza, in quanto assicura, per le ragioni indicate, il pregnante collegamento tra il reato e il suo autore. Mentre la mera fuga già incoata di taluno dal locus coinmissi delicti non permette in difetto della denunzia degli astanti di inferire la reità del fuggitivo, posto che il precipitoso allontanamento dalla scena del crimine può indifferentemente correlarsi a ragioni diverse dalla colpevolezza come, ad esempio, alla esigenza di tutelare la propria incolumità, di chiedere soccorso etc. e l’inseguimento, qualora sia intrapreso non immediatamente, bensì sulla scorta delle dichiarazioni acquisite dai testimoni, non corrisponde alla previsione dell’art. 382, comma 1, cod. procomma pen., in quanto la disposizione esige che l’indagato sia inseguito subito dopo il reato . 4.6. Non ha pregio la obiezione che la ipotesi dell’inseguimento risulterebbe in definitiva assorbita in quella dell’arresto del reo colto dell’atto di commettere il reato. La ratio della previsione normativa dell’inseguimento risiede, infatti, nella estensione della possibilità della esecuzione dell’arresto dell’autore del reato, in luogo diverso da quello di commissione del delitto e dopo apprezzabile intervallo di tempo dalla relativa consumazione, nella ipotesi che il reo, pur essendo stato scorto nell’atto della perpetrazione, sia riuscito a darsi alla fuga. Né, infine, appare fondato l’argomento che, laddove la legge ammette l’arresto dell’indagato a opera del privato art. 383, comma 1, cod. procomma pen. , sarebbe senza giustificazione svilito il contributo informativo del testimone oculare del fatto che dia adito all’inseguimento della polizia giudiziaria, quando, invece, il privato è abilitato a procedere direttamente all’inseguimento e all’arresto del reo. Il raffronto è mal posto. Nel vigore del codice previgente, la Corte costituzionale, risolvendo positivamente la questione della legittimità costituzionale della disposizione dell’art. 242, primo comma, cod. procomma pen. 1930, relativa alla facoltà di arresto da parte dei privati, ha spiegato che, in tale evenienza, il privato cittadino, autore dell’arresto, allorché agisce in presenza delle condizioni e rimane nei limiti stabiliti dalla norma stessa, assume la veste di organo di polizia, sia pure straordinario e temporaneo, ed in conseguenza viene a godere, nell’esercizio delle funzioni pubbliche assunte, della stessa speciale posizione giuridica conferita agli ufficiali di polizia giudiziaria, come risulta dal n. 2 dell’art. 357 del codice penale Corte cost., sent. n. 89 del 1970 . Ebbene ai fini della legittimità dell’arresto ciò che rileva è che colui che lo esegue si determini indipendentemente dalla condizione personale di appartenenza alla forza pubblica ovvero di privato cittadino in virtù della diretta percezione della situazione fattuale, costitutiva dello stato di flagranza dell’autore del reato, e non sulla base di informazioni ricevute da terzi. 4.7. Nella dottrina sono diffusamente avvertiti il rischio di pericolose estensioni giurisprudenziali e di prassi poliziesche, che attraverso la dilatazione del concetto di inseguimento, conducano, lontano dal concetto stesso di flagranza , a inammissibili interpretazioni oltre i limiti della norma la quale, invece, si correla alla previsione costituzionale che connota in termini di eccezionalità i provvedimenti provvisori di restrizione della libertà personale adottati dalla autorità di polizia. Si riconosce, peraltro, che, ai fini dello stato di flagranza, l’inseguimento non necessariamente implica la rincorsa a vista del reo, bensì può manifestarsi in concreto nei modi più svariati, per esempio, attraverso l’esecuzione di blocchi stradali ovvero con il circondare l’edificio in cui si è nascosto l’autore del reato . Purtuttavia, in modo pressoché concorde gli Autori escludono la possibilità della assimilazione all’inseguimento vero e proprio di quello ideale , ovvero del c.d. inseguimento investigativo , dispiegato dalla polizia giudiziaria sulla base di informazioni prontamente assunte. Ricorrente è il rilievo che il legislatore, imprimendo con l’art. 382, comma 1, cod. procomma pen. una sistemazione unitaria ai casi della flagranza in senso proprio e della quasi flagranza in precedenza contemplati in distinte disposizioni , ha inteso porre a fondamento della unificata previsione dello stato di flagranza il rapporto di contestualità tra la condotta del reo e la percezione della stessa o del nesso tra il reato e il suo autore . In proposito è stato osservato In ogni caso la flagranza del reato giustifica l’arresto in quanto chi vi procede sia diretto testimone del fatto ovvero solo quando sia, comunque, immediata la percezione di un nesso tra il reato e il suo autore. Non è dunque legittimo l’arresto quando manchi in chi vi procede l’immediata e autonoma percezione delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato. Non è legittimo l’arresto che si fondi sulla percezione di testimoni o sulle dichiarazioni confessorie resa dallo stesso accusato, perché in questi casi, mancando una percezione diretta dei fatti, si richiede un apprezzamento di elementi probatori estranei alla ratio dell’istituto . Pur ribadendo la esclusione dall’ambito dello stato di flagranza dell’inseguimento intrapreso dalla polizia giudiziaria sulla scorta della sollecita acquisizione di informazioni dalle persone presenti al fatto, un Autore sostiene che non sia necessario che gli inseguitori abbiano una percezione diretta della commissione dell’illecito , in quanto può supplire la percezione diretta della fuga del reo, a condizione che, in una unica sequenza temporale , l’inseguimento sia intrapreso nel momento che coincide con quello in cui inizia la fuga e che la fuga stessa sia incoata dall’autore del reato nel preciso momento che coincide con la cessazione della condotta delittuosa . Per vero, tuttavia, la ritenuta necessità della doppia coincidenza consumazione del reato-fuga e fuga-inseguimento , alla luce del pertinente esempio addotto dallo stesso Autore l’inseguimento del rapinatore, sorpreso dalla polizia, all’uopo accorsa in loco, mentre fugge dalla banca rapinata comporta in definitiva che la evidenza probatoria dell’inseguimento trova pur sempre ancoraggio nella diretta percezione della condotta criminale nella immediatezza e attualità dell’impossessamento della refurtiva. In generale gli Autori concordano nella affermazione che lo stato di flagranza si caratterizza sulla base della percezione della evidenza prima facie della reità e che tale evidenza giustifica l’arresto dell’autore del reato a opera degli ufficiali o agenti della polizia giudiziaria, senza l’ordine del magistrato, appunto perché è ridotto al minimo il pericolo di una ingiusta privazione della libertà. 4.8. L’indirizzo prevalente della giurisprudenza di legittimità, pienamente confortato dalla dottrina, trova decisivo avallo nella piena conformità della ermeneutica della norma al dettato della Costituzione. In materia di libertà personale, laddove l’art. 26 dello Statuto Albertino si limitava a sancire genericamente , al primo comma, la relativa guarentigia e a stabilire, nel comma successivo, che Niuno può essere arrestato se non nei casi previsti dalla legge, e nelle forme che essa prescrive , con ben più pregnante formulazione, l’art. 13, primo comma, Cost. proclama La libertà personale è inviolabile . E il secondo coma appresta la tutela stabilendo che le restrizioni della libertà personale sono ammesse nei soli casi e modi previsti dalla legge , su disposizione della autorità giudiziaria e con atto motivato . Nell’ambito della materia disciplinata dal comma successivo sono generalmente collocate salvo qualche isolata e non recente obiezione dottrinaria le disposizioni della legge ordinaria relative all’istituto dell’arresto in flagranza. L’art. 13, terzo comma, Cost. contempla, infatti, che in casi eccezionali di necessità e urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori de libertate sottoposti alla comunicazione alla autorità giudiziaria e alla convalida della stessa, da eseguirsi entro termini perentori, a pena di revoca e, comunque, di perdita di ogni effetto . La sancita eccezionalità delle ipotesi di privazione della libertà personale a opera della autorità di polizia, di iniziativa e senza provvedimento della autorità giudiziaria, osta alla espansione in senso figurato della previsione dell’inseguimento così da includere l’accezione confinante Sez. 3, n 22136 del 06/05/2015, cit. e, pertanto, differente del perseguimento del reo attraverso la sollecita attività di investigazione e ricerca. In proposito, peraltro, il Giudice delle leggi, in relazione alle disposizioni sull’arresto contenute nel previgente codice di rito, non ha mancato di rilevare che sì tratta di norme di stretta interpretazione, e quindi non suscettibili di applicazione estensiva , in quanto trovano collocazione nell’ambito della deroga al principio che incentra nella sola autorità giudiziaria ogni potere di disporre misure incidenti sulla libertà delle persone Corte cost., cent. n. 89 del 1970 . La eccezionalità dell’arresto in flagranza da apprezzarsi, ovviamente, non sul piano empirico della frequenza statistica della pratica di polizia, bensì sul piano squisitamente giuridico per la natura derogatoria dell’istituto sottolineata dalla sentenza da ultimo citata si rinsalda alla considerazione che la privazione della libertà a opera della polizia giudiziaria ovvero, nei casi ammessi, da parte del privato, trova ragionevole giustificazione nella constatazione da parte di chi procede all’arresto della condotta del reo, nell’atto stesso della commissione del delitto, ovvero della diretta percezione di condotte e situazioni personali dell’autore del reato, immediatamente correlate alla perpetrazione e obiettivamente rivelatrici della colpevolezza sicché appare assai remota e praticamente esclusa la eventualità di ingiustificate privazioni della libertà personale. In conclusione, così definiti i confini della misura precautelare dell’arresto in stato di flagranza, risulta evidente che nel relativo ambito non deve essere compresa la privazione della libertà dell’indagato allorché sia operata, seppure in tempo prossimo alla commissione del reato, sulla base delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria dai testimoni del fatto. 5. Alla luce delle considerazioni che precedono la risposta al quesito proposto dalla Sezione rimettente si compendia nella affermazione del seguente principio di diritto Non può procedersi all’arresto in flagranza sulla base 41 informazioni della vittima o di terzi fornite nella immediatezza del fatto . 6. L’applicazione del principio di diritto, testé enunciato, al caso oggetto del presente scrutinio di legittimità, comporta il rigetto del ricorso. Infatti, alla stessa stregua delle prospettazioni in punto di fatto del Pubblico Ministero ricorrente e secondo quanto, peraltro, pacificamente emerge dalla ordinanza impugnata, all’arresto dell’indagato i Carabinieri procedettero dopo alcune ore dalla commissione del reato esclusivamente sulla base delle dichiarazioni loro rese, dalla vittima e dalle persone informate dei fatti nonché degli esiti obiettivi delle lesioni rilevati sul corpo della persona offesa , senza che ricorresse la ipotesi dell’inseguimento del reo ed essendo fuori discussione gli altri due casi dello stato di flagranza, per la netta cesura intervenuta tra la consumazione del reato e l’intervento successivo della polizia giudiziaria. P.Q.M. Rigetta il ricorso.