Caratteristica della petulanza necessaria per la sussistenza del reato di molestie telefoniche

Il reato di cui all’art. 81 e 660 c.p. punisce chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con il mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno molestie o disturbo. Ma nel caso in questione non è stato rinvenuto nel comportamento dell’imputata alcun fine di petulanza, né tantomeno un biasimevole motivo.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 38675/16, depositata in cancelleria il 16 settembre. Il caso. Il Tribunale di Messina condannava l’imputata alla pena di 300 euro di ammenda ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile, per il reato di cui all’art. 81 e 660 c.p., per aver ripetutamente recato molestie alla persona offesa con telefonate insistenti. In particolare, il Tribunale rilevava che l’imputata aveva telefonato più volte alla persona offesa ma, non ricevendo alcuna risposta, aveva continuato utilizzando il cellulare di un’altra persona. Le telefonate in questione devono situarsi in un contesto conflittuale tra il fratello dell’imputata e la parte offesa circa l’affido della nipote, minore, dell’imputata stessa. Avverso dunque la decisione ha proposto ricorso per cassazione la stessa. Motivazione contraddittoria. L’imputata osserva che la motivazione è contraddittoria. La stessa parte offesa, infatti, aveva ammesso di non aver risposto al telefono non per un personale fastidio ma per il rifiuto della minore di conversare. Il fatto stesso che l’imputata telefonava per avere notizie della nipote di tre anni escludeva petulanza o biasimevole motivo, anche in considerazione dei diritti in capo ai parenti del minore in caso di separazione personale applicabile anche ai genitori non coniugati . Sotto l’aspetto dell’elemento soggettivo del reato, non aveva inoltre considerato che la persona offesa aveva dichiarato di aver presentato la querela solo perché accusata di essere lei ad impedire alla bambina di parlare al telefono, laddove invece era quest’ultima che si rifiutava di parlare. Reato di molestie telefoniche. Per la Suprema Corte il ricorso è fondato. Il reato contestato punisce chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con il mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno molestie o disturbo. Ai fini della sussistenza del reato è necessario che il comportamento sia connotato dalla caratteristica della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone, ovvero qualsiasi altra motivazione che sia da considerare riprovevole per se stessa o in relazione alla persona molestata, e che è considerata dalla norma come avente gli stessi effetti della petulanza . Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in questione, inoltre, è sufficiente la coscienza e volontarietà della condotta che sia oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone, sicché l’elemento psicologico del reato di cui all’art. 660 c.p. sussiste anche quando l’agente esercita un suo diritto . Sul punto dell’elemento soggettivo del reato la sentenza è motivata solo in modo apparente, perché omette ogni accertamento sul dolo specifico, anzi contiene riferimenti fattuali che dovevano portare ad escluderlo. Nessun fine di petulanza. Nel caso di specie, pur nell’estrema genericità della sentenza che non specifica il numero delle telefonate, il giudice ha ammesso che le ragioni dell’imputata ad effettuare le telefonate riguardavano la possibilità di parlare con la nipote, ma ha considerato integrato il reato avendo di mira gli effetti che dalle chiamate erano rifluiti nella sfera della persona offesa. E tale ragionamento non rispecchia il contenuto della norma che è incentrato sulla molestia dell’atto e non sulla percezione che di esso ha il destinatario. Cosicché, una volta riconosciuto che le telefonate, contenute in un breve lasso di tempo, vertevano su questioni non futili, è illogico definirle petulanti e fonti di disturbo, come se fosse giustificabile il comportamento del genitore che, pur in contesti conflittuali, rifiuti ogni contatto della figlia con i membri della famiglia del convivente. Dunque, nel comportamento dell’imputata non è evidenziabile un fine di petulanza, né tantomeno un biasimevole motivo. La Corte annulla pertanto senza rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 6 luglio – 16 settembre 2016, n. 38675 Presidente Tomassi – Relatore Novik Rilevato in fatto 1. Con sentenza emessa il 26 febbraio 2015, il Tribunale di Messina condannava G.C. alla pena di euro 300 di ammenda ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile, liquidate in euro 500 oltre spese, per il reato di cui agli artt. 81 e 660 cod. pen., perché, in esecuzione del medesimo disegno criminoso ed anche in tempi diversi, per petulanza o altro biasimevole motivo, utilizzando le utenze telefoniche n. 338-4062601 a lei intestata e 389-2752168 intestata a D.M. G., telefonando ripetutamente sull'utenza cellulare n. 339-1712758, in uso a R. P., recava molestia o disturbo a quest'ultima reato commesso in M. M. il 3/8/2011. 2. In particolare, in base alle dichiarazioni della persona offesa, riscontrate dai tabulati telefonici e dalle dichiarazioni testimoniali, il tribunale riteneva provato che l'imputata aveva telefonato più volte alla parte offesa con il proprio cellulare e, verificata l'impossibilità di contattarla, aveva utilizzato il cellulare del D.M Come è spiegato in altra parte della sentenza relativa alla madre dell'imputata, parimenti condannata per fatti analoghi e non impugnante, le telefonate si situavano in un contesto conflittuale esistente tra il fratello della prevenuta, C. G., e la parte offesa circa l'affido della minore A., nipote dell'imputata. Assume il tribunale che C. era consapevole del fastidio che le telefonate arrecavano alla R., avendo quest'ultima informato da tempo l'imputata -e la di lei madre che A. non intendeva parlare con lei. Cosicché le telefonate dovevano essere considerate moleste e realizzavano il reato contestato. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputata, a mezzo del difensore di fiducia, che con un primo motivo eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del reato. In particolare, osserva la motivazione era contraddittoria la stessa parte offesa aveva ammesso di non aver risposto al telefono non per un personale fastidio ma per il rifiuto di A. a conversare diversamente da come riportato in sentenza C. non era stata avvisata di astenersi dal telefonare l'unico riferimento a tale divieto era riferito ad una presunta missiva inviata dall'avvocato della parte offesa a C. G. in cui gli si chiedeva di dire alla mamma ed alla sorella di cercare di evitare di disturbare dai tabulati telefonici emergeva una sola telefonata della C. con il proprio telefono ed un'altra chiamata con il cellulare del D.M., cui R. aveva risposto. Nel frattempo la parte offesa aveva colloquiato telefonicamente con altri soggetti. Il fatto stesso che l'imputata telefonava per avere notizie della nipotina di tre anni escludeva petulanza o biasimevole motivo, anche in considerazione dei diritti in capo ai parenti dei minore in caso di separazione personale applicabile anche ai genitori non coniugati . Erroneamente il giudice di primo grado aveva ritenuto genuine ed attendibili le dichiarazioni della parte offesa, senza tenere conto dei contrasti in corso tra le famiglie. Sotto l'aspetto dell'elemento soggettivo dei reato, non aveva considerato che la R. aveva dichiarato di aver presentato la querela solo perché era accusata dì essere lei ad impedire alla piccola di parlare al telefono, laddove era A. che non desiderava parlare. Con il secondo motivo la ricorrente deduce vizio di motivazione per aver il giudice di primo grado, nel motivare sulla deposizione resa dal teste C. G., omesso di valutare che aveva dichiarato che la piccola aveva il desiderio di sentire noi ed era molto contenta quando riusciva a parlare con i parenti. Allo stesso modo, il tribunale aveva omesso di motivare sulla deposizione resa dal teste D.M. che aveva riferito che la C. gli aveva chiesto il telefono per parlare con la nipotina. Con il terzo motivo contesta la liquidazione dei danni e delle spese sostenute dalle parti civili. Considerato in diritto 1. II ricorso è fondato. II reato contestato punisce chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con il mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo. Ai fini della sussistenza dei reato è necessario che il comportamento sia connotato dalla caratteristica della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone, o per altro biasimevole motivo , ovvero qualsiasi altra motivazione che sia da considerare riprovevole per se stessa o in relazione alla persona molestata, e che è considerata dalla norma come avente gli stessi effetti della petulanza v. Cass., Sez. 1, 7.1.1994 n. 3494, Benevento . 1.1. Ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo dei reato in questione, inoltre, è sufficiente la coscienza e volontarietà della condotta che sia oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone, sicché l'elemento psicologico dei reato di cui all'art. 660 c.p. sussiste anche quando l'agente esercita o ritiene di esercitare un suo diritto, quando il di lui comportamento nei confronti del soggetto passivo si estrinsechi in forme tali da arrecargli molestia o disturbo, con specifico intento di ottenere, eventualmente per vie diverse da quelle legali, il soddisfacimento delle proprie pretese in tal senso, v., fra le altre, Cass., Sez. 1, 3.2.1992 n. 2314, Gerlini . La fattispecie richiede sotto il profilo soggettivo la volontà della condotta e la sua direzione verso il fine specifico di interferire inopportunamente nell'altrui sfera di libertà Sez. 1, 1.10.1991, n. 11755 rv 188987 . 1.2. Sul punto dell'elemento soggettivo dei reato, la sentenza è motivata solo in modo apparente, perché omette ogni accertamento sul dolo specifico, anzi contiene riferimenti fattuali che dovevano portare ad escluderlo. 1.3. Nella specie, infatti, pur nell'estrema genericità della sentenza che non specifica il numero delle telefonate -per quelle in partenza dal telefono dell'imputata si allude soltanto all'impossibilità di contattare la R. secondo il difensore il telefono della R. era occupato perché impegnata in altre conversazioni il giudice ha ammesso che le ragioni dell'imputata a effettuare le telefonate riguardavano la possibilità di parlare con la nipote, ma ha considerato integrato il reato avendo di mira gli effetti che dalle chiamate erano rifluiti nella sfera della persona offesa che aveva fatto presente che lo scopo delle chiamate . fosse in effetti irrealizzabile per l'opposizione della minore . Tale ragionamento non rispecchia il contenuto della norma che è incentrato sulla molestia dell'atto e non sulla percezione che di esso ha il destinatario. 2. Cosicchè, una volta riconosciuto che le telefonate, contenute e limitate in uno strettissimo arco temporale un solo giorno , vertevano su questioni non futili è illogico definirle petulanti e fonti di disturbo, come se fosse giustificabile ìl comportamento dei genitore che, pur in contesti conflittuali, rifiuti ogni contatto della figlia con i membri della famiglia dei convivente. Per vero, nella giurisprudenza di questa Corte è stato a volte affermato che tale reato non è necessariamente abituale e può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo e di molestia Sez. 6, 23.11.2010, n. 43439, rv 248982 Sez. 1, 8.7.2010, n. 29933, rv 247960 Sez. 1, 16.3.2010 n. 11514 purché particolarmente sintomatica la stessa dei requisiti della fattispecie tipizzata. 2.1. Detta opinione, tuttavia, deve essere attentamente valutata e calata nella concreta vicenda al fine di inferire con criteri ancorati a dati oggettivi il carattere molesto o petulante della telefonata. In questo senso è stata ritenuta molesta anche una sola telefonata perché effettuata alle ore 23, ritenuta notturna, con il futile pretesto della richiesta di restituzione di una tuta Cass., Sez. 1, 22/04/2004, n. 23521 ovvero, dopo la mezzanotte, perché, nella specie, si è ritenuto che l'ora della telefonata dimostrava sia l'obiettiva molesta intrusione in ore riservate al riposo, sia l'evidente intenzione dell'imputato di molestare la moglie, e non già di vedere ii bambino, come difensivamente opinato, che a quell'ora avrebbe dovuto dormire Cass., Sez. 1, 12/11/2009, n. 36 . 2.2. Nei richiamati precedenti l'unicità della telefonata è stata criticamente valutata, ai fini di verificare, in concreto, la ricorrenza dei requisiti di legge per la sussistenza della contravvenzione. Di qui la rilevanza data all'ora dell'unica telefonata, eccezionalmente ritenuta petulante, ed ai motivi di essa. 3. A questa stregua, nel comportamento posto in essere dalla ricorrente non è evidenziabile un fine di petulanza, né tantomeno un biasimevole motivo. Non pertinente in proposito è la sentenza invocata dal tribunale, limitata ad una massima non ufficiale, atteso che i fatti ivi giudicati erano relativi a molestie continuate attuate per biasimevole motivo dal marito separato che non si rassegnava alla separazione ed intendeva rendere difficile la vita all'ex coniuge. Consegue l'annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste. Ogni ulteriore motivo è assorbito. P.Q.M. Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata nei confronti di C. Giovanna, perché il fatto non sussiste.