Nei verbali di esecuzione delle intercettazioni non è indicato il nominativo dell’interprete: mera irregolarità o sanzione endoprocessuale?

L’omessa indicazione nel verbale di esecuzione delle intercettazioni delle generalità dell’interprete di lingua straniera che abbia proceduto all’ascolto, alla traduzione ed alla trascrizione delle conversazioni, rende inutilizzabili tali operazioni.

E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la pronuncia n. 28216 del 7 luglio 2016. Il caso. Il Tribunale della libertà di Palermo confermava quasi interamente l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip nei confronti di S.M., indagato dei reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Avverso tale ordinanza l’indagato ricorreva per cassazione deducendo, in via del tutto preliminare, la nullità del provvedimento impugnato per non avere il Tribunale dichiarato la inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni telefoniche disposte nel corso dell’inchiesta a causa del fatto che nei verbali delle trascrizioni eseguite non era indicato il nominativo dell’interprete che aveva provveduto alla traduzione di esse dalla lingua dell’indagato, ovvero la lingua rumena, a quella italiana. Più precisamente, il ricorrente rilevava che l’art. 271 co 1 c.p.p. sancisce la inutilizzabilità dei risultati delle attività captative laddove le stesse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge ovvero in violazione di quanto previsto dagli artt. 267 e 268 co 1 c.p.p., e che quest’ultima disposizione prevede che delle operazioni di intercettazione sia redatto verbale, il quale, a sua volta, secondo la previsione dell’art. 89 disp. att. c.p.p., deve contenere l’indicazione delle persone che hanno preso parte alle operazioni. La Terza Sezione Penale della Suprema Corte ha avuto modo di chiarire la sussistenza di un duplice e contrapposto orientamento precipuamente afferente la problematica giuridica sollevata con il predetto motivo di gravame. Il primo orientamento. Secondo un primo indirizzo, essendo la traduzione delle conversazioni oggetto di intercettazione un’attività logicamente e cronologicamente successiva alla loro intercettazione, essa esula rispetto al novero delle operazioni previste dall’art. 89 disp. att. c.p.p., con la conseguenza che la indicazione del nominativo dell’interprete non fa parte delle indicazioni che devono essere annotate nei verbali delle operazioni previsto dall’art. 268 co 1 c.p.p. . Donde, deve ritenersi infondata la eccezione di inutilizzabilità delle risultanze di intercettazioni telefoniche ove questa si basi unicamente sulla omessa indicazione nel verbale delle operazioni eseguite delle generalità dell’interprete traduttore, atteso che nessuna disposizione normativa ricollega a tale omissione la nullità o la inutilizzabilità della attività da questo svolta, trattandosi, semmai, di mera irregolarità dell’atto non suscettibile di sanzione endoprocessuale. Il secondo orientamento. Ai sensi del contrapposto indirizzo giurisprudenziale, invece, laddove vi sia incertezza assoluta sul nominativo dell’interprete intervenuto in occasione delle operazioni di intercettazione di conversazioni telefoniche, si verifica una ipotesi di nullità delle medesime, la quale, peraltro, data la sua caratteristica di nullità relativa, deve essere immediatamente eccepita rimanendo sanata in caso contrario. In altri termini, l’omessa indicazione nel verbale di esecuzione delle intercettazioni delle generalità dell’interprete di lingua straniera che abbia proceduto all’ascolto, alla traduzione ed alla trascrizione delle conversazioni, rende inutilizzabili tali operazioni per l’impossibilità di desumere la capacità dell’ausiliario di svolgere adeguatamente il compito affidatogli. La decisione della Corte. La Corte, nel decidere il ricorso dell’indagato S.M., ha ritenuto di uniformarsi a questo secondo orientamento giurisprudenziale. In effetti, chiariscono i Supremi Giudici, avendo il traduttore delle conversazioni preso parte ad una delle operazioni in cui si articola l’attività di intercettazione e che va, pertanto, verbalizzata, il suo nominativo è fra quelli che debbono essere indicati nel verbale redatto ai sensi del combinato disposto degli artt. 268 co 1 c.p.p. e 89 disp. att. c.p.p Per ciò che concerne, poi, l’effetto di tale mancata indicazione – una vera e propria sanzione endoprocessuale oppure una mera irregolarità non incisiva sulla validità dell’atto – la Corte ritiene che la soluzione vada ricercata nella ratio del predetto art. 89 disp. att. c.p.p In altre parole, la sua funzione è quella di consentire, previa la identificazione personale dei soggetti che hanno preso parte alle operazioni, la verifica della esistenza di condizioni che, proprio in ragione della identità personale degli stessi, possono essere tali da porre in dubbio la correttezza dello svolgimento delle operazioni stesse e la genuinità delle loro risultanze – con riguardo sia alle capacità tecnico-professionali che alla sussistenza di eventuali situazioni di incompatibilità. Pertanto, la Corte ha affermato la inutilizzabilità delle risultanze dell’attività captativa e, conseguentemente, ha annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 novembre 2015 – 7 luglio 2016, n. 28216 Presidente Franco – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Il Tribunale di Palermo, con ordinanza del 19 giugno 2015, ha riformato, con esclusivo riferimento alla mancanza di gravi indizi di colpevolezza in ordine alla ricorrenza della aggravante della transnazionalità, la ordinanza con la quale il locale Gip aveva disposto, su richiesta del Pm, la adozione della misura cautelare della custodia in carcere a carico di S.M. , cittadino rumeno regolarmente soggiornante in Italia, indagato, unitamente a diversi altri suoi connazionali nell’ambito di una complessa inchiesta in corso di svolgimento da parte della autorità inquirente palermitana, con riferimento a reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, aggravati dall’uso della violenza, dal numero dei concorrenti nel reato e da quello della persone sfruttate. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il S. deducendo, in via preliminare, la nullità del provvedimento impugnato per non avere il Tribunale palermitano dichiarato la inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni telefoniche disposte nel corso dell’inchiesta a causa del fatto che nei verbali delle trascrizioni eseguite non era indicato il nominativo dell’interprete che aveva provveduto alla traduzione di esse dalla lingua rumena a quella italiana. In particolare il ricorrente, ha rilevato che l’art. 271, comma 1, cod. proc. pen. dispone la inutilizzabilità dei risultati della attività captative laddove le stesse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge ovvero in violazione di quanto previsto dagli artt. 267 e 268, comma 1, cod. proc. pen. e che quest’ultima disposizione prevede che delle operazioni di intercettazione sia redatto verbale, il quale, a sua volta, secondo la previsione dell’art. 89 disp. att. cod. proc. pen., deve contenere l’indicazione delle persone che hanno preso parte alle operazioni. Altra ragione preliminare di nullità del provvedimento, sempre relativa alle operazioni di intercettazione, è dedotta dal ricorrente attraverso la segnalazione che le stesse erano state disposte in assenza di ragioni che le giustificassero, avendo il Gip provveduto sulla base di una richiesta che richiamava esclusivamente una richiesta di assistenza giudiziaria proveniente dalla Romania. Con riferimento all’in sé della ordinanza emessa dal Tribunale del riesame di Palermo la difesa del S. ne ha dedotto la nullità in quanto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati ascritti era stata desunta solamente dal contenuto di talune intercettazioni telefoniche dal significato del tutto ambiguo e non tale da integrare gli elementi necessari per la adozione della misura stessa. Analogo discorso era svolto dal ricorrente quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari, non essendo stato indicato dal Tribunale in che maniera il S. avrebbe potuto ostacolare le indagini in corso, perché vi era il pericolo della reiterazione delle condotte e perché vi era il pericolo di fuga, in particolare quest’ultimo desunto dal Tribunale in ragione alla sola nazionalità straniera dell’indagato era, infine contestata la motivazione in ordine alla impraticabilità della applicazione degli arresti domiciliari con la prescrizione degli strumenti elettronici di controllo. Considerato in diritto Il ricorso, risultato fondato, deve essere pertanto accolto. Osserva la Corte, con riferimento al primo motivo di censura, che sul punto la giurisprudenza di questa Corte ha espresso due orientamenti fra loro rigorosamente contrapposti. Secondo un primo indirizzo, di cui è espressione, fra le altre, la sentenza n. 24141 del 2008, essendo la traduzione delle conversazioni oggetto di captazione un’attività logicamente e cronologicamente successiva alla loro intercettazione, essa esula rispetto al novero delle operazioni previste dall’art. 89 disp. att. cod. proc. pen., con la conseguenza che la indicazione del nominativo dell’interprete non fa parte delle indicazioni che devono essere annotate nel verbale delle operazioni previsto dall’art. 268, comma 1, del codice di rito Corte di cassazione, Sezione VI penale, 13 giugno 2008, n. 24141 . Siffatto orientamento si ricollega logicamente a quanto già affermato in precedenza da questa Corte, laddove essa sostenne che doveva ritenersi infondata la eccezione di inutilizzabilità delle risultanze di intercettazioni telefoniche ove questa si basi unicamente sulla omessa indicazione nel verbale delle operazioni eseguite delle generalità dell’interprete traduttore, atteso che nessuna disposizione normativa ricollega a tale omissione la nullità o la inutilizzabilità della attività da questo svolta Corte di cassazione, Sezione VI penale, 27 luglio 2007, n. 30783 . In particolare la Corte rilevò che una tale omissione può essere semmai fonte di una mera irregolarità dell’atto, non suscettibile di sanzione endoprocessuale, posto che la verifica della capacità dell’interprete, operazione alla quale sarebbe strumentale la preventiva identificabilità personale del soggetto traduttore, é, viceversa, dato obbiettivamente rilevabile, al di là della identificazione della persona dell’interprete, in quanto desumibile dalla correttezza o meno della traduzione eseguita e trascritta. Lo stesso avviso ora esposto è stato ribadito più di recente da questa Corte, con la sentenza n. 25549 del 2015, nella quale, confermato che l’irregolare redazione del verbale delle operazioni di intercettazioni telefoniche non è fonte di inutilizzabilità delle relative risultanze, si è precisato che le operazioni di intercettazione, le quali sono svolte, ai sensi dell’art. 268 cod. proc. pen., sotto il diretto controllo della autorità giudiziaria, non debbono essere confuse con le operazioni ad esse successive, fra le quali vi è la loro verbalizzazione Corte di cassazione, Sezione V penale, 17 giugno 2015, n. 25549, non massimata . A tale orientamento, come dianzi accennato, se ne contrappone un altro, secondo il quale, laddove vi sia incertezza assoluta sul nominativo dell’interprete intervenuto in occasione delle operazioni di intercettazione di conversazioni telefoniche, si verifica un’ipotesi di nullità delle medesime, la quale, peraltro, data la sua caratteristica di nullità relativa deve essere immediatamente eccepita rimanendo sanata in caso contrario Corte di cassazione, Sezione I penale, 27 marzo 2008, n. 12954 . Analogamente, in altra occasione - con quella che, a quanto risulta, è la più recente pronunzia massimata in argomento - la Corte ha sostenuto che la omessa indicazione nel verbale di esecuzione delle intercettazioni delle generalità dell’interprete di lingua straniera che abbia proceduto all’ascolto, alla traduzione ed alla trascrizione delle conversazioni, rende inutilizzabili tali operazioni per l’impossibilità di desumere la capacità dell’ausiliario di svolgere adeguatamente il compito affidatogli Corte di cassazione, Sezione III penale, 9 dicembre 2013, n. 49331 . Ritiene il Collegio che questo secondo orientamento sia preferibile. Pare opportuno, onde dimostrare le ragioni di tale indirizzo, procedere ad una breve ricognizione normativa della disciplina applicabile allo specifico profilo della fattispecie in esame. Invero l’art. 268, comma 1, cod. proc. pen., prevede che delle operazioni di intercettazione sia redatto apposito verbale nel quale, secondo quanto precisato dal successivo comma 2 della medesima disposizione, va trascritto, anche solo sommariamente, il contenuto delle conversazioni intercettate. Relativamente alle modalità di redazione di detto verbale soccorre l’art. 89 disp. att. cod. proc. pen., il quale, a sua volta, chiarisce che in esso debbono essere contenute, oltre alla indicazione del decreto con il quale la captazione è stata autorizzata, la descrizione delle modalità di registrazione, l’annotazione del giorno e dell’ora di inizio e di cessazione delle intercettazioni nonché il nominativo delle persone che hanno preso parte alle operazioni. Ora, posto che secondo l’espresso tenore della previsione legislativa contenuta nell’art. 268, comma 2, cod. proc. pen., nel verbale delle operazioni di intercettazione è trascritto, ancorché sommariamente, il contenuto delle intercettazioni, è indubbio che, allorché le intercettazioni siano riferite a comunicazioni che si sono svolte fra persone parlanti un idioma diverso da quelli italiano e nel caso in cui si sia proceduto alla trascrizione in lingua italiana ed in forma sommaria del loro contenuto, sia stata compiuta, precedentemente alla redazione del verbale, un’operazione di traduzione di esse. Non appare, pertanto, affatto condivisibile la tesi che, viceversa, colloca su due piani logicamente e temporalmente sfasati la redazione del verbale delle operazioni di intercettazione e la operazione di traduzione del contenuto delle medesime. Da quanto sopra rilevato deriva inevitabilmente che, avendo il traduttore delle conversazioni preso parte ad una delle operazioni in cui si articola la attività di intercettazione e che va, pertanto, verbalizzata, il suo nominativo è fra quelli che debbono essere indicati nel verbale redatto ai sensi del combinato disposto degli artt. 268, comma 1, cod. proc. pen. e 89 disp. att. cod. proc. pen Si tratta, a questo punto, di vedere se la mancata indicazione di tale nominativo è assistita da una sanzione endoprocessuale ovvero se si tratta di mera irregolarità non comportante conseguenze in ordine alla validità dell’atto. Ritiene questo Collegio che onde rispondere al predetto quesito occorre verificare quale sia la ratio che sottende alla previsione contenuta nell’art. 89 disp. att. cod. pen., il quale, come primo rilevato, richiede la indicazione dei nominativi di chi abbia preso parte alle operazioni in questione. Escludendosi che la stessa sia stata inserita per un mero capriccio del legislatore, deve concludersi che la sua funzione sia quella di consentire, previa la identificazione personale dei soggetti che hanno preso parte alle operazioni, la verifica delle esistenza di condizioni che, proprio in ragione della identità personale di quelle, possono essere tali da porre in dubbio la correttezza dello svolgimento delle operazioni stesse e la genuinità delle loro risultanze. A tale proposito, per ciò che specificamente attiene alla posizione del traduttore, ritiene la Corte che la sua indicazione nominativa sia strumentale a sia a rendere possibile il controllo sulla sussistenza di elementi che ne evidenzino la capacità tecniche professionali e culturali ad portare a compimento adeguatamente l’incarico conferitogli, essendo quest’ultimo attinente non ad un’operazione meramente meccanica, richiedendo, invece, il suo svolgimento la necessità di procedere alla scelta, fra i più significanti attribuibili ad una od a più parole fra loro logicamente coordinate rese in un idioma diverso da quello nazionale, il significato che, espresso nella lingua italiana, sia più fedele, in base ad una valutazione non priva di taluni margini di apprezzabilità soggettiva, al contenuto del dialogo b a consentire la verifica della insussistenza di situazioni di incompatibilità a carico del traduttore che ha eseguito la predetta operazione tali da comportare la nullità degli atti dal medesimo compiuti. Infine, rileva la Corte, laddove le operazioni di intercettazione siano state eseguite in spregio, fra l’altro, a quanto previsto dall’art. 268, comma 1, cod. proc. pen. il quale, prevedendo la redazione del verbale a sua volta disciplinato dall’art. 89 disp. att. cod. proc. pen., deve intendersi violato, nel caso in cui il verbale non sia redatto secondo le modalità di cui alla norma ultima citata , l’art. 271 cod. proc. pen. indica come espressa sanzione a siffatto vizio la inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in tal modo compiute. Ora, rilevato che nel caso in questione non è dubbia la circostanza che non siano state riportate nel verbale delle operazioni di intercettazione che hanno condotto alla acquisizione degli elementi indiziari a carico di parte ricorrente le generalità dell’interprete di lingua rumena che ha curato la traduzione del contenuto delle conversazioni intercorse fra gli indagati, va affermata, alla luce delle considerazione che precedono, la inutilizzabilità delle relative risultanze e, di conseguenza, la illegittimità della ordinanza del Tribunale di Palermo che, non avendo dichiarato tale inutilizzabilità in sede di riesame, ha confermato la misura cautelare oggetto dell’originario ricorso. La ordinanza impugnata, assorbite le restanti censure - ivi comprese quelle riguardanti la sussistenza delle esigenze cautelari, in particolare in relazione al pericolo di inquinamento probatorio la cui sussistenza é, invero assai superficialmente, dedotta dal Tribunale di Palermo sulla base del fatto, apparentemente irrilevante ai fini dimostrativi della esistenza della esigenza cautelare in questione, che si tratta di fatti commessi in ambito internazionale ancora necessitanti di approfondimenti istruttori, ed in ragione della ipotesi, genericamente formulata dal Tribunale del riesame, che il prevenuto potrebbe interferire su di esse e quelle relative al pericolo di fuga problematicamente desunta dal Tribunale di Palermo esclusivamente dalla circostanza che il ricorrente è persona di nazionalità straniera, ritenuta priva di radicamento nel territorio nazionale ancorché ivi regolarmente residente - va quindi annullata con rinvio al Tribunale di Palermo che, in diversa composizione personale, riesaminerà il ricorso presentato dal S. avverso la originaria ordinanza applicativa della misura cautelare ai suoi danni. Del presente provvedimento va data comunicazione, attraverso la trasmissione di esso in copia, al Direttore dell’istituto penitenziario ove il ricorrente è attualmente ristretto. P.Q.M. Annulla la ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Palermo. Dispone, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen