Arresti domiciliari: l’autorizzazione a recarsi al lavoro non è un diritto

L’autorizzazione allo svolgimento di un’attività lavorativa richiesta da un soggetto sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, può essere concessa solo laddove il giudice fornisca un’adeguata argomentazione in relazione alla compatibilità dell’attività con le esigenze cautelari rilevanti nel caso di specie.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 38077/16 depositata il 13 settembre. Il caso. La procura della Repubblica ricorre per la cassazione del provvedimento con cui il Tribunale di Catania accoglieva la richiesta di un indagato, sottoposto ad arresti domiciliari per una serie di ipotesi di reato, consentendogli lo svolgimento di attività lavorativa quale bracciante agricolo per un’azienda che aveva dimostrato la propria disponibilità in tal senso. Il ricorrente lamenta vizio di legge e motivazionale in relazione alle ritenute condizioni di assoluta indigenza dell’indagato e alla compatibilità dell’attività lavorativa autorizzata della durata di dieci ore giornaliere con il mantenimento della misura cautelare. Autorizzazione al lavoro e esigenze cautelari. Lo doglianza così prospettata viene condivisa dai Giudici di legittimità che sottolineano come la giurisprudenza escluda che la concessione dell’autorizzazione al recarsi al lavoro configuri un diritto del detenuto agli arresti domiciliari. La valutazione che deve essere compiuta dal giudice di merito, deve infatti improntarsi a criteri di particolare rigore, tenendo in considerazione la natura dell’attività rispetto alle esigenze cautelari poste a base della misura coercitiva. Nel caso di specie, la motivazione fornita dal provvedimento impugnato risulta carente in punto di compatibilità del termine giornaliero di autorizzazione al lavoro esterno con le esigenze cautelari da soddisfare, oltre a quanto attiene alla soddisfazione delle esigenze cautelari connesse alla personalità dell’indagato già condannato per evasione e avente altri carichi pendenti per reati della stessa specie di quelli per cui si procede . Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e annulla il provvedimento impugnato con rinvio al giudice competente per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 12 maggio – 13 settembre 2016, n. 38077 Presidente Romis – Relatore Bellini Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Catania in sede di appello cautelare con ordinanza in data 9.3.2016 in accoglimento della richiesta dell’indagato P.F. , sottoposto alla misura degli arresti domiciliari in relazione a ipotesi di detenzione ai fini della cessione di sostanza stupefacente, di ricettazione di un autoveicolo e di violazione delle prescrizioni relative alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, era ammesso a svolgere attività lavorativa quale bracciante agricolo per azienda che aveva dichiarato la disponibilità ad assumerlo, sul presupposto della ricorrenza di uno stato di indigenza e della compatibilità della esecuzione della misura con la salvaguardia delle esigenze cautelari prospettate nella ordinanza dispositiva. 2. Avverso tale provvedimento proponeva ricorso per cassazione la procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltagirone per violazione di legge e vizio motivazionale assumendo che il giudice territoriale non aveva adeguatamente motivato la ricorrenza del presupposto indicato dall’articolo 284 cod.proc.pen. per riconoscere la facoltà del detenuto a svolgere attività lavorativa fuori dal luogo di esecuzione della misura e cioè la condizione di assoluta indigenza e nessuna motivazione ricorreva sulla compatibilità dell’attività lavorativa autorizzata, pari a dieci ore al giorno per sei giorni, con la idoneità a mantenere i vincoli e i controlli funzionali a garantire il soddisfacimento delle esigenze cautelari inoltre veniva ritenuto del tutto illogica la motivazione dell’ordinanza in ordine alla riconosciuta valutazione positiva sulla personalità dell’indagato e sul fatto che non ricorressero precedenti penali particolarmente significativi, laddove al contrario un precedente per evasione, un altro per il reato di ricettazione e una serie di carichi pendenti per riciclaggio, ricettazione, detenzione di sostanza stupefacenti e plurime violazioni alla disciplina sulla misura di sicurezza connotavano di antidoverosità e pericolosità sociale la personalità del prevenuto e, soprattutto, di mancanza di rispetto alle cautele agli obblighi imposti in sede di prevenzione, così da rendere ingiustificata e inopportuna la facoltà concessa. Considerato in diritto 1. Ricorre il vizio dedotto dal procuratore della repubblica ricorrente in relazione al secondo motivo di doglianza afferente la ritenuta compatibilità della misura cautelare degli arresti domiciliari con autorizzazione al lavoro esterno per la durata di dieci ore giornaliere con un’ora per la pausa pranzo - con le concrete possibilità di vigilanza sulla misura e dell’osservanza delle prescrizioni imposte, con particolare riferimento alla esclusione di fattori impeditivi desumibili dalla natura del reato e dalla personalità dell’indagato. 2. Invero la costante giurisprudenza del S.C. esclude che la concessione dell’autorizzazione a recarsi al lavoro si configuri come un diritto del detenuto agli arresti domiciliari sez. I, 1.12.2006 Cherchi, Rv.23341 , tanto da consentire attività lavorative tali da snaturare il regime cautelare disposto con la conseguenza che la valutazione da compiere deve essere improntata a criteri di particolare rigore, tenendo conto della attività lavorativa proposta rispetto alle esigenze cautelari poste a base della misura coercitiva sez. II, 17.2.2015, Prago, Rv. 263237 25.2.2008 Presta, Rv. 239316, in relazione alla durata giornaliera del lavoro esterno autorizzato, tale da vanificare la possibilità di controlli . 3. Orbene sul punto il provvedimento impugnato risulta gravemente lacunoso in quanto omette di entrare nel merito della compatibilità del termine giornaliero di autorizzazione al lavoro esterno del P. con le esigenze cautelari da soddisfare, questione peraltro che richiedeva una puntuale verifica imposta non solo dalla disciplina generale in materia di arresti domiciliari articolo 284 co. IV cod.proc.pen. , ma altresì dalla specifica previsione del lavoro esterno, la cui autorizzazione può essere concessa per il tempo strettamente necessario per provvedere alle suddette esigenze ovvero per esercitare una attività lavorativa. 4. Il provvedimento impugnato peraltro si appalesa oltre modo carente nella parte in cui afferma che l’autorizzazione al lavoro non contrasta con la salvaguardia di esigenze cautelari connesse alla personalità dell’indagato e alla natura del reato per cui in atto vi è misura dovendo a tal proposito osservarsi che il P. non annovera precedenti penali particolarmente significativi, tali da farne discendere un pericolo elevato per la collettività, si da rendere recessiva l’esigenza per lo stesso di provvedere ai bisogni primari suoi e del suo nucleo familiare . Invero a carico del P. ricorre un precedente penale per il reato di evasione e carichi pendenti per fatti della stessa specie per quelli per cui si procede, essendo stato questi condannato per il reato di riciclaggio e tuttora indagato per fatti di droga, nonché per violazioni alla misura di sicurezza della sorveglianza speciale cui tuttora risulta sottoposto e sotto la cui vigenza ha commesso i reati per cui risulta indagato, così da rendere insufficiente e gravemente incoerente la valutazione operata dal giudice del riesame sulla trascurabile incidenza del vissuto criminale del P. sul riconoscimento dell’autorizzazione al lavoro esterno, concesso per di più per un ampio arco della giornata oltre 11 ore tale da svuotare il contenuto coercitivo della misura degli arresti domiciliari e da rendere meno agevoli i controlli di P.G Sul punto la ordinanza del tribunale di Catania merita annullamento con trasmissione degli atti al giudice dell’appello cautelare, per nuovo esame sul punto. 6. Non ritiene invece che la stessa ordinanza debba essere annullata in punto a ricorrenza di una condizione di assoluta indigenza la quale pur dovendo esser verificata con rigore sez. II, 12.2.2015 Bosco, Rv 262775 non può spingersi fino a pretendere una sorta di prova legale dello stato di assoluta indigenza del nucleo familiare dell’indagato, laddove il ricorrente ha fornito la dimostrazione, mediante la allegazione di documentazione reddituale, fiscale e modello Isee 2015, di essere compreso in nucleo familiare composto da una compagna e da un figlio minorenne con reddito pressoché nullo, tale pertanto da giustificare la ricorrenza dei presupposti dello assoluto stato di indigenza di cui all’articolo 284 III comma cod.proc.pen P.Q.M. Annulla la impugnata ordinanza e rinvia per nuovo esame, con integrale trasmissione degli atti, al Tribunale di Catania sezione per il riesame delle misure coercitive .