Omessa visita del sanitario e decesso del paziente, non si configura il reato di morte quale conseguenza di altro delitto

Il reato ex art. 586 c.p. richiede la colpa in concreto del sanitario, non si tratta di un caso di responsabilità oggettiva. Non arretra la giurisprudenza garantista della professione medica.

Così la Cassazione, Quarta Sezione Penale, n. 26095/2016, depositata il 23 giugno. Il fatto. Medico condotto fece mancare la visita a favore di un paziente, la cui consorte con insistenza chiedeva al sanitario di recarsi presso l’abitazione del poi defunto coniuge, affetto da violenti stati febbrili. Contestato il reato di omicidio colposo ex art. 589 c.p. La partita giudiziaria ha avuto un lungo sviluppo processuale, caratterizzato da più apporti consulenziali – comprese autopsie ed incidenti probatori - al fine di chiarire la nefasta eziologia degli eventi che hanno condotto alla morte del malato. Due i nuclei della valutazione giudiziale determinanti a chiarire la reità della condotta del sanitario. In primis la verifica della costanza e della ripetitività della condotta omissiva del sanitario il quale, nonostante le reiterate richieste della coniuge del defunto, avrebbe colpevolmente ignorato la gravità della patologia in essere. In secundis l’integrazione del nesso di causalità dell’evento morte con la condotta omissiva del sanitario. Tribunale e Corte d’appello assolvono, ritenuto non provato il nesso causale. La Cassazione riedita il consolidato giurisprudenziale in caso di reato omissivo ex art. 40, comma 2, c.p. confermando gli esiti assolutori dei giudizi di merito. Il comportamento alternativo omesso deve essere quasi certamente salvifico, ancora la sentenza Franzese sugli scudi. In tema di reato omissivo, la giurisprudenza non ha mitigato i rigori della nota sentenza Franzese” del 2002, dalla quale si è insediata una prassi giudiziaria particolarmente attenta alle ragioni del sanitario o dell’esercente la professione medica. Occorre provare l’elevata credibilità razionale di una verifica di relazione causale fra evento morte e condotta omessa, mediante un c.d. giudizio controfattuale , funzionale a comprendere se il comportamento alternativo omesso avrebbe potuto evitare la realizzazione dell’evento morte. La Cassazione in commento riproduce quel dettame, precisando che il giudizio da compiere non s’avvale delle sole leggi statistiche elaborate dalla comunità scientifica. Invece, s’avvale anche di elementi concreti o di relazioni logiche che stagliano il fatto concreto alla fattispecie di reato, mediante operazioni induttive – dal caso concreto al reato , non dalla legge scientifica al fatto in contestazione -. In specie, la graniticità degli apporti consulenziali era sostanzialmente univoca a definire atipica la patologia occorsa, impossibile da determinare adeguatamente mediante visite domiciliari. Il comportamento alternativo – la visita del sanitario presso il malato, deceduto poche ore dopo – non avrebbe potuto salvare il mal capitato. Non soccorre il reato di morte come conseguenza di un altro delitto ex art. 586 c.p. Non è un modello di responsabilità oggettiva. Va provata la colpa del sanitario. Anche per la fattispecie in oggetto la Cassazione riproduce le tensioni garantiste già affermate dalle sentenze nomofilattiche. Il reato ex art. 586 c.p. non sfugge ai criteri colpevolisti dedotti dall’agire dell’art. 27 della Costituzione – nel caso la difesa sosteneva che il reato presupposto era costituito dall’omissione d’atti d’ufficio ex art. 328 c.p., da cui sarebbe seguita la morte del paziente -. Oltre al nesso materiale e causale con l’evento morte, occorre la verifica di una colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale. L’evento morte sarebbe dunque dovuto essere previsto dal sanitario, tenuto conto delle circostanze conosciute e conoscibili al momento della condotta omessa. L’atipicità della patologia ha escluso la prevedibilità dell’evento morte.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 24 febbraio – 23 giugno 2016, n. 26095 Presidente D’Isa – Relatore Cappello Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 18/03/2015, la Corte d’Appello di Cagliari ha confermato quella del Tribunale cittadino, appellata dalla parte civile C.M.A. , con la quale il medico M.B. , già imputata per omicidio colposo ai danni di MU.Gi.An. , era stata assolta dalle accuse contestatele. 2. La vicenda riguarda, per l’appunto, il decesso del MU. , avvenuto in ospedale, qualche giorno dopo il suo ricovero in data . La diagnosi d’entrata era stata sospetta broncopolmonite e la situazione del paziente era precipitata nei giorni successivi in maniera rapidamente ingravescente, sino a portare all’evento morte in data 26/02/08 con diagnosi nel referto autoptico di pneoumonite alveolo interstiziale diffusa, bilaterale fibrosi settiale e con causa mortis pneuomonite, insufficienza cardio respiratoria . 3. Avverso la sentenza della Corte sarda, ha proposto ricorso per cassazione, ai soli effetti civili, la C. formulando dieci, distinti motivi - con il primo, ha dedotto vizio motivazionale, con riferimento alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nuova perizia o, in subordine, confronto tra i periti , assumendo che la Corte di merito si sarebbe affidata a mere congetture per sostenere la propria motivazione - con il secondo motivo, ha dedotto analogo vizio per quanto attiene alla valutazione delle perizie, non essendo stati debitamente esposti gli elementi ritenuti determinanti ai fini della formazione del convincimento del giudice - con il terzo, ha dedotto vizio della motivazione e travisamento della prova, con riferimento alla individuazione della causa del decesso, quella prescelta essendo stata ritenuta la conclusione solo più verosimile - con il quarto, ha dedotto analoghi vizi con riferimento alla ritenuta insussistenza della condotta omissiva colpevole della M. , riconosciuta dal Tribunale, attraverso un inammissibile capovolgimento del giudizio di primo grado compiuto grazie ad una rilettura del materiale probatorio, ad esito della quale il giudice d’appello ha ritenuto inattendibile il principale teste d’accusa, senza tuttavia procedere a nuovo esame della C. e, viceversa, attendibile la teste S. , il cui apporto dichiarativo era stato invece svalutato dal Tribunale, ancora una volta senza disporre un nuovo esame della teste, così omettendo altresì di pronunciarsi sulla domanda di riqualificazione giuridica del fatto - con il quinto motivo, ha dedotto vizio motivazionale e travisamento della prova, con riferimento alla ritenuta inattendibilità del teste C. , conclusione cui la Corte di merito sarebbe giunta senza indicare gli elementi fattuali concreti sui quali ha basato il suo giudizio, emergendo, al contrario, la conferma del riferito dall’unica radiografia acquisita agli atti quella effettuata al momento del ricovero da cui si evinceva che il polmone sinistro del MU. non aveva più aree funzionali, il polmone destro solo qualcosa nella parte basale e la situazione non era stata così nelle ore e nei giorni immediatamente precedenti, e ritenuta la illogicità di ripetute telefonate della C. motivate sulla scorta della sola esigenza di avere un certificato di malattia - con il sesto motivo, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione nella parte in cui la Corte d’appello ha escluso la rinnovazione dell’ustruttoria dibattimentale e la nuova escussione della teste C. , pur avendo l’obbligo di disporla, avuto riguardo alla diversa conclusione cui era approdata rispetto al Tribunale, richiamando la giurisprudenza della Corte E.D.U. sul punto specifico - con il settimo motivo, ha dedotto vizio della motivazione e travisamento della prova, con riferimento alle dichiarazioni della teste a difesa S.C. la quale aveva riferito che era con la M. , allorché aveva chiamato la C. e aveva sentito la prima dire alla seconda che se il marito stava abbastanza bene e non aveva la febbre avrebbe chiamato la farmacista per la consegna del farmaco prescritto senza ricetta , già ritenuta inattendibile dal primo giudice e rivalutata invece dalla Corte di merito che avrebbe però travisato le sue dichiarazioni, contraddette da un dato probatorio se il MU. avesse respirato bene non ci sarebbe stato motivo di una prescrizione del farmaco da parte della M. - con l’ottavo motivo, collegato al precedente, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione, con riferimento alla omessa nuova audizione della S. - con il nono motivo, ha dedotto vizio motivazionale, in relazione alla ritenuta insussistenza del nesso causale tra la condotta omissiva attribuita all’imputata e la morte del sig. MU. , poiché l’affermazione della Corte, secondo cui all’esito del giudizio controfattuale non era stato possibile affermare che - in caso di condotta doverosa da parte della M. la sorte del defunto sarebbe stata diversa, sarebbe il precipitato di una omessa motivazione, da un lato, e di una petizione di principio, dall’altro - con il decimo motivo, infine, la parte ha dedotto vizio motivazionale, con riferimento al diniego di riqualificazione del fatto in termini di omissione di atto d’ufficio visita a domicilio di un paziente , reato doloso, dal quale sarebbe derivata, come conseguenza non voluta, la morte del sig. MU. , secondo il combinato disposto di cui agli artt. 328 e 586 del cod. pen., rilevandosi che tutti i periti avevano convenuto sulla necessità della visita domiciliare, alla luce dello stato di salute complessivo del paziente, conosciuto dalla M. , e della sintomatologia riferita dalla moglie, non potendo la M. non rappresentarsi che il suo comportamento poteva divenire concausa del rischio decesso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Questa in sintesi la vicenda. Il procedimento trae origine dalla denuncia sporta dalla ricorrente, moglie del defunto, la quale aveva descritto gli inutili tentativi, prima del ricovero del marito, di ottenere una visita domiciliare da parte del medico di base M.B. . Le deposizioni testimoniali, i tabulati telefonici e la documentazione acquisita hanno consentito di ricostruire temporalmente le chiamate della C. alla guardia medica e, quindi, alla M. di verificare che la M. aveva prescritto al paziente una terapia antibiotica che la C. aveva ripetutamente chiamato la M. presso il suo studio nelle giornate del OMISSIS e la stessa mattina del ricovero che avvenne a seguito di una chiamata al 118. Sono stati pure ricostruiti, sempre alla luce del racconto della C. , gli accadimenti immediatamente precedenti la morte del MU. , a partire dall’inizio della sua malattia il XXXXXXXX il rapporto con l’imputata, medico di base della famiglia da molti anni le insistenze della denunciante perché il sanitario si recasse presso il domicilio, stanti lo stato febbrile del marito e la stagione invernale il complessivo stato di salute del MU. soggetto affetto da diabete mellito, asma e bronchite cronica, cui era stato diagnosticato nel 2005 anche un linfoma cerebrale . Il processo ha poi conosciuto numerosi contributi di esperti, a partire dagli esiti dell’autopsia, sino all’incidente probatorio, disposto per la rilettura dei preparati istologici dell’autopsia e alla perizia d’ufficio affidata dal primo giudice ad un collegio peritale. Tale ultimo accertamento era stato ritenuto indispensabile per superare l’insanabile contrasto riscontrato dal giudice tra le valutazioni medico-legali acquisite, divergenti soprattutto sulla natura della polmonite del MU. e sulle connesse cause determinanti il suo decesso. In particolare, in sede di esame autoptico, l’esperto aveva evidenziato un quadro di polmonite interstiziale con grave danno alveolare diffuso di accompagnamento il consulente della parte civile aveva invece ricondotto il decesso a broncopolmonite bilaterale, sepsi, acidosi lattica, CID, diabete mellito insulino dipendente, linfoma cerebrale in remissione, asma bronchiale i periti nominati in incidente probatorio avevano individuato la causa biologica del decesso in uno stato settico causalmente correlato a polmonite massiva bilaterale laddove, quelli della difesa avevano ricondotto l’evento ad una insufficienza respiratoria grave in un soggetto broncopneumopatio cronico in fase di esacerbazione, causata da un’infezione intercorrente, assai verosimilmente virale facilitata dalla malattia diabetica in precario compenso , e ritenuto evidente che il MU. fosse stato colpito da un polmonite atipica, sulla scorta del dato autoptico e degli elementi ricavabili dalla cartella clinica del paziente. Infine, i periti nominati dal giudice avevano individuato la causa della morte del MU. in una insufficienza respiratoria e cardiaca intervenuta in un complesso quadro di compromissione polmonare e pluriorgano , escludendo l’ipotesi di una polmonite batterica, per mancato riscontro degli elementi necessari per diagnosticare un processo di tale natura in atto o recente, affermando che la visita domiciliare, pur doverosa, anche per valutare la risposta alla terapia, non avrebbe però consentito con criterio di certezza o di probabilità , di formulare una diagnosi di polmonite interstiziale, stante la scarsa rilevanza fenomenologica clinica e tenuto conto del fattore di confusione rappresentato dalla broncopneumopatia cronica del MU. noto alla M. . Sulla base di tale complesso compendio probatorio, il Tribunale aveva ritenuto non solo che le condizioni del MU. erano state caratterizzate da un andamento altalenante, ma anche che la C. aveva effettivamente ripetutamente richiesto alla M. di effettuare una visita domiciliare, concludendo nel senso che il comportamento dell’imputata era stato connotato da gravissima negligenza ed imprudenza e dalla violazione della disciplina regolatrice delle visite domiciliari. Tuttavia, a diverse considerazioni quel giudice era giunto con riferimento all’ulteriore verifica, quella cioè della idoneità del comportamento alternativo corretto, omesso dalla imputata, a evitare l’evento morte verificatosi. Sul punto, si era registrata una divergenza di opinioni non dissimile a quella rilevata con riferimento alla causa biologica del decesso i periti in sede di incidente probatorio avevano ritenuto che la visita domiciliare avrebbe consentito di accertare la necessità del ricovero i consulenti della difesa avevano concluso nel senso che l’imputata non avrebbe comunque avuto a disposizione elementi per disporre il ricovero tale prospettazione era stata condivisa dai periti del giudice, i quali avevano spiegato perché, con criterio di alta probabilità, anche in caso di anticipato ricovero, il decesso sarebbe comunque sopravvenuto, tenuto conto delle condizioni di salute del MU. e dei fattori di rischio presenti. Pertanto, quel giudice, fatta applicazione dei principi di diritto che sovrintendono la materia de qua, sin dall’intervento regolatore delle Sezioni Unite sentenza Franzese del 2002 , ritenendo indimostrato che un ricovero antecedente al 22/02/08 potesse efficacemente contrastare il decorso patologico ed evitare l’evento morte, aveva assolto l’imputata per insussistenza del fatto, difettando il nesso causale tra la sua condotta omissiva e la morte di MU.Gi.An. . 3. La sentenza d’appello. Il giudice del gravame ha ritenuto infondati i motivi articolati dalla parte civile con l’interposto appello, sia con riferimento alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, per l’espletamento di nuova perizia, motivata sull’assunto dell’acritico recepimento delle conclusioni di un perito, a scapito di quelle di un altro che avuto riguardo alla richiesta risarcitoria collegata alla invocata riqualificazione della condotta in termini di consapevole rifiuto di atti d’ufficio, al quale era conseguita, come evenienza non voluta, la morte dell’assistito. Quanto al primo profilo, la Corte di merito ha ritenuto l’approfondimento istruttorio improduttivo di elementi di novità e destinato a dilatare i tempi di definizione del processo, tenuto anche conto della presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, vigente per quello di secondo. Il primo giudice aveva fatto buon uso del contributo scientifico dei periti e consulenti, inquadrandolo in un altrettanto corretto rapporto tra giudice e portatori di esperienze professionali extragiuridiche, avendo tratto le conseguenze giuridiche dalle indagini specialistiche affidate, valutato la prova scientifica sulla scorta del suo libero convincimento, depurato da ogni pretesa di autosufficienza e sostenuto da adeguata motivazione. La tesi della polmonite batterica come causa biologica del decesso, sostenuta soltanto da uno degli esperti la dott. C. nominata in sede di incidente probatorio , infatti, era risultata eccentrica rispetto a tutte le altre opinioni tecniche acquisite, trovando un unico riscontro nelle dichiarazioni della denunciante. Per quel giudice, l’ipotesi del decesso conseguente all’omessa visita domiciliare è viziata in radice a causa della fallace premessa di una polmonite tipica diagnosticabile con l’auscultazione e la percussione del torace, laddove, alla stregua del giudizio controfattuale condotto, non era stato invece possibile affermare che, ove la M. avesse tenuto la condotta doverosa indicata, la sorte di Giovanni Antonio MU. sarebbe stata diversa. Con riferimento, poi, alla richiesta subordinata di riqualificazione della condotta ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 328 e 586 del cod. pen., ai soli fini risarcitori, stante lo sbarramento del giudicato assolutorio, la Corte d’appello l’ha rigettata, opponendovi l’imprescindibile rispetto del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza. In particolare, quanto alla verifica della condotta ascrivibile alla M. , la Corte territoriale ha ritenuto necessaria una rivisitazione ragionata della ricostruzione dei fatti, alla luce dei rilievi difensivi. All’esito, ha ravvisato motivi di seria perplessità circa la sussistenza di una condotta negligente e imprudente della M. riconosciuta dal Tribunale , considerati gli elementi contrastanti con il quadro di angosciante preoccupazione della C. e del defunto nei giorni precedenti il ricovero di costui e coerenti piuttosto con una sottovalutazione della malattia da parte di entrambi, dubitando la Corte di merito anche dell’esistenza delle plurime richieste di visita domiciliare, prospettanti condizioni allarmanti del MU. che ancora non sembravano tali. 4. La decisione di questa Corte. I motivi di ricorso, pur numerosi, si polarizzano attorno ad alcune tematiche centrali, che ripropongono le doglianze rigettate dal giudice del gravame. 4.1. Un primo gruppo colpisce l’apparato argomentativo della sentenza con riferimento alla valutazione della prova scientifica e alla completezza dell’istruzione. Sotto il secondo profilo, inoltre, le doglianze si diversificano nella contestazione della mancata rinnovazione dell’istruttoria, sollecitata per disporre una nuova perizia a fronte dei contrasti tra le opinioni tecniche acquisite o, in subordine, per espletare un confronto tra il perito Ferreli e la dott.ssa C. , nominata in incidente probatorio e nella ritenuta violazione, da parte del giudice del gravame, dell’obbligo di procedere a nuova audizione delle testi C. e S. , avendo la Corte di merito capovolto le conclusioni rassegnate dal primo giudice in ordine alla attendibilità/inattendibilità di costoro, alla luce dei principi di matrice convenzionale, recepiti dalla giurisprudenza e tenuto conto della esclusione di una condotta omissiva negligente e/o imprudente della M. , viceversa ritenuta dal Tribunale che aveva assolto la predetta per difetto del nesso causale tra la sua censurabile condotta e l’evento morte . 4.2. Un altro gruppo di censure, invece, riguarda la valutazione condotta sulla individuazione della causa del decesso e sulla sussistenza del nesso causale tra la condotta gravemente negligente e imprudente serbata dalla M. e l’evento morte verificatosi, ai fini della riqualificazione del fatto ai soli effetti civili, attraverso lo schema di cui all’art. 586 cod. pen. 4.3. Tutti i motivi sono manifestamente infondati. 4.3.1. Riguardo alla cristallizzazione del compendio probatorio e alla valutazione della fattispecie di reato dalla quale la M. è stata assolta primo, secondo, terzo, quarto e nono motivo , deve osservarsi che la sentenza censurata ha dato una esaustiva risposta alle doglianze difensive, attraverso un percorso argomentativo di non comune analiticità, correttamente articolato secondo i parametri che devono governare l’uso giudiziale del contributo conoscitivo di natura scientifica. A fronte di una esaustiva motivazione e di una istruzione dibattimentale imponente che aveva conosciuto l’apporto, nel pieno contraddittorio, di più voci tecniche e addirittura lo svolgimento di una perizia d’ufficio, a fronte del disposto incidente probatorio , la parte non ha operato alcun serio confronto con le ragioni per le quali la Corte territoriale ha ritenuto perfettamente motivata la sentenza appellata in ordine alle recepite conclusioni degli ausiliari del giudice sulle cause del decesso. Ragioni, peraltro, esposte in maniera approfondita, basate su argomenti del tutto coerenti con le risultanze probatorie, non contraddittorie né illogiche e supportate da una rinnovata analisi delle varie opinioni scientifiche acquisite, oltre che dalla attenzione serbata al dato della singolarità della base scientifica valorizzata in chiave difensiva l’opinione della dott.ssa C. , secondo cui la causa della morte era da ricondurre ad una polmonite batterica massiva bilaterale che aveva determinato nel MU. una condizione di shock settico all’atto del ricovero, formulata in base ad una ricostruzione del processo fisiopatologico effettuata sulla scorta delle dichiarazioni della denunciante . La Corte non ha esitato a definire detta opinione eccentrica, siccome in contrasto non solo con i pareri dei consulenti della difesa, ma anche con i dati del referto autoptico e delle valutazioni dell’anatomo-patologo, poi condivise dai periti Ferreli e Caddoni cfr. pagg. 23 e 24 della sentenza impugnata , secondo cui non si era trattato di polmonite batterica, ma atipica. A fronte di un quadro probatorio arricchitosi di un numero crescente di pareri scientifici, correttamente la Corte territoriale ha rigettato la richiesta di una rinnovazione dell’istruzione dibattimentale finalizzata ad espletare una nuova perizia per accertare le probabilità di sopravvivenza del MU. in caso di suo tempestivo ricovero o a porre in confronto la dott.ssa Ce. e il Prof. F. , in ordine alle loro divergenti valutazioni sulla causa del decesso , sia alla luce della esaustività dei dati acquisiti, che tenuto conto dei principi che regolano la possibilità di procedere ad una integrazione probatoria in appello. La relativa valutazione, risolvendosi in apprezzamento di merito ed essendo sorretta da congrua ed esaustiva motivazione, si sottrae pertanto al sindacato di legittimità. 4.3.2. Le rimanenti censure quinto, sesto, settimo, ottavo e decimo motivo attengono invece alla dedotta violazione dell’obbligo di procedere alla nuova audizione delle testi C. e S. , alla luce della sovvertita valutazione di attendibilità/inattendibilità del loro dichiarato, avendo la Corte di merito escluso la prova di un comportamento omissivo della M. , invece ritenuto dal Tribunale, nonché al vizio di travisamento della prova e alla richiesta di ricondurre la condotta omissiva della M. al diverso reato di cui al combinato disposto degli artt. 328 e 586 cod. pen Anche tali censure sono manifestamente infondate. La Corte del merito, nell’esaminare le doglianze dell’appellante, ha confermato l’ineccepibile pronuncia assolutoria cfr. pag. 26 della sentenza , ritenendo che la stessa reggesse ad ogni censura riguardo al reato contestato di omicidio colposo valutazione condotta evidentemente ai soli fini delle statuizioni civili . Confrontandosi, tuttavia, con i restanti motivi del gravame con i quali si era chiesto, per l’appunto, di ricondurre il comportamento omissivo tenuto dalla M. ad una ipotesi di morte conseguente al delitto di omissione di atti d’ufficio, così riqualificandosi l’originaria imputazione di omicidio colposo , la Corte territoriale ha ritenuto di dover procedere ad una rivisitazione delle risultanze processuali, stimolata anche dai rilievi difensivi, in base ad un giudizio sempre ancorato alle regole proprie del processo penale ivi compresa la correlazione tra accusa e sentenza , onde verificare la sussistenza del presupposto logico di una responsabilità civile collegata ad un fatto di reato diverso, rispetto al quale poter statuire incidentalmente anche in maniera difforme dal primo giudice, fatta salva l’intangibilità delle statuizioni penali. All’esito di tale rivisitazione, la Corte sarda ha ritenuto non pienamente provata una condotta omissiva della M. , alla quale agganciare la morte del MU. secondo lo schema delineato dall’art. 586 del cod. pen L’appellante, infatti, aveva tratto la prova delle colpevoli omissioni della M. dalle valutazioni peritali che, tuttavia, stante Io specifico mandato accertamento delle cause della morte ed eventuale incidenza di un’errata diagnosi, di una inappropriata terapia e del ritardato ricovero rispetto alla insorgenza di sintomi allarmanati della gravità della malattia , non avrebbero potuto fornire elementi di valutazione in ordine ai comportarnernti della M. che esorbitavano dalla sfera delle specifiche conoscenze scientifiche, fondandosi sul contenuto dell’esposto presentato dalla C. , riportato come primo elemento di interesse medico legale nella perizia Ce. -B. . Il che ha condotto la Corte di merito ad affermare che probabilmente era stata proprio la ricostruzione riferita dalla C. ad orientare le conclusioni eccentriche della Ce. , smentite motivatamente dagli altri specialisti. Di qui la centralità delle affermazioni della C. , ritenute attendibili dal primo giudice e svalutate dal secondo che ha richiamato invece la testimonianza S. quale elemento a conferma dell’insussistenza di uno stato di agitazione della C. . Va preliminarmente chiarito che la richiesta della parte ricorrente articolata con il decimo motivo di ricorso è del tutto assertiva, dal momento che non indica in che modo la riconduzione della condotta omissiva della M. , accertata dal Tribunale, nell’ambito della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 328 cod. pen. possa configurare il necessario nesso causale tra la stessa e l’evento morte quale conseguenza non voluta ex art. 586 stesso codice, escluso definitivamente dal doppio pronunciamento conforme. In altri termini, ai fini della riqualificazione del reato escluso in sentenza in un fatto diverso sempre che non vi osti il principio di correlazione tra accusa e sentenza, correttamente evidenziato dalla Corte di merito è necessario verificare l’interesse della parte richiedente in questo caso di tipo risarcitorio a prospettare tale diversa configurazione. Interesse inesistente, nel caso di specie, poiché il nesso causale tra il comportamento omissivo della M. vuoi sussumibile, come pure prospetta la parte subordinatamente, nella condotta di cui all’art. 328 cod. pen., vuoi riconducibile, come ha tentato di fare la stessa parte con i motivi di ricorso già esaminati, alla violazione di regole cautelari proprie dell’esercizio della professione medica e il decesso del MU. è stato escluso nel doppio grado di giudizio in base ad una valutazione di merito che, come sopra chiarito, resiste alle censure della parte ricorrente ed è quindi sottratta al sindacato di legittimità. Quanto alla necessità che l’evento morte o lesioni sia eziologicamente collegato al reato voluto, pare sufficiente un richiamo ai principi più volte ribaditi da questa Corte in materia di cessione di sostanze stupefacenti con conseguente morte dell’assuntore, secondo cui, In tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte dell’assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione e con prevedibilità ed evitabilità dell’evento, da valutarsi alla stregua dell’agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale cfr. Sez. U. n. 22676 del 22/01/2009, Ronci, Rv. 243381 cfr., anche successivamente, Sez. 3 n. 41462 del 02/10/2012, Rv. 253606 , principi che questa Corte ritiene applicabili al caso di specie. Nel caso di specie, parte ricorrente ha ravvisato profili di penale responsabilità nel rifiuto di procedere alla visita domiciliare, ad essi ricollegando sic et simpliciter il decesso del MU. quale evento non voluto dalla M. , omettendo però di indicare in base a quali elementi di prova tale diversa qualificazione della condotta reintroducesse quel nesso eziologico escluso in sede di merito. 4.3.3. La genericità del motivo esaminato concorre a profilare la inammissibilità del ricorso anche sotto tale specifico profilo, restando in esso assorbite le rimanenti doglianze relative alle prove, in base alle quali la Corte d’appello ha ritenuto di dover escludere una condotta omissiva della M. . 5. Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.