Acque reflue prodotte da un centro di emodialisi: qualificate industriali e non domestiche

La rilevanza penale dell'illecito in materia di scarichi presuppone che lo scarico abbia ad oggetto acque reflue industriali, per cui la natura del refluo scaricato costituisce il criterio di discrimine tra tutela punitiva di tipo amministrativo e quella strettamente penale. Ai fini della tutela penale dall'inquinamento idrico, nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività commerciali e produttive, in quanto detti reflui non attengano prevalentemente al metabolismo umano ed alle attività domestiche di cui alla nozione di acque reflue domestiche.

Così ha stabilito la Suprema Corte con la pronuncia n. 35850/16, depositata il 31 agosto. Il caso. Il Tribunale di Nocera Inferiore dichiarava l’imputata, in qualità di rappresentante legale di un Centro di Emodialisi sito in Sarno, responsabile del reato di cui all'art. 137, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006, perché consentiva lo scarico di acque reflue industriali derivanti da postazioni di dialisi e, concesse le attenuanti generiche, la condannava alla pena di una certa somma a titolo di ammenda. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’imputata chiedendo l’assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Deduce poi che, in base alla normativa regionale vigente all’epoca dei fatti, i reflui provenienti dal Centro sopra citato, non erano assimilabili a reflui industriali né per categoria né per attività, difettando la menzione dei Centri di Emodialisi nell'elenco delle attività i cui scarichi venivano definiti industriali . Con un secondo motivo chiede !'assoluzione ex art. 530, comma 2, c.p.p., non essendo emersa la prova che il Centro di Emodialisi scaricasse appunto reflui di tipo industriale. Illecito in materia di scarichi. Secondo il Supremo Collegio, il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La rilevanza penale dell'illecito in materia di scarichi presuppone che lo scarico abbia ad oggetto acque reflue industriali, per cui la natura del refluo scaricato costituisce il criterio di discrimine tra tutela punitiva di tipo amministrativo e quella strettamente penale. Ai fini della tutela penale dall'inquinamento idrico nella nozione di acque reflue industriali, ex art. 74, comma 1, lett. h, del d.lgs. n. 152/2006, rientrano tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività commerciali e produttive, in quanto detti reflui non attengano prevalentemente al metabolismo umano ed alle attività domestiche di cui alla nozione di acque reflue domestiche. Per determinare, quindi, le acque che derivano dalle attività produttive occorre procedere al contrario, vale a dire escludere le acque ricollegabili al metabolismo umano e provenienti dalla realtà domestica . Criterio distintivo tra insediamenti civili e insediamenti produttivi. Secondo la costante giurisprudenza della Corte, infatti, il criterio distintivo tra insediamenti civili e insediamenti produttivi deve essere ricercato in concreto sulla base dell'assimilabilità o meno dei rispettivi scarichi, per quantità e qualità dei reflui, a quelli provenienti da insediamenti abitativi. Deve, dunque, ribadirsi quanto segue la definizione di acque reflue domestiche, contenuta nel d.lgs. n. 152/2006, quali acque provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche, è tale da non ricomprendere, ai sensi dei successivo art. 101, comma 7, le acque reflue non aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche . Nel caso in esame, le acque reflue prodotte da un centro di emodialisi, quindi, in quanto provenienti da una attività che ha ad oggetto l'effettuazione di prestazioni terapeutiche, sono caratterizzate dalla presenza di sostanze estranee sia al metabolismo umano che alle attività domestiche. Dunque, non possono essere qualificate come acque reflue domestiche ma vanno qualificate come acque reflue industriali. Responsabilità penale dell’imputata. II Giudice di merito, pertanto, avendo accertato che l'imputata, nella qualità di legale rappresentante del Centro di Emodialisi sito in Sarno, ha effettuato scarichi senza autorizzazione dei relativi reflui nella raccolta delle acque piovane, ne ha correttamente affermato la penale responsabilità. Va citata poi la delibera della Giunta Regionale Campania n. 1350 del 6 agosto 2008, richiamata dalla ricorrente a fondamento dei motivo proposto quale normativa regionale vigente al momento dei fatti, chiarendo che la suddetta non menziona affatto tra gli scarichi assimilabili alle acque reflue domestiche i centri di emodialisi e, quindi, non assume alcun rilievo ai sensi dell'art. 101, comma 7, lett. e, del d.P.R. n. 152/2006 . Anche il secondo motivo di ricorso non può essere accolto. L'impugnazione proposta come appello, riqualificata dalla Corte territoriale come ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 568, comma 5, c.p.p., in base al principio di conservazione degli atti, determina unicamente l'automatico trasferimento del procedimento dinanzi al giudice competente in ordine alla impugnazione, secondo le norme processuali, e non comporta una deroga alle regole proprie dei giudizio di impugnazione correttamente qualificato, ciò comportando che l'atto convertito deve avere i requisiti di sostanza e forma stabiliti ai fini della impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta . Nel caso in esame, il motivo proposto è diverso da quelli consentiti dalla legge, e x art. 606, comma 3, c.p.p La Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 maggio – 31 agosto 2016, numero 35850 Presidente Rosi Relatore Di Stasi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza dei 16.10.2014, il Tribunale di Nocera Inferiore dichiarava T.F., nella qualità di legate rappresentante dei Centro di Emodialisi sito in Sarno responsabile dei reato di cui all'art. 137 comma 1 dei d.lgs 152/2006 perché effettuava o comunque consentiva lo scarico di acque reflue industriali derivanti da postazioni di dialisi fatti accertati in Sarno il 15.7.2010 e, concesse le attenuanti generiche, la condannava alla pena di euro 1000,00 di ammenda. 2. Avverso tale sentenza ha proposto appello T.F., a mezzo dei difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito enunciati Con un primo motivo chiede l'assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, deducendo che, in base alla normativa regionale vigente all'epoca dei fatti, i reflui provenienti dal Centro di Emodialisi non erano assimilabili a reflui industriali né per categoria né per attività, difettando la menzione dei Centri di Emodialisi nell'elenco delle attività i cui scarichi venivano definitì industriali. Con un secondo motivo chiede !'assoluzione ex art. 530 comma 2 cod.proc.penumero non essendo emersa la prova che il Centro di Emodialisi scaricasse reflui di tipo industriale. Con ordinanza emessa dalla Corte d'appello di Salerno in data 15.5.2015, depositata in, pari data, previa qualificazione dell'appello come ricorso per cassazione è stata disposta la trasmissione degli atti a questa Corte, trattandosi di sentenza di condanna alla sola pena dell'ammenda. Considerato in diritto 1.II primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La rilevanza penale dell'illecito in materia di scarichi presuppone che lo scarico abbia ad oggetto acque reflue industriali, per cui la natura del refluo scaricato costituisce il criterio di discrimine tra tutela punitiva di tipo amministrativo e quella strettamente penale. Ai fini della tutela penale dall'inquinamento idrico nella nozione di acque reflue industriali ex art. 74, comma 1, lett. h, dei d.Lgs. 3 aprile 2006 numero 152 come modificato dal d.Lgs. 16 gennaio 2008, numero 4 rientrano tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività commerciali e produttive, in quanto detti reflui non attengano prevalentemente al metabolismo umano ed alle attività domestiche di cui alla nozione di acque reflue domestiche, come definite dall'art. 74, comma 1, lett. g . Per determinare, quindi, le acque che derivano dalle attività produttive occorre procedere a contrario, vale a dire escludere le acque ricollegabili al metabolismo umano e provenienti dalla realtà domestica cfr. sez. 3, 27 novembre 2003, dep. 20 gennaio 2004 numero 978 conformi sez. 3, 1 luglio 2004 numero 35870, sez. 3, 24 ottobre 2002 numero 42932, sez. 3 numero 1774/2000 . Le attività produttive, inoltre, non necessitano per essere tali di un vero e proprio stabilimento l'insediamento può essere effettuato anche in un edificio che non abbia complessivamente destinazione industriale. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, il criterio distintivo tra insediamenti civili e insediamenti produttivi deve essere ricercato in concreto sulla base dell'assimilabilità o meno dei rispettivi scarichi, per quantità e qualità dei reflui, a quelli provenienti da insediamenti abitativi. Tale principio, già espresso più volte nella vigenza della L. numero 319 dei 1976, è stato ribadito anche nella vigenza delle successive discipline ex plurimis, sez. 3, 6 dicembre 2011, numero 45341 sez. 3 numero 2340 del 2013 sez. 3, 13 maggio 2014, numero 24330, la quale contiene una disamìna della giurisprudenza sul punto . Deve, dunque, ribadirsi quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la definizione di acque reflue domestiche, contenuta nel d.lgs. numero 152 dei 2006, quali acque provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche, è tale da non ricomprendere ai sensi dei successivo art. 101, comma 7, lett. e le acque reflue non aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche ex plurimis, sez. 3, 15 dicembre 2010, numero 2313, Rv. 249532 sez. 3, 18 giugno 2009, numero 35137, Rv. 244587 . Pertanto, nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche e non sono costituiti da acque meteoriche di dilavamento ex multis, sez. 3, 7 luglio 2011, numero 36982 . Le acque reflue prodotte da un centro di emodialisi, quindi, in quanto provenienti da una attività che ha ad oggetto l'effettuazione di prestazioni terapeutiche emodialisi è una terapia fisica sostitutiva della funzionalità renale somministrata a soggetti nei quali essa è criticamente ridotta e si attua mediante l'utilizzo di un impianto attraverso il quale il sangue dei soggetto dializzato viene estratto dal paziente, filtrato ponendolo a contatto con il liquido di dialisi attraverso l'interposizione di una membrana di dialisi a livello della quale si determina lo scambio di soluti tra i fluidi sangue e liquido di dialisi e, quindi, reinfuso il liquido di dialisi contiene soluti ma anche sostanze microinquinanti provenienti dall'acqua utilizzata dagli apparecchi di dialisi, dai concentrati e, in particolari condizioni sfavorevoli, dalle stesse attrezzature di dialisi , sono caratterizzate dalla presenza di sostanze estranee sia al metabolismo umano che alle attività domestiche non possono, quindi, essere qualificate come acque reflue domestiche ma vanno qualificate come acque reflue industriali. Giova ricordare, poi, che, sebbene con riferimento alla materia dei rifiuti sanitari, questa Corte ha ritenuto che le acque di emodialisi rientrano nella nozione di rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo di cui al d.P.R. 15 luglio 2003, numero 254, in quanto la presenza di sangue nelle stesse è da sola sufficiente a farle rientrare nella predetta categoria Sez.3,numero 22021 dei 13/04/2010,Rv.247604 . Va rimarcato, infine, la delibera Giunta Regionale Campania numero 1350 del 6 agosto 2008, richiamata dalla ricorrente a fondamento dei motivo proposto quale normativa regionale vigente al momento dei fatti, non menziona affatto tra gli scarichi assimilabili alle acque reflue domestiche i centri di emodialisi e, quindi, non assume alcun rilievo ai sensi dell'art. 101 comma 7 lett. e dei d.P.R. numero 152/2006, che, comunque, prevede l'applicabilità della normativa regionale purchè le acque indicate come assimilate alle acque reflue domestiche abbiano caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche. II Giudice di merito, pertanto, avendo accertato che l'imputata, nella qualità di legale rappresentante del Centro di Emodialisi sito in Sarno, ha effettuato scarichi senza autorizzazione dei relativi reflui nella raccolta delle acque piovane, ne ha correttamente affermato la penale responsabilità, in applicazione dell'art. 74, comma 1, nel combinato disposto delle lett. g e h in relazione all'art. 101, comma 7 lett. e del d.lgs numero 152/2006, trattandosi di acque reflue industriali per cui è configurabile la contravvenzione di cui all'art. 137, comma 1,D.Lgs. numero 152 del 2006. 2. II secondo motivo di ricorso è inammissibile. Va ricordato che l'impugnazione proposta come appello, riqualificata dalla Corte territoriale come ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 568 comma 5, cod. proc. penumero in base al principio di conservazione degli atti, determina unicamente l'automatico trasferimento del procedimento dinanzi al giudice competente in ordine alla impugnazione secondo le norme processuali e non comporta una deroga alle regole proprie dei giudizio di impugnazione correttamente qualificato, ciò comportando che l'atto convertito deve avere i requisiti di sostanza e forma stabiliti ai fini della impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta ex multis Sez. 1, numero 2846 dei 08/04/1999 dep. 09/07/1999, Annibaldi R, Rv. 213835 . Nel caso in esame, il motivo proposto è diverso da quelli consentiti dalla legge ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen, atteso che, come si desume dal tenore dell'originario gravame, esso attiene a censure di merito, riguardanti, da un lato la rivalutazione del compendio probatorio e dall'altro la ricostruzione in fatto della vicenda, ambiti che esulano dal sindacato di legittimità. 3.Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità dei ricorso. 4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. numero 186 del 13.6.2000 , alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese dei procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. 5. L'inammissibilità dei ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivo proposto non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod proc. penumero , ivi compresa la prescrizione Sez. U. dei 25.3.2016 numero 12602 Sez.2, numero 28848 del 08/05/2013, Rv.256463 Sez. U, numero 23428 dei 22/03/2005, Rv.231164 Sez. 4 numero 18641, 22 aprile 2004 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.