Perdurante stato d’ansia e cambiamento delle abitudini di vita: il reato di stalking

È l’atteggiamento persecutorio ad assumere specifica autonoma offensività ed è ad esso che deve guardarsi per valutarne la tipicità, anche sotto il profilo della produzione dell’evento richiesto per la sussistenza del reato di cui all’art 612-bis c.p In tale ottica, il fatto che tale evento si sia in ipotesi manifestato in più occasioni e a seguito della consumazione di singoli atti persecutori è non solo non discriminante, ma addirittura connaturato al fenomeno criminologico alla cui repressione la norma incriminatrice è finalizzata.

Così la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27875/16, depositata il 6 luglio. Il caso. La Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della pronuncia di primo grado del Tribunale di Pesaro, rideterminava la pena inflitta ad un uomo per il delitto di stalking di cui all’art. 612- bis c.p L’imputato propone dunque ricorso per cassazione, lamentando violazione di legge in ordine all’affermazione di responsabilità, poiché non sarebbero sussistenti gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 612- bis c.p., e vizio di motivazione, che sarebbe illogica e contraddittoria nella parte in cui riconosce la sussistenza del reato basata sulla indimostrata attività denigratoria” dell’imputato. Il reato di stalking. La Corte di Cassazione, nell’analisi dei motivi addotti dal ricorrente, opera una piccola digressione sul reato di stalking . Il legislatore, inserendo nel codice penale la fattispecie di cui all’art. 612- bis , ha voluto colmare un vuoto di tutela ritenuto inaccettabile rispetto a condotte che, ancorché non violente, recano un apprezzabile turbamento nella vittima. La violenza spesso è l’esito di una pregressa condotta persecutoria, pertanto, mediante l’incriminazione degli atti persecutori, si è inteso anticipare la tutela della libertà personale e dell’incolumità fisio-psichica attraverso l’incriminazione di condotte che, precedentemente, parevano sostanzialmente inoffensive. La Corte poi ricorda che integrano il delitto di atti persecutori anche due sole condotte tra quelle descritte dall’art. 612- bis c.p., mentre, un solo episodio, per quanto grave e capace di determinare il grave e persistente stato d’ansia e di paura, non è sufficiente a determinare la lesione del bene giuridico protetto dalla norma sent. n. 48391/14 . È l’atteggiamento persecutorio ad assumere specifica autonoma offensività ed è ad esso che deve guardarsi per valutarne la tipicità, anche sotto il profilo della produzione dell’evento richiesto per la sussistenza del reato. In tale ottica, il fatto che tale evento si sia in ipotesi manifestato in più occasioni e a seguito della consumazione di singoli atti persecutori è non solo non discriminante, ma addirittura connaturato al fenomeno criminologico alla cui repressione la norma incriminatrice è finalizzata. Sulla base delle suesposte precisazioni in tema di art. 612- bis c.p., risultano non fondate le censure addotte dal ricorrente alle sentenze dei giudici di merito. Ciò viene peraltro dimostrato anche dal verificarsi dell’evento cambiamento delle abitudini di vita come richiesto dalla norma incriminatrice, avendo la persona offesa, in conseguenza delle reiterate molestie subite, oltre che sviluppato disturbi di tipo psicologico trattati con farmaci, anche dovuto modificare le abitudini quotidiane sia negli spostamenti che su luogo di lavoro per evitare occasioni d’incontro. La richiesta di diversa ricostruzione dei fatti. Alla luce dei fatti suesposti, le doglianze difensive si rivelano finalizzate solo ad una diversa ricostruzione dei fatti. La Corte ribadisce però che non le possono essere sottoposti giudizi di merito, lasciando la modifica normativa di cui alla l. n. 46/06 invariata la natura del controllo di esclusiva legittimità demandato alla Corte di Cassazione. Nel caso concreto, peraltro, non sussiste il cd. travisamento della prova, che si realizza allorché si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia, avendo la Corte d’appello puntualmente riportato gli esiti dell’istruttoria dibattimentale di primo grado, valutando anche le doglianze contenute nell’atto di appello. Per questi motivi, il ricorso è rigettato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 27 gennaio – 6 luglio 2016, n. 27875 Presidente Lapalorcia – Relatore Miccoli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 30 settembre 2014 la Corte d’appello di Ancora, in parziale riforma della pronunzia di primo grado del Tribunale di Pesaro, concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, ha rideterminato la pena inflitta a G.M. per il delitto di cui all’art. 612 bis cod. pen. in danno di C.N. . La Corte territoriale ha anche ridotto la somma liquidata a titolo di risarcimento dei danni in favore della parte civile, condannando l’imputato alle spese da quest’ultima sostenute. 2. Con atto sottoscritto dal difensore, l’imputato ha proposto ricorso articolato come segue. 2.1. Viene denunziata violazione di legge in ordine all’affermazione di responsabilità, perché non sarebbero sussistenti nel caso in esame gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 612 bis cod. pen. In particolare non sarebbe emersa la prova della esistenza di un nesso causale tra le condotte poste in essere dal G. e lo stato d’ansia della persona offesa. Il ricorrente ha quindi allegato una serie di elementi dai quali si desumerebbe che non si è realizzata in concreto la fattispecie di cui all’art. 612 bis cod. pen 2.2. Con il secondo motivo viene denunziato il vizio di motivazione, che sarebbe illogica e contraddittoria nella parte in cui riconosce la sussistenza del reato di cui all’art. 612 bis cod. pen. basata sulla indimostrata attività denigratoria attribuita al G. ed utilizza come argomento idoneo a giustificare l’esistenza degli elementi essenziali del reato il fatto che il prevenuto parcheggiasse l’autovettura di fronte al negozio della C. e/o frequentasse il circolo degli anziani di . Considerato in diritto Il ricorso non può essere accolto. 1. Con le doglianze proposte il ricorrente contesta la sussistenza degli elementi costitutivi dell’art. 612 bis cod. pen., lamentando in proposito anche vizi di motivazione. 2. Giova in proposito premettere, in via generale, che con l’introduzione della fattispecie di cui all’art. 612 bis cod. pen. il legislatore ha voluto, prendendo spunto dalla disciplina di altri ordinamenti, colmare un vuoto di tutela ritenuto inaccettabile rispetto a condotte che, ancorché non violente, recano un apprezzabile turbamento nella vittima. Il legislatore ha preso atto però che la violenza declinata nelle diverse forme delle percosse, della violenza privata, delle lesioni personali, della violenza sessuale spesso è l’esito di una pregressa condotta persecutoria pertanto, mediante l’incriminazione degli atti persecutori si è inteso in qualche modo anticipare la tutela della libertà personale e dell’incolumità fisiopsichica attraverso l’incriminazione di condotte che, precedentemente, parevano sostanzialmente inoffensive e, dunque, non sussumibili in alcuna fattispecie penalmente rilevante o in fattispecie per così dire minori, quali la minaccia o la molestia alle persone. È peraltro utile ricordare come, per il consolidato insegnamento di questa Corte, integrano il delitto di atti persecutori anche due sole condotte tra quelle descritte dall’art. 612 bis cod.pen., come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice ex multis Sez. 5, n. 46331 del 5 giugno 2013, D. V., Rv. 257560 . Invece, un solo episodio, per quanto grave e da solo anche capace, in linea teorica, di determinare il grave e persistente stato d’ansia e di paura che è indicato come l’evento naturalistico del reato, non è sufficiente a determinare la lesione del bene giuridico protetto dalla norma in esame, potendolo essere, invece, alla stregua di precetti diversi e ciò in aderenza alla volontà del legislatore il quale, infatti, non ha lasciato spazio alla configurazione di una fattispecie solo eventualmente abituale Sez. 5, n. 48391 del 24/09/2014, C, Rv. 261024 . Il delitto, inoltre, è configurabile anche quando le singole condotte sono reiterate in un arco di tempo molto ristretto, a condizione che si tratti di atti autonomi e che la reiterazione di questi sia la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice. Sez. 5, n. 33563 del 16/06/2015, B, Rv. 264356 . Trattandosi di reato abituale è la condotta nel suo complesso ad assumere rilevanza ed in tal senso l’essenza dell’incriminazione di cui si tratta si coglie non già nello spettro degli atti considerati tipici, bensì nella loro reiterazione, elemento che li cementa, identificando un comportamento criminale affatto diverso da quelli che concorrono a definirlo sul piano oggettivo. È dunque l’atteggiamento persecutorio ad assumere specifica autonoma offensività ed è per l’appunto alla condotta persecutoria nel suo complesso che deve guardarsi per valutarne la tipicità, anche sotto il profilo della produzione dell’evento richiesto per la sussistenza del reato. In tale ottica il fatto che tale evento si sia in ipotesi manifestato in più occasioni e a seguito della consumazione di singoli atti persecutori è non solo non discriminante, ma addirittura connaturato al fenomeno criminologico alla cui repressione la norma incriminatrice è finalizzata, giacché alla reiterazione degli atti corrisponde nella vittima un progressivo accumulo del disagio che questi provocano, fino a che tale disagio degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi nelle forme descritte nell’art. 612 bis cod. pen Indubbiamente l’evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio, in quanto dalla reiterazione degli atti deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che, solo alla fine della sequenza, degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme previste dalla norma incriminatrice. Sez. 5, n. 51718 del 05/11/2014, T, Rv. 262636 . Va detto, peraltro, che, ai fini della individuazione dell’evento cambiamento delle abitudini di vita che come si dirà più avanti si è verificato nel caso in esame , occorre considerare il significato e le conseguenze emotive della costrizione sulle abitudini di vita cui la vittima sente di essere costretta e non la valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate. Sez. 5, n. 24021 del 29/04/2014, G, Rv. 260580 . 3. Fatte le suesposte precisazioni in diritto, risultano non fondate le censure alle sentenze dei giudici di merito che hanno ritenuto integrata la fattispecie contestata. Invero, sulla base delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, è emerso che G. , già convivente della C. , nonché collaboratore nella pasticceria gestita dalla di lei famiglia, non aveva accettato la decisione unilaterale della donna, risalente al marzo 2009, di interrompere i rapporti sentimentali e lavorativi. Nei mesi successivi seguivano attività persecutorie, consistite in ripetuti appostamenti fuori dall’esercizio commerciale in visite all’interno dell’esercizio nel pedinamento della donna sino al circolo per anziani che lei frequentava in telefonate all’anziana madre della C. , nel corso delle quali le prospettava litigi in famiglia nei contatti visivi dall’esterno della pasticceria, con assunzione di atteggiamenti molesti, fermandosi per minuti a fissarla, al punto che era indotta a lasciare la sua postazione di servizio pur di non vederlo nell’abitudine di parcheggiare la vettura in corrispondenza dell’entrata della pasticceria, pubblicizzando con un cartellone apposto sull’auto in sosta l’avvio di un’attività di un vicino esercizio commerciale concorrente in atti denigratori nei confronti dell’attività commerciale, parlando con pluralità di persone, mettendone in luce asserite carenze pagina due della sentenza di appello . 4. Tale ricostruzione dei fatti è stata operata dai giudici di merito sulla base delle risultanze dell’istruttoria dibattimentale, di cui si è dato conto in maniera congrua e logica sia nella sentenza di appello che in quella di primo grado, alla quale la prima ha fatto anche legittimamente rinvio. Sia il Tribunale che la Corte territoriale hanno dato altresì conto delle risultanze in base alle quali hanno ritenuto provata la sussistenza dell’evento del reato contestato. È infatti emerso che la persona offesa, in conseguenza delle reiterate molestie subite dal G. , aveva sviluppato disturbi di tipo psicologico trattati con farmaci un sensibile calo di peso corporeo era stata costretta a modificare le abitudini quotidiane sia negli spostamenti che sul luogo di lavoro per evitare occasioni d’incontro pagina due della sentenza di appello . 5. Alla luce di quanto sopra rappresentato, è del tutto evidente che i fatti posti in essere dal G. non si siano concretati solo nel tentativo di riconquistare affettivamente e professionalmente la persona offesa, nonché in una mera attività denigratoria e di discredito commerciale , come sostenuto dalla difesa nel ricorso in esame. Il G. ha perpetrato una serie di atti di molestia, provocando stato d’ansia nella vittima e inducendola a mutare le proprie abitudini nella vita quotidiana. Peraltro non ci sono dubbi anche sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato contestato. In proposito, va detto che, trattandosi di reato abituale di evento, il dolo è da ritenersi senz’altro unitario, esprimendo un’intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica ma ciò non significa affatto che l’agente debba rappresentarsi e volere fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi, ben potendo il dolo realizzarsi in modo graduale e avere ad oggetto la continuità nel complesso delle singole parti della condotta. Si tratta, peraltro, di dolo generico, che consiste nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, e che, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un’intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l’agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, C e altro, Rv. 260411 . I giudici di merito hanno evidenziato quanto emerso nell’istruttoria dibattimentale in ordine all’elemento soggettivo, sottolineando che il G. aveva continuato a molestare la vittima sebbene fosse stato invitato anche dalla stessa persona offesa a desistere dalla sua condotta persecutoria. 6. A fronte di tali risultanze le doglianze difensive si rivelano finalizzate solo ad una diversa ricostruzione dei fatti. A questa Corte, però, non possono essere sottoposti giudizi di merito, non consentiti neppure alla luce del nuovo testo dell’art. 606, lettera e , cod. proc. pen. la modifica normativa di cui alla legge 20 febbraio 2006 n. 46 lascia infatti inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, la cui mancanza, illogicità o contraddittorietà può essere desunta non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati è perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova , che si realizza allorché si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia. Solo attraverso l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567 . Nel caso in esame è stato genericamente dedotto un vizio motivazionale, ma l’analisi del provvedimento impugnato consente di apprezzare come le argomentazioni utilizzate dalla Corte territoriale siano congrue ed improntate a criteri di logicità e coerenza, proprio con riferimento alla valutazione sia delle risultanze processuali, dalle quali emerge la responsabilità dell’imputato, sia della conseguente infondatezza delle argomentazioni difensive. La Corte di Appello, infatti, ha puntualmente riportato gli esiti dell’istruttoria dibattimentale di primo grado, dando atto in particolare delle dichiarazioni dei testi escussi e della attendibilità della persona offesa, il cui racconto risulta riscontrato dalle dichiarazioni di altri soggetti pag. sei e sette della sentenza impugnata . Peraltro, la Corte di Appello ha assolto compiutamente all’obbligo di motivazione, in quanto non si è limitata al mero richiamo delle argomentazioni svolte nella sentenza di primo grado, ma ha specificamente valutato le doglianze contenute nell’atto di appello, in particolare in ordine alla valutazione delle prove e alla conseguente ricostruzione dei fatti Sez. 6, n. 9752 del 29/01/2014, Ferrante, rv. 259111 Sez. 1, n. 43464 del 01/10/2004, Perazzolo, rv. 231022 . 7. Il reato contestato impone l’oscuramento dei dati. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs 195/03 in quanto disposto d’ufficio.