Da un anno e mezzo in Italia, ma senza rapporti lavorativi: nessun radicamento

Confermata la consegna di un cittadino tedesco alla Germania. L’uomo è stato condannato in patria a quasi quattro anni di reclusione per rapina aggravata. Nessuna possibilità di scontare nelle carceri italiane la pena. Manca la prova di un reale radicamento nella Penisola. Irrilevante il richiamo alla durata temporale della sua permanenza in Italia.

In Italia da oltre un anno e mezzo. Tempo sufficiente per mettere radici, anche solo in ambito lavorativo. Invece il cittadino straniero – un tedesco – si è limitato a richiamare la durata della sua presenza nella Penisola. E tale elemento non è sufficiente per ottenere di scontare nelle carceri italiane la condanna emessa in Germania. Cassazione, sentenza n. 31929, sezione Sesta Penale, depositata il 25 luglio 2016 Radicamento. A dare il ‘la’ alla vicenda giudiziaria è il mandato d’arresto europeo emesso da una Procura della Germania. Destinatario un cittadino tedesco condannato in patria, ad agosto 2013, a tre anni e nove mesi di reclusione per rapina aggravata , e trasferitosi in Italia da ben diciannove mesi. Obiettivo dell’uomo è scontare la pena in Italia. E questo è l’elemento centrale della posizione assunta dal suo difensore in Cassazione. Ma anche nel contesto del ‘Palazzaccio’ viene condivisa la valutazione compiuta dai Giudici d’appello. Non è sufficiente, in sostanza, trovarsi in Italia da un anno e sette mesi per parlare di radicamento reale e di residenza nella Penisola. Servono altri elementi, oltre quello temporale. Peraltro, appare evidente, secondo i magistrati, che la presenza in Italia per ben diciannove mesi avrebbe dovuto determinare l’esistenza di legami lavorativi, o di altra natura, idonei a comprovare l’apprezzabile continuità temporale della permanenza , tale da dimostrare che l’uomo aveva eletto l’Italia a sede, anche non esclusiva ma consolidata, di interessi lavorativi, familiari ed affettivi . Confermata, quindi, la consegna all’autorità giudiziaria tedesca.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 21 – 25 luglio 2016, numero 31929 Presidente Carcano – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Genova ha disposto la consegna di A.J. W. in esecuzione dei mandato di arresto europeo emesso il 4 novembre 2014 dalla Procura della Repubblica di Pforzheim. Il mandato di arresto è relativo alla esecuzione della condanna alla pena di anni tre e mesi nove di reclusione emessa a carico del ricorrente dal Tribunale di Porzheim il 5 agosto 2013, esecutiva in pari data, per il reato di rapina aggravata. 2. Propone ricorso per l'annullamento della sentenza il difensore di A.J, W. che con motivi, qui sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. penumero nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione denuncia 2.1 vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 18, lett. r legge numero 69/2005, e connesso vizio di motivazione per il mancato accoglimento della richiesta del W. di scontare la pena in Italia 2.2 analoghi vizi, con riferimento alla previsione di cui agli artt. 2, lett. b legge numero 69 cit. e 111 Cost., perché la sentenza sulla base della quale è stato emesso il mandato di arresto è priva di motivazione contenendo solo la ricostruzione dei fatto storico. Considerato in diritto 1. II ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi dedotti. 2. La Corte territoriale ha disatteso la richiesta di A.J. W. evidenziando che non era sufficiente, a comprova del radicamento in Italia, la mera allegazione di trovarsi in Italia da un anno e sette mesi, conclusione ineccepibile alla stregua delle precisazioni tracciate da questa Suprema Corte, che ha stabilito il principio secondo cui, in tema di mandato di arresto Europeo, la nozione di residenza che viene in considerazione per l'applicazione dei diversi regimi di consegna previsti dalla legge numero 69 del 2005, presuppone l'esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero nello Stato, tra i cui indici concorrenti vanno indicati la legalità della sua presenza in Italia, l'apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest'ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all'estero, la fissazione in Italia della sede principale, anche se non esclusiva, e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali da ultimo, v. Sez. 6, numero 9767, 26/02/2014, Echim, Rv. 259118 Sez. 6, numero 46494 del 20/11/2013, Chiriac, Rv. 258414 . 3. La disposizione di cui alla legge numero 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. r , stabilisce infatti, a seguito della interpretazione che ne ha dato la sentenza additiva della Corte costituzionale numero 227/2010, che la richiesta di consegna contenuta in un mandato di arresto esecutivo deve essere rifiutata laddove la stessa riguardi un cittadino italiano, o un cittadino di altro Paese membro dell'UE, residente, ovvero anche solo dimorante in Italia, nel qual caso la pena va eseguita in Italia conformemente al diritto interno del nostro Paese. Siffatta disposizione, impone tuttavia di verificare in maniera sostanziale, e non formale, l'esistenza, per il cittadino di un altro Stato membro dell'UE, dei requisiti di collegamento con il territorio del nostro Paese, nel senso di rilevare l'obiettiva presenza di uno o più indici concretamente sintomatici di un reale e non estemporaneo radicamento dell'interessato con lo Stato italiano, nel quale ha inteso stabilire la sede principale dei propri interessi affettivi ed economici, in maniera tale da assimilarne la posizione a quella del cittadino italiano. 4. Nel caso in esame la Corte genovese ha rilevato la insussistenza, al di là delle mere allegazioni del W., di elementi idonei a comprovare un effettivo radicamento del ricorrente in Italia, radicamento che, ove la presenza del W. fosse stato risalente, come egli ha sostenuto, non poteva non avere determinato la esistenza di legami lavorativi o di altra natura idonei a comprovarne l'apprezzabile continuità temporale della permanenza in Italia eletta a sede, anche non esclusiva ma consolidata di interessi lavorativi, familiari ed affettivi che giustifichino l'esecuzione della pena in Italia, piuttosto che nel Paese in cui è stato commesso il fatto. 5. Né è fondato il secondo motivo di ricorso. La giurisprudenza di legittimità, per quanto concerne il rilievo delle garanzie costituzionali sul giusto processo ex art. 2, comma 1, lett. b, legge numero 69/2005, ha circoscritto in via generale l'incidenza delle clausole di salvaguardia dei principi costituzionali nazionali, contenute nella legge attuativa, ai soli principi comuni di cui all'art. 6 TUE cfr. Sez. U., sentenza numero 4614 del 30/1.2007, Ramoci, Rv.235349 . Secondo la Corte di cassazione, infatti, in un contesto di cooperazione giudiziaria europea, sarebbe arbitrario ergere ogni previsione costituzionale interna a parametro della legalità della richiesta di consegna e, in questa prospettiva, ai fini della decisione di consegna, l'art. 2, comma 1, lett. b , della legge numero 69 del 2005 non richiede che l'ordinamento dello Stato emittente presenti le stesse garanzie attinenti al giusto processo contenute nell'ordinamento italiano essendo sufficiente, infatti, che esso rispetti i principi garantiti dalle Carte sovranazionali e in particolare dall'art. 6 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo, richiamato dall'art. 18, comma 1, lett. g , della legge numero 69 del 2005. Si è, così, pervenuti alla conclusione che non rileva, ai fini della decisione sulla consegna, il fatto che l'ordinamento dello Stato emittente presenti garanzie che possano apparire, in tesi, meno soddisfacenti di quelle dell'ordinamento italiano quanto alle specifiche norme che si ispirano ai principi di oralità e del contraddittorio, ma è necessario che esso rispetti i relativi principi garantiti dalle Carte sovranazionali, e, in particolare, dall'art. 6 della CEDU, cui si richiama l'art. 111 Cost 6. Nel caso in esame, peraltro, deve escludersi, a tenore dei dati evincibili dalla sentenza impugnata e degli atti ad essa allegati, che la sentenza emessa dall'autorità giudiziaria tedesca sia priva di motivazione ovvero ne rechi una meramente apparente, poiché in essa viene data ampia ragione del provvedimento adottato, mediante la puntuale allegazione delle evidenze fattuali a carico della persona di cui si richiede la consegna e della sussumibilità della condotta nel reato contestato, non potendo la nozione di motivazione, alla stregua delle coordinate richiamate in precedenza, essere parametrata sulla nozione ricavabile dalla tradizione giuridica italiana, che richiede l'esposizione logico-argomentativa dei significato e delle implicazioni del materiale probatorio, e, dunque, attraverso il richiamo al contenuto della sentenza di cui all'art. 546, comma 1, lett. e cod. proc. penumero . 7. All'inammissibilità dei ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare nella misura di Euro 1.000,00. La Cancelleria curerà l'espletamento degli incombenti di cui alla L. numero 69 del 2005, art. 22, comma 5. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. numero 69 dei 2005, art. 22, comma 5.