Si allontana dal luogo di detenzione domiciliare: ma la reazione non è la custodia cautelare

In sede di convalida di arresto in flagranza del reato di evasione dal luogo di detenzione domiciliare, il giudice non può applicare la misura della custodia cautelare se ritiene in concreto irrogabile una pena non superiore ai tre anni di reclusione.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 31583/16, depositata il 21 luglio. Il caso. Il Procuratore della Repubblica ricorreva avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame con cui era stato disposto l’annullamento dell’ordinanza, emessa dalla sezione Penale direttissima”, di convalida dell’arresto di una donna sorpresa nell’essersi allontanata dal luogo di detenzione domiciliare. In particolare, l’arresto era stato eseguito dalla polizia giudiziaria in flagranza del reato di evasione dalla detenzione domiciliare ex art. 47- ter ord. pen Il Tribunale, in sede di convalida della misura precautelare, aveva disposto la misura cautelare della custodia in carcere, ritenendo sussistenti le esigenze cautelari. Il Tribunale del riesame, invece, annullava l’ordinanza restrittiva e osservava che la previsione che dispone l’arresto in flagranza per il reato di evasione in relazione all’esigenza cautelare del rischio di recidiva specifica deve essere letta alla luce della norma che sancisce il divieto di sottoposizione a custodia cautelare nei casi in cui il giudice ritenga concretamente irrogabile una pena non superiore a tre anni di reclusione salvi casi specifici disciplinati dalla legge. Nel caso in discussione – concludeva il Tribunale del riesame – non poteva applicarsi la misura cautelare intramuraria non essendo ipotizzabile l’irrogazione di una pena superiore a tre anni di reclusione, vista la cornice edittale del delitto di evasione addebitale alla donna. Deroga al regime cautelare ordinario e poteri del giudice della convalida. La norma che consente, in sede di udienza di convalida di una misura precautelare, l’applicazione di una misura coercitiva se ricorrono i gravi indizi di colpevolezza e almeno un’esigenza cautelare è norma derogatoria del regime cautelare ordinario. Nel caso di convalida di arresto eseguito per un delitto per cui è consentito anche fuori dai casi di flagranza, quale l’evasione per allontanamento senza autorizzazione e senza giustificato motivo dal luogo di detenzione domiciliare, la norma consente l’applicazione di una misura coercitiva al di fuori dai limiti di pena previsti dalle norme di cui agli artt. 274 comma 1 lett. c e 280 c.p.p Norma di stretta interpretazione. Tuttavia la norma di cui trattasi – che deroga, in sede di convalida, al regime ordinario – ha carattere derogatorio in malam partem perché incide direttamente sui presupposti e sulle condizioni di legalità delle restrizioni alla libertà personale che possono essere solo tassativamente imposte. Ne deriva che anche le eccezioni previste al regime cautelare ordinario hanno carattere di tassatività non possono quindi essere applicate in via analogica a casi diversi, pur connotati dalla medesima ratio rispetto a quelli testualmente previsti ma l’interpretazione deve essere letterale esclusa invece quella estensiva . La norma in esame comma 5 dell’art. 391 c.p.p. , in definitiva, è di stretta interpretazione e la sua portata derogatoria non può essere estesa a condizioni generali di applicabilità della misura cautelare della custodia in carcere non espressamente previste dalla norma. Allontanamento dal luogo di detenzione domiciliare nessuna deroga al regime ordinario. Il caso in scrutinio concerne un ingiustificato allontanamento dal luogo di detenzione domiciliare ex art. 47- ter ord. pen., cui non risultano applicabili né la previsione che, in caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari, il giudice dispone la sostituzione della misura con la custodia cautelare né quella che deroga al limite di pena previsto per disporre la custodia in carcere reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nei casi in cui vi sia trasgressione delle prescrizioni inerenti una misura cautelare. Né, infine, il caso in esame riguarda l’assenza da uno dei luoghi di esecuzione espressamente indicati dall’art. 284 c.p.p Esclusa l’applicabilità delle deroghe, in sostanza, resta fermo il divieto di disporre la custodia cautelare nel caso in cui, in concreto, la pena da irrogare all’esito del giudizio non sarà superiore ai tre anni di reclusione. La Suprema Corte ritiene, pertanto, corretta la decisione del Tribunale del riesame secondo cui non era possibile disporre la custodia cautelare nel caso dell’evasione in esame. La Corte Costituzionale sulla sospensione della detenzione domiciliare. Il Giudice di legittimità richiama le considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma sulla detenzione domiciliare nella parte in cui fa derivare automaticamente la sospensione della detenzione domiciliare dalla presentazione di una denuncia per il reato di evasione. Nell’occasione la Corte Costituzionale sent. n. 173/1997 ha valorizzato la indubbia finalità umanitaria ed assistenziale della misura alternativa giacché connessa prevalentemente a condizioni di salute della persona condannata e la connessa finalità rieducativa e di reinserimento sociale del condannato. Tali essendo le finalità della misura, la sospensione del trattamento non può essere frutto di un automatismo suscettibile di arrecare una lesione tanto alla funzione rieducativa quanto alla salute del condannato. Spetta, infatti, al giudizio del Magistrato di sorveglianza – che è in possesso dei dati relativi al detenuto e al suo trattamento – di verificare, nel caso concreto, le caratteristiche oggettive e soggettive della condotta agita dal condannato, al fine di disporre la sospensione della misura alternativa nelle ipotesi di positivo riscontro circa una non giustificabile sottrazione all’obbligo di non allontanarsi dal luogo indicato e dell’assenza di contrarie esigenze di trattamento extramurario. Connotati differenti per detenzione domiciliare e arresti domiciliari e novella del 2014. Premesso che la detenzione domiciliare è una misura alternativa alla pena della detenzione mentre gli arresti domiciliari sono una misura cautelare, la Suprema Corte evidenzia che l’art. 275 c.p.p., come novellato nel 2014, ha previsto un nuovo limite di tre anni coincidente con quello stabilito per la richiesta di sospensione dell’esecuzione dell’ordine di carcerazione. La sospensione, come noto, è finalizzata a consentire al condannato di domandare l’applicazione delle misure alternative alla detenzione o dell’esecuzione della pena presso il domicilio. Il sistema così delineato affida la reazione avverso la trasgressione delle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dai luoghi in cui sono attuate le misure cautelari e detentive domiciliari unicamente agli specifici meccanismi propri alla gestione di siffatte misure sono eliminate sovrapposizioni nelle valutazioni di più giudici come si verificava ante novella nei casi di evasione di cui al comma 1 dell’art. 385 c.p In definitiva, poiché la norma processuale di cui trattasi non è stata richiamata dalla norma sui poteri del Giudice in sede di convalida di misura precautelare, si impone all’interprete l’obbligo di registrare il tenore testuale della norma che consente al giudice della convalida l’applicazione di una misura coercitiva solo in determinati e tassativi casi.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 23 giugno – 21 luglio 2016, n. 31583 Presidente Rotundo – Relatore Mogini Ritenuto in fatto 1. II Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli ricorre avverso l'ordinanza in epigrafe, con la quale il Tribunale del Riesame di Roma ha annullato quella emessa il 28.4.2016 dal Tribunale di Tivoli, Sezione Penale Direttissime Composizione Monocratica, che aveva convalidato l'arresto di H.A. eseguito dalla polizia giudiziaria in flagranza del delitto di evasione dalla detenzione domiciliare disposta a suo carico ai sensi dell'art. 47 ter dell'ordinamento penitenziario, e, ritenute sussistenti le esigenze poste dall'art. 274, lett. c cod. proc. pen., le aveva applicato la misura cautelare di massimo rigore. Il Tribunale del Riesame osservava al riguardo che, pur dovendosi ritenere all'evidenza sussistente a carico dell'imputata un quadro indiziario connotato da gravità, la speciale previsione di cui all'art. 391, comma 5, cod. proc. pen. per il caso di arresto in flagranza del delitto di evasione e in relazione all'esigenza cautelare dei rischio di recidiva specifica, deve essere necessariamente letta alla luce del disposto dell'art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen., il quale prevede il divieto di sottoposizione alla misura cautelare di massimo rigore qualora il giudice ritenga concretamente irrogabile, all'esito del giudizio, una pena non superiore ai tre anni di reclusione, fatti solo salvi i casi di assenza di uno dei luoghi di esecuzione indicati nell'art. 284 cod. proc. pen. ovvero di sussistenza delle specifiche ipotesi previste dall'art. 276, comma 1-ter e 280, comma 3, cod. proc. pen. Sicché nel caso di specie non potevano ritenersi sussistenti i presupposti per l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, non essendo ipotizzabile l'irrogazione di una pena superiore ai tre anni di reclusione in considerazione del trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 385 cod. pen. e non vertendosi in ipotesi prevista dalle norme del codice di rito da ultimo citate, poiché il delitto era stato commesso in regime di esecuzione pena e non di applicazione di misura cautelare. Né ad avviso del Tribunale sarebbe applicabile la misura degli arresti domiciliari e, a maggior ragione, ogni altra misura non custodiale , in quanto la stessa si presenterebbe priva del requisito di adeguatezza, concretizzandosi la stessa nella sottoposizione ad un regime coercitivo analogo a quello oggetto della trasgressione. Si sarebbe dunque in presenza di un quadro normativo che inibisce l'applicazione della misura di maggior rigore e non consente di individuare altra meno gravosa misura adeguata alla tutela dello specifico rischio cautelare. 2. II p.m. ricorrente censura la sentenza impugnata lamentando l'erronea applicazione dell'art. 391, comma 5, cod. proc. pen., la cui ratio è quella di consentire l'esercizio dei potere cautelare in caso di arresto convalidato, subordinandolo esclusivamente alla legittimità della misura precautelare. La norma testé citata avrebbe carattere derogatorio non solo rispetto all'art. 280 cod. proc. pen., espressamente richiamato, ma anche rispetto all'art. 275, comma 2 bis cod. proc. pen. Sarebbe infatti irragionevole ritenere che, ai fini dell'esercizio del potere coercitivo connesso alla convalida dell'arresto, la norma speciale operi una deroga al limite di pena imposto dal citato art. 280 5 anni di reclusione e non a quello, inferiore, indicato nell'art. 275, comma 2 bis a seguito delle modifiche apportata a tale norma dalla L. n. 117/2014. Pertanto, il mancato richiamo nell'art. 391, comma 5, cod. proc. pen. dell'art. 275, comma 2 bis cod. proc. pen. sarebbe imputabile a un mero vizio di coordinamento normativo, superabile attraverso gli ordinari strumenti interpretativi. Considerato in diritto 1. II ricorso è infondato. L'art. 391, comma 5, seconda parte, cod. proc. pen. è norma derogatoria all'ordinario regime cautelare. Essa consente tra l'altro, nel caso di convalida di arresto eseguito per uno dei delitti per i quali è consentito anche fuori dei casi di flagranza - quale, nel caso di specie, l'evasione per allontanamento senza autorizzazione e senza giustificato motivo dal luogo di detenzione domiciliare - l'applicazione di una misura coercitiva al di fuori dei limiti di pena previsti dagli artt. 274, comma 1, lett. c e 280 cod. proc. pen. Dal carattere derogatorio in malam partem di tale norma, che direttamente attiene ai presupposti e alle condizioni di legalità delle limitazioni che possono essere tassativamente imposte alle libertà della persona ex artt. 13, comma 2, Cost. e 272 cod. proc. pen., consegue che le eccezioni ivi previste all'ordinario regime cautelare hanno anch'esse carattere di tassatività, nel senso che non possono essere applicate in via analogica a casi pur in ipotesi connotati da eadem ratio rispetto a quelli testualmente previsti, e che la loro interpretazione deve essere soltanto letterale, con esclusione di quella estensiva. L'art. 391, comma 5, seconda parte, cod. proc. pen. è, in altre parole, disposizione di stretta interpretazione e la sua portata derogatoria non può essere estesa a condizioni generali di applicabilità della misura cautelare - massimamente afflittiva - della custodia in carcere non espressamente previste dalla norma. Pertanto, non essendo applicabili al caso di specie - relativo all'ingiustificato allontanamento dal luogo di detenzione domiciliare disposta ai sensi dell'art. 47 ter dell'ordinamento penitenziario - le previsioni di cui all'art. 276, comma 1-ter, e 280, comma 3, cod. proc. pen. - dettate specificamente per l'ipotesi di trasgressione alle prescrizioni inerenti alla misura cautelare degli arresti domiciliari - e non vertendosi in caso di assenza di uno dei luoghi di esecuzione indicati nell'art. 284 cod. proc. pen., resta fermo il divieto - previsto in via generale e non espressamente derogato, contrariamente ai limiti di pena di cui agli artt. 274, comma 1, lett. c e 280 cod. proc. pen., dall'art. 275, comma 2 bis, cod. proc. pen. - di applicare la misura della custodia cautelare in carcere nel caso il giudice ritenga che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni. Correttamente quindi il Tribunale del riesame ha ritenuto non applicabile nel caso di specie la misura cautelare della custodia in carcere, in quanto il massimo edittale applicabile al delitto di evasione contestato alla H. non eccede il limite di pena imposto dal citato art. 275, comma 2 bis. Né il limite di pena previsto dall'art. 280 cod. proc. pen. - di cui l'art. 391, comma 5, cod. proc. pen. permette la deroga - può per sua natura considerarsi omogeneo a quello previsto dall'art. 275, comma 2 bis, cod. proc. pen. Infatti, mentre il primo è limite parametrato sulla pena edittale astrattamente prevista per il reato in questione, il secondo si riferisce al giudizio prognostico circa la pena detentiva suscettibile di essere concretamente irrogata, per lo specifico fatto contestato, ad esito del giudizio. La mera considerazione quantitativa dei due diversi limiti di pena non può quindi bastare a far considerare come irragionevole svista il mancato richiamo operato dall'art. 391, comma 5, al limite, di fatto non necessariamente inferiore, di cui all'art. 275, comma 2 bis. Il Collegio osserva inoltre che la Corte costituzionale ha, con sentenza n. 173 del 13.6.1997, dichiarato l'illegittimità costituzionale dei comma 9 dell'art. 47-ter dell'ordinamento penitenziario nella parte in cui fa derivare automaticamente la sospensione della detenzione domiciliare dalla presentazione di una denuncia per il reato di evasione previsto dal comma 8 dello stesso articolo. La Corte costituzionale ha al riguardo sottolineato che la misura alternativa alla detenzione denominata detenzione domiciliare è indubbiamente caratterizzata da una finalità umanitaria ed assistenziale, resa evidente dal suo riconnettersi prevalentemente a condizioni di salute della persona condannata, che si accompagna alla generale finalità della rieducazione e del reinserimento sociale del condannato. Alla luce di tali finalità, la sospensione del trattamento non può dunque intervenire in modo automatico senza comportare un grave rischio di lesione, da un lato, della funzione rieducativa assegnata dall'art. 27, comma 3, Cost. ad ogni pena - e dunque anche alle misure alternative previste dall'ordinamento penitenziario - e, dall'altro, della salute dei condannato, tutelata dall'art. 32 Cost. La Corte costituzionale ha perciò ritenuto spettare al magistrato di sorveglianza, in possesso dei dati relativi al detenuto e al suo trattamento, la verifica, caso per caso, delle caratteristiche soggettive ed oggettive della condotta posta in essere dal condannato, al fine di disporre la sospensione della misura alternativa solo in ipotesi di positivo riscontro circa una non giustificabile sottrazione all'obbligo di non allontanarsi dal luogo indicato ai sensi dell' art. 47-ter e dell'assenza di contrarie esigenze di trattamento extra murario. Si tratta di considerazioni di particolare pregnanza, che differenziano in modo chiaro i peculiari connotati della detenzione domiciliare rispetto a quelli della misura cautelare degli arresti domiciliari. Esse valgono non soltanto a giustificare la diversa portata delle conseguenze definite rispettivamente all'art. 47-ter, comma 9, ord. pen., quale risulta a seguito del citato intervento della Corte costituzionale, per l'ingiustificato allontanamento dalla detenzione domiciliare, e agli artt. 276, comma 1-ter, e 280, comma 3, cod. proc. pen., per la violazione degli arresti domiciliari che l'ordinamento fa conseguire alla trasgressione all'interno del procedimento cautelare o di esecuzione in cui è stata adottata la misura violata, ma anche a segnalare i limiti logici e pratici, potenzialmente incidenti su diritti costituzionalmente garantiti, insiti nell'intervento e nella valutazione di due diversi giudici - quello della misura violata e quello della convalida dell'arresto, consentito per il reato di evasione anche fuori dei casi di flagranza ai sensi dell'art. 3 L. 203/91 - laddove tali molteplici interventi sono suscettibili di produrre una duplicazione di titoli impositivi della custodia cautelare in carcere automatica essendone l'applicazione da parte del giudice della cautela violata, ai sensi dell'art. 276, comma 1 ter , ovvero l'applicazione della misura cautelare massimamente afflittiva a persona condannata che per ragioni umanitarie, assistenziali e rieducative, costituzionalmente riconosciute e protette, deve essere sottratta al rischio di essere sottoposta a detenzione senza una pregnante valutazione da parte del competente giudice di sorveglianza circa l'idoneità del trattamento detentivo al perseguimento, nel caso concreto, di quelle finalità. Si tratta del resto, all'evidenza, di giudizi che hanno in realtà un ambito per molti versi sovrapponibile e purtuttavia suscettibili, anche in ragione della diversità dei presupposti conoscitivi offerti ai diversi organi giudiziari, di esiti difformi, non sempre prevenibili per mezzo di pur auspicabili prassi virtuose, consistenti nella pronta segnalazione dell'evasione e dell'arresto anche al giudice dei procedimento dove la misura è originariamente applicata e nella pronta e formale valutazione di tale giudice Sez. 6, n. 40994 dell'1/10/2015, El Mkhatri, Rv. 265609 Orbene, l'avere l'art. 275, comma 2 bis - introdotto nel codice di rito dall'art. 8 d.l. n. 92/2014, convertito con legge n. 117/2014 - da un lato fatto salvo espressamente il regime cautelare speciale previsto dagli artt. 276, comma 1 ter, e 280, comma 3, dello stesso codice per il caso di ingiustificato allontanamento dagli arresti domiciliari comportante l'automatica revoca della misura cautelare e la sua sostituzione con la custodia in carcere , e, dall'altro, previsto un nuovo limite di pena di tre anni coincidente con quello di regola richiesto dall'art. 656, comma 5, cod. proc. pen. per la sospensione dell'esecuzione dell'ordine di carcerazione, volta a consentire al condannato di domandare l'applicazione delle misure alternative alla detenzione o dell'esecuzione della pena presso il domicilio senza entrare in carcere, disegna un sistema normativo che affida in modo tutt'altro che illogico la reazione alla trasgressione delle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dai luoghi in cui sono attuate le misure cautelari e detentive domiciliari unicamente agli specifici meccanismi propri alla gestione di quelle misure, eliminando la sovrapposizione di valutazioni - e la possibilità di confliggenti esiti - permessa, prima della citata novella, dall'art. 391, comma 5, cod. proc. pen. in tutti i casi di evasione puniti ai sensi del primo comma dell'art. 385 cod. pen. Al di là dei giudizi di opportunità relativi a tale innovazione normativa, non sembra quindi possibile - nel contesto sopra richiamato e tenuto conto dei sopra citati principi costituzionali artt. 13, comma 2 27, comma 3 32 Cost. - liquidare tale novella e il mancato richiamo dell'art. 275, comma 2 bis, tra le norme di cui l'art. 391, comma 5, consente, in caso di arresto convalidato, la deroga a fini dell'applicazione di una misura coercitiva, come dati manifestamente illogici, frutto di una semplice svista del legislatore. Al contrario, si impone all'interprete l'obbligo di registrare il chiaro tenore testuale delle norme in esame, che attengono ai presupposti e alle condizioni di legalità delle limitazioni che possono essere tassativamente imposte alle libertà della persona ex artt. 13, comma 2, Cost. e 272 cod. proc. pen. e sono quindi insuscettibili di interpretazione analogica o estensiva. Tali norme devono del resto ritenersi, contrariamente agli assunti del pubblico ministero ricorrente, tutt'altro che eccentriche, per quanto sopra motivato, rispetto alle esigenze di coerenza col regime della sospensione dell'esecuzione della pena detentiva previsto dall'art. 656 del codice di rito e alla finalità di disporre rimedi strutturali idonei a prevenire ulteriori situazioni di sovraffollamento carcerario , testualmente segnalate nel preambolo del d.l. n. 92/2014. P.Q.M. Rigetta il ricorso.