Niente lavoro e poco tempo per trovare un’altra occupazione: illegittima la revoca dei domiciliari

I giudici della Cassazione smentiscono il Tribunale del riesame. Plausibili le giustificazioni addotte dall’uomo, a cui in prima battuta era stata concessa la detenzione domiciliare.

Niente occupazione lavorativa. E nessun piano di recupero né col Sert né col Centro di salute mentale. Eppure è illegittima la revoca della detenzione domiciliare concessa in un primo momento al detenuto. Così si è espressa la Cassazione con la sentenza n. 37619/16, depositata il 9 settembre. Domiciliari. Nel giro di neanche tre mesi il Tribunale di sorveglianza smentisce sé stesso. A fine gennaio vengono concessi gli arresti domiciliari , ai primi di aprile quella misura viene cancellata. Per spiegare questa decisione i giudici pongono in evidenza la condotta del detenuto. Gli era stata data possibilità di allontanarsi da casa ma solo per lavorare in un’azienda agricola e per seguire dei piani di recupero al Sert e al Centro di salute mentale, e invece l’uomo non solo non ha mai lavorato ma non ha neanche frequentato le due strutture che avrebbero dovuto favorirne il reinserimento sociale. Queste ragioni, però, non sono ritenute sufficienti dai magistrati della Cassazione a giustificare il ritorno in carcere. Soprattutto per una ragione il detenuto ha giustificato il mancato espletamento dell’attività lavorativa spiegando che l’azienda che avrebbe dovuto assumerlo si era all’improvviso tirata indietro. E materialmente, ha aggiunto l’uomo, non vi è stato il tempo per trovare subito un’altra occupazione. Per quanto riguarda, poi, Sert e Centro di salute mentale, nessun progetto ad hoc era stato predisposto, ha sottolineato il legale, anche perché la prima struttura non aveva ritenuto utile fornire un programma di recupero e dalla seconda era arrivata la comunicazione che il detenuto non aveva la necessità di svolgere alcun programma piano terapeutico . Tutto ciò spinge i magistrati della Cassazione a ritenere non giustificata la revoca della detenzione domiciliare .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 4 luglio – 9 settembre 2016, n. 37619 Presidente Cortese – Relatore Talerico Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 9 aprile 2015 il Tribunale di sorveglianza di Bari, disponeva la revoca della misura alternativa della detenzione domiciliare concessa in favore di S. G. con provvedimento del medesimo Tribunale in data 27.1.2015. A ragione, rilevava che con l'ordinanza che aveva concesso allo S. la detenzione domiciliare erano state imposte al condannato specifiche prescrizioni e cioè quelle di svolgere attività lavorativa e di frequentare il Ser. T. e il C.S.M. che la verifica a pochi mesi dall'inizio dell'esecuzione di detta misura aveva consentito di accertare che risultavano del tutto inadempiute dette prescrizioni aggiungeva che, nonostante la difesa avesse documentato che la ditta Re Agricola s.r.l. non aveva potuto assumere lo S., costui avrebbe dovuto attivarsi per trovare altra opportunità lavorativa e che, pur non avendo il Ser.T. formulato un vero e proprio programma di recupero non ravvisandone la necessità, tuttavia si era reso disponibile a effettuare incontri periodici con lo S., il quale, però, non aveva ritenuto di aderire a tale opportunità specificava, inoltre, che non risultava alcuna adesione da parte dello S. alla prescrizione di frequentare il C.S.M., non essendo rilevante la circostanza addotta secondo cui il predetto era stato ricoverato in un contesto psichiatrico e dimesso senza che gli venisse imposto di seguire una terapia. Riteneva, quindi, che la condotta posta in essere dal condannato costituiva grave violazione dei vincoli e delle prescrizioni della misura concessa e denotava la non partecipazione dello S. al percorso rieducativo intrapreso con la misura alternativa. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il condannato per il tramite dei suo difensore di fiducia, avvocata I. S Il ricorrente ha sostenuto che il provvedimento impugnato è affetto da evidente violazione di legge, travisamento della prova, errore nell'interpretazione della legge e soprattutto illogicità manifesta . In proposito, ha sostenuto, innanzitutto, che la motivazione dell'ordinanza è inficiata da illogicità laddove conferisce valore di prescrizione alle autorizzazioni concesse allo S. in relazione alla possibilità di allontanarsi dal proprio domicilio per svolgere il programma terapeutico presso il Ser.T. e presso il C.S.M. nonché per espletare attività lavorativa presso l'azienda Re Agricola s.r.l. ha evidenziato che era stato documentato che la predetta ditta, nonostante la precedente dichiarazione di disponibilità, non aveva assunto lo S. alle sue dipendenze, sicché era impossibile per il condannato trovare altra opportunità lavorativa in regime di detenzione domiciliare in brevissimo tempo che il Ser.T. non aveva ritenuto utile formulare un programma di recupero per lo S., tanto che aveva inviato comunicazione al Tribunale di sorveglianza con cui chiedeva le modalità 3 da seguire per il supporto allo S. che nessun rimprovero poteva essere rivolto allo S. riguardo alla frequenza del C.S.M. in quanto gli esperti del settore non avevano ritenuto che il predetto avesse necessità di svolgere alcun programma terapeutico. 3. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale di questa Corte, d.ssa M. di Nardo, ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della cassa delle ammende. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento. Il percorso motivazionale dell'ordinanza impugnata che ritiene che lo S. abbia violato le prescrizioni che gli erano state imposte con il provvedimento concessivo della misura alternativa delle detenzione domiciliare non appare congruo con il tenore del citato provvedimento laddove il Tribunale di sorveglianza, nell'ammettere il condannato al beneficio in parola, aveva stabilito che il predetto può allontanarsi [n.d.r. dal domicilio] soltanto - pena le sanzioni previste dall'art. 385 codice penale - per svolgere il programma terapeutico presso il Ser.T. e quello presso il Centro di Salute Mentale territorialmente competente in giorni e orari da comunicarsi all'U.E.P.E. di Foggia e alla P.S. di Manfredonia all'atto di sottoposizione alla detenzione domiciliare, nonché per espletare attività lavorativa presso l'Azienda Re Agricola s.r.l. [ .] nei giorni e orari previamente comunicati all'U.E.P.E. e alla P.S. suddetti . Più che vere e proprie prescrizioni , il Tribunale di sorveglianza aveva concesso al condannato specifiche autorizzazioni per allontanarsi dal proprio domicilio al fine di svolgere attività lavorativa e di frequentare il Ser.T. e il C.S.M Inoltre, lo stesso condannato aveva giustificato sia il mancato espletamento dell'attività lavorativa presso la ditta che in precedenza si era resa disponibile ad assumerlo, sia la mancata frequenza del Ser.T. e del C.S.M. di dette giustificazioni la stessa ordinanza ha dato atto reputandole veritiere sotto il profilo fattuale, salvo, poi, ritenere lo S. responsabile di non essersi attivato per trovare altra opportunità lavorativa e di non avere aderito alla disponibilità del Ser.T. - che non aveva ravvisato la necessità di formulare un programma terapeutico - per incontri a fini preventivi. E però, così motivando l'ordinanza impugnata ha sostanzialmente sanzionato comportamenti che non erano stati imposti al condannato dall'ordinanza dei Tribunale di sorveglianza concessiva della detenzione domiciliare. Si impone, pertanto, l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata mandando alla Cancelleria per l'adempimento di cui all'art. 107, comma 2, DPR 30.6.2000, n. 230.