Reformatio in peius: quali i presupposti?

Il Giudice di secondo grado non può limitarsi ad una mera rilettura dello stesso materiale probatorio e dunque alla sostituzione delle valutazioni sottese alla decisione impugnata con le proprie, ma deve evidenziare gli errori in diritto in cui sia incorso il primo giudice e/o i vizi logico argomentativi del ragionamento da questi seguito ed esplicitare le ragioni per le quali non siano sostenibili ipotesi dotate di razionalità e plausibilità diverse da quella percepita nel proprio pronunciamento.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26570/16, depositata il 24 giugno. Il caso. La Corte d’appello di Venezia, in totale riforma della sentenza assolutoria emessa dal GUP, dichiarava M.G. responsabile dei delitti di peculato e falso ad esso ascritti e lo condannava alla pena ritenuta di giustizia. In particolare, secondo la prospettazione accusatoria interamente accolta dalla Corte territoriale, l’imputato – Carabiniere in servizio a Venezia – si sarebbe appropriato di un braccialetto in oro rinvenuto sulla pubblica via da una passante ed a lui consegnato, nonché avrebbe occultato il verbale attestante il rinvenimento del braccialetto. Avverso la sentenza di condanna l’imputato ricorreva per cassazione, deducendo violazione di legge penale in relazione all’art. 533 c.p.p. e vizio di motivazione, per avere la Corte d’appello ribaltato il giudizio assolutorio di primo grado sulla base di una mera rivalutazione degli elementi già considerati dal primo giudice e senza pervenire ad una ricostruzione dotata di una forza persuasiva superiore, al di là di ogni ragionevole dubbio. La Sesta Sezione Penale della Suprema Corte, valutata la fondatezza del ricorso, annullava senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste, ritenendo la decisione dei Giudici di merito in contrasto con i consolidati principi giurisprudenziali in materia di ribaltamento in appello del giudizio assolutorio di primo grado. La reformatio in peius. Come chiarito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, il Giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato. Infatti, è stato ulteriormente chiarito dalla Corte di legittimità, la sentenza di appello di riforma totale del giudizio assolutorio di primo grado deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati. L’obbligo di rinnovazione dibattimentale in alcuni casi. La giurisprudenza, sia comunitaria che di legittimità, ha precisato che per riformare in peius una sentenza assolutoria, anche se emessa all’esito di giudizio abbreviato, il giudice di appello è obbligato – ai sensi dell’art. 6 CEDU, così come interpretato dalla Corte comunitaria nella sentenza Dan contro Moldavia del 5/7/2011 – alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale quando intende operare un diverso apprezzamento di attendibilità di una prova orale, ritenuta in primo grado non attendibile. In altri termini, l’obbligo di rinnovazione sussiste in presenza di due presupposti da un lato la decisività della prova testimoniale e, dall’altro, la necessità di una rivalutazione da parte del giudice di appello dell’attendibilità dei testimoni. Il principio della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio. Il rovesciamento del giudizio assolutorio di primo grado comporta il rigoroso rispetto del principio ex art. 533 comma 1 c.p.p. – introdotto dalla l. n. 46/2006 – che impone al decidente di merito la verifica e, pertanto, la precisazione delle ragioni di fatto di diritto che, proprio in considerazione dell’assoluzione pronunciata in primo grado, rendono evidente ed inconfutabile la penale responsabilità dell’imputato. Pertanto, il Giudice d’appello che riformi radicalmente la precedente decisione in mancanza di nuovi elementi conoscitivi deve non solo sostenere la propria diversa deliberazione con una motivazione che sia intrinsecamente esistente, non manifestamente illogica e non contraddittoria, ma deve anche confrontarsi in modo specifico e completo con le argomentazioni contenute nella prima sentenza, dimostrandone l’insostenibilità per incompletezza e/o incoerenza, con la conseguenza che ricorre il vizio di omessa motivazione quando quel confronto manchi su circostanze ed apprezzamenti che hanno concorso in modo determinante a fondare il primo e diverso giudizio.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 21 aprile – 24 giugno 2016, numero 26570 Presidente Paoloni – Relatore BAssi Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d'appello di Venezia, in riforma della sentenza assolutoria dei Giudice dell'udienza preliminare dei capoluogo veneto dei 13 dicembre 2012, ha dichiarato M.G. responsabile dei reati ascritti, assorbito il reato di cui al capo C ex artt. 323 e 61 numero 1 cod. penumero in quello di cui al capo A art. art. 314 cod. penumero e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche nonché la continuazione fra i reati di cui ai capi A e B ex artt. 490 e 476, 61 numero 2 cod. penumero - stimato più grave il primo -, ha determinato la pena complessiva inflitta all'imputato in anni uno, mesi quattro e giorni venti di reclusione, con sospensione condizionale e condanna al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile. Mette conto rilevare che all'imputato – Carabiniere scelto in servizio presso la stazione di Venezia San Marco - è contestato di essersi appropriato di un braccialetto in oro con la scritta Iolanda rinvenuto sulla pubblica via da D.M. ed a lui consegnato capo A , di avere occultato il verbale da lui redatto attestante il rinvenimento dei braccialetto capo B e di avere commesso un abuso d'ufficio per essersi intenzionalmente procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale omettendo di annotare nella pratica numero 55 del 2008 la dichiarazione della M., da lui ricevuta, di rinvenimento del prezioso capo C . 1.1. A sostegno del decisum, il Giudice di secondo grado ha rilevato come sia pacifica la sussistenza del fatto materiale - ovvero la sostituzione dell'oggetto e la scomparsa del verbale originale - come non sia seriamente credibile che ciò sia avvenuto soltanto per l'incuria, il disordine ed il pressapochismo che connotavano la Stazione dei Carabinieri, ove G. prestava servizio come le riferite modalità di conservazione del bene - un plico nella bacheca pur trattandosi di un oggetto di un certo valore -, la mancata registrazione della consegna del bene ed il fatto che, allorché la signora M. rivendicò l'oggetto, G. non si premurasse di segnalare la scomparsa del bracciale e di proporre immediatamente le sue giustificazioni, ma cercasse di coprire la sparizione acquistando un altro monile che assomigliasse al primo, costituiscono elementi dimostrativi della commissione dei reati di appropriazione e di falso assistiti da dolo, mentre il reato di abuso d'ufficio deve ritenersi assorbito in quello di peculato. 2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso M.G. e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge penale in relazione all'art. 533 cod. proc. penumero e vizio di motivazione, per avere la Corte d'appello ribaltato il giudizio assolutorio di primo grado sulla base di una mera rivalutazione degli elementi già considerati dal primo giudice e senza pervenire ad una ricostruzione dotata di una forza persuasiva superiore, al di là di ogni ragionevole dubbio . Il ricorrente pone in luce come l'innocenza del Carabiniere G. risulti comprovata, come già ritenuto dal primo giudice 1 dalla consegna di copia del verbale di rinvenimento del bracciale alla signora M., con contestuale informazione del diritto alla rivendica del bene in caso di mancata richiesta da parte dei proprietario 2 dall'attendibilità dei racconto compiuto dall'imputato, il quale ha dichiarato di avere acquistato un secondo bracciale per sostituirlo a quello andato perduto. Per altro verso, il ricorrente ha rimarcato come non possano considerarsi indizi, ma soltanto discutibili deduzioni su fatti contestati a il fatto che gli accadimenti siano avvenuti all'interno di una caserma, la quale - come accertato nel processo - all'epoca dei fatti era oggetto di una gestione approssimativa b la mancanza dell'originale del verbale di consegna, là dove G. consegnava alla M. copia di detto verbale, di tal che sarebbe stato suicida far sparire intenzionalmente l'originale dell'atto c l'omessa annotazione nel registro numero 55 56 dei 2008 denominato trasmissione documenti e/o valori rinvenuti , là dove detto registro costituisce, non un registro di consegna del bene , ma soltanto un registro cartaceo di annotazione della trasmissione dei beni rinvenuti all'eventuale rintracciato proprietario ovvero all'ufficio beni smarriti del Comune nella specie, il registro numero 55-56 non veniva compilato perchè il bene era già stato smarrito prima della consegna ad un graduato per la relativa custodia. Evidenzia il ricorrente che l'imputato ha spiegato in interrogatorio di avere depositato il bracciale ed il verbale in una busta gialla nella bacheca in uso ai Carabinieri e di avere poi imputato la rilevata sparizione della busta dalla bacheca all'avvenuto disbrigo della pratica da parte di un collega per tale ragione non aveva segnalato ai superiori la scomparsa dell'oggetto l'intenzione di appropriarsi del bene è smentita dal fatto che il Carabiniere G. forniva spiegazioni dettagliate alla signora M. circa la rivendica della proprietà dell'oggetto da ella rinvenuto l'acquisto di un altro bracciale ed il maldestro tentativo di sostituzione con quello perduto dimostrano la buona fede dell'imputato, il quale aveva agito in tale senso in quanto si sentiva responsabile della perdita del bracciale, mentre avrebbe potuto semplicemente negare di essere coinvolto nella sparizione. In subordine, il ricorrente pone in luce che, nella liquidazione del danno, la Corte d'appello non ha tenuto conto del fatto che, prima del processo, G. ha offerto alla signora M. il risarcimento dei danno e che sussistevano comunque i presupposti di cui all'art. 62 numero 6 cod. penumero Considerato in diritto 1. II ricorso è fondato e la sentenza deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. 2. La Corte di Venezia, investita del giudizio d'appello dal Procuratore della Repubblica di Venezia avverso la sentenza di assoluzione pronunciata dal primo giudice, ha condannato M.G., Carabiniere scelto in servizio presso la stazione di Venezia San Marco, per i reati di peculato, con riguardo ad un braccialetto in oro rinvenuto da una cittadina sulla pubblica via ed a lui consegnato capo A , e di occultamento del verbale di rinvenimento dei braccialetto da lui redatto capo B , stimando il reato di abuso d'ufficio sub capo C assorbito nella prima imputazione. 3. Giudica il Collegio che la decisione in verifica si ponga in contrasto con i consolidati principi espressi da questo Giudice di legittimità in tema di cd. ribaltamento in appello del giudizio assolutorio di primo grado. 3.1. Come hanno chiarito le Sezioni Unite di questa Corte, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato Sez. U, numero 33748 del 12/07/2005, Rv. 231679 . Ancora, si è affermato che la sentenza di appello di riforma totale del giudizio assolutorio di primo grado deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati Cass. Sez. 6, numero 6221 dei 20/04/2005, Rv. 233083 Sez. 5, numero 8361 dei 17/01/2013, Rv. 254638 Con particolare riguardo al caso in cui si tratti di prova fondata sulle dichiarazioni di imputati dello stesso reato o di reato connesso come appunto nella specie , questa Corte ha precisato che, nel caso di riforma da parte dei giudice di appello di una decisione assolutoria emessa dal primo giudice, il secondo giudice ha l'obbligo di dimostrare specificamente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella dei primo giudice, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati, trova applicazione anche in caso di radicale rovesciamento di una valutazione essenziale nell'economia della motivazione, in un processo nel quale siano determinanti i contributi dichiarativi di alcuni soggetti chiamanti in reità o in correità, non essendo sufficiente la manifestazione generica di una differente valutazione ed essendo, per contro, necessario il riferimento a dati fattuali che conducano univocamente al convincimento opposto rispetto a quello dei giudice la cui decisione non si condivida Sez. 5, numero 35762 dei 05/05/2008, P.G. in proc. Aleksi e altri, Rv. 241169 . 3.2. Sotto diverso aspetto, vanno ricordati l'insegnamento dalla Corte EDU nella sentenza resa nel caso Dan contro Moldavia del 5 luglio 2011 e la conforme giurisprudenza di questo giudice di legittimità, alla stregua della quale, per riformare in peius una sentenza assolutoria, anche se emessa all'esito di giudizio abbreviato, il giudice di appello è obbligato - in base all'art. 6 CEDU, così come appunto interpretato dalla Corte EDU nella citata sentenza - alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale quando intende operare un diverso apprezzamento di attendibilità di una prova orale, ritenuta in primo grado non attendibile ex piurimis Sez. 6, numero 8654 del 11/02/2014, Costa Rv. 259107 . Si è peraltro chiarito che l'art. 6 CEDU, così come interpretato dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'Uomo del 5 luglio 2011, impone di rinnovare l'istruttoria soltanto in presenza di due presupposti, id est la decisività della prova testimoniale e la necessità di una rivalutazione da parte del giudice di appello dell'attendibilità dei testimoni Sez. 5, numero 38085 del 05/07/2012, Luperi e altri, Rv. 253541 Sez. 2, numero 46065 del 08/11/2012, Consagra, Rv. 254726 . 3.3. Da quanto sopra esposto, si può affermare che il nostro sistema processuale certamente consente una pronuncia di condanna in grado di appello dopo un'assoluzione in primo grado pur in assenza di nuovi apporti probatori, non essendo richiesto né dal dettato costituzionale né dalle norme e dai principi pattizi internazionali che l'affermazione della penale responsabilità poggi su di una doppia condanna cd. doppia conforme . Anzi, il nostro ordinamento ha costituzionalizzato un principio contrario, sancendo nel comma secondo dell'art. 111 Cost. la parità delle parti nel processo penale, salve le differenziazioni dei poteri processuali riconosciuti al pubblico ministero ed all'imputato giustificate dalle fisiologiche diversità che connotano le posizioni delle due parti, e sempre che l'alterazione della simmetria dei rispettivi poteri e facoltà trovi un'adeguata ratio e sia contenuta entro i limiti della ragionevolezza v. C. Cost. sent. 24 gennaio 2007, numero 26 . Ne discende il riconoscimento in capo al pubblico ministero della facoltà di ricorrere avverso la sentenza assolutoria pronunciata in primo grado, con conseguente possibilità di ottenere legittimamente all'esito del giudizio d'impugnazione il cd. ribaltamento della decisione liberatoria. Né osta a detto ribaltamento la circostanza che avverso la sentenza di condanna pronunciata in appello a seguito di un'assoluzione l'imputato possa proporre soltanto il ricorso per cassazione senza poter più ottenere un'ulteriore rivalutazione del merito, là dove - come anche i Giudici delle leggi hanno avuto modo di riconoscere - la garanzia del doppio grado di giurisdizione non fruisce, di per sè, di un riconoscimento costituzionale ex piurimis, C. Cost. sentenza numero 280/1995 e ordinanza numero 316/2002 . Va nondimeno chiarito come, ferma la legittimità della riforma in appello della pronuncia liberatoria a piattaforma probatoria invariata, il rovesciamento dei giudizio assolutorio di primo grado comporti il rigoroso rispetto del principio codificato nel comma 1 dell'art. 533 cod. proc. penumero introdotto con L. numero 46 del 2006 - alla stregua del quale il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio - ed imponga al decidente di merito la verifica e dunque la precisazione delle ragioni di fatto e di diritto che, proprio in considerazione dell'assoluzione pronunciata in primo grado, rendono evidente ed irrefutabile la penale responsabilità dell'imputato. Pertanto, in virtù della regola di giudizio introdotta nel 2006, il giudice d'appello che riformi radicalmente la precedente decisione in mancanza di nuovi elementi conoscitivi deve non solo sostenere la propria diversa deliberazione con una motivazione che sia intrinsecamente esistente, non manifestamente illogica e non contraddittoria - come usualmente sufficiente, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , per dar conto dell'apprezzamento di merito proprio del grado -, ma deve anche confrontarsi in modo specifico e completo con le argomentazioni contenute nella prima sentenza, dimostrandone l'insostenibilità per incompletezza e/o incoerenza, con la conseguenza che ricorre il vizio di omessa motivazione quando quel confronto manchi su circostanze ed apprezzamenti che hanno concorso in modo determinante a fondare il primo e diverso giudizio per tutte, Sez. U, sent. numero 45276 dei 30/10/2003 - dep. 24/11/2003, P.G., Andreotti e altro, Rv. 226093 Sez. 6, numero 22120 del 29/04/2009 - dep. 27/05/2009, Tatone e altri, Rv. 243946 Sez. 2, numero 17812 del 09/04/2015 - dep. 29/04/2015, Maricosu, Rv. 263763 . In altri termini, allorchè riconosca la responsabilità penale dell'imputato negata in primo grado, in ossequio al principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, il decidente di secondo grado non può limitarsi ad una mera rilettura dello stesso materiale probatorio e dunque alla sostituzione delle valutazioni sottese alla decisione impugnata con le proprie, ma - ponendosi in diretto confronto con i passaggi argomentativi sviluppati nel provvedimento gravato - deve evidenziare gli errori in diritto in cui sia incorso il primo giudice e/o i vizi logico argomentativi del ragionamento da questi seguito ed esplicitare le ragioni per le quali non siano sostenibili ipotesi dotate di razionalità e plausibilità diverse da quella recepita nel proprio pronunciamento. 4. Come anticipato, di tali coordinate ermeneutiche non ha fatto buon governo la Corte veneta. 4.1. Ed invero, per un verso, il Giudice distrettuale si è limitato a rivalutare le emergenze degli atti processuali ed a pervenire ad una diversa deliberazione senza confrontarsi in modo specifico e completo con le argomentazioni contenute nella prima sentenza, dimostrandone - con argomenti puntuali e logici - l'insostenibilità per incompletezza e/o incoerenza. 4.2. Per altro verso, la Corte non ha poggiato la condanna a piattaforma probatoria invariata su di una ricostruzione dei fatti e di una valutazione suscettibile di escludere la plausibilità di qualunque ipotesi alternativa, in altri termini di un giudizio di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. Correttamente il ricorrente pone in luce come, sulla scorta delle emergenze storico fattuali, non possa stimarsi implausibile anche una spiegazione alternativa della vicenda ed, in particolare, che altri - intraneo o estraneo al Corpo militare - si sia appropriato del braccialetto, giusta anche la situazione di incuria, pressapochismo e disordine che regnava all'epoca nella Caserma, delineata dai Giudici della cognizione v. pagine 4 della sentenza , e che l'imputato, proprio perché aveva steso il verbale di ricezione del bene e dunque primo indiziato abbia, per vero maldestramente, provveduto alla sostituzione dell'oggetto sparito per evitare possibili conseguenze sanzionatorie. 5. Conclusivamente, la motivazione della decisione in verifica non offre una ricostruzione dei fatti dotata di una forza persuasiva maggiore di quella - assolutoria - sviluppata dal Giudice di primo grado che, correttamente, ha stimato che gli elementi raccolti nell'istruttoria dibattimentale costituiscano senza dubbio degli indizi a carico del G. e che, nondimeno, non si atteggino in termini di gravità, precisione e concordanza - come richiesto dall'art. 192 cod. proc. penumero -, lasciando aperto il dubbio insuperabile che il bene altrui non sia mai entrato nella sfera esclusiva di dominio dell'imputato. Con il che, difettando la prova circa l'integrazione dell'appropriazione, manca il fondamentale elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice in contestazione. Analoghe conclusioni valgono per l'occultamento del verbale di ricezione del bene capo B , non emergendo dalla motivazione dei provvedimento in verifica la certa ed irrefutabile riconducibilità di tale condotta al militare, suscettibile di dimostrare l'implausibilità di una qualunque ricostruzione alternativa e di scardinare la decisione liberatoria di primo grado. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste.