Avvocato depresso: problema serio, ma possibile comunque l’assistenza alla cliente

Processo chiuso a causa dello scadere del termine per la presentazione dell’appello. Il legale chiede la restituzione in termini, spiegando di essere stato colpito da una sindrome depressiva. Nessun dubbio sul problema di salute, confermato anche da un certificato medico, ma per i giudici non si può parlare di impedimento assoluto, tale da non poter assistere direttamente o tramite un sostituto la cliente.

Avvocato caduto in depressione. Incontestabile la certificazione rilasciata da uno specialista in Psichiatria. Ciò nonostante, è illogico, secondo i magistrati, parlare di impedimento tale da non consentire al legale di proseguire nell’assistenza alla cliente. Di conseguenza, è inutile la richiesta di restituzione in termini formulata dal difensore Cassazione, sentenza n. 24852/2016, Sezione Sesta Penale, depositata ieri . Certificato. Tutto nasce dalla mancata presentazione dell’appello da parte del legale, con la conseguente scadenza del termine . Il professionista, però, spiega di avere avuto seri problemi di salute, come dimostrato da un certificato di malattia , e chiede, di conseguenza, la restituzione in termini . Risposta negativa da parte dei giudici di Appello, i quali spiegano che non vi era prova che l’impedimento si fosse protratto in modo assoluto , e aggiungono che, comunque, al problema poteva essere posto rimedio con la comunicazione al cliente o all’Ordine professionale . Impedimento. Il legale non si arrende, e decide di rivendicare le proprie ragioni nel contesto della Cassazione. Elemento centrale, in ottica difensiva, il certificato medico – allegato all’istanza – attestante l’incapacità temporanea, ma assoluta, ad attendere il proprio lavoro più precisamente, il legale sottolinea che la malattia certificata era una sindrome depressiva, totalmente inabilitante, fluttuante e trattata con potenti antidepressivi, che imponevano l’allontanamento forzato e prolungato dal lavoro . Obiezioni, quelle proposte dall’avvocato, tutte teoricamente plausibili, eppure ritenute secondarie in Cassazione. Per i magistrati, difatti, correttamente è stato escluso che la malattia diagnosticata sindrome depressiva fosse assoluta e di tale gravità da impedire non solo la redazione dell’atto, ma anche il ricorso a rimedi alternativi o sostitutivi . E in questa visione è significativa, sempre secondo i giudici, anche la considerazione che la malattia non era risultata invalidante al punto da impedire al difensore di allontanarsi dal proprio domicilio, di nominare un sostituto per la presentazione dei motivi di impugnazione, o di informare il cliente . Peraltro, non va ignorato, concludono i giudici, che ogni imputato conserva il potere di proporre impugnazione autonoma e il dovere di controllare il rispetto del mandato conferito all’avvocato ciò comporta che l’uso dell’ordinaria diligenza sia da parte del difensore che dell’imputata avrebbe potuto evitare il vano spirare del termine . Tutto ciò rende non accoglibile la richiesta di restituzione in termini presentata dal legale.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 31 maggio – 15 giugno 2016, n. 24852 Presidente Paoloni – Relatore Criscuolo Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con l'ordinanza impugnata la Corte di appello di Roma ha rigettato la richiesta di restituzione in termini formulata dal difensore dell'imputata, che adduceva la mancata presentazione dell'appello a causa del suo stato di malattia, certificato il 12 ottobre 2015, ritenendo che non vi era prova che l'impedimento si fosse protratto in modo assoluto per l'intero periodo certificato e che al dedotto impedimento poteva ovviarsi con la comunicazione dell'impedimento al cliente o all'ordine professionale. 2. Avverso l'ordinanza ricorre il difensore, che ne chiede l'annullamento per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione deduce che l'ordinanza non ha tenuto conto del contenuto del certificato medico allegato all'istanza, attestante l'incapacità temporanea, ma assoluta del difensore ad attendere al proprio lavoro. Censura l'erronea valutazione operata dalla Corte circa la qualifica professionale del sanitario, che ha redatto il certificato, specialista in psichiatria e primario di psichiatria infantile presso l'ospedale S. Andrea, e che ha attestato l'impedimento assoluto al lavoro, in quanto la malattia certificata era una sindrome depressiva, totalmente inabilitante, fluttuante e trattata con potenti antidepressivi, che imponevano l'allontanamento forzato e prolungato dal lavoro. 3. Il ricorso è infondato. Secondo il costante orientamento di questa Corte in tema di restituzione in termini per proporre impugnazione, quando viene invocato lo stato di malattia come causa di forza maggiore, si richiede che lo stesso sia di tale gravità da impedire per tutta la sua durata qualsiasi attività, venendo ad incidere sulla capacità di intendere e di volere dell'interessato, al punto da impedirgli anche la spedizione a mezzo posta o la presentazione tramite un procuratore speciale dell'atto di impugnazione Sez. 6, n. 2252 del 16/12/2010, dep. 22/01/2011, Rv. 249197 . La Corte di appello si è attenuta a detti principi, escludendo che la malattia diagnosticata sindrome depressiva su base reattiva , fosse assoluta e di tale gravità da impedire non solo la redazione dell'atto, ma anche il ricorso a rimedi alternativi o sostituivi, ricercati dallo stesso difensore, non risultando che la malattia fosse invalidante al punto da impedire al difensore di allontanarsi dal proprio domicilio, di nominare un sostituto per la presentazione dei motivi di impugnazione o di informare l'imputato Sez. 1, n. 16763 de/ 07/04/2010, Rv. 246927 . Considerato, peraltro, che ogni imputato conserva il potere di proporre impugnazione autonoma e il dovere di controllare il rispetto del mandato conferito, l'uso dell'ordinaria diligenza sia da parte del difensore che dell'imputata avrebbe potuto evitare il vano spirare del termine. Per le ragioni esposte il ricorso va rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.