Impianto elevatore ed effetto catapulta: il datore non ha gestito la sicurezza, irrilevante l’imprudenza del lavoratore

L’imprudenza commessa dal lavoratore non formato e informato adeguatamente dal titolare della posizione di garanzia non costituisce comportamento eccentrico idoneo ad interrompere il nesso di causalità.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 22717/16, depositata il 30 maggio. Il caso. A fronte di una sentenza di assoluzione pronunciata al Tribunale, la Corte d’appello condannava l’imputato per omicidio colposo aggravato perché ritenuto responsabile, quale titolare di posizione di garanzia, dell’infortunio verificatosi in occasione di un’operazione di verniciatura in quota di due serbatoi dell’impianto antincendio dello stabilimento di cui era direttore. Per l’esecuzione della lavorazione era stato noleggiato un autocarro dotato di piattaforma elevabile presso la ditta di cui era titolare il fratello della vittima. L’imputato incaricava dell’esecuzione del lavoro la vittima e altri due dipendenti. La dinamica dell’infortunio. La vittima e un altro collega salivano sulla piattaforma senza indossare cinture di sicurezza e la vittima manovrava l’impianto per elevare la piattaforma nel tentativo di portarla sulla base retrostante i due serbatoi ci riusciva dopo aver ripetuto le manovre alcune volte successivamente però la base del cestello si abbassava entrando in contatto con i serbatoi. La vittima cercava di svincolare il cestello rimasto bloccato ma la manovra faceva salire il cestello creando un effetto catapulta. Il repentino sblocco del cestello faceva sbalzare la vittima fuori di esso e, nonostante il tentativo di aggrapparsi ad una maniglia di plastica, cadeva al suolo e decedeva. Omicidio colposo aggravato. All’imputato si addebitava l’aver cagionato la morte per aver omesso di fornire ai dipendenti l’istruzione e l’addestramento necessari per l’esecuzione della lavorazione e la prevenzione dei rischi nonché per aver omesso di predisporre un servizio di vigilanza mediante preposti che consentisse l’adozione di corrette procedure d’intervento e per aver omesso di verificare che l’impianto fosse dotato di sufficienti dispositivi di sicurezza individuale come previsti dalla legge vigente. Carenti la formazione e i presidi. Le prove assunte nel processo confermavano che i dipendenti non avevano ricevuto alcuna formazione ed erano convinti di operare in sicurezza grazie al parapetto del cestello. Era emerso, inoltre, che sul cestello vi era una sola cintura di sicurezza anche se vi lavoravano in due e che la tipologia del lavoro necessitava la designazione di un preposto che esercitasse la vigilanza sul compimento delle operazioni in sicurezza. I giudici di merito accertavano inoltre che il bagaglio di esperienze personali del lavoratore non fosse tale da ritenere inutile una sua specifica attività di formazione. Si valorizzava, infine, che la lavorazione non era stata fatta eseguire, in regime di appalto, ad una ditta specializzata che ne curasse per l’intero l’esecuzione, ma in economia”, noleggiando l’impianto presso una ditta esterna e provvedendo all’impiego di risorse interne, cioè di dipendenti sprovvisti di formazione adeguata su lavorazioni così rischiose e di adeguata informazione sui pericoli connessi. Doveva infatti escludersi che il rapporto tra la ditta proprietaria della piattaforma e il noleggiatore dell’impianto fosse da qualificare quale contratto d’appalto, trattandosi di forniture con nolo a freddo” e di operazione eseguita in assenza di posizione di autonomia organizzativa, ma quale dipendente della ditta dell’imputato. Il rapporto con la proprietaria dell’impianto si risolveva nel nolo a freddo” dell’autocarro senza che la ditta mettesse a disposizione propri dipendenti. Posizione di garanzia. Era stato l’imputato a curare l’esecuzione della lavorazione noleggiando l’autocarro e incaricando i tre dipendenti di eseguire l’operazione di manutenzione in quota. In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il soggetto titolare dell’impresa che noleggia macchinari eventualmente mettendo anche a disposizione un soggetto addetto al suo utilizzo non ha l’obbligo di cooperare nell’attuazione delle misure di prevenzione e protezione che l’appaltatore dei lavori, pertanto, non assume una posizione di garanzia in relazione a rischi specifici connessi all’ambiente di lavoro nel quale sono chiamati ad operare, non esercitando alcuna attività produttiva. L’imputato aveva pienamente assunto nei confronti della vittima che era suo dipendente le responsabilità derivanti dalla posizione di garanzia, quale direttore dello stabilimento e delegato alla sicurezza del lavoro nonché dalla gestione del rischio poi concretizzatosi. Assoluta insufficienza della formazione ed informazione. Ai dipendenti era stato fornito solo il manuale ABC della sicurezza” ritenuto inadeguato al rischio dell’operazione. La Corte ha ribadito che, in tema di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, l’attività di formazione del dipendente non è esclusa dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore quale risultante per effetto della lunga esperienza lavorativa o per il travaso” di conoscenza che si realizza nella collaborazione tra colleghi anche posti in relazione gerarchica tra loro. L’apprendimento personale del lavoratore e la socializzazione” di esperienze e prassi di lavoro non si identificano né valgono a surrogare le attività di formazione e informazione previste dalla legge e gravanti sul datore di lavoro. La vittima non era il preposto. Quanto alla lamentata assenza di un preposto sul luogo dell’infortunio l’imputato affermava che tale era la stessa vittima che aveva assunto in concreto tale qualifica. Al contrario, gli accertamenti deponevano nel senso che la vittima fosse carente di specifica formazione né avesse specifica esperienza nella conduzione dei rischi connessi a simili operazioni, non potendo perciò assumere tale posizione di preminenza rispetto agli altri lavoratori, non potendo impartire loro ordine, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire. La vittima non era quindi assimilabile ad un preposto neppure di fatto”. Assenza di sufficienti dispositivi di sicurezza. Era emersa la presenza di una sola cintura di sicurezza ma soprattutto i lavoratori non erano stati formati e informati dell’obbligo di indossare la cintura a fini di prevenzione, ritenendo erroneamente sufficiente il parapetto. Nesso eziologico Il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sufficiente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica ma deve essere vagliato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica. Tale è quello fondato su un ragionamento di deduzione logica basato su generalizzazioni scientifiche e su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto. e giudizio controfattuale. Nel caso in esame era emerso che se l’imputato avesse formato adeguatamente i dipendenti e informato gli stessi riguardo la corretta modalità di esecuzione dell’operazione e dei rischi connessi, i lavoratori avrebbero potuto operare in sicurezza senza correre i rischi cui sono stati esposti e concretizzati nell’infortunio rivelatosi letale. Parimenti la presenza di un preposto, incaricato di attendere e assistere alle operazioni, avrebbe impedito l’esecuzione pericolosa. In sintesi se l’imputato avesse ottemperato agli obblighi antinfortunistici discendenti dalla posizione di garanzia ricoperta e dal rischio da lui gestito con ogni probabilità l’evento non si sarebbe verificato. Evento prevedibile. L’evento rientrava tra quelli prevedibili intrinsecamente per un’operazione consistente in una manutenzione in quota che implicava il rischio di cadute dall’alto da parte del personale impiegato. Come affermato da Sezioni Unite Thyssenkrupp” del 2014, in tema di colpa la necessaria prevedibilità dell’evento, anche sotto il profilo causale, non può riguardare la configurazione dello specifico accadimento in tutte le sue articolazioni ma deve mantenere un grado di categorialità dovendosi riferire a classe di eventi in cui si colloca l’oggetto del processo. Contributo del comportamento della vittima nella produzione dell’evento? È ius receptum che il datore di lavoro ha il dovere di accertare il rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza nonché esigendo dai lavoratori l’osservanza delle regole cautelari. La sua responsabilità può essere esclusa solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionalità, abnormità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come imprevedibile e inopinabile. La condotta abnorme interrompe il nesso di causalità quando si collochi al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Il comportamento interrompe il nesso eziologico perché eccentrico” rispetto al rischio che il datore/garante è tenuto a governare peraltro l’eccentricità non è sovrapponibile all’eccezionalità dal punto di vista statistico . Il comportamento è riconducibile alle omissioni del datore. Nel caso vagliato dalla Corte il contributo causale del lavoratore vittima al prodursi dell’evento è consistito in una imprudenza e negligenza nel manovrare l’impianto nonché nell’omettere di indossare la cintura di sicurezza ma ciò, a sua volta, derivava dall’accertata carenza di formazione nell’utilizzo dell’impianto e nell’assenza di informazione riguardo i rischi connessi all’operazione affidata dal datore di lavoro. Il comportamento della vittima non può quindi essere qualificato come eccentrico” rispetto al rischio lavorativo gestito dal datore condannato.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 22 aprile – 30 maggio 2016, n. 22717 Presidente Blaiotta – Relatore Pavich Ritenuto in fatto 1. Con sentenza resa in data 23 marzo 2015, la 3 Sezione penale della Corte d’appello di Torino, in riforma della sentenza con la quale il Tribunale di Asti, l’8 luglio 2009, aveva assolto C.R. perché il fatto non costituisce reato, lo condannava alla pena di tre mesi di reclusione - previa concessione delle attenuanti di cui agli artt. 62- bis e 62 n. 6 cod.pen., prevalenti sulla contestata aggravante, e con concessione dei doppi benefici di legge - in relazione al reato a lui contestato ex art. 589, commi 1 e 2, cod. pen., commesso in omissis il omissis in danno di A.D. . Oggetto del processo, nel quale il C. risponde del reato a lui ascritto quale direttore dello stabilimento della Fuchs Lubrificanti s.p.a. sedente in omissis , è un infortunio verificatosi in occasione di un’operazione di verniciatura di due serbatoi dell’impianto antincendio ivi presente. Per l’esecuzione di detta lavorazione era stato noleggiato un autocarro dotato di piattaforma elevabile presso la ditta di A.G. , fratello della vittima dell’esecuzione del lavoro venivano incaricati dal C. A.D. , An.Gi. e Ce.An. , tutti e tre dipendenti della Fuchs. L’A. e l’An. salivano sulla piattaforma elevabile senza indossare le cinture di sicurezza l’A. manovrava l’impianto per elevare la piattaforma, nel tentativo di portarla sulla parte retrostante dei due serbatoi, tentativo che riusciva dopo alcune ripetizioni della manovra successivamente però la base del cestello elevabile si abbassava ed entrava in contatto con i due serbatoi. L’A. cercava di svincolare il cestello, rimasto bloccato, dapprima con un braccio, poi - dopo avere fatto scendere l’An. dal cestello e avendolo fatto posizionare sulla sommità di uno dei serbatoi - cercando di manovrare sui comandi dell’impianto. La forza impressa con la manovra faceva però salire il cestello fino alla sommità dei serbatoi, quindi lo faceva liberare in modo improvviso, creando un effetto catapulta il repentino sblocco del cestello faceva sbalzare l’A. fuori dello stesso e, nonostante il tentativo del lavoratore di aggrapparsi a una maniglia di plastica, ne cagionava la caduta al suolo e quindi il decesso. Al C. è mosso l’addebito di avere cagionato il decesso dell’A. per avere omesso di fornire ai dipendenti l’istruzione e l’addestramento necessari per l’esecuzione della lavorazione e per la prevenzione dei rischi connessi per avere omesso di predisporre un servizio di vigilanza mediante preposti, che consentisse l’adozione delle corrette procedure d’intervento e per avere omesso di verificare che l’impianto fosse dotato di sufficienti dispositivi di sicurezza individuale, in relazione a quanto previsto dall’allora vigente art. 41 D.Lgs. 626/1994. Il ribaltamento della decisione di primo grado, conseguente ad appello proposto dal Pubblico ministero, era dovuto al fatto che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale nella sentenza assolutoria, doveva escludersi la qualificazione del rapporto fra la Fuchs e il noleggiatore dell’impianto come contratto d’appalto, trattandosi di fornitura con nolo a freddo e di operazione che la vittima eseguiva in assenza di una posizione di autonomia organizzativa, ma quale dipendente della ditta del C. . Ciò posto, secondo la Corte di merito, le prove assunte avevano confermato che l’A. e l’An. non avevano ricevuto alcuna formazione e nella convinzione di operare comunque in sicurezza grazie al parapetto del cestello che sul cestello vi era solo una cintura di sicurezza, a fronte del fatto che vi operassero due lavoratori che la tipologia di lavoro necessitasse la designazione di un preposto che esercitasse la vigilanza sul compimento delle operazioni in sicurezza che il bagaglio d’esperienza personale dell’A. non fosse tale da rendere inutile una specifica attività di formazione in suo favore che comunque la lavorazione in esame era stata fatta eseguire dal C. non già, in regime d’appalto, a una ditta specializzata che ne curasse per intero l’esecuzione, ma in economia, ossia noleggiando l’impianto presso una ditta esterna e provvedendo all’impiego di risorse umane interne alla propria ditta, ossia di dipendenti sprovvisti di adeguata formazione su lavorazioni così rischiose e adeguata informazione sui connessi pericoli. 2. Avverso la prefata sentenza ricorre il C. , con un primo atto a sua firma e con la successiva presentazione di motivi aggiunti a cura del suo difensore di fiducia. 2.1. Iniziando dall’atto personalmente sottoscritto dall’imputato, esso consta di un unico motivo, con il quale si censura vizio di motivazione nella sentenza impugnata, riferito, in particolare, alla questione della presunta carenza di formazione ed esperienza della vittima, laddove - lamenta l’esponente - sono state invece del tutto trascurate dalla Corte territoriale le deposizioni dei testi Ar. e An. secondo il teste Ar. , l’A. era soggetto sicuramente esperto nelle lavorazioni del tipo di quella in esame, come era stato possibile constatare un mese prima, in occasione di analogo utilizzo della piattaforma in quota, per la sostituzione di vetri a un’altezza di 13 metri il teste An. , dal canto suo, ha raccontato come l’A. avesse provato a eseguire le manovre di scostamento del cestello dai serbatoi, descrivendo le operazioni compiute dalla vittima e sottolineando come esse presupponevano notevole esperienza nell’impiego dell’impianto, e oltretutto riferendo che l’A. , invitando l’An. a uscire dal cestello e a posizionarsi sulla sommità di un serbatoio, gli avesse praticamente salvato la vita sulla scorta della sua esperienza e delle sue conoscenze dell’impianto, prevedendo il rischio di un possibile effetto catapulta come quello poi concretizzatosi. Quanto, poi, all’individuazione di un preposto, che la Corte ha ritenuto essere stata omessa dal C. , l’esponente evidenzia come in realtà il preposto fosse proprio l’A. , in virtù della sua esperienza nell’uso dell’impianto, sicuramente superiore rispetto agli altri dipendenti della ditta. Si duole infine il ricorrente del fatto che la Corte di merito abbia omesso ogni valutazione in ordine al comportamento colposo della vittima e all’idoneità dello stesso a interrompere il nesso causale tra la condotta ascritta al C. e l’evento mortale. 2.2. L’atto successivamente depositato, a firma del difensore di fiducia dell’imputato, consta di due motivi aggiunti. 2.2.1. Con il primo motivo si denuncia vizio di motivazione in riferimento all’omessa valutazione della deposizione del teste Ar. , con argomenti che richiamano nella sostanza quelli svolti sul punto nel ricorso presentato personalmente dall’imputato, ai quali quindi si può fare rinvio. 2.2.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione in riferimento al c.d. giudizio controfattuale operato dalla Corte di merito in relazione alla condotta omissiva contestata al C. con riferimento all’omessa formazione e istruzione dell’A. , laddove la condotta di quest’ultimo si inserì in modo sicuramente determinante nell’iter causale dell’evento, non avendo l’A. utilizzato la cintura di sicurezza presente sull’impianto e avendo altresì insistito in modo maldestro nell’eseguire le manovre volte a sbloccare il cestello nonché con riferimento alla mancata nomina di un preposto, laddove tale figura doveva identificarsi, nella specie, proprio nella vittima. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato, in tutti i motivi in cui esso è articolato. Può in primo luogo dirsi pacifico che fu il C. a curare l’esecuzione della lavorazione ossia a noleggiare l’autocarro presso la ditta di A.G. e ad incaricare i tre dipendenti sopra indicati fra cui la vittima di eseguire la pitturazione dei serbatoi, ossia un’operazione di manutenzione in quota. Ciò posto, va preliminarmente chiarito che appare superata, ed è comunque irrilevante, la questione della configurabilità o meno di un rapporto qualificabile come contratto d’appalto tra la Fuchs e la ditta che noleggiò il macchinario facente capo al fratello della vittima . Essendo pacifico che tale rapporto si risolse in realtà nel c.d. nolo a freddo dell’autocarro munito di piattaforma elevabile, senza cioè che la ditta noleggiatrice mettesse a disposizione uno o più propri dipendenti, deve considerarsi che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il soggetto titolare dell’impresa che noleggia macchinari eventualmente mettendo a disposizione anche un soggetto addetto al loro utilizzo non ha l’obbligo di cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione che l’appaltatore di lavori deve adottare in favore dei lavoratori alle sue dipendenze, e pertanto non assume, nei confronti di questi ultimi, una posizione di garanzia in relazione ai rischi specifici connessi all’ambiente di lavoro nel quale essi sono chiamati ad operare, non esercitando alcuna attività produttiva Sez. 4, n. 23604 del 05/03/2009, Cossi e altri, Rv. 244216 . Quanto precede rende evidente che, rispetto alla posizione di A.D. , che era dipendente della Fuchs, il C. aveva pienamente assunto, in tema di prevenzione degli infortuni, le responsabilità derivanti dalla sua posizione di garanzia, quale direttore dello stabilimento e delegato alla sicurezza del lavoro, nonché la gestione del rischio poi concretizzatosi. Perciò, conviene preliminarmente verificare se all’assunzione di dette responsabilità abbia fatto riscontro, nel caso del ricorrente, l’osservanza dei corrispondenti doveri o se egli abbia omesso di ottemperare a quelli indicati nell’imputazione ossia il dovere di formazione e di informazione dei dipendenti, ed in specie dell’A.D. , con riferimento al tipo di operazione a lui affidata il dovere di designare un preposto ai fini dell’esecuzione in sicurezza dell’operazione verificando altresì se tale incarico potesse essere assunto direttamente dall’A. il dovere di curare che fossero disponibili i dispositivi di protezione individuale di cui all’art. 41, D.Lgs. 626/1994 nella specie, le imbracature di sicurezza . 2. Quanto al primo profilo, risulta ampiamente e congruamente motivato nella sentenza impugnata il convincimento della Corte di merito in ordine all’assoluta insufficienza della formazione e informazione dei dipendenti, e in specie dell’A. , da parte del C. , in riferimento al rischio insito nell’operazione che costò la vita al dipendente a tal fine valgono le considerazioni svolte dalla Corte territoriale a pag. 7 della sentenza in ordine alla deposizione dello stesso fratello della vittima e alla carenza di elementi specificamente riferiti al rischio in esame nella documentazione fornita al personale c.d. manuale ABC della sicurezza ma, anche, in ordine al fatto che l’avere eseguito in una singola occasione un’operazione analoga, per tipologia e rischio, a quella a lui fatale la sostituzione di vetrate avvenuta un mese prima del fatto non rendeva superflua la formazione del dipendente rimasto vittima dell’infortunio sul punto, a differenza di quanto denunciato nei motivi di ricorso, la Corte ha svolto brevi ma puntuali considerazioni a pag. 8 della sentenza . A fronte di ciò, deve ricordarsi che, in tema di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, l’attività di formazione del lavoratore, alla quale è tenuto il datore di lavoro, non è esclusa dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro. L’apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge Sez. 4, n. 21242 del 12/02/2014, Nogherot, Rv. 259219 . Da tali considerazioni deriva anche la soluzione riferita alla seconda questione, ossia quella relativa alla presenza o meno di un preposto sul luogo dell’infortunio, presenza che viene affermata dal ricorrente, che individua nella stessa vittima colui che in concreto aveva assunto tale qualifica. Invero, come si è detto e come chiaramente argomentato nella sentenza impugnata , è emerso che l’A. non aveva una specifica formazione, né una specifica esperienza nella conduzione di impianti del tipo di quello utilizzato il giorno dell’incidente, né tanto meno una conoscenza dei rischi connessi a simili operazioni, e non poteva quindi assumere una posizione di preminenza rispetto agli altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire perciò egli non poteva comunque assimilarsi a un preposto, neppure in via di fatto sul punto si veda fra le altre Sez. 4, n. 35666 del 19/06/2007, Lanzellotti, Rv. 237468 . 3. Quanto all’addebito di non aver curato la presenza di dispositivi di protezione individuale nella piattaforma su cui l’A. e l’An. dovevano operare, è bensì emerso che era disponibile una sola cintura di sicurezza e non due, a fronte dell’impiego di due lavoratori , che peraltro l’A. non usava neppure quando era rimasto solo sul cestello dopo averne fatto uscire l’An. ma soprattutto - e di ciò, come si è detto poc’anzi, la sentenza impugnata offre adeguata contezza - è emerso che né l’A. , né l’An. erano stati formati né informati circa l’obbligo di indossare la cintura di sicurezza a fini prevenzionistici, e che anzi essi ritenevano che a tal fine fosse sufficiente la presenza di un parapetto nel cestello, protezione sicuramente non idonea a prevenire il rischio concretizzatosi nel caso specifico infatti il cestello, dopo essere stato liberato bruscamente, si era ribaltato facendo cadere l’A. . Sul piano del giudizio controfattuale operato dalla Corte di merito, deve parimenti convenirsi con le argomentazioni svolte nell’impugnata sentenza, nella premessa che il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261103 . 4. Ciò posto, dallo svolgimento dei fatti oggetto dell’impugnata sentenza emerge con chiarezza che, se il C. avesse adeguatamente formato e soprattutto informato l’A. e l’An. in ordine al corretto modo di eseguire l’operazione, ai rischi che essa comportava e a quali fossero gli accorgimenti per evitarli, sicuramente i due lavoratori avrebbero potuto operare in sicurezza e non avrebbero corso i rischi cui invece si trovarono esposti e che si concretizzarono nell’incidente se il C. avesse incaricato un preposto, provvisto di adeguata preparazione, di attendere ed assistere all’operazione, costui avrebbe potuto impedire che quest’ultima venisse eseguita in modo pericoloso e azzardato, come invece accadde e se infine il C. avesse considerato la disponibilità di un solo dispositivo di protezione individuale sulla piattaforma, avrebbe avuto la possibilità di riconsiderare le modalità esecutive dell’operazione, anziché farla eseguire da due lavoratori, per di più completamente privi di formazione non solo sul corretto svolgimento di detta operazione, ma anche sui rischi connessi e su come prevenirli ed evitarli. In definitiva, se il C. avesse ottemperato ai doveri prevenzionistici discendenti della posizione di garanzia da lui assunta e, quindi, del rischio da lui gestito , con ogni probabilità l’evento non si sarebbe verificato. Detto evento, del resto, rientrava sicuramente tra quelli intrinsecamente prevedibili per un’operazione, quale quella in corso al momento dell’evento e consistente in una manutenzione effettuata in quota, che implicava il pericolo di cadute dall’alto del personale all’uopo impiegato, pericolo in funzione del quale era del resto presente sulla piattaforma elevabile un apposito dispositivo di protezione individuale è appena il caso di ricordare, al riguardo, che, in tema di colpa, la necessaria prevedibilità dell’evento - anche sotto il profilo causale - non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più minute articolazioni, ma deve mantenere un certo grado di categorialità, nel senso che deve riferirsi alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del processo Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261106 . 5. Resta da dire dell’ultimo argomento sostenuto dal ricorrente e riferito all’omessa motivazione, da parte della Corte di merito, in ordine al contributo causale del comportamento negligente della vittima nel prodursi dell’evento mortale. In realtà la Corte di merito fornisce adeguata motivazione sul punto vds. pp. 9-10 sentenza impugnata . Può solo aggiungersi che, per pacifica giurisprudenza, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori l’osservanza delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 - dep. 27/01/2015, Bonelli, Rv. 261946 . Più precisamente, come recentemente chiarito dalla giurisprudenza apicale di legittimità, è interruttiva del nesso di condizionamento la condotta abnorme del lavoratore quando essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è interruttivo per restare al lessico tradizionale non perché eccezionale ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare. Tale eccentricità renderà magari in qualche caso ma non necessariamente statisticamente eccezionale il comportamento ma ciò è una conseguenza accidentale e non costituisce la reale ragione dell’esclusione dell’imputazione oggettiva dell’evento Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, non massimata sul punto . Nel caso specifico, è di tutta evidenza che il contributo causale dell’A. al prodursi dell’evento è al più consistito in una sua imprudenza e negligenza nel manovrare l’impianto per liberarne il cestello, nonché nell’omettere di indossare la cintura di sicurezza ma ciò era dovuto più che altro alla sua scarsa formazione nell’utilizzo dell’impianto e alla sua carente informazione sui rischi connessi all’operazione a lui affidata ossia a condotte omissive imputabili al C. , e non si trattava sicuramente di comportamento abnorme nel senso sopra illustrato, non potendosi esso qualificare come eccentrico rispetto al rischio lavorativo gestito dall’odierno ricorrente. 6. Per le considerazioni suesposte il ricorso va dunque rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.