Falsa dichiarazione sul reddito nell’istanza di gratuito patrocinio: l’innocuità per l’accesso al beneficio rileva sul piano dell’elemento soggettivo

L’indagine sul dolo in ipotesi in cui non è di immediata evidenza l’utilità che sostiene l’azione/omissione tipica richiede una compiuta analisi delle circostanze di fatto.

Il caso. Con la sentenza in esame n. 28555/2016 depositata in data 8 luglio 2016 la Corte di Cassazione viene chiamata a pronunciarsi su una sentenza della Corte d’Appello di Messina, che aveva confermato una pronuncia del Giudice per le indagini preliminari di Patti, il quale aveva condannato l’imputato per diversi episodi, in continuazione, di falso ex art. 95 d.P.R. n. 115/2002, nonostante il reddito effettivo, accertato nel corso delle indagini, avrebbe consentito comunque l’accesso al beneficio. Il falso innocuo. La sentenza precisa innanzitutto come non possa parlarsi, nel caso de quo , di falso innocuo. Il concetto di innocuità va rapportato infatti al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice non l’interesse patrimoniale dello Stato, ma la correttezza, per così dire ‘ in re ipsa ’, dell’attività del giudice preposto alla verifica del diritto al beneficio. Interesse quest’ultimo evidentemente leso anche nel caso in cui il reddito avrebbe consentito - in ogni caso - il gratuito patrocinio. L’elemento soggettivo. Se - sotto il profilo della tipicità dell’illecito in esame - l’irrilevanza funzionale della difformità tra reddito dichiarato ed accertato non è capace di escludere il falso, essa assume - però -pregnanza indiretta, nella prospettiva della valutazione del dolo in capo al dichiarante. Se infatti la scelta dell’ordinamento è stata quella di non incriminare il falso documentale colposo, dovrà escludersi la riproverabilità del fatto tipico nel caso in cui questo scaturisca da una mera leggerezza o negligenza dell’agente. Sul punto occorre preliminarmente rilevare come la nozione di reddito considerata al fine dell’accesso al gratuito patrocinio è di tipo normativo l’errore su tale categoria ricade tuttavia, comunque, sulla norma incriminatrice, essendo la relativa normativa integratrice del precetto penale secondo la nozione lata di tale categoria, abbracciata dalla Corte di Cassazione , come tale assoggettata all’art. 5 c.p. e non all’art. 47 c.p La severità della disciplina sull’errore sulla norma penale non permette però di ‘scavalcare’ un accertamento rigoroso circa la sussistenza del dolo in capo all’agente, quando – in particolare – vi siano elementi sintomatici o ‘indizi’ in ordine al carattere colposo della condotta. Tra indicatori dell’assenza di dolo anche eventuale in capo all’imputato individuati dalla sentenza c.d. Thyssen Krupp S.U. 38343/2014 – dello stesso relatore della sentenza in commento, dott. Blaiotta , vi è proprio anche il fine, la convenienza della condotta incriminata. Pacifico che, nel caso di specie l’utilità fosse del tutto insussistente se anche l’agente avesse dichiarato il reddito accertato – l’agente avrebbe comunque ottenuto il beneficio cui era finalizzata l’istanza contenente la dichiarazione. Ciò posto l’accertamento circa la sussistenza dell’elemento soggettivo avrebbe richiesto un attento approfondimento circa le sfumature fattuali capaci di rappresentare l’elemento soggettivo sussistente in capo all’agente. Ed infatti, conclude la Corte l’indagine sul dolo in ipotesi in cui non è di immediata evidenza l’utilità che sostiene l’azione/omissione tipica richiede una compiuta analisi delle circostanze di fatto . La Corte di Cassazione opta dunque per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, imponendo di superare la tentazione diffusa tra i giudici di merito di ritenere sussistente il dolo dei falsi documentali in re ipsa .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 14 aprile – 8 luglio 2016, n. 28555 Presidente Blaiotta – Relatore Dovere Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Messina ha confermato la pronuncia emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Patti, che ha condannato alla pena ritenuta equa R.E., giudicato responsabile del reato di falso continuato nella dichiarazione rilasciata in uno all'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato art. 95 d.p.r. n. 115/2002 nell'ambito di tre distinti procedimenti penali. La Corte distrettuale, in particolare, ha ritenuto di alcun rilievo il fatto che le somme non dichiarate costituenti reddito per l'anno 2008 fossero di ammontare complessivo inferiore al limite di legge per l'accesso al beneficio e, sul versante dell'elemento soggettivo del reato, ha affermato l'assenza di incidenza che con la falsità si intendesse conseguire o meno una qualche utilità. Infine la corte territoriale ha anche confermato il diniego del riconoscimento delle attenuanti generiche. 2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l'imputato, con atto sottoscritto personalmente, deducendo in primo luogo che la Corte di Appello non si è pronunciata in ordine alla richiesta di proscioglimento avanzata dalla difesa sul presupposto di un bis in idem. Censura, poi, il vizio motivazionale della sentenza impugnata perché il reddito di 2.945,00 euro attribuitogli dai giudici di merito è stato determinato sulla scorta di quanto accertato dalla G.d.F. tramite interrogazione dell'anagrafe tributaria nella quale sono inseriti dati provenienti dal datore di lavoro ma ciò non è sufficiente a dimostrare che il R. avesse realmente percepito tale somma, che infatti non venne ricevuta, tanto che egli dovette abbandonare il posto di lavoro proprio perché non gli veniva corrisposto lo stipendio. Stante la piena compatibilità del reddito che si assume non dichiarato con il beneficio richiesto risulta altresì che il ricorrente non aveva motivo alcuno per dichiarare il falso. In ogni caso si versa in ipotesi di falso innocuo. Infine il R. ravvisa nella fattispecie gli estremi della tenuità del fatto, come disciplinato dall'art. 131-bis cod. pen. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati. 3.1. Il primo motivo è manifestamente infondato. La violazione del divieto di bis in idem è stata prospettata con riferimento ad altra condotta rispetto a quelle oggetto del presente giudizio. Giova rammentare che il reato di cui all'art. 95 d.p.r. n. 115/2002 si consuma con la presentazione o la omissione delle dichiarazioni o delle comunicazioni per l'attestazione di reddito necessarie per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato o il mantenimento del beneficio. Nel caso di una pluralità di istanze e di omissioni risultano integrati più reati. La manifesta infondatezza del motivo di appello rende la correlata censura che lamenta il motivazionale non sostenuta da idoneo interesse cfr. ex multis, Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014 - dep. 11/03/2015, Bianchetti, Rv. 263157 . 3.2. Va anche escluso che nella fattispecie ricorra un'ipotesi di 'falso innocuo'. Con tale locuzione la giurisprudenza di legittimità allude a quella infedele attestazione nel falso ideologico o compiuta alterazione nel falso materiale che risultano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell'atto e del suo valore probatorio e, pertanto, non esplicano effetti sulla sua funzione documentale con la conseguenza, si aggiunge, che l'innocuità deve essere valutata non con riferimento all'uso che dell'atto falso venga fatto, ma avendo riguardo all'idoneità dello stesso ad ingannare comunque la fede pubblica tra le molte, Sez. 5, n. 47601 del 26/05/2014 - dep. 18/11/2014, Lamberti, Rv. 261812 . E' del tutto evidente che nel caso di una falsa indicazione del reddito rilevante per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato la innocuità della stessa non può essere valutata, come vorrebbe il ricorrente, in relazione all'entità del reddito non dichiarato come si dirà subito appresso, le Sezioni unite hanno identificato il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice nell'attività del giudice preposto alla verifica del diritto al beneficio. 3.3. Con riferimento ai secondo motivo, giova prendere le mosse dalla considerazione proprio dalla ancor recente decisione con la quale le Sezioni Unite hanno statuito che integrano il delitto di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio Sez. U, n. 6591 del 27/11/2008 - dep. 16/02/2009, Infanti, Rv. 242152 . Tanto conduce a giudicare irrilevante, sul piano della oggettiva sussistenza della falsità, l'eventuale inidoneità del dato alterato a fare da elemento di discrimine tra ammissione ed esclusione dal beneficio, giacché il bene giuridico tutelato - per come identificato dal S.C. - non è l'interesse patrimoniale dello Stato ma lo si è già scritto l'attività del giudice preposto alla verifica del diritto al beneficio. Volgendo lo sguardo al versante soggettivo, se è vero che il reato del quale ci si occupa richiede il dolo generico, e quindi la mera consapevolezza e volontà della falsità, senza che assuma rilievo la finalità di conseguire un beneficio che non compete, è pur sempre da tener presente che il dolo generico non può essere considerato in re ipsa ma deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato quando risulti che il falso deriva da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell'agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo cfr. Sez. 3, n. 30862 del 14/05/2015 - dep. 16/07/2015, Di Stasi e altri, Rv. 264328 Sez. 5, n. 29764 del 03/06/2010 - dep. 28/07/2010, Zago, Rv. 248264 . In questa prospettiva deve essere rimarcato che concreta errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per legge diversa dalla legge penale ai sensi dell'art. 47 cod. pen. quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata anche implicitamente Sez. 4, n. 14011 del 12/02/2015 - dep. 02/04/2015, Bucca, Rv. 263013, proprio in tema di falso nella dichiarazione concernente istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato . Pertanto, nel caso in cui si erri in ordine alla nozione di reddito valevole ai fini dell'applicazione della disciplina del patrocinio a spese dello Stato come quando non dovendosi tener conto del reddito percepito ai fini della tassazione lo si reputa non rilevante ai fini delle condizioni per l'ammissione al beneficio si versa in ipotesi di errore inescusabile. Tuttavia, non può ritenersi l'assoluta irrilevanza della inidoneità della falsa dichiarazione a determinare effetti favorevoli al dichiarante, perché essa può rappresentare, in via astratta, segno di una condotta colposa, come tale estranea al dolo. La necessità del dolo generico esclude che si possa rispondere per un difetto di controllo, che in termini giuridici assume necessariamente le fattezze della condotta colposa, salva l'emersione di un dolo eventuale. Dolo eventuale che tuttavia non può essere evocato alla stregua di una formula 'di chiusura', per sottrarsi al puntuale accertamento giudiziario. AI contrario, esso deve essere compiutamente dimostrato, non ignorando le prescrizioni metodologiche impartite dalle Sezioni Unite, per le quali, per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l'agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che in casi come quello in esame assume la connotazione di evento in senso giuridico che si è verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa. Con gli ovvi adattamenti richiesti dalla specificità della vicenda all'esame, deve farsi applicazione delle indicazioni metodologiche provenienti dal S.C., per il quale l'indagine giudiziaria, volta a ricostruire l’iter e l'esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori, tra i quali - non può sfuggire - si pongono anche il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014 - dep. 18/09/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261105 . Nel caso di specie l'indagine in ordine alla sussistenza del dolo generico è del tutto mancata, perché la Corte di Appello si è limitata a constatare l'esistenza oggettiva della falsità. Con l'atto di appello, per contro, non si rappresentava che il reddito accertato dal primo giudice fosse in realtà inesistente, perché individuato sulla scorta di dichiarazioni del datore di lavoro del R. che non trovavano corrispondenza nell'effettivo pagamento dello stipendio. Si rimarcava, invece, unicamente l'assenza del dolo, come dimostrato dall'assenza di utilità della falsità, stante un reddito comunque compatibile con l'ammissione al beneficio. Ed allora, l'indagine sul dolo in ipotesi in cui non è di immediata evidenza l'utilità che sostiene l'azione/omissione tipica richiede una compiuta analisi delle circostanze di fatto. Analisi del tutto assente nella sentenza impugnata. 4. Assorbito il motivo concernente la applicabilità della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. essa presuppone l'integrazione del reato tanto nella componente oggettiva che in quella soggettiva , deve pertanto essere disposto l'annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio alla Corte di Appello di Messina per nuovo esame. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Messina.