Ingiusta detenzione: la sussistenza di indizi cautelari giustifica il rigetto della domanda di riparazione

In caso di domanda di equa riparazione derivante da ingiusta detenzione per assoluzione, la sussistenza degli indizi cautelari ne esclude l’accoglimento. Nel caso di specie, il comportamento altamente rimproverabile relativo all’acquisto di droga in quantità superiore a quella normalmente destinata ad uso personale e le circostanze in cui la detenzione è stata scoperta, così come il comportamento dell’imputato, giustificano la decisione del giudice dell’appello di respingere la domanda di equa riparazione.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28605/16, depositata l’8 luglio. Il caso. La Corte d’appello di Palermo respingeva la domanda di equa riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal richiedente. Avverso tale decisione, ricorre quest’ultimo per cassazione esponendo che nell’ordinanza impugnata non è stato indicato il rapporto causale tra specifici comportamenti dell’indagato e privazione della libertà personale. Denuncia il ricorrente che il giudice della riparazione abbia fondato il proprio convincimento sull’asserita inverosimiglianza di quanto dichiarato dall’indagato in merito all’acquisto di droga presso un centro commerciale da persona sconosciuta, tralasciando di accertare l’efficacia sinergica di tale dichiarazione rispetto al provvedimento restrittivo, fondato sulla destinazione della sostanza stupefacente allo spaccio. Spaccio che era stato peraltro escluso dalla sentenza assolutoria per l’assenza di elementi indiziari sintomatici. Gli indizi posti a fondamento della misura cautelare. La Corte rigetta per infondatezza il ricorso. L’ordinanza impugnata espone che la misura cautelare è stata adottata in relazione al reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/90, in quanto l’imputato era stato sorpreso, mentre guidava la sua autovettura, in possesso di 22 grammi di cocaina, occultati nella fodera del giubbotto. Gli indizi posti a fondamento della misura cautelare erano costituiti quindi dalla detenzione di sostanza stupefacente in un quantitativo superiore alle esigenze di assunzione per diversi giorni e dal fatto che il detentore non fosse in crisi di astinenza, né risultasse tossicodipendente. Nel corso dell’interrogatorio di garanzia, aveva peraltro l’imputato sostenuto di aver acquistato la droga da una persona sconosciuta, dando l’idea di voler tutelare la posizione di altri soggetti, rafforzando l’ipotesi accusatoria. La Corte d’appello, dopo la prima sentenza di condanna, ha assolto perché il fatto non sussiste, ritenendo non sufficientemente provato che lo stupefacente fosse detenuto per fini di spaccio. Il sospetto di illecito penalmente rilevante. In ogni caso, la Corte è d’accordo con quanto affermato dal Giudice della riparazione non può dubitarsi che si sia in presenza di comportamento altamente rimproverabile afferente alle intese concernenti l’acquisizione di un quantitativo di droga superiore a quello normalmente destinato ad uso personale. È chiaro che le circostanze in cui la detenzione è stata scoperta e il comportamento dell’imputato abbiano indotto a ritenere di essere in presenza di un illecito penalmente rilevante. Per tali ragioni, la Corte ritiene di rigettare l’impugnazione.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 7 giugno – 8 luglio 2016, numero 28605 Presidente D’Isa – Relatore Serrao Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. La Corte di Appello di Palermo ha respinto la domanda avanzata da I.I. intesa ad ottenere l'equa riparazione per l'ingiusta detenzione subita. 2. Ricorre per cassazione il richiedente. Espone che nell'ordinanza impugnata non è stato indicato il rapporto causale tra specifici comportamenti dell'indagato e privazione della libertà personale. La circostanza che la detenzione per uso personale di sostanza stupefacente costituisca illecito amministrativo è irrilevante e non integra di per sé colpa grave, tanto più che nel caso concreto lo stupefacente non era confezionato in dosi e che la stessa sentenza assolutoria ha riconosciuto l'assenza di elementi indiziari sintomatici della destinazione allo spaccio della sostanza. Il giudice della riparazione ha travisato la prova, fondando il proprio convincimento sull'asserita inverosimiglianza di quanto dichiarato dall'indagato in merito all'acquisto della droga presso un centro commerciale da persona sconosciuta. Si è, in ogni caso, tralasciato di accertare l'efficacia sinergica di tale dichiarazione rispetto al provvedimento restrittivo, fondato sulla destinazione della sostanza stupefacente allo spaccio. 3. Il Procuratore Generale ha concluso per l'accoglimento del ricorso. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha presentato una memoria chiedendo che il ricorso sia rigettato. 4. Il ricorso è infondato. L'ordinanza impugnata espone che la misura cautelare è stata adottata in relazione al reato di cui all'articolo 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309 in quanto l'I. era stato sorpreso, mentre guidava la sua autovettura con a bordo un passeggero, in possesso di due involucri di cellophane contenenti complessivamente 22 grammi di cocaina, occultati nella fodera del giubbotto. La Corte di Appello, dopo la prima sentenza di condanna, ha assolto perché il fatto non sussiste. Si espone nell'ordinanza impugnata che gli indizi erano costituiti dalla detenzione di sostanza stupefacente in un quantitativo ben superiore alle esigenze di assunzione per diversi giorni e dal fatto che il detentore non fosse in crisi di astinenza, né risultasse tossicodipendente. Nel corso dell'interrogatorio di garanzia, raccontando di aver acquistato la droga da persona mai vista prima presso un centro commerciale, il ricorrente ha dato l'idea di voler tutelare la posizione di altri soggetti, rafforzando l'ipotesi accusatoria. La Corte di Appello, nella sentenza assolutoria, ha ritenuto non sufficientemente provato che lo stupefacente fosse detenuto per fini di spaccio. 5. La Corte della riparazione ritiene che le condotte siano ostative all'accoglimento della domanda. Si tratta di comportamenti illeciti idonei ad ingenerare nell'autorità giudiziaria il convincimento che ha determinato l'adozione della misura cautelare, tanto più che il ricorrente si era munito di un quantitativo ben superiore alle necessità personali. Oltre a ciò, non ha spiegato come sia stato possibile concludere l'acquisto per euro 600,00 di cocaina con uno sconosciuto senza previa individuazione della volontà di quest'ultimo di cedere lo stupefacente e nella concomitante circostanza di aver portato con sè una somma non irrilevante in contanti. Si tratta di apprezzamento conforme ai principi, aderente a plurime e significative acquisizioni fattuali ed immune da vizi di sorta. Invero, come correttamente ritenuto dal Giudice della riparazione, non può dubitarsi che si sia in presenza di comportamento altamente rimproverabile afferente alle intese concernenti l'acquisizione di un quantitativo di droga superiore a quello normalmente destinato ad uso personale. È chiaro che le circostanze in cui la detenzione è stata scoperta ed il comportamento dell'I. abbiano indotto a ritenere che si fosse in presenza di un illecito penalmente rilevante la condotta censurata ha, dunque, avuto pregnante rilievo eziologico in relazione all'adozione della misura cautelare. L'impugnazione deve essere conseguentemente rigettata. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dal costituito Ministero che liquida in complessivi €.1.000,00.