Motivazione assente: quando il vizio giustifica l’annullamento della sentenza

In caso di ricorso in Cassazione, il vizio di mancanza della motivazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p. è riscontrabile laddove le argomentazioni addotte dal giudice a sostegno dell’affermazione di colpevolezza dell’imputato siano prive di completezza in relazione alle specifiche doglianze formulate con i motivi d’appello, caratterizzati dal canto loro dalla decisività ai fini della soluzione giuridica.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 39032/16, depositata il 20 settembre. Il caso. Il medico di una casa di cura veniva condannato per le lesioni colpose aggravate cagionate ad un paziente in occasione di una procedura terapeutica nella quale il giudice di primo grado riconosceva il nesso causale tra la condotta colposa dell’imputato e l’evento. La Corte d’appello confermava la pronuncia, sottolineando la sussistenza del nesso causale nonché dell’elemento soggettivo colposo dell’errore medico, poiché considerando gli elementi oggettivi del caso concreto non era ipotizzabile alternativa. L’imputato ricorre dinanzi alla Corte di Cassazione proponendo due distinti ricorsi con cui lamenta l’erronea applicazione della legge in relazione al nesso causale e allo svolgimento del giudizio contra fattuale, nonché il difetto di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza e grado della colpa. Il vizio di mancanza di motivazione. Il Collegio ritiene fondate le censure mosse dal ricorrente e coglie l’occasione per ripercorrere i consolidati orientamenti giurisprudenziali in tema di motivazione della sentenza. Il vizio di mancanza della motivazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p. sussiste laddove le argomentazioni addotte dal giudice siano prive di completezza in relazione alle specifiche doglianze formulate con i motivi d’appello, caratterizzati dal canto loro dalla decisività ai fini della soluzione giuridica. Per quanto riguarda la valutazione del nesso di causalità, i Giudici ricordano come la funzione strumentale e probatoria del sapere scientifico a cui deve eventualmente attingere il giudice, impone a quest’ultimo una valutazione dialettica delle specifiche opinioni degli esperti in modo da ponderare la scelta ancorandosi a concreti elementi scientifici. Nel caso di specie, il provvedimento impugnato non applica correttamente i principi summenzionati in quanto i periti non avevano indicato una sicura riconducibilità del fatto all’operato dell’imputato. Per questi motivi, la Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 28 aprile – 20 settembre 2016, n. 39032 Presidente D’Isa – Relatore Izzo ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 1/4/2014 il Tribunale di Ravenna condannava L.A. per il delitto di lesioni colpose aggravate in danno di G.L. . All’imputato era stato addebitato che, in qualità di medico presso la casa di cura –omissis , avendo sottoposto il G. a procedura terapeutica di chiusura percutanea di forame ovale pervio in sede cardiaca, con l’utilizzo di un occlusore, per negligenza e imperizia aveva omesso sia di sincerarsi dell’assenza di aria all’atto del posizionamento del dispositivo di occlusione, sia di verificare la presenza di un reflusso spontaneo di sangue proveniente dall’atrio sinistro indice di assenza di aria e di coaguli, e quindi non aveva impedito un accidentale accesso di bolle d’aria all’interno delle cavità cardiache che causava un importante fenomeno di embolia gassosa nel distretto arterioso cerebrale ed in quello coronarico, in tal modo cagionando un grave danno anossico repentinamente degenerato in lesione cerebrale che determinava nel paziente un quadro di grave ed irreversibile compromissione neuropsicologica includente aspetti cognitivi e comportamentali che ne limitava completamente e definitivamente l’autonomia acc. in –omissis . Il giudice di primo grado riconosciuta sulla base dell’istruttoria svolta la sussistenza del nesso causale tra condotta colposa dell’imputato e l’evento, in assenza di ipotesi causali alternative, condannava il L. alla pena di legge ed al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili. 2. Con sentenza del 6/10/2015 la Corte di Appello di Bologna confermava la pronuncia di condanna. Osservava la Corte, dopo aver ripercorso analiticamente tutta la vicenda del ricovero e dell’operazione del G. , che l’evento dannoso doveva essere attribuito alla condotta colposa del L. che non aveva correttamente debullato il complesso dispositivo inserito nei due atri del paziente, così da determinare un’embolia gassosa sia a livello coronarico che cerebrale. In particolare la debullazione consiste nel garantire attraverso appropriate manovre che all’interno del dispositivo non sia presente aria, per escludere che bolle possano entrare in circolo. La corte distrettuale osservava che una corretta debullazione è in grado di eliminare il rischio di embolia gassose al 99% e nel restante 1% l’aria scatenante l’embolia è conseguente a cause esterne movimenti o atti del paziente da escludere nel caso di specie non risultava accertato e documentato un solo caso concreto di adeguata debullazione che non avesse consentito di eliminare e non vedere l’aria presente nei dispositivi necessari per l’operazione lo specifico dispositivo che era stato utilizzato non aveva mai cagionato un problema simile di aria non eliminata e non visibile dopo adeguata debullazione le operazioni di debullazione, nella loro completezza, erano state eseguite e verificate dal solo imputato, che aveva iniziato l’intervento operando ininterrottamente per circa sette ore nessuno aveva verificato la correttezza dell’intera operazione di debullazione, comprensiva delle modalità di tenuta del catetere durante l’inserimento del dispositivo occlusore nel catetere il dispositivo device utilizzato era più piccolo degli altri usati e quindi più difficile da controllare visivamente, anche per la sua particolare conformazione nella debullazione del catetere non era stata usata la siringa per l’aspirazione dell’aria non risulta utilizzato l’apposito dispositivo per il controllo elettronico della presenza o meno di aria nei dispositivi, affidandosi solo alla percezione visiva la quantità d’aria che aveva scatenato l’embolia era tale da essere incompatibile con una adeguata debullazione già in precedenza ai dottori L. e C. era accaduto, durante un’operazione simile, un caso di embolia gassosa, la cui causa non era provato essere stata a loro non addebitabile e non piuttosto che ad una malpractice . Ne desumeva la corte di appello che non solo certamente sussisteva il nesso causale tra l’operazione, così come posta in essere dal dott. L. , e l’evento, ma sussisteva anche l’elemento soggettivo colposo, poiché, considerato il coefficiente di probabilità e valutati gli elementi oggettivi del caso concreto, doveva escludersi qualsiasi credibile e logica ipotesi alternativa all’errore medico, sicché esso era attribuibile all’operatore al di là di ogni ragionevole dubbio. 3. Avverso la sentenza hanno proposto due separati ricorsi per cassazione i difensori dell’imputato, che in questa sede vengono riassunti unitariamente, lamentando 3.1. la erronea applicazione della legge in relazione al riconosciuto nesso causale. Invero dall’istruttoria svolta era emerso che anche una corretta debullazione non azzerava il rischio di complicanze, sia per residui embolici presenti nel dispositivo, che per fattori esterni. L’errore di fondo della sentenza era stato quello di considerare la presenza di una complicanza necessariamente frutto di un errore umano. Sul punto inaccettabilmente la corte di merito aveva svilito il contributo scientifico offerto dal C.T. Cr.Al. , che aveva indicato la possibilità del 7% di embolie gassose non riconducibili ad errore medico. La sentenza non si era confrontata adeguatamente neanche con le conclusioni dei periti d’ufficio e del C.T. del P.M. I primi avevano esplicitamente affermato che una complicanza, anche in caso di corretta debullazione, sebbene rara, poteva sempre accadere in ogni caso erano state rispettate le linee guida e non erano in grado di indicare quali manovre avrebbero potuto evitare l’evento. Il C.T. del P.M. prof. P. aveva riferito che l’embolia era più da riconnettersi all’utilizzo di un nuovo dispositivo che all’errore medico. Inoltre erroneamente il giudice di merito aveva ritenuto non sufficiente la visione del defluire del sangue dal dispositivo per ritenere l’assenza di aria nel condotto, essendo necessario anche l’utilizzo di una siringa per aspirarne eventuali altri residui. Infatti nel caso concreto la siringa non era utilizzabile, perché il L. aveva fatto uso di un nuovo dispositivo Device Premere 25 mm che a differenza degli altri era già precaricato ed incapsulato e quindi non richiedeva manovre aggiuntive per la eliminazione dell’aria l’unica utile era la percezione visiva del deflusso del sangue. Né la mancata indicazione in cartella clinica delle modalità di debullazione poteva indurre qualche sospetto della sua omissione, trattandosi di una manovra ordinaria e banale che molti medici sono soliti non annotare. 3.2. La erronea applicazione di legge nello svolgimento del giudizio controfattuale. È da premettere che i periti non hanno potuto identificare il momento in cui l’aria era entrata in circolo se all’atto dell’accesso del catetere guida, se al momento della connessione del dispositivo di occlusione, se per fatti fisiologici es. colpo di tosse . A questo punto il giudice di merito aveva affidato il giudizio controfattuale, circa la condotta positiva o negativa che avrebbe evitato l’evento, ad un mero ragionamento apodittico. Infatti gli stessi periti avevano come già detto affermato l’impossibilità di stabilire quali manovre effettuate o non effettuate avrebbero potuto evitare l’evento . Pertanto laddove il giudice aveva affermato in contrario che il giudizio controfattuale aveva avuto un esito positivo, aveva eluso le conclusioni che il sapere scientifico dei periti gli aveva affidato. 3.3. Errata applicazione della legge in relazione e difetto di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della colpa. Invero la corte di merito non aveva speso parole in relazione all’elemento soggettivo del reato, nella sostanza sovrapponendo gli esiti dall’accertamento del nesso causale su quello soggettivo in sintesi poiché l’evento è dovuto all’errata debullazione, in re ipsa sussiste la colpa. Senza volgere alcun ragionamento sulla prevedibilità e soprattutto evitabilità dell’evento e sulla possibilità dell’imputato di incidere sul decorso causale degli eventi. 3.4. L’inosservanza di legge ed il difetto di motivazione in tema di grado della colpa. Premesso che il L. aveva rispettato le linee guida, la corte di merito non aveva valutato la possibilità di ritenere lieve il grado della colpa, così da escludere la tipicità del fatto. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono fondati e la sentenza deve essere annullata con rinvio. 2. Vanno premessi alcuni cenni sulla giurisprudenza di questa Corte di legittimità in tema di motivazione della sentenza. In primo luogo va ribadito che sussiste il vizio di mancanza di motivazione, ex art. 606, comma primo, lett. e , cod. proc. pen., quando le argomentazioni addotte dal giudice a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputato siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività cfr. Sez. 5, Sentenza n. 2916 del 22/01/2014, Rv. 257967 Sez. 2, Sentenza n. 10758 del 13/03/2015, Rv. 263129 Sez. 6, Sentenza n. 35918 del 16/09/2009, Rv. 244763 . In secondo luogo, in ordine alla valutazione della sussistenza del nesso di causalità, quando la ricerca della legge di copertura deve attingere al sapere scientifico, la funzione strumentale e probatoria di quest’ultimo impone al giudice di valutare dialetticamente le specifiche opinioni degli esperti e di ponderare la scelta ricostruttiva della causalità ancorandola ai concreti elementi scientifici raccolti cfr. Sez. 4, Sentenza n. 38991 del 04/11/2010, Rv. 248853 . 3. Nel caso in esame la sentenza di appello non ha fatto buon governo di tali principi, laddove sul punto relativo al nesso causale ha affermato la sua sussistenza, superando senza adeguata motivazione le perplesse conclusioni dei periti d’ufficio e senza rispondere alle specifiche censure in tema avanzate dalla difesa dell’imputato nei motivi di appello. All’esito dell’espletamento del loro incarico i periti dott.ri R. R. e T. G., dopo avere ricostruito le fasi dell’intervento operato sul G. , hanno concluso che le gravi lesioni patite erano state dovute ad un’embolia gassosa, conseguente ad aria entrata attraverso il catetere od il device dalla descrizione dell’intervento non si desumevano manovre od azioni che potevano aver favorito l’evento tale complicanza, sebbene rara era prevedibile come frutto di accadimenti accidentali colpo di tosse, tachicardia, inspiro forzato, ecc. . Hanno concluso i periti di non essere in grado di indicare quali manovre effettuate o non effettuate avrebbero potuto evitare l’evento. In sostanza i periti, come rimarcato nei motivi di appello dalla difesa dell’imputato, non avevano indicato una sicura riconducibilità del fatto all’operatore, né avevano formulato alcun giudizio controfattuale. A fronte di ciò la Corte distrettuale è giunta alla conferma della pronuncia di condanna sulla base del seguente ragionamento poiché le ipotesi di produzione accidentale di emboli era statisticamente scarsa, l’immissione di aria in circolo doveva necessariamente essere frutto di un errore dell’operatore Considerazione questa contraddittoria rispetto affermazione dei periti che non si ravvisano manovre o azioni che possano aver favorito l’evento . In tale prospettiva il giudice di merito avrebbe dovuto approfondire la tematica relativa alla possibilità d’uso di una siringa per aspirare eventuale aria dal device circostanza questa contestata dalla difesa , accertando la omissione dell’utilizzo di tale presidio. Avrebbe dovuto, inoltre, approfondire la circostanza della presenza in clinica di una strumentazione elettronica in grado di rilevare l’aria nel catetere, superando il mero controllo ottico. Dell’utilizzo o meno di tale strumento non vi è cenno nella relazione peritale, tanto vero che non viene indicato quale colpevole omissione nel capo di imputazione. Dalla motivazione della sentenza non si rileva con certezza se tale strumento sia stato o meno utilizzato, in modo tale da poter formulare un addebito di colposa omissione ed anzi la sentenza è contraddittoria sul punto lasciando intendere il suo utilizzo, richiamando le parole del dott. C. pg. 15 ed invece il suo mancato utilizzo in altra parte della motivazione pg. 23 e seg. . 4. Carenza di motivazione si rileva anche il relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa. Infatti a fronte dei dubbi non sciolti relativi al nesso causale e quindi su una condotta omissiva contraria alle leges artis , la Corte di merito non avrebbe dovuto formulare apoditticamente un sicuro giudizio di evitabilità dell’evento. Inoltre graficamente mancante è la motivazione sulla possibilità di configurare una colpa lieve con conseguente difetto di tipicità del fatto agli effetti penali ai sensi dell’art. 3 della legge 189 del 2012 c.d. legge Balduzzi . Si impone per quanto detto l’annullamento con rinvio della sentenza per nuovo giudizio. P.Q.M. La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Bologna per nuovo esame, cui rimette anche il regolamentazione delle spese sostenute dalle parti.