Travisamento della prova: terzo grado di merito?

Il vizio di travisamento della prova rilevante è soltanto quello finalizzato a far emergere l’errore sul c.d. significante”, cioè sulle premesse del ragionamento giudiziale non è consentito, invece, confutare il significato delle prove acquisite.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, con la sentenza n. 27067 depositata il 1° luglio 2016. Un tragico venerdì. Alle prime luci dell’alba di un venerdì di quasi dieci anni fa, di una intera famiglia in viaggio sull’autostrada A1 non restava che un solo superstite il conducente della vettura. Un tamponamento contro un autoarticolato, poi il cappottamento. Moglie e figli minorenni dell’automobilista non ci sono più. Lui, invece, verrà condannato in primo e secondo grado per omicidio colposo. Non entriamo nel merito delle ragioni della condanna, che non conosciamo e che, in definitiva, non interessano ai fini del commento della decisione della Suprema Corte. Basterà soltanto osservare che l’imputato solleva alcune censure avverso la sentenza della Corte d’appello, tra le quali quella del vizio di travisamento della prova”. Il travisamento della prova limiti operativi. Il ricorso non sortisce l’effetto sperato il rigetto viene motivato attraverso una sintetica, ma efficace, rassegna sul significato da attribuire al vizio di travisamento della prova. Secondo gli Ermellini, il quali sul punto richiamano un orientamento ormai consolidato, può parlarsi di travisamento probatorio soltanto se viene lamentato un rapporto di contraddizione tra la sentenza impugnata ed un elemento di prova, che deve essere naturalmente decisivo. Fin qui, nulla quaestio. Il problema sta nel rintracciare la caratteristica che la critica deve possedere per risultare ammissibile qui i Supremi Giudici sono molto rigorosi. Il rapporto di contraddizione non può che essere inteso in senso stretto, quale rapporto di negazione sulle premesse ”. Dobbiamo riconoscere che la spiegazione risulta un poco oscura tentandone una semplificazione, potremmo dire che il contrasto tra la decisione adottata e la prova che si sostiene sia stata travisata deve emergere in relazione alle premesse logiche che da quell’elemento di prova possono trarsi. Non potrà, invece, estendersi al significato probatorio ricavabile da un dato elemento acquisito nel processo, altrimenti si aprirebbe la strada ad un terzo grado di merito non previsto dalla legge. Un vizio difficile da individuare. La valutazione che si richiede al censore” della sentenza da impugnare non è dei più facili occorrerà che egli ponga a confronto il testo della decisione di merito con gli elementi probatori a disposizione del giudice. Ciò per verificare se quest’ultimo – se è di secondo grado – abbia, ad esempio, fatto riferimento ad elementi di prova che durante il primo giudizio non erano stati esaminati. Oppure, sottolineano da Piazza Cavour, può parlarsi di travisamento probatorio nel caso in cui sia il primo che il secondo giudice abbiano redatto delle sentenze macroscopicamente non corrispondenti con gli elementi di prova a loro disposizione. La scure dell’inammissibilità. Il limite della critica vincolata, che caratterizza il ricorso per cassazione, e lo àncora a specifici motivi, è la fonte principale delle declaratorie di inammissibilità dei presunti travisamenti probatori. Sul piano del rapporto tra gli elementi di giudizio e la decisione adottata, la critica di legittimità non può intervenire se non nei casi – estremi – dell’affermazione di esistenza di una prova in realtà inesistente, o nell’ipotesi inversa a quella appena prospettata. Però la tentazione degli estensori dei ricorsi per cassazione è alta e giù con critiche al significato attribuito dal giudice di merito alle prove assunte. Critiche che, intendiamoci, saranno pur fondatissime sul piano logico-valutativo, ma che, purtroppo, susciteranno inevitabilmente un allargamento di braccia dei Supremi Giudici niente da fare, non possiamo entrare nel merito dell’apprezzamento delle prove operato durante il primo e secondo grado di giudizio. Questa sarà, tranne nei rari casi sopra prospettati, la loro risposta.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 6 maggio – 1 luglio 2016, n. 27067 Presidente Blaiotta – Relatore Cappello Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 01/12/2014, la Corte d’Appello di Firenze ha confermato quella del Tribunale di Montepulciano, appellata dall’imputato P.A. , con la quale costui era stato condannato per il reato di cui all’art. 589 commi 1, 2 e 3 cod. pen., perché - alla guida di un’autovettura, per colpa generica e specifica, consistita quest’ultima nella violazione dell’obbligo di mantenere il controllo del mezzo e di essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizioni di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo entro il proprio campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo, nonché di mantenere la distanza di sicurezza dal veicolo che precede - cagionava la morte dei propri congiunti, moglie e figli minori, quale conseguenza dell’urto tra il mezzo condotto e un autoarticolato. 2. Questa in sintesi la vicenda così come ricostruita nella sentenza impugnata. Il P. , percorrendo intorno alle ore 05 00 del omissis , la carreggiata Nord dell’Autostrada XX, ad una velocità di circa 130/140 km/h, sopraggiungendo nel tratto in cui viaggiava l’autoarticolato condotto da M.V. , ad una velocità molto inferiore alla sua, pari a 85 Km/h circa, non si avvedeva tempestivamente del mezzo a causa della mancata percezione del pericolo imminente e prevedibile, cercava di evitarlo superandolo, senza riuscirci e così tamponando - con lo spigolo anteriore dx dell’auto - la parte posteriore sx del camion, con conseguente scoppio dello pneumatico del semirimorchio, tranciamento delle lamiere e distacco della ruota anteriore dx dell’auto che, dopo una serie di sbandamenti laterali, tornava a colpire il semirimorchio all’altezza della cassetta porta attrezzi e si ribaltava, determinando la proiezione sulla sede stradale dei soggetti trasportati, con conseguente decesso degli stessi. 3. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei propri difensori, formulando tre distinti motivi. Con il primo, ha dedotto vizio motivazionale e travisamento probatorio, sia con riferimento alla distorta valutazione dei fotogrammi 1, 2 e 3 effettuati dalla Polstrada, sui quali ha richiamato l’attenzione di questa Corte per verificare l’assoluta mancanza delle tracce di liquido sull’asfalto e dei segni di scalfittura che avuto riguardo alla tipologia dei danni riportati dai mezzi coinvolti nel sinistro, risultanti dal fotogramma 20, sul quale ha parimenti richiamato l’attenzione di questo giudice, al fine di accertare che tutta la fiancata destra dell’auto era stata coinvolta da un urto da compressione ad opera del pesante autoarticolato da destra verso sinistra rilevando un ulteriore travisamento probatorio nel significato attribuito dal giudice del merito al contenuto della telefonata che il P. fece al 113 dopo l’incidente, a sostegno della tesi difensiva scoppio dello pneumatico a seguito del tamponamento da parte del mezzo pesante . Sempre con lo stesso motivo e sotto altro profilo, la parte ha dedotto l’assenza di tracce di sfregamento di parti meccaniche sull’asfalto, inevitabile ove l’auto avesse perso la ruota. Con il secondo motivo, ha dedotto violazione di legge per non essere la Corte di merito addivenuta all’assoluzione stante l’evidente incertezza del quadro probatorio che ha visto confrontarsi due opposte ricostruzioni sia del perito F. , del C.T. M. e del teste T. , che del C.T. della difesa e del perito C. , limitatamente alla ricostruzione dei movimenti di rototraslazione subiti dalla Fiat Punto, successivamente all’impatto. Con il terzo motivo, ha dedotto l’inutilizzabilità della testimonianza T. poiché il teste - all’udienza dell’01/06/2010 - aveva affermato che altri prima di lui erano intervenuti sul luogo dell’incidente, che non aveva effettuato personalmente i rilievi sui quali ha riferito, che il mezzo pesante non era stato pesato e che il mancato sovraccarico era stato desunto dai soli documenti di trasporto, sostanziandosi, in definitiva, il suo riferito in una testimonianza de relato , inutilizzabile per mancata audizione della fonte, circostanza sulla quale la Corte era stata allertata in sede di appello. Considerato in diritto 1. Il ricorso va rigettato. 2. Il ricorrente ha riproposto in questa sede le censure già articolate con i motivi del gravame, alle quali la sentenza ha dato compiuta risposta come si evince dal semplice, doveroso raffronto di essi con la motivazione censurata. L’affermazione di penale responsabilità si è fondata sulle conclusioni degli operatori della Polstrada, del consulente tecnico del P.M. e del perito F. , i quali avevano individuato la fase iniziale del sinistro nel tamponamento tra lo spigolo anteriore dx della FIAT Punto ed il posteriore sx del semirimorchio, con conseguente scoppio dell’ultimo pneumatico posteriore di tale mezzo. Sono state, invece, disattese le conclusioni del perito C. nominato a seguito di declaratoria di nullità della prima perizia, dichiarazione che, tuttavia, era stata successivamente revocata dal Tribunale e quelle del consulente della difesa, secondo cui, al contrario, l’incidente sarebbe stato provocato dall’improvviso spostamento a sinistra del rimorchio dell’autoarticolato, probabilmente a causa dello scoppio dello pneumatico, mentre l’auto condotta dall’imputato era in fase di sorpasso, cosicché la Punto sarebbe stata colpita violentemente nella parte laterale destra, con conseguente perdita di controllo dell’auto da parte dell’imputato. Come è evidente, quindi, l’intero procedimento si è sostanzialmente sviluppato attorno ad un’unica questione di fatto, strettamente correlata alla ricostruzione del sinistro. Il punto è stato oggetto del serrato confronto tra due diverse tesi quella del tamponamento dell’auto contro la parte posteriore del mezzo pesante e del conseguente scoppio della ruota posteriore sx di questo e quella della deviazione improvvisa di quest’ultimo mezzo verso sinistra nel corso della manovra di sorpasso già intrapresa dal conducente dell’auto. La prima tesi è stata recepita dai giudici di merito che hanno ritenuto fondamentale, ai fini dell’accertamento della penale responsabilità dell’imputato, la ricostruzione della fase iniziale del sinistro e unica possibile quella effettuata dal perito F. , dal consulente Ma. e dalla Polstrada, anche sulla scorta delle planimetrie e dei rilievi fotografici. In base ad essa, pertanto, l’urto era avvenuto nella corsia di marcia di entrambi i veicoli e non su quella di sorpasso , con il P. che - sopraggiunto ad una velocità di molto superiore a quella dell’autoarticolato - non se ne era avveduto in tempo probabilmente a causa di una momentanea distrazione o per un colpo di sonno e aveva tentato all’ultimo momento di evitare l’impatto sterzando a sinistra senza riuscirci, a causa della insufficiente distanza tra i due mezzi, così urtando con la parte anteriore destra della sua auto contro la parte posteriore sinistra dell’autoarticolato, nel punto autostradale corrispondente all’inizio delle tracce gommose parallele rilevate. A causa dell’impatto, la barra paraincastro del semirimorchio veniva divelta, la struttura di sostegno della barra, il pannello retroriflettente ed il parafango della ruota posteriore sinistra venivano piegati in avanti e la ruota, a causa della forte pressione delle lamiere sul battistrada, si squarciava sul fianco, scoppiando. L’autoarticolato aveva pure perso grumi di sabbia trasportata che venivano rinvenuti sulla corsia di marcia. Contestualmente, l’auto condotta dal P. riduceva bruscamente la sua velocità e la ruota anteriore destra della FIAT Punto, ostacolata dalla barra paraincastro del camion, si bloccava, con appiattimento dello pneumatico verso il basso, cosicché entrambe le ruote lasciavano le tracce gommose parallele rilevate sull’asfalto, più marcate per la ruota destra, fino a quando quest’ultima non si era staccata, determinando anche il distacco del tubo dei freni, con conseguente perdita di olio. Venivano parimenti strappati il parafango anteriore destro, la parte frontale del passa ruota, il paraurti e danneggiati gli impianti posti in tale parte, tra cui quello di refrigerazione che determinava la caduta a terra di altro liquido. Dati oggettivi inequivocabili a conforto di tale ricostruzione sono stati ritenuti - le tracce gommose parallelle sull’asfalto, non riconducibili a frenata e, al termine di esse, le tracce di due tipi di liquido quello dell’impianto dei freni e quello dell’impianto di refrigerazione e l’incisione del manto stradale, affiancata da una sbavatura di nero di una gomma, segni tutti rilevati nella parte sinistra della corsia di marcia, all’altezza della linea di mezzeria, e riconducibili, in base alla testimonianza T. , al sinistro, non essendo stati registrati nel periodo precedente altri incidenti in quel tratto autostradale - la tipologia e l’ubicazione dei danni rilevati sui mezzi coinvolti nel sinistro - il rinvenimento, solo nella corsia di marcia, di tracce di materiale sabbioso, proveniente dall’autoarticolato, poco oltre le tracce gommose ed oleose e la scalfittura - la riscontrata regolarità dello pneumatico scoppiato - la piegatura verso l’interno dello sportello della cassetta porta attrezzi dell’autoarticolato, posta sul lato sx e il ritrovamento del faro anteriore sx dell’auto tra tale cassetta e il primo parafango sx del camion - la circostanza che i figli minori del P. non indossavano la cintura di sicurezza e che la moglie, quantomeno, non la indossasse correttamente - infine, le diverse velocità dei due mezzi. Le ricostruzioni alternative del C.T. di parte e del perito C. sono state invece disattese poiché esse si erano fondate su una lettura parziale dei dati acquisiti che obliterava quelli non collimanti, ed erano state contraddette dai dati obiettivi le tracce oleose, negate - sebbene evidenti - da quegli esperti e le tracce gommose, ricondotte ad altro incidente, la cui evenienza era stata però esclusa dal teste T. . In particolare, il C.T. di parte aveva ipotizzato che l’impatto fosse avvenuto mentre la Fiat era in fase di sorpasso per un improvviso spostamento del mezzo pesante, dovuto probabilmente ad un colpo di sonno del M. o alla sua intenzione di sorpassare qualche altro veicolo o per lo scoppio dello pneumatico il perito C. aveva affermato, invece, che il sinistro era avvenuto dopo lo spostamento a sinistra dell’auto per operare il sorpasso a causa dello sgonfiamento dello pneumatico posteriore posto sull’ultimo asse del semirimorchio, per cause che non sono state neppure determinate con esattezza sul punto, la Corte ha opportunamente rilevato l’errore nel quale, per ben due volte, è incorso il perito C. nelle sue conclusioni cfr. pagg. 7 e 9 della sentenza , indicando la ruota destra in luogo della sinistra. La Corte territoriale ha operato una minuziosa confutazione dei rilievi formulati a difesa, rigettando altresì le censure di incompetenza indirizzate agli esperti, i cui elaborati sono stati ritenuti coerenti con i dati obiettivi e affrontando anche le censure che si appuntavano sul riferito scoppio dello pneumatico testi B. e M. e telefonata del P. , atteso che tale evenienza era perfettamente compatibile con la ricostruzione del tamponamento. Anche la testimonianza M. , conducente del mezzo pesante, è stata ritenuta del tutto coerente con la ricostruzione recepita in sentenza, avendo costui ribadito di avere sentito l’impatto da dietro. Quanto al mancato scoppio degli airbags frontali, il giudice del gravame ha richiamato le conclusioni del perito, il quale aveva spiegato in termini convincenti il mancato funzionamento dell’impianto, considerato che lo stesso abitacolo non aveva riportato gravi deformazioni e che le lesioni delle vittime andavano ricondotte alla loro espulsione dall’auto, per assenza delle cinture. Infatti il P. , che indossava la propria, aveva riportato solo lesioni lievi. La Corte ha pure ribattuto alle osservazioni relative ad una pretesa non corrispondenza delle tracce gommose alle ruote anteriori della Fiat, per differenza della larghezza tra le ruote dell’auto rispetto alla distanza delle tracce parallele, e a quelle concernenti l’assenza di detriti, richiamando la testimonianza T. , a mente della quale era stato dimostrato che le tracce furono impresse ad impatto avvenuto, con disallineamento della ruota dx anteriore in atto ed alterazione della originaria distanza tra le due ruote anteriori, laddove l’assenza di detriti era da ricondursi alla considerazione che i mezzi non ne avevano prodotti fino al momento del loro distacco e che le parti rotte non erano vetrose e soggette, quindi, a facile scivolamento. 3. L’agevole raffronto tra le motivazioni della sentenza impugnata, sopra riportate in sintesi, e il contenuto delle doglianze articolate in questa sede rivela l’infondatezza del primo motivo di ricorso la parte ricorrente ha continuato a contestare la ricostruzione della dinamica, opponendo a quella recepita dai giudici del merito - attraverso un percorso argomentativo non contraddittorio, logico, coerente con i dati probatori esposti nella sentenza e previo confronto con tutte le doglianze difensive - la propria ipotesi, sostenendo il ricorso attraverso un preteso travisamento probatorio. Sul punto, questa Corte non intende discostarsi dal proprio consolidato orientamento sulla natura del vizio denunciato, in base al quale, In virtù della previsione di cui all’art. 606, comma primo, lett. e cod. proc. pen., novellati dall’art. 8 l. n. 46 del 2006, il controllo del giudice di legittimità si estende alla omessa considerazione o al travisamento della prova, purché decisiva, con la precisazione che ciò che è deducibile in sede di legittimità e rientra, pertanto, in detto controllo è solo l’errore revocatorio sul significante , in quanto il rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza impugnata, introdotto con la suddetta novella, non può che essere inteso in senso stretto, quale rapporto di negazione sulle premesse , mentre ad esso è estraneo ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere interpretato per brani né fuori dal contesto in cui è inserito cfr. Sez. 5 n. 8094 dell’11/01/2007, Rv. 236540 n. 18542 del 21/01/2011, Rv. 250168 . Ne consegue che gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, restando pertanto inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio. Peraltro, nel caso di doppia conforme, come quello all’esame, questa stessa sezione ha costantemente chiarito che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione quando il giudice d’appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice o quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti cfr. Sez. 4 n. 44765 del 22/10/2013, Rv. 256837 n. 5615 del 13/11/2013 Ud. dep. 04/02/2014 , Rv. 258432 n. 4060 del 12/12/2013 Ud. dep. 29/01/2014 , Rv. 258438. Macroscopicità ed evidenza che, nel caso all’esame, non solo non ricorrono ma riguarderebbero in ogni caso un dato incompleto, estrapolato da un maggior compendio probatorio, diffusamente esaminato dai tecnici e valutato dai giudici di merito in maniera conforme. In ogni caso e conclusivamente, È inammissibile il motivo di ricorso che sottopone al giudice di legittimità atti processuali per verificare l’adeguatezza dell’apprezzamento probatorio ad essi relativo compiuto dal giudice di merito ed ottenerne una diversa valutazione, perché lo stesso costituisce censura non riconducibile alle tipologie di vizi della motivazione tassativamente indicate dalla legge cfr. Sez. 7 n. 12406 del 19/02/2015, Rv. 262948 . Ed infatti, il ricorso per cassazione è ammesso per vizi della motivazione riconducibili solo, e tassativamente, alla motivazione totalmente mancante o apparente, manifestamente illogica o contraddittoria intrinsecamente o rispetto ad atti processuali specificamente indicati, nei casi in cui il giudice abbia affermato esistente una prova in realtà mancante o, specularmente, ignorato una prova esistente, nell’uno e nell’altro caso quando tali prove siano in sé determinanti per condurre a decisione diversa da quella adottata. Il giudice di legittimità non può tuttavia conoscere del contenuto degli atti processuali per verificarne l’adeguatezza dell’apprezzamento probatorio, perché ciò, dopo due gradi di merito, è estraneo alla sua cognizione sono pertanto irrilevanti, perché non possono essere oggetto di alcuna valutazione, tutte le deduzioni che introducano direttamente nel ricorso parti di contenuto probatorio, tanto più se articolate, in concreto ponendo direttamente la Corte di cassazione in contatto con i temi probatori e il materiale loro pertinente al fine di ottenerne un apprezzamento diverso da quello dei giudici del merito e conforme a quello invece prospettato dalla parte ricorrente cfr. in motivazione Sez. 7, n. 12406/15 citata . Le considerazioni che precedono rispondono ad entrambi i profili di censura mossi alla sentenza per quanto attiene alla valutazione delle prove ricostruzione della dinamica e interpretazione della chiamata del P. al 113 e, alla luce della premessa, risulta evidente l’inammissibilità del motivo che si risolve nella riproposizione diffusa delle censure rivolte alla prima sentenza di merito e nella deduzione generica di una mancata risposta da parte dei Giudici d’appello. La Corte territoriale ha dato compiuto conto delle ragioni di censura e dei punti della decisione attaccati dai motivi di impugnazione ed ha spiegato, con motivazione attenta ai passaggi essenziali delle censure difensive e previa autonoma rivalutazione di tali punti, le ragioni della condivisione integrale dell’apprezzamento in fatto operato dal primo Giudice. 4. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, peraltro strettamente connesso al primo. Il giudice di merito ha superato i motivi di dubbio ragionevole e ricostruito la dinamica del sinistro nel senso indicato, senza assegnare rilievo alle incertezze che avevano contraddistinto la ricostruzione dei movimenti di rototraslazione della Fiat Punto nella fase successiva al distacco dei due mezzi, precisando che l’affermazione della penale responsabilità del sinistro poggiava sulla ricostruzione della fase iniziale dell’incidente, poiché proprio dall’impatto erano originate le deformazioni nella parte antero - laterale dx del veicolo, la perdita della ruota anteriore dx, e la totale perdita di controllo del mezzo da parte del P. , cui conseguivano tutti gli ulteriori movimenti rotatori, i ribaltamenti e i capovolgimenti che portavano alla morte dei trasportati. È del tutto evidente il mancato confronto della parte con tale motivazione, la quale ha desunto una incertezza del quadro probatorio, confrontando stralci delle motivazioni delle sentenze di merito, senza tener in alcun conto la ritenuta irrilevanza della circostanza da parte della Corte territoriale. 5. È, infine, infondato anche il motivo più strettamente processuale, con il quale si è dedotta l’inutilizzabilità della testimonianza T. per non avere il teste fatto parte della pattuglia intervenuta sul luogo dell’incidente in prima battuta, avendo il ricorrente impropriamente invocato l’istituto della testimonianza indiretta e il protocollo di cui all’art. 195 co. 3 codice di rito. Sul punto, questa Corte ha già chiarito che Il divieto di testimonianza indiretta previsto per gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria dall’art. 195, comma quarto, cod. proc. pen. non si applica nell’ipotesi in cui il verbalizzante riferisca sulle attività di indagine svolte da altri ufficiali o agenti di P.G. nello stesso contesto investigativo cfr. Sez. 2 n. 36286 del 21/09/2010, Rv. 248536 . In altri termini, le notizie che il teste, ufficiale o agente di P.G. coinvolto nelle indagini, riferisce perché apprese da altri verbalizzanti o dagli atti da costoro redatti sono riferibili alla comune attività d’indagine, tale in quanto afferente al medesimo contesto investigativo e non necessariamente perché condotta contestualmente anche dal testimone. Da ciò deriva, quale logica conseguenza, l’inapplicabilità della regola di cui all’art. 195 co. 1 del codice di rito, atteso che il teste ha riferito, da un lato, circostanze strettamente connesse al suo ufficio a proposito, per esempio, della mancata registrazione di incidenti in epoca anteriore a quello per cui è processo, ai quali poter ricondurre le tracce gommose riscontrate , dall’altro si è limitato a riferire dell’attività d’indagine svolta dall’organo di appartenenza. 6. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.