Il contrassegno di esenzione al pagamento del parcheggio ha natura pubblicistica anche se rilasciato dal concessionario privato

Il concessionario delle aree pubbliche destinate a parcheggio a pagamento svolge attività nell’interesse dell’Ente pubblico concedente e la disciplina di godimento risulta diretta dalla volontà dello stesso Ente pubblico.

Uso del falso contrassegno di permesso di sosta. Con la sentenza n. 21720 depositata il 24 maggio 2016, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione risolve una questione relativa all’uso di un falso contrassegno di permesso di sosta, delimitandone limiti e contenuti. Il caso. La Corte di Appello territoriale aveva confermato la sentenza del Tribunale nei confronti del ricorrente in ordine al delitto di uso di falso contrassegno di permesso di sosta in zona di parcheggio a pagamento. L’affermazione della responsabilità penale si concentrava sulla rilevazione che non si trattava di un falso grossolano che il contrassegno di esenzione dal pagamento aveva natura di certificazione amministrativa e che la vettura era risultata nella disponibilità del ricorrente. Al contrario, il ricorrente in cassazione contestava l’affermata natura di certificazione amministrativa, in quanto risultando confezionata da soggetto privato nell’ambito di un rapporto di natura privatistica tra il concessionario del Comune delle aree a parcheggio e l’utente ne conseguiva che l’atto falsificato aveva natura di scrittura privata. La difesa dell’imputato, inoltre, contestava anche l’asserita mancanza di grossolanità nella falsificazione, tanto da essere rilevata quest’ultima dagli addetti all’esazione. Infine, secondo il ricorrente, non vi era alcuna evidenza probatoria dell’asserita esclusiva disponibilità del mezzo in capo allo stesso. Asserita natura privatistica del contrassegno. I giudici di Piazza Cavour ritengono infondati tutti i motivi di contestazione, a partire dal primo relativo alla asserita natura privatistica del contrassegno. Infatti – come affermano testualmente gli Ermellini – è insegnamento pacifico da parte della giurisprudenza che il concessionario delle aree pubbliche destinate a parcheggio a pagamento svolga attività nell’interesse dell’Ente pubblico concedente e che la disciplina di godimento risulta diretta dalla volontà dello stesso Ente pubblico. Risulta chiaro, pertanto, come è stato anche affermato dal giudice di merito, che il soggetto, gerente in concessione dal Comune le aree destinate al parcheggio a pagamento delle vetture, sia un incaricato di pubblico servizio e che il contrassegno d’esenzione, rilasciato dallo stesso agli aventi diritto, sia in effetti una certificazione amministrativa e non già una scrittura privata. D’altro canto – proseguono i giudici del Palazzaccio - anche se il rapporto d’uso del servizio ha luogo tra due soggetti privati, tuttavia l’esercizio della concessione risulta regolata autoritativamente dall’Ente pubblico proprietario del sedime concesso, cosicché anche il regime delle agevolazioni ed esenzioni risulta non già espressione della volontà del concessionario,bensì attuazione delle direttive dell’Ente pubblico concedente, assumendo pertanto il concessionario stesso la figura di incaricato di pubblico servizio con le conseguenze in tema degli atti confezionati nell’esercizio dell’incarico. Falso grossolano ed esclusiva disponibilità del mezzo. In riferimento alla ulteriori contestazioni del ricorrente, la Corte di Cassazione si sofferma su quella relativa alla non accertata esclusiva disponibilità del mezzo. Al riguardo – come si legge nella sentenza in commento – il Giudice di merito ha messo in evidenza che fu lo stesso ricorrente ad aprire la vettura su invito dell’addetta al controllo e del vigile urbano, apparendo evidente che non solo la vettura era a lui intestata, ma anche la sua concreta disponibilità nel frangente. Infatti, afferma il giudice di legittimità che la mera osservazione che non vi è prova che la vettura fosse nell’esclusiva disponibilità del ricorrente non supera l’accertamento, puntualizzato dai giudici di merito, che in quell’occasione vi sia prova che il veicolo fosse nella disponibilità dell’imputato. Quanto al mezzo di impugnazione afferente alla grossolanità del falso con conseguente irrilevanza penale, l’impugnante si limita, secondo gli Ermellini , a richiamare solo parte delle dichiarazioni testimoniali dell’addetto al controllo, ignorando la puntualizzazione dei Giudici di merito circa la sua precisazione che, solo dopo approfondito controllo, rimase acclarato ciò che risultava un sospetto suscitato da alcune anomalie visibili del contrassegno contraffatto. Da qui il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 marzo – 24 maggio 2016, n. 21720 Presidente Vessichelli – Relatore Gorjan Ritenuto in fatto La Corte d'Appello di Lecce sez. dist. Di Taranto con la sentenza impugnata, resa il 23.2 - 13.4.2015, ha confermato la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Taranto nei confronti del C. in ordine al delitto di uso di falso contrassegno di permesso di sosta in zona di parcheggio a pagamento. Era accaduto che la vettura del C. fosse stata trovata, il 12.5.2008, in sosta in zona destinata dal Comune di Taranto a parcheggio a pagamento con esposto sul parabrezza un contrassegno di esenzione contraffatto. All'esito del giudizio avanti il Tribunale di Taranto il C. era stato riconosciuto colpevole in ordine al delitto di uso di falsa certificazione amministrativa e condannato alla pena di mesi quattro di reclusione. La Corte salentina ebbe a confermare l'affermazione di penale responsabilità dell'imputato in ordine al delitto di falso, rilevando che non trattavasi di falso grossolano che il contrassegno di esenzione dal pagamento aveva natura di certificazione amministrativa e che la vettura era risultata nella disponibilità dei C. nello specifico frangente. Avverso la sentenza resa dalla Corte d'appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore fiduciario dell'imputato rilevando i seguenti vizi di legittimità concorreva violazione di legge in quanto la Corte territoriale in relazione al contrassegno di esenzione dal pagamento del corrispettivo per la sosta ha ritenuto la sua natura di certificazione amministrativa, pur essendo confezionata da soggetto privato nell'ambito di una rapporto di natura privatistica tra il concessionario dal Comune delle aree a parcheggio e l'utente, sicché l'atto falsificato aveva natura di scrittura privata e quindi non sussisteva più il reato concorreva vizio di motivazione in relazione alla ribadita attitudine concretamente decettiva dell'atto falsificato poiché non viene data ragione delle evidenze probatorie lumeggianti invece la grossolanità del falsificazione, subito rilevata dagli addetti all'esazione concorreva vizio di motivazione in relazione alla riferibilità ad esso imputato dell'uso dell'atto falso, poiché in sentenza impugnata non v'era motivazione circa la sua esclusiva disponibilità della vettura, al cui interno era apposto l'attestazione d'esenzione non genuina poteva trovar applicazione nella specie il disposto ex art 131 bis cod. pen. concorrendo i requisiti prescritti dalla nuova norma. All'odierna udienza pubblica per l'imputato compariva il difensore fiduciario, che insisteva nel ricorso e segnalava la sopravvenuta prescrizione, mentre il P.G. concludeva per l'inammissibilità. Ritenuto in diritto Il ricorso de quo s'appalesa infondato e va rigettato. In limine va osservato come non sia maturata la rilevata prescrizione poiché deve esser tenuto conto anche dei periodi di sospensione intervenuti nel corso della trattazione di merito, sicché il termine in effetto viene a scadenza appena nell'agosto di quest'anno. Privo di pregio giuridico s'appalesa il primo mezzo d'impugnazione afferente la violazione di legge in relazione alla natura del contrassegno, che l'impugnante ritiene esser una scrittura privata sull'osservazione che risulta confezionata da soggetto privato nell'ambito d'un rapporto contrattualistico con l'utente. In effetti, a ragione i Giudici di merito hanno sottolineato come il soggetto, gerente in concessione dal Comune di Taranto le aree pubbliche destinate al parcheggio a pagamento delle vetture, sia incaricato di pubblico servizio e così il contrassegno d'esenzione, dallo stesso rilasciato agli aventi diritto, sia in effettc5w una certificazione amministrativa e, non già, una scrittura privata. Così insegna questa Corte - Cass. Sez. 6 n° 36176/14 rv 260056 -,la quale ha sottolineato come il concessionario delle aree pubbliche destinate a parcheggio a pagamento svolga attività nell'interesse dell'Ente pubblico concedente - nella specie il Comune di Taranto - e la disciplina di godimento sia diretta promanazione della volontà dello stesso Ente pubblico. Difatti se anche il rapporto d'uso del servizio ha luogo tra due soggetti privati, tuttavia l'esercizio della concessione risulta regolata autoritativamente dall'Ente pubblico proprietario del sedime concesso, sicché anche il regime delle agevolazioni ed esenzioni risulta, non già, espressione della volontà dei concessionario, bensì attuazione delle direttive dell'Ente pubblico concedente, sicché il concessionario assume la figura di incaricato di pubblico servizio con le conseguenze in tema degli atti confezionati nell'esercizio dell'incarico citato. La Corte tarantina ha puntualmente messo in evidenza la normativa di carattere pubblicistico che regola la concessione della gestione delle aree pubbliche destinate a parcheggio a pagamento, sottolineando come sia facoltà del Comune disporre esenzioni non già del concessionario, sicché l'attività del concessionario sul punto assume il valore di diretta promanazione della volontà dell'Ente pubblico. Circa il secondo mezzo di impugnazione afferente alla grossolanità del falso con conseguente irrilevanza penale, l'impugnante si limita a richiamare solo parte delle dichiarazioni testimoniali dell'addetto al controllo, ignorando la puntualizzazione dei Giudici di merito circa la sua precisazione che, solo dopo approfondito controllo, rimase acclarato ciò che era un sospetto suscitato da alcune anomalie visibili del contrassegno contraffatto. Un tanto ovviamente non può configurare falso grossolano che per sua natura non necessita di approfondimenti per accertarne la falsità. Dunque la motivazione sul punto elaborata dalla Corte tarantina appare esaustiva mentre la critica risulta meramente apodittica. Anche il mezzo d'impugnazione afferente la viziata motivazione circa la ritenuta riferibilità ad esso imputato dell'uso dell'atto falso in assenza di adeguata prova appare privo di reale correlazione con la motivazione esposta dai Giudici di merito. Difatti La Corte territoriale ha messo in evidenza come fu il C. ad aprire la vettura su invito dell'addetta al controllo e dei vigile urbano, sicché appare evidente che non solo al vettura era a lui intestata, ma pure nella sua concreta disponibilità nel frangente. La mera osservazione che non v'è prova che la vettura fosse nella sua esclusiva disponibilità non supera l'accertamento - puntualizzato dai Giudici di merito - che in quell'occasione vi si prova che il veicolo era nella disponibilità dell'imputato. Quanto infine alla chiesta applicazione della sopravvenuta norma, ex art 131 bis cod. pen., osserva la Corte come l'applicazione in sede di legittimità sia, bensì, possibile ma sempre sulla scorta dell'emergenze fattuali desumibili dalle sentenze di merito. Nella specie il Tribunale di Taranto non ritenne di concedere al C. le attenuanti ex art 62 bis cod. pen. proprio in relazione alle modalità e finalità dell'azione illecita commessa e nemmeno tassò la pena nel minimo edittale. Pertanto non reputa questa Corte concorrano le condizioni di legge per ritenere di particolare tenuità il fatto-reato commesso dal C. e così far applicazione in sede di legittimità della norma sopravvenuta. A rigetto segue, ex 616 cod. proc. pen.,la condanna dei C. al pagamento delle spese processuali in favore dell'Erario. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.