Sanzione non inferiore a due anni di reclusione: revoca dell’indulto?

In tema di indulto, il giudice dell’esecuzione – nel caso di reati uniti dal vincolo della continuazione, alcuni dei quali siano stati commessi entro il termine fissato per la fruizione del beneficio ed altri successivamente – deve determinare il quantum di pena attribuibile ai reati che risultano commessi oltre il termine temporale fissato dall’art. 1 della l. n. 241/2006, verificando, in tal modo, se per taluno di questi sia stata o meno irrogata una sanzione non inferiore a due anni di reclusione, comportante, per effetto della medesima disposizione, la revoca di diritto del beneficio.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 38025/16, depositata il 13 settembre. Il caso. La Corte d’appello di Napoli revocava il beneficio dell’indulto in favore dell’imputato. A sostegno della pronuncia il giudice dell’esecuzione rilevava che l’interessato era stato condannato, con sentenza della Corte d’appello di Napoli, passata in giudicato, ad una pena non inferiore a 2 anni per delitto non colposo commesso nel quinquennio successivo all’entrata in vigore della disciplina di favore, in modo che ricorreva nella fattispecie l’ipotesi di revoca del beneficio di cui al terzo comma dell’art. 1 della l. n. 241/2006. Ricorre per cassazione l’imputato lamentando che la condanna ritenuta giustificativa della revoca fa riferimento a reati ritenuti in continuazione, in modo che, in applicazione dei principi di diritto affermati dalle Sez. Unite con la sentenza n. 21501/2009, l’entità sanzionatoria giustificativa del beneficio deve essere riferita soltanto alle condotte commesse dopo l’entrata in vigore della disciplina di condono. Revoca dell’indulto. Il ricorso è per il Collegio fondato. In tema di revoca dell’indulto, infatti, per i reati giudicati in continuazione, alcuni dei quali commessi nel termine utile per godere del beneficio ed altri oltre esso, la pena rilevante ai fini della revoca di cui al terzo comma dell’art. 1 della l. n. 241/2006, va individuata con riferimento all’aumento di pena sanzionatorio inflitto per ciascuno di essi. Nel caso di specie, la sentenza richiamata dalla Corte distrettuale per giustificare il provvedimento impugnato fa esplicito riferimento alla disciplina in materia di continuazione e, con essa, risulta riconosciuto il relativo vincolo anche con riferimento a precedenti sentenze di condanna in modo che si imponeva al giudice adito la determinazione dell’entità della pena riferibile ai reati commessi successivamente all’entrata in vigore della normativa di favore. Reati uniti dal vincolo della continuazione. La Corte, nell’annullare l’ordinanza impugnata, afferma il principio di diritto secondo cui in tema di indulto, il giudice dell’esecuzione – nel caso di reati uniti dal vincolo della continuazione, alcuni dei quali siano stati commessi entro il termine fissato per la fruizione del beneficio ed altri successivamente – deve determinare, ove il giudice della cognizione non lo abbia specificato, il quantum di pena attribuibile ai reati che risultano commessi oltre il termine temporale fissato dall’art. 1 della l. n. 241/2006, verificando, in tal modo, se per taluno di questi sia stata o meno irrogata una sanzione non inferiore a due anni di reclusione, comportante, per effetto della medesima disposizione, la revoca di diritto del beneficio . La Suprema Corte annulla pertanto l’ordinanza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Napoli.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 25 maggio - 13 settembre 2016, n. 38025 Presidente Vecchio – Relatore Bonito Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. La Corte di appello di Napoli, giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 23 febbraio 2015 revocava il beneficio dell’indulto applicato, ai sensi dell’art. 1 l. 241/2006, in favore di R.S. con le sentenze deliberate dalla Corte di appello di Potenza il 22 luglio 2010 e dal Tribunale di Palermo il 6 maggio 2010. A sostegno della decisione il giudice dell’esecuzione rilevava che l’interessato, con sentenza della Corte di appello di Napoli del 19 gennaio 2011, passata in giudicato il giorno 11 ottobre 2012, era stato condannato ad una pena non inferiore ad anni due per delitto non colposo commesso nel quinquennio successivo all’entrata in vigore della disciplina di favore, di guisa che ricorreva nella fattispecie l’ipotesi di revoca del beneficio di cui al terzo comma dell’art. 1 L. 241/2006 citato. 2. Impugna tale ordinanza il R. , assistito dal difensore di fiducia, il quale nel suo interesse sviluppa un unico motivo di impugnazione, denunciandone la illegittimità per violazione degli artt. 81 c.p. ed 1 co. 3 l. 241/2006, in particolare osservando che, nel caso in esame, la condanna ritenuta giustificativa della revoca fa riferimento a reati ritenuti in continuazione, di guisa che, in applicazione dei principi di diritto affermati da SS.UU., sent. n. 21501/2009, la entità sanzionatoria giustificativa del beneficio deve essere riferita soltanto alle condotte commesse dopo l’entrata in vigore della disciplina di condono, se del caso con valutazione rimessa al G.E. in ordine alla specificazione delle pene inflitte per i reati satellite. Concludeva quindi il difensore rilevando che per i fatti successivi al quinquennio di garanzia imposto dalla disciplina sul condono il R. aveva subito una condanna pari ad un anno e dieci mesi di reclusione ed Euro 5000,00 di multa, compatibile con il mantenimento del beneficio per questo illegittimamente revocato. 3. Il ricorso è fondato e va pertanto accolto. L’insegnamento opportunamente richiamato dalla difesa istante è nel senso che, in tema di revoca dell’indulto, in ipotesi di reati giudicati in continuazione, alcuni dei quali commessi nel termine utile per godere del beneficio ed altri oltre esso, la pena rilevante ai fini della revoca di cui al terzo comma dell’art. 1 L. 241/2006 va individuata, in relazione ai reati satellite, con riferimento all’aumento di pena sanzionatorio inflitto per ciascuno di essi ai sensi dell’art. 81 c.p. Cass. SS.UU., 23.4.2009, n. 21501, rv. 243380, Astone . Nel caso in esame la sentenza richiamata dalla corte distrettuale per giustificare il provvedimento impugnato fa esplicito riferimento alla disciplina in materia di continuazione e con essa, inoltre, risulta riconosciuto il relativo vincolo anche con riferimento a precedenti sentenze di condanna, di guisa che si imponeva al giudice adito con incidente di esecuzione, ai fini della verifica circa la sussistenza di cause giustificative della revoca poi disposta, la determinazione della entità della pena riferibile ai reati commessi successivamente all’entrata in vigore della normativa di favore e la collegata delibazione quanto al superamento del limite sanzionatorio biennale previsto dalla legge ai fini detti. Giacché omessa siffatta valutazione, si impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al giudice dell’esecuzione affinché provveda nel senso appena precisato, applicando il seguente principio di diritto in tema di indulto, il giudice dell’esecuzione - nel caso di reati uniti dal vincolo della continuazione, alcuni dei quali siano stati commessi entro il termine fissato per la fruizione del beneficio ed altri successivamente - deve determinare, ove il giudice della cognizione non lo abbia specificato, il quantum di pena attribuibile ai reati che risultano commessi oltre il termine temporale fissato dall’art. 1 della legge n. 241 del 2006, verificando, in tal modo, se per taluno di questi sia stata o meno irrogata una sanzione non inferiore a due anni di reclusione, comportante, per effetto della medesima disposizione, la revoca di diritto del beneficio si veda Cass., Sez. 1, n. 3986 del 28/11/2013, Rv. 259139 . P.T.M. la Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Napoli.