Revoca del lavoro di pubblica utilità: bisogna tener conto dell’attività già svolta

L’inosservanza degli obblighi inerenti il lavoro di pubblica utilità può comportarne la revoca, ma l’adozione di tale provvedimento impone al giudice, quanto agli effetti della revoca stessa, di tener conto del periodo di lavoro espletato sino al momento della commessa trasgressione e, previa effettuazione del ragguaglio dei giorni di lavoro non prestato con la pena detentiva sostituita secondo i criteri di cui al d.lgs. n. 274/2000, art. 58, di scomputarlo dalla restante pena ancora da eseguire nelle forme ordinarie.

Così ha deciso la Suprema Corte con la sentenza n. 32416/16, depositata il 26 luglio. Il caso. Il gip del Tribunale di Roma disponeva, nei confronti del condannato, la revoca della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità e il ripristino della pena sostituita di 2 mesi e 20 giorni di arresto. A fondamento della decisione rilevava che il condannato non aveva tenuto un comportamento corretto nello svolgimento del lavoro di pubblica utilità. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione l’interessato. Ammissione al lavoro di pubblica utilità. Deve essere sicuramente accolto il motivo riguardante il vizio di violazione di legge in riferimento al disposto dell’art. 187 d.lgs. n. 285/92, comma 8-bis, in relazione all’ammissione al lavoro di pubblica utilità ed al ripristino dell’intera pena sostitutiva, come determinata nella sentenza di condanna. Il ricorso pone la questione dell’individuazione degli effetti derivanti dall’interruzione del lavoro di pubblica utilità, quale pena sostitutiva applicata al condannato ai sensi dell’art. 187, imponendo di verificare se operi in via retroattiva, senza assegnare alcuna rilevanza al periodo di lavoro già svolto, oppure se bisogna tenerne conto mediante lo scomputo della pena residua ancora da eseguire. Nel caso in esame, il giudice di merito ha ripristinato la sanzione originaria, rilevando che l’entità delle violazioni commesse era tale da dimostrare la non meritevolezza del beneficio da parte del condannato e da comportare l’applicazione degli effetti previsti dall’art. 186, comma 9-bis ultima parte del C.d.s Equiparazione tra pena sostituita e pena sostitutiva. A riguardo, va citata la sentenza n. 2/2008 della Corte Costituzionale che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 157 c.p., quanto al regime di prescrizione applicabile ai reati di competenza del giudice di pace che siano puniti con la pena della detenzione domiciliare o del lavoro di pubblica utilità . Si è osservato, infatti, che si tratta di sanzioni applicabili in alternativa ad arresto ed ammenda in base ad un meccanismo di conversione stabilito preventivamente dal legislatore il quale ha sancito una equiparazione tra pena sostituita e pena sostitutiva. Il principio di diritto. Anche per favorire la finalità rieducativa del reo, la Corte ha dunque affermato il seguente principio l’inosservanza degli obblighi inerenti il lavoro di pubblica utilità può comportarne la revoca, ma l’adozione di tale provvedimento impone al giudice, quanto agli effetti della revoca stessa, di tener conto del periodo di lavoro espletato sino al momento della commessa trasgressione e, previa effettuazione del ragguaglio dei giorni di lavoro non prestato con la pena detentiva sostituita secondo i criteri di cui al d.lgs. n. 274 del 2000, art. 58, di scomputarlo dalla restante pena ancora da eseguire nelle forme ordinarie . La Corte annulla pertanto l’ordinanza impugnata limitatamente agli effetti della revoca.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 31 marzo – 26 luglio 2016, n. 32416 Presidente Bonito – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1.Con ordinanza in data 13 gennaio 2015 il G.i.p. del Tribunale di Roma disponeva nei confronti del condannato B.M. la revoca della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità e il ripristino della pena sostituita di mesi due e giorni venti di arresto ed Euro 1.100 di ammenda, applicata con sentenza del 20 marzo 2012 irrevocabile il 4 giugno 2013. 1.1 A fondamento della decisione rilevava che il condannato non aveva tenuto un comportamento corretto nello svolgimento del lavoro di pubblica utilità per essersi presentato in ritardo, avere dato prova di assoluta intemperanza ed avere interrotto il programma per fatto non addebitabile alle problematiche di salute, indicative della sua volontà di sottrarsi alla regolare esecuzione del programma di lavoro. 2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso l’interessato a mezzo del difensore, il quale ne ha chiesto l’annullamento per a violazione e/o erronea applicazione dell’art. 187, comma 8-bis, del D.Lgs. n. 285/1992 per avere il giudice dell’esecuzione disatteso la norma di riferimento ed avere disposto il ripristino della pena sostituita omettendo di considerare anche il periodo di svolgimento della prestazione, che vale a tutti gli effetti quale pena detentiva. Poiché il legislatore ha già sanzionato penalmente ai sensi dell’art. 56 dello stesso testo normativo la condotta di chi non presti o interrompa il lavoro di pubblica utilità, la disposta revoca con effetti retroattivi verrebbe a punire due volte lo stesso comportamento, mentre, secondo quanto affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità, il trasgressore dovrà essere punito ai sensi dell’art. 56 ma avrà diritto di ottenere il riconoscimento del pregresso periodo di lavoro di pubblica utilità con scomputo delle giornate già svolte dalla pena sostituita. b Omissione o illogicità della motivazione in ordine alla revoca dell’ammissione al lavoro di pubblica utilità il giudice dell’esecuzione non ha verificato l’effettiva gravità della violazione commessa e ha ritenuto che al ricorrente fosse stata accordata la possibilità di riprendere il programma presso altra associazione, circostanza non veritiera e non confermata dall’ordinanza del 26/5/2014, mentre se tale opportunità fosse stata accordata certamente sarebbe stata coltivata. 3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, dr. Sante Spinaci, ha chiesto annullarsi con rinvio l’ordinanza impugnata quanto alla disposta revoca del beneficio perché non adeguatamente motivata. Considerato in diritto Il ricorso è parzialmente fondato e va accolto per quanto in seguito specificato. 1.L’ordinanza impugnata con motivazione chiara, lineare, logicamente articolata ha giustificato la decisione assunta di revoca del beneficio dell’ammissione al lavoro di pubblica utilità in ragione della condotta tenuta dal condannato durante l’esecuzione, che ha stigmatizzato come inottemperante all’obbligo del rispetto della puntualità e della disciplina per avere, nello specifico episodio occorso il OMISSIS , assunto un atteggiamento ingiurioso nei confronti degli operatori e del responsabile dell’associazione che gli aveva consentito di espletare l’attività, per avere interrotto il lavoro e danneggiato alcuni cartelloni esplicativi collocati all’ingresso della struttura. Ha quindi apprezzato la gravità dei comportamenti tenuti dal B. , per i quali ha escluso che le sue condizioni di salute e la necessità di non esporsi ai raggi solari approntassero una valida giustificazione che fosse riferibile a tutte le violazioni accertate e la già concessa possibilità di riprendere l’attività lavorativa in precedenza interrotta per problemi di salute presso altra associazione individuata dal difensore del ricorrente da tali premesse ha dedotto che il sistematico ritardo nell’inizio dell’attività, le frasi ingiuriose ed il danneggiamento dei cartelli nello specifico e finale episodio preso in esame come occorso il OMISSIS non si pongono in alcun modo in relazione causale con tali problematiche, ma denotano piuttosto insofferenza per il programma di lavoro che egli ha deciso di interrompere con determinazione unilaterale ed ingiustificata. 1.1 Deve dunque escludersi che nel percorso argomentativo così riassunto siano ravvisabili vizi motivazionali per carenza o manifesta illogicità, dal momento che la decisione rispetta puntualmente le emergenze probatorie, non smentite da contrarie evidenze, mentre il ricorso pretende al riguardo da questa Corte una differente e più favorevole considerazione della gravità delle condotte sicuramente accertate, operazione cognitiva preclusa al giudice di legittimità, perché rimessa al solo giudice di merito e comunque affidata a deduzioni che, se raffrontate al chiaro percorso esplicativo del provvedimento in esame, non hanno alcuna consistenza confutativa. Inoltre, il giudice dell’esecuzione si è attenuto scrupolosamente alle previsioni del parametro normativo di riferimento, ossia all’art. 187 c.d.s., secondo il quale la revoca della misura non è automatica, ma è disposta in base alla valutazione dei motivi, dell’entità e delle circostanze della violazione accertata e va rapportata alle prescrizioni contenute nella convenzione con l’istituzione datrice di lavoro ed alle disposizioni impartite per lo svolgimento dell’attività, che concorrono a definire il contenuto dell’obbligo assunto dal condannato. Che poi non sia stata considerata la possibilità di completare il periodo prescritto presso altra associazione discende quale logica conseguenza dal giudizio, logicamente argomentato e congruo, di immeritevolezza del condannato della prosecuzione dell’esperimento lavorativo. 2. Merita, invece, accoglimento la censura che segnala il vizio di violazione di legge in riferimento al disposto dell’art. 187 D.Lgs. n. 285/92, comma 8-bis, in relazione alla ammissione al lavoro di pubblica utilità ed al ripristino dell’intera pena sostituita, come determinata nella sentenza di condanna. 2.1 Il ricorso pone la questione in punto di diritto dell’individuazione degli effetti derivanti dall’interruzione del lavoro di pubblica utilità, quale pena sostituiva applicata al condannato ai sensi dell’art. 187 citato e del conseguente provvedimento di revoca, imponendo di verificare se operi in via retroattiva senza assegnare alcuna rilevanza al periodo di lavoro già svolto, oppure se debba tenersene conto mediante lo scomputo dalla pena residua ancora da eseguire, previo ragguaglio. Nel caso in esame il giudice di merito ha ripristinato la sanzione originaria, rilevando che l’entità delle violazioni commesse era tale da dimostrare la non meritevolezza del beneficio da parte del condannato e da comportare l’applicazione degli effetti previsti dall’art. 186, comma 9-bis ultima parte del c.d.s 2.2 Rileva il Collegio che la norma di riferimento è costituita in primo luogo dall’art. 187, comma 8-bis, il quale, analogamente alla previsione dell’art. 186 comma 9-bis dello stesso testo di legge, stabilisce che in caso di violazione degli obblighi connessi al lavoro di pubblica utilità il giudice che procede o il giudice dell’esecuzione dispone la revoca della pena sostitutiva con ripristino di quella sostituita e della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida e della confisca . Di per sé la disposizione nel suo testuale tenore prescrittivo e nell’interpretazione letterale per l’uso del verbo ripristinare pare significare l’eliminazione per il futuro della pena sostitutiva e l’applicazione di quella originariamente inflitta e sostituita con il lavoro di pubblica utilità, senza testualmente disporre alcunché per il caso in cui tale misura punitiva abbia trovato attuazione concreta sino alla violazione delle relative prescrizioni e quindi nemmeno disciplinare positivamente gli effetti prodotti dalla revoca disposta. La tematica è discussa in dottrina, che si è divisa tra le due soluzioni possibili. 2.2.1 Ritiene questa Corte che debba seguirsi l’opinione che afferma la non retroattività della revoca. In primo luogo, entrambi gli artt. 186 e 187 del codice della strada operano il richiamo esplicito, in quanto compatibile, all’istituto del lavoro di pubblica utilità come disciplinato dal D. Lgs. n. 274 del 2000, che regola il procedimento davanti al giudice di pace e prevede il pannello di sanzioni irrogabili per i reati attribuiti alla sua competenza viene in rilievo in particolare il disposto dell’art. 58, secondo il quale ad ogni effetto giuridico l’obbligo di permanenza domiciliare ed il lavoro di pubblica utilità si considerano come pene detentive della specie corrispondente a quella della pena originaria. Già di per sé la norma nel suo tenore testuale indirizza a ritenere che, se l’attività imposta sia stata svolta regolarmente nei termini prescritti per un lasso temporale apprezzabile, quel periodo debba considerarsi quale espiazione di pena equiparata alla detenzione e non possa essere posto nel nulla come mai avvenuto con la riviviscenza della sanzione originaria. Utili indicazioni esegetiche al riguardo sono rinvenibili nella sentenza n. 2 del 2008 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 157 cod. pen, quinto comma, come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost. quanto al regime di prescrizione applicabile ai reati di competenza del giudice di pace che siano puniti con la pena della detenzione domiciliare o del lavoro di pubblica utilità si è osservato trattarsi di sanzioni applicabili in alternativa ad arresto ed ammenda in base ad un meccanismo di conversione preventivamente ed astrattamente stabilito dal legislatore, il quale, in base alla testuale previsione dell’art. 58, comma 1, D.Lgs. n. 274 del 2000, ha sancito una equiparazione tra pena sostituita e pena sostitutiva che è destinata ad operare anche per istituti di carattere sostanziale che non riguardano la fase applicativa della sanzione, come nel caso che si debba stabilire se per un reato di competenza del giudice di pace sia ammesso o non il ricorso all’oblazione . Si è dunque affermato che la disposizione scrutinata laddove stabilisce che, per ogni effetto giuridico , le pene dell’obbligo di permanenza domiciliare e del lavoro socialmente utile si considerano detentive della specie corrispondente a quella della pena originaria, è norma di natura speciale, cioè appositamente dettata per i reati di competenza del giudice di pace, sorretta da una ratio unitaria e mirata ad omologare i reati in questione, quando siano per essi previste anche le pene para-detentive , alla generalità dei reati puniti con pene detentive. Tale criterio di ragguaglio è posto senza distinzioni, per tutti i casi in cui l’applicabilità di una norma o di un istituto dipende dalla durata e dalla specie della pena . Ritiene questa Corte che tali riflessioni rafforzino l’opinione secondo la quale la limitazione della libertà personale subita da chi abbia espletato attività lavorativa nell’interesse della collettività costituisce per l’ordinamento sanzione detentiva espiata e non misura alternativa alla carcerazione secondo la disciplina dettata per gli istituti previsti dall’ordinamento penitenziario. 2.2.2 Sul piano sistematico viene poi in rilievo la disposizione dell’art. 66 della legge di depenalizzazione n. 689 del 1981 la quale stabilisce che quando sia violata solo una delle prescrizioni inerenti la semidetenzione e la libertà controllata la restante parte della pena si converte nella pena detentiva sostituita trattandosi di limitazioni della libertà personale, applicate in sostituzione di pene detentive brevi, la previsione della loro conversione per il futuro e quindi con effetti ex nunc nella sanzione originaria sostituita autorizza a ritenere che anche nel caso delle pene para-detentive , come il lavoro di pubblica utilità, quando la loro attuazione sia avvenuta in concreto almeno per un periodo successivo all’applicazione, il ripristino non operi retroattivamente. La condivisa caratteristica di sanzione applicata in sostituzione di altra e la previsione della conversione nella sanzione sostituita depongono per un’identità di effetti, almeno nel caso in cui il condannato si sia sottoposto allo svolgimento del lavoro per parte delle ore prescritte. Del resto, anche la previsione dell’art. 72 della legge n. 689/81 stabilisce che la revoca della pena sostitutiva a fronte dell’intervento di eventi più gravi della trasgressione di una singola prescrizione, ossia di una delle condanne previste dall’art. 59 o della condanna a pena detentiva per fatto di reato commesso successivamente alla sostituzione, avvenga per la parte non ancora eseguita e convertita a norma dell’art. 66 , ossia sempre con effetti da prodursi per il futuro. 2.2.3 A tali considerazioni si deve accompagnare quella ulteriore, secondo la quale lo stesso testo legislativo appronta delle conseguenze sanzionatorie in caso di violazione degli obblighi relativi al lavoro di pubblica utilità, in quanto all’art. 56 dispone che il condannato che senza giusto motivo si allontana dai luoghi in cui è obbligato a rimanere o che non si reca nel luogo in cui deve svolgere il lavoro di pubblica utilità, o che lo abbandona, è punito con la reclusione fino ad un anno , incriminando come delitto la mancata prestazione o l’abbandono del luogo di svolgimento dell’attività. Siffatte previsioni e la natura giuridica dell’istituto del lavoro di pubblica utilità quale pena, avente un contenuto afflittivo perché limitativo della libertà personale, imponendo la prestazione di attività lavorativa gratuita in condizioni e con obblighi prestabiliti da rispettare, inducono ad una lettura coordinata dell’art. 56 col disposto degli artt. 186 e 187 c.d.s., dal momento che l’irrogazione di sanzione detentiva per l’infrazione all’obbligo di prestare il lavoro che intervenga dopo un periodo di regolare esecuzione e la revoca ex tunc dell’ammissione al lavoro di pubblica utilità con l’applicazione della pena in precedenza sostituita danno luogo ad una gravosa duplicazione punitiva. In altri termini, il comportamento del condannato inadempiente che non si sia del tutto sottratto all’esecuzione dell’attività impostagli a titolo di sanzione para-detentiva, ma ne abbia violato gli obblighi dopo una prima fase esecutiva caratterizzata da svolgimento regolare, susciterebbe una duplice reazione dell’ordinamento, da un lato la sanzione penale per il reato commesso ai sensi dell’art. 56 D.Lgs. n. 274/2000 e dall’altro il prolungamento della durata della pena originaria sostituita per effetto della revoca. Per evitare tale irragionevole inasprimento punitivo, che pone nel nulla il pur corretto comportamento esecutivo tenuto, seppur temporalmente limitato, e che finirebbe per contrastare la finalità rieducativa del reo, cui anche il lavoro di pubblica utilità tende, deve affermarsi il seguente principio di diritto l’inosservanza degli obblighi inerenti il lavoro di pubblica utilità può comportarne la revoca, ma l’adozione di tale provvedimento impone al giudice, quanto agli effetti della revoca stessa, di tener conto del periodo di lavoro espletato sino al momento della commessa trasgressione e, previa effettuazione del ragguaglio dei giorni di lavoro non prestato con la pena detentiva sostituita secondo i criteri di cui al D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 58, di scomputarlo dalla restante pena ancora da eseguire nelle forme ordinarie . In tal senso si è già espressa la giurisprudenza di questa Corte con orientamento che si condivide e riafferma Cass. sez. 1, n. 42505 del 23/09/2014, Di Giannatale, rv. 260131 . Poiché il provvedimento in verifica non si è attenuto ai superiori criteri interpretativi, ma ha in via automatica disposto la revoca retroattiva della pena sostitutiva senza condurre alcuna indagine in merito ai complessivi comportamenti tenuti dal ricorrente, alla individuazione temporale delle violazioni compiute e alla loro incidenza sul periodo di esecuzione della sanzione sostitutiva, in ciò incorrendo in violazione di legge, lo stesso va annullato con rinvio al G.i.p. del Tribunale di Roma per il rinnovato esame della richiesta di revoca che dovrà svolgersi alla luce del principio di diritto sopra affermato. Nel resto il ricorso è privo di fondamento e va dunque respinto. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente agli effetti della revoca e rinvia per nuovo esame sul punto e rinvia per nuovo esame sul punto al G.i.p. del Tribunale di Roma rigetta nel resto il ricorso.