Giro di vite sull’individuazione della regola cautelare violata

In caso di accertamenti complessi va limitato il ricorso giudiziale a massime di comune esperienza, la cui applicazione non vale l’individuazione di una regola cautelare. Anche in assenza di specifiche guide lines” sulla condotta da tenere, il giudice non può esimersi dall’individuare le regole violate, pur se relative a pratiche mediche di rara applicazione. Prende conferma una giurisprudenza particolarmente garantista delle ragioni degli esercenti le professioni sanitarie.

Così la Cassazione, Quarta sez. penale, con la sentenza n. 31490/2016, depositata il 21 luglio. Un accertamento difficile. La Corte d’appello aveva condannato il medico chirurgo per omicidio colposo ex art. 589 c.p., per l’esito nefasto di una operazione di intervento maxillo facciale funzionale al ripristino della struttura ossea oculare di un paziente, che aveva condotto ad una eccessiva pressurizzazione di un vaso oculare cui aveva conseguito una sofferenza ischemica, accumulo ematico con seguente e definitivo arresto cardiocircolatorio. I giudici dell’appello avevano individuato più imperizie da parte del sanitario il mancato compimento di una TAC sul paziente - sebbene fosse un’operazione non prevista dai protocolli ospedalieri - e l’applicazione di eccessiva pressione sulla struttura parietale oculare – che per comune esperienza medica è più sottile e fragile nel paziente anziano, come nel caso, che in quello giovane -, che aveva condotto al trauma generativo del versamento ematico cerebrale. La Cassazione invocata dal ricorrente, prende posizione in ordine al procedimento per l’individuazione della regola cautelare violata, di fatto sminuendo il valore prescrittivo delle c.d. massime di comune esperienza specialistica. La Cassazione annulla senza rinvio, rilevato il decorso del tempo necessario a prescrivere, anche ai fini delle statuizioni civili. L’individuazione della regola cautelare violata, il primo passo. La Cassazione ammonisce del pericolo di valutazioni giudiziali tendenti a sopravvalutare l’ascendenza eziologica e causale della condotta comunque tenuta dal sanitario con l’evento nefasto, che finirebbe per assorbire ogni altra valutazione. Lungo l’itinerario operativo sanitario occorre individuare quanto la condotta tenuta si distanzi da una regola cautelare, il cui perimetro va specificamente calibrato, al fine di verificare se il comportamento tenuto dal sanitario vi sia contenuto o ricada nel caso fortuito, a questi non ascrivibile. L’individuazione della regola cautelare violata costituisce il primo passo, che condiziona i successivi – la verifica della colpa in senso soggettivo -. Tuttavia il procedimento valutativo è inevitabilmente circolare materialità e soggettività, insomma, tendono a sovrapporsi. Al giudice non esime, in ogni caso, di isolare le fattezze di una specifica regola cautelare. Quando la regola cautelare è elastica e difficilmente isolabile, lo sforzo giudiziale deve ricondurla a prescrizione operante illo tempore, nelle condizioni operative vigenti al tempo della condotta. Di fatto, la regola deve bagnarsi di concretezza, consentendo di isolare un comportamento da tenere conforme a diligenza e perizia. Nel caso, quale strumento fosse ed in quale modo utilizzabile dal sanitario, valutazione invece omessa dal giudicante. Di seguito, va trovato l’errore che integra un giudizio di colpevolezza del sanitario, che di quella regola non ha adeguatamente tenuto conto. Il fatto che l’evento sia avvenuto in conseguenza di un non identificato errore non risulta sufficiente a dichiarare la responsabilità dell’imputato. Le massime di comune esperienza non valgono un protocollo. Non soccorrono le massime di comune esperienza, per ciò solo sottratte al contradditorio processuale, le quali per poter incidere nella valutazione giudiziale devono essere in ogni caso elevate a regole cautelari proprie. Verificate le precarietà giudiziali d’appello sul punto, la Cassazione annulla senza rinvio, maturata la prescrizione.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 14 aprile – 21 luglio 2016, n. 31490 Presidente Blaiotta – Relatore Dovere Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Roma ha riformato unicamente il trattamento sanzionatorio determinato dal Tribunale di Roma con la pronuncia emessa nei confronti di B.E. , giudicato responsabile del decesso di C.M. , cagionato per colpa eseguendo un intervento di asportazione di tessuto osseo dalla teca cranica in vista di un successivo intervento maxillo-facciale, riducendo la pena inflitta ad un anno di reclusione e eliminando la condizione apposta alla sospensione condizionale della pena quindi confermando ogni altra statuizione ed in particolare la condanna del B. al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili. 2. La vicenda oggetto del presente giudizio propone un limitato quadro fattuale non controverso. Il omissis il C. veniva ricoverato alla clinica omissis , per un programmato intervento maxillo-facciale finalizzato a correggere gli esiti di un pregresso intervento chirurgico di asportazione d’una cisti mandibolare odontogena mediante le revisione di alcune lacune ossee residue nella sede della pregressa cisti con contestuale ricostruzione del processo alveolare edentulo tramite innesto osseo prelevato dalla teca cranica intervento cosiddetto di calvaria . L’intervento, condotto dal B. assistito dall’anestesista dr. Co. , veniva iniziato lo stesso 22 novembre 2006 alle ore 16,05 con asporto, previa incisione cutanea e scollamento del pericranio in regione parietale destra e successivo sollevamento tramite uso dello strumento denominato Pierzosurgery e di un trapano tradizionale, d’un segmento di corticale esterna della predetta teca delle dimensioni di 20 millimetri per 10. Nella fase terminale dell’intervento l’anestesista, accortosi che il paziente aveva l’occhio destro socchiuso, aveva rinnovato l’applicazione del gel per la protezione della cornea, riscontrando peraltro lo stato di miosi della pupilla alle ore 18,40, terminato l’intervento, sempre l’anestesista, nel liberare il capo del paziente dai teli sterili che delimitavano il campo operatorio, constatava lo stato di midriasi isocronica delle sue pupille per cui il C. veniva subito trasferito al reparto radiologia, ove una RMN dell’encefalo individuava la presenza d’una imponente falda ematica subdurale nell’emisfero destro. In ragione di tale emergenza veniva chiesta una valutazione neurochirurgica al prof. D. che disponeva nuovo intervento iniziato alle ore 19,00 per svuotare la raccolta ematica, all’esito del quale il paziente veniva trasferito al reparto di terapia intensiva il C. decedeva il successivo omissis . 3. Il Tribunale riteneva accertato che la causa della morte del C. fosse da rinvenire nella complicanza emorragica subdurale conseguente al predetto intervento di calvaria, avendo essa provocato danni tali da produrre una sofferenza vascolare ischemica temporo-mediale ed occipitale destra che, col passare delle ore, aveva aumentato le aree di sofferenza cerebrali sino a portare ad un fatale arresto cardio-circolatorio. L’emorragia era stata prodotta dalla lacerazione di un vaso arterioso sotto-durale che aveva poi esercitato anomala pressione sugli altri vasi facendo espandere l’ematoma , a sua volta prodotta da un fatto traumatico. Circa la specifica natura di tale fatto traumatico, il Tribunale, sulla scorta delle dichiarazioni del prof. D. , che eseguì l’intervento di urgenza, riteneva che la lacerazione potesse essere stata provocata o da un trauma per compressione trauma indiretto, ovvero un’eccessiva pressione sulla dura madre senza lacerarla o per scalfittura trauma diretto, con l’incisione anche in maniera infinitesimale della dura madre e così bucando un vaso sub-durale , concludendo che l’imputato aveva effettuato una deficitaria manovra chirurgica, mal posizionando la strumentazione e calcando e sfondando di più da un lato del tassello osseo prelevato là dove era stata individuata in sede autoptica la smussatura dell’angolo supero-interno del tassello stesso, in corrispondenza del quale vi era il predetto ematoma andando così oltre la corticale esterna ed intaccando quella interna. Il primo giudice poneva altresì a carico del B. anche la mancata effettuazione, prima dell’intervento, d’una TAC volta ad accertare lo spessore della teca cranica, accertamento che benché non espressamente previsto dai protocolli, nel caso in esame poteva essere disposto senza pregiudizio per il paziente. 4. La Corte di Appello, dal canto suo, anche sulla scorta di una perizia eseguita ex art. 603 cod. proc. pen., ha escluso che al B. potesse essere rimproverato di non aver eseguito precedentemente all’intervento una TAC e, parimenti, di aver omesso di verificare la consistenza dei danni procurati al paziente dalla eseguita manovra chirurgica ed ha limitato la condotta colposa alla imperita esecuzione dell’asportazione del tassello osseo. Ad avviso della corte distrettuale, anche ove non si ritenga raggiunta la prova d’un trauma diretto, e quindi della lacerazione corticale determinata dalle manovre chirurgiche del B. , risulta incontestabile che l’eccessiva compressione della teca cranica di consistenza piuttosto sottile, come emerso in sede di esame autoptico esercitata sia nel disegnare lo sportello osseo sia nel sollevare ed asportare lo stesso, rappresentò un trauma indiretto cui conseguì la rottura di un vaso arterioso che a sua volta, nel lasso di tempo varie decine di minuti intercorso tra l’asportazione dello sportello osso e la conclusione dell’intervento creò un vasto ematoma sotto durale. Per il collegio territoriale la colpa dell’imputato consistette nel mancato utilizzo di quella particolare prudenza e perizia imposta dalla nozione di comune esperienza nella scienza medica che in persone di età avanzata lo spessore della teca cranica è generalmente inferiore a quello di soggetti più giovani, per cui l’operatore chirurgico deve tener conto delle prevedibili complicanze di un trauma indiretto determinato dall’uso delle strumentazioni chirurgiche. Il B. , all’inverso, utilizzò oltre al Piezorugey anche un trapano e uno scalpellino. 5. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato a mezzo del difensore di fiducia, avv. Riccardo Olivo. 5.1. Con un primo motivo deduce vizio motivazionale sotto i diversi profili del travisamento della prova e della manifesta illogicità della motivazione. Ad avviso dell’esponente la Corte di Appello ha asserito l’esistenza di una nozione di comune esperienza in persone di età avanzata lo spessore della teca cranica è generalmente inferiore a quello di soggetti più giovani che è smentita dal fatto che nessuno dei consulenti ha affermato che nella letteratura medica è riconosciuta la circostanza dell’assottigliamento della teca cranica in ragione dell’età del soggetto. Il travisamento della prova viene colto laddove la Corte di Appello ha assunto quanto detto dai periti, ovvero che era possibile che fosse stata utilizzata la punta del trapano per sollevare il tassello, nonostante sia stato chiarito che il trapano era stato utilizzato solo per la fissazione del tassello in sede mandibolare. Inoltre, il prof. D. non aveva evidenziato soluzioni di continuo della dura madre. La Corte di Appello non ha tenuto conto di quanto affermato dai consulenti della difesa in merito a alla non significatività della rottura di un piccolo frammento dell’angolo del tassello osseo, considerato che il prelievo dalla teca cranica può avvenire a tutto spessore b al contrasto tra la circostanza del contenimento dell’emorragia all’interno del cervello con l’ipotesi dell’inserimento di un qualsiasi strumento all’interno di esso c alle dimensioni dello scalpello, superiori a quelle del foro nell’angolo superiore del tassello osseo. Rileva il ricorrente che la rottura del vaso, cagionato dagli ultrasuoni, era imprevedibile. Indefinita è la qualificazione della condotta colposa, che ora viene individuata in una manovra imperita e negligente, ora in un comportamento carente di prudenza e perizia effetto, per l’esponente, dell’assenza di una precisa prescrizione cautelare riferibile all’imputato. 5.2. Con un secondo motivo si lamenta violazione degli artt. 589 e 43 cod. pen., perché la Corte di Appello ha ritenuto il presunto non corretto utilizzo dello strumento nonostante non sia stato accertato che la regola afferente al corretto utilizzo sia stata violata analogamente quanto alla ritenuta pressione erroneamente esercitata sulla dura madre l’assunto è rimasto privo di riscontri sicché è frutto di una apodittica inferenza. Il trauma indiretto non avrebbe potuto essere previsto ed evitato dall’imputato non essendo emersa una spiegazione sicura del decorso causale è irragionevole esigere una tale rappresentazione dall’imputato. L’esponente ribadisce che la deviazione della condotta dalla regola cautelare non è stata accertata, a cominciare dalla sicura identificazione della regola cautelare da osservare nel caso concreto e per finire alla individuazione della legge scientifica di copertura che permette di affermare che la lacerazione del vaso arterioso si determinò per l’eccessiva pressione eventualmente esercitata. Considerato in diritto 6. In via preliminare va rilevato l’avvenuto decorso del termine di prescrizione, nelle more del presente giudizio. Già la Corte di Appello aveva individuato, quale termine oltre il quale sarebbe maturata la prescrizione del reato, il omissis . Non emergendo in atti elementi evidenti e palmari di irresponsabilità del condannato, per una pronuncia nel merito più favorevole ai sensi dell’art. 129 co. 2 cod. proc. pen. deve pronunciarsi l’annullamento della sentenza ai fini penali, senza rinvio. Le diffuse argomentazioni svolte dalla Corte territoriale nella pronuncia impugnata, escludono qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito, ma non valgono ad escludere la fondatezza delle censure svolte dal B. , che sono comunque da esaminare attesa la pronuncia di condanna dello stesso al risarcimento dei danni in favore delle parti civili. In tema di declaratoria di estinzione del reato, infatti, l’art. 578 cod. proc. pen. prevede che il giudice d’appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale sia intervenuta condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati , sono tenuti a decidere sull’impugnazione agli effetti dei capi della sentenza che concernano gli interessi civili al fine di tale decisione i motivi di impugnazione proposti dall’imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno anche solo generica dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati, secondo quanto previsto dall’art. 129, co. 2 cod. proc. pen. Cass. Sez. 6, sent. n. 3284 del 25/11/2009, Mosca, Rv. 245876 . 7. Limitatamente agli effetti civili la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio. I motivi proposti dal ricorrente possono essere esaminati unitariamente, perché essi convergono verso il medesimo ambito concettuale l’assenza di una adeguata identificazione della condotta colposa che dovrebbe fondare il giudizio di responsabilità del B. . Sotto tale profilo appare fondata la censura che investe la mancata descrizione della condotta colposa che si rimprovera al B. . Secondo quanto espone la Corte di Appello, vi è stata assoluta condivisione tra gli esperti circa il fatto che la rottura del vaso ebbe origine da un trauma. Per l’accusa pubblica e privata si trattò di un trauma diretto mentre per la difesa dell’imputato si trattò di evento traumatico indiretto, peraltro provocato dagli ultrasuoni. È in ogni caso indubitabile che risulta esclusa una causa non connessa all’intervento eseguito dal B. è incontroverso che la lacerazione del vaso avvenne per l’uso dello strumento utilizzato dall’operatore. Sin dal primo grado sono stati individuati i segni della eccessiva pressione prodotta dal B. la smussatura dell’angolo del tassello, la mancanza della corticale interna a livello dello spigolo supero-interno, l’affondamento della teca parietale. Tuttavia ciò non conclude il percorso che conduce al giudizio sull’imputazione per fatto colposo. Anzi, l’esistenza di una relazione eziologica sul piano materiale è la premessa perché l’ipotesi accusatoria possa persino essere formulata. 8. Allorquando si verifica un evento lesivo di beni giuridici l’accertamento giudiziario muove alla ricerca di una condotta, attiva o passiva, che possa esserne stata causa. Ove si rinvengano i segni di una ascendenza eziologica che riconducono all’azione o all’omissione dell’uomo, se l’indagine presuppone l’estraneità di una volontà di offesa, occorre verificare che l’azione rappresenti la violazione di una regola cautelare o che era prescritto un facere rimasto inattuato e che quel facere avesse il carattere di comportamento con funzione di prevenzione di quell’offesa che si è determinata. È innanzitutto questo il fatto colposo un’azione o un’omissione che concreta una violazione a regola cautelare. Solo se l’azione materialmente produttiva dell’evento abbia tale caratteristica potrà parlarsi di condotta colposa diversamente l’evento sarà da ascrivere al caso fortuito, o alla forza maggiore, o alla condotta di un diverso soggetto. Simili puntualizzazioni possono apparire inutili ovvietà o stanche ripetizioni didascaliche. In realtà la casistica giudiziaria mostra ancora molteplici esempi dello smarrimento di lucidità che può cogliere di fronte alla forza di suggestione della relazione causale oggettiva”. E non si può non riconoscere l’esistenza di pericoli ancor più sottili, come quelli insiti nella insufficiente riflessione che ancora si registra intorno alla complessa relazione tra titolarità di una competenza gestoria del rischio e regola cautelare, che indicando con quali specifici comportamenti deve operarsi quella gestione, concorre a definire l’ampiezza stessa di quella competenza. Anche in questo campo, ignorare la linea di confine che pur esiste tra competenza gestoria e regola cautelare significa infiggere il cuneo della responsabilità penale nel solo status di gestore del rischio, rinunciando a verificare se nel caso concreto era davvero richiesto di tenere un determinato comportamento e quindi rinunciando a verificare che quel comportamento, ove tenuto, avrebbe evitato l’evento pregiudizievole e che quest’ultimo concreti proprio il rischio traguardato dalla regola cautelare violata. È agevole quindi concludere che l’intero edificio della responsabilità per fatto colposo trova un suo essenziale caposaldo nell’accertamento della ricorrenza di una condotta trasgressiva di regola cautelare causalmente efficiente rispetto all’evento secondo i principi elaborati intorno all’art. 41 cod. pen. . Costruito tale caposaldo l’indagine potrà condursi oltre, alla verifica della cd. causalità della colpa e poi della colpa in senso soggettivo. Persino pletorico rammentare che il percorso non assomiglia in alcun modo alla traiettoria di un grave attratto al suolo dalla forza di gravità. Piuttosto è un tragitto circolare fors’anche involuto con continui andirivieni e connessioni, in certa misura disegnato anche dall’accordo che, ora esplicitamente ora tacitamente, perimetra l’area del controverso processuale. 9. Il caso che occupa induce ad un’ulteriore puntualizzazione. La doverosa identificazione della regola cautelare che, preesistente alla condotta che deve essere valutata, ne indicava le corrette modalità non può dirsi compiuta con la mera evocazione della prudenza, della diligenza e della perizia. Prudenza, diligenza e perizia non sono vuote formule che basta evocare per risolvere il problema dell’accertamento della condotta colposa. Piuttosto sono concetti categoriali che nei singoli casi devono tradursi in puntuali indicazioni comportamentali, prodotto delle specifiche circostanze in presenza delle quali si svolge l’attività pericolosa. È noto che si conoscono regole cautelari rigide, che indicano nel dettaglio il comportamento a valenza preventiva, e regole cautelari elastiche, le quali presentano un certo tasso di indeterminatezza nella descrizione della misura da adottare Sez. 4, n. 18200 del 07/01/2016 - dep. 02/05/2016, Grosso e altro, Rv. 266640, in motivazione . Ma ciò appartiene all’enunciato, che non può permettersi di essere maggiormente dettagliato senza ridurre l’area sulla quale si proietta. L’art. 141 Cod. str. prescrive di tenere una velocità adeguata alle condizioni che accompagnano la circolazione stradale impossibile per il legislatore descriverle tutte e individuare casisticamente quali sono le innumerevoli condotte di guida adeguate. Ma quando dall’enunciato si passa al concreto segmento di vita le condizioni di contesto sono presenti e l’utente della strada trarrà da queste la specifica modalità comportamentale alla quale dovrà conformare la propria condotta. Una volta di più, quindi, va escluso che il giudice possa fare ricorso ai concetti di prudenza, perizia e diligenza o ai loro speculari senza indicare nel caso concreto quale fosse il comportamento imposto dalla prudenza, dalla diligenza, dalla perizia. 10. Nella vicenda che occupa, a ben vedere, la motivazione in ordine all’identità della condotta colposa è meramente apparente. Viene affermato che il B. non fu prudente nell’uso dello strumento. Ma non vi è, in alcuna delle sentenze, una puntuale descrizione dei parametri che rendono l’uso dello strumento più o meno prudente, per stare alla terminologia utilizzata dalla Corte di Appello. Peraltro, il vizio è ancor più radicale. L’ambiguità mantenuta a riguardo del tipo di strumento utilizzato conduce all’impossibilità in radice di individuare la regola cautelare violata. Risulta evidente, infatti, che un trapano o uno scalpello vanno utilizzati osservando regole tecniche diverse da quelle che indirizzano l’uso di uno strumento ad ultrasuoni. Nel presente giudizio risulta inadeguata la ricostruzione dell’azione chirurgica messa in campo dal B. . A titolo esemplificativo varrà formulare alcune delle domande che avrebbero dovuto trovare risposta nelle motivazioni dei giudici di merito quali strumenti sono stati effettivamente utilizzati e in quali fasi? Quali forze sono state prodotte mediante gli strumenti? Quali forze avrebbero potuto essere prodotte rimanendo osservanti delle prescrizioni tecniche che regolano l’uso degli strumenti in questione, nelle condizioni di impiego come quelle verificatesi nella vicenda del C. ? La Corte di Appello ha ben svolto la ricognizione che qui si rinviene omessa, quando ha preso in esame uno degli altri due profili di colpa ascritti dal primo giudice al B. . Il Collegio distrettuale ha escluso che la mancata previa esecuzione di un esame radiografico potesse essere ascritta all’imputato come condotta colposa perché secondo i protocolli della scienza medica relativi all’intervento di calvaria” non v’è indicazione per la previa effettuazione d’una TAC del cranio con finestra ossea . Pertanto, la Corte di Appello non ha rinvenuto una regola cautelare che prescrivesse la previa esecuzione di una Tac anche per la incapacità, allo stato della tecnica radiografica, di individuare con precisione lo spessore del tavolato osseo e il profilo di colpa è stato escluso. Ma quando si è trattato di individuare la regola cautelare che sovraintendeva all’esecuzione dell’intervento, la Corte di Appello non ha trovato le parole, ripetendo più volte uno schema incompleto poiché la lesione del vaso arterioso fu consequenziale all’intervento chirurgico, siffatta rottura fu determinata da un’imperita e/o negligente manovra chirurgica dell’imputato. Ben diversamente la Corte di Appello avrebbe dovuto indicare le modalità che prudenza e perizia prescrivevano nella fattispecie ed individuare l’errore di esecuzione. La Corte di Appello non ha operato una decisa scelta tra le alternative in campo tra l’ipotesi di un trauma diretto, ovvero la produzione da parte del B. di una lacerazione corticale mediante le manovre chirurgiche, e quella di un trauma indiretto, ovvero l’esercizio di un’eccessiva compressione della teca cranica sia nel disegno dello sportello osseo sia nel sollevamento e nell’asporto dello stesso. La circostanza non è censurabile. Ma allora sarebbe stato necessario rendere esplicite le regole cautelari violate dal B. nell’una come nell’altra ipotesi. E la Corte di Appello non lo ha fatto e non poteva farlo, considerato che non è stata nemmeno in grado di sciogliere il dubbio in ordine agli strumenti utilizzati dal B. , al quale rimprovera di non essere stato lineare nella linea difensiva, avendo dapprima indicato l’uso del solo piezorugey e poi l’uso anche di un trapano e negando l’uso di uno scalpello, affermato dai suoi consulenti nel corso dell’illustrazione dei quesiti da parete dei periti . Rilievi che non compensano la persistente lacuna dell’accertamento giudiziario quale strumenti vennero utilizzati per il disegno dello sportello osseo, per il sollevamento e l’asportazione del tassello osseo? Senza una risposta univoca a tale interrogativo alcuna regola cautelare, sia pure riconducibile al genus prudenza” o a quello di perizia? , è possibile portare a principio informatore dell’esecuzione dell’azione chirurgica del B. e tanto vale anche come replica al dedotto travisamento della prova del quale si è fatta menzione nell’esposizione del primo motivo di ricorso . 11. Prima di concludere va svolta un’ultima considerazione. Il ricorrente afferma che la Corte di Appello ha asserito l’esistenza di una nozione di comune esperienza, per la quale in persone di età avanzata lo spessore della teca cranica è generalmente inferiore a quello di soggetti più giovani , in realtà mancante di conforto nelle parole degli esperti che hanno recato un contributo nel presente procedimento. Anche questo profilo va considerato dalla prospettiva sinora indicata. Pur se rispondesse al vero che appartiene al notorio quanto meno della scienza medica che lo spessore della teca cranica è più sottile nelle persone di età avanzata, ciò ancora non si traduce in una precisa regola esecutiva che il B. avrebbe dovuto osservare. Su un piano più generale, appare dubitabile che nell’ambito di attività di così alta complessità tecnica, sostenute da una messe di acquisizioni scientifiche, come quella dalla quale è scaturito il presente procedimento, si possa far ricorso al concetto di nozione di comune esperienza” prima e a prescindere dall’attivazione del contraddittorio tra le parti su quanto sarebbe per l’appunto notorio. 12. Alla luce di quanto sin qui esposto, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio ai fini penali perché il reato è estinto per prescrizione ed annullata a fini civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, al quale va altresì demandata la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità. P.Q.M. annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto alle statuizioni penali, perché il reato è estinto per prescrizione. Annulla la stessa sentenza quanto alle statuizioni civili, con rinvio davanti al giudice civile competente per valore in grado di appello, al quale demanda la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.