Povero e senza un tetto: meglio rivolgersi a un ente assistenziale che occupare una casa...

Confermata la condanna per un uomo, beccato dai Carabinieri in un appartamento non di sua proprietà. A rendere più grave la sua posizione, poi, anche il furto di acqua ed energia elettrica. Non regge la tesi di una scelta obbligata a causa delle precarie condizioni economiche.

Condizioni economiche precarie. E un uomo, che ha da poco superato i 30 anni, sceglie di occupare un’abitazione, pur di avere un tetto. Decisione obbligata, almeno in apparenza. Ma, secondo i magistrati, essa poteva essere evitata invece, rivolgendosi a qualche ente assistenziale. Ciò rende evidente il reato compiuto dall’uomo, e logica la relativa condanna Cassazione, sentenza n. 28576, sezione Quarta Penale, depositata l’8 luglio 2016 . Occupazione. Inequivocabile il resoconto fatto dai Carabinieri a conclusione del loro sopralluogo. L’uomo è stato beccato ad aver preso possesso di un immobile non di sua proprietà, e a rendere più grave la posizione, poi, la constatazione dell’ allaccio abusivo alla rete elettrice e al servizio idrico . Elementi ritenuti sufficienti, prima in Tribunale e poi in Appello, per una condanna, sia per occupazione di immobile che per furto di acqua ed energia . Respinta la tesi difensiva, finalizzata a giustificare la condotta dell’uomo con evidenti problemi economici. Su questo punto anche i magistrati della Cassazione condividono la valutazione compiuta dai giudici d’Appello a fronte di una situazione economica precaria , l’uomo avrebbe potuto, anzi dovuto, rivolgersi ad enti assistenziali , piuttosto che prendere possesso illegittimamente dell’abitazione. Anche perché, viene aggiunto, egli non aveva alcuna necessità di salvarsi da un pericolo impellente , ma solo di trovare una soluzione alle proprie esigenze abitative .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 7 giugno – 8 luglio 2016, n. 28576 Presidente D’Isa – Relatore Pavich Ritenuto in fatto 1. Con sentenza resa in data 31 ottobre 2014, la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale di Avellino in data 24 maggio 2013 con la quale G.P. era stato condannato alla pena di giustizia in relazione ai reati p. e p. dall'art. 633 cod.pen. per avere invaso, al fine d'occuparlo, un immobile sito in Altavilla Irpina appartenente agli eredi di P.P. e dagli artt. 81, 624, 625 n. 2 c.p. per essersi impossessato di acqua ed energia elettrica manomettendo gli allacci presenti nell'abitazione occupata , fatti accertati il 17 gennaio 2007. 2. Il P., per il tramite del suo difensore di fiducia, propone ricorso avverso la detta sentenza, deducendo due ordini di motivi, che possono essere riassunti nei termini di cui appresso. 2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione di legge e l'illogicità della motivazione della sentenza con riferimento al delitto di furto continuato di acqua ed energia elettrica, motivazione che denuncia come carente sotto il profilo della valutazione delle risultanze probatorie sostiene l'esponente che i testi operanti escussi non hanno riferito elementi ulteriori rispetto alla mera presenza del P. sul posto al momento del sopralluogo effettuato dai Carabinieri, che deponessero per la riferibilità soggettiva all'imputato del furto a lui contestato. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso, viene censurato il vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui essa nega il riconoscimento della scriminante dello stato di necessità, quanto meno putativo scriminante che la Corte di merito ha ingiustamente escluso deducendo che il P. avrebbe potuto e dovuto rivolgersi agli enti assistenziali, laddove costui era invece costretto dalla necessità di utilizzare l'energia elettrica e il servizio idrico per le esigenze connesse all'occupazione di un immobile sprovvisto di detti servizi. Considerato in diritto 1. Il ricorso é inammissibile, perché manifestamente infondato in ambedue i motivi in cui esso é articolato. 2. Si premette che nel giudizio di legittimità il sindacato sulla correttezza del procedimento indiziario non può consistere nella rivalutazione della gravità, della precisione e della concordanza degli indizi, in quanto ciò comporterebbe inevitabilmente apprezzamenti riservati al giudice di merito, ma deve tradursi nel controllo logico e giuridico della struttura della motivazione, al fine di verificare se sia stata data esatta applicazione ai criteri legali dettati dall'art. 192, comma secondo, cod. proc. pen. e se siano state coerentemente applicate le regole della logica nell'interpretazione dei risultati probatori fra le tante vds. Sez. 1, Sentenza n. 42993 del 25/09/2008, Pipa, Rv. 241826 . 3. Tanto premesso, la pur concisa motivazione offerta dall'impugnata sentenza non si limita a fare rinvio alla sentenza di primo grado, ma illustra esplicitamente, benché sinteticamente, le ragioni in base alle quali tale rinvio é frutto di un vaglio critico specificamente effettuato. La Corte territoriale, nel riportarsi alla motivazione della sentenza di primo grado, offre infatti specifica contezza di alcune circostanze che appaiono in sé decisive e che non risultano smentite o sminuite dalle deduzioni del ricorrente nella sentenza impugnata si fa riferimento al sopralluogo eseguito dai Carabinieri, che consentiva di constatare l'occupazione dell'immobile da parte del P., nonché l'allaccio abusivo alla rete elettrica e al servizio idrico. In presenza di detti elementi oggettivamente accertati, quanto alla riferibilità soggettiva della condotta all'odierno ricorrente non é dato ravvisare alcun vizio di motivazione, atteso che al riguardo il percorso logico seguito nell'impugnata sentenza si fonda sul fatto che é risultata evidente l'occupazione sine titulo dell'immobile da parte del P., il quale quindi era l'unico soggetto avente interesse all'erogazione abusiva di acqua ed energia elettrica, ed era dunque a lui che doveva necessariamente essere riferita la condotta furtiva, in difetto di altre plausibili ricostruzioni logiche. Perciò, la Corte napoletana non aveva necessità di approfondire e illustrare ulteriori elementi ai fini dell'accertamento della responsabilità del P. in ordine al reato contestato, e la motivazione dalla stessa resa, ineccepibile sul piano logico, risulta più che bastevole ad affermare sia la materiale riferibilità all'odierno ricorrente del delitto di furto a lui addebitato, sia la sussistenza dell'elemento soggettivo di detto reato. 4. Inammissibile é anche il motivo di ricorso inerente al mancato riconoscimento dello stato di necessità, che la Corte ha convenientemente motivato osservando che il P. non era costretto a porre in essere l'occupazione dell'immobile per salvarsi da un pericolo imminente, ben potendo rivolgersi ad enti assistenziali ove fosse, peraltro, in grado di dimostrare una condizione economica precaria. E', invero, ius receptum che l'illecita occupazione di un immobile é scriminata dallo stato di necessità solo in presenza di un pericolo imminente di danno grave alla persona, non potendosi legittimare - nelle ipotesi di difficoltà economica permanente, ma non connotata dal predetto pericolo - una surrettizia soluzione delle esigenze abitative dell'occupante e della sua famiglia vds. ad es. Sez. 2, Sentenza n. 28067 del 26/03/2015, Antonuccio e altro, Rv. 264560 . 5. É appena il caso di precisare che, in presenza della manifesta infondatezza delle censure in quanto causa originaria di inammissibilità, non può essere rilevata la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531 Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 , né sussistono i presupposti per l'applicabilità del secondo comma dell'art. 129 c.p.p. nei termini postulati ex multís da Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274. 6. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in € 1000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.