Figlia vivace, il papà la blocca afferrandola per il collo: condannato

L’uomo è ritenuto responsabile del reato di lesioni aggravate. Ricostruito nei dettagli l’episodio, appare evidente la sua consapevolezza di poter provocare alla bimba delle ripercussioni fisiche. Impossibile parlare di semplice abuso dei mezzi di correzione.

Bimba troppo vivace. Giusto l’intervento del papà. Attenzione, però, a non esagerare Esemplare la condanna per un genitore, colpevole di avere afferrato con forza il collo della figlia. L’uomo è ritenuto responsabile del reato di lesioni aggravate”, e non di semplice abuso dei mezzi di correzione” Cassazione, sentenza n. 21696/2016, Sezione Quinta Penale, depositata oggi . Lesioni. Ricostruito l’episodio che ha portato il papà sul banco degli imputati. Poco gradita dall’uomo la condotta tenuta dalla figlia, così lui la afferra alle spalle e, precisamente, per il collo per far sì che smetta di disturbare . Gesto ritenuto, però, dai giudici eccessivamente violento, come testimoniato anche dalle lesioni riportate dalla bimba, guaribili in cinque giorni . Ecco spiegata la condanna dell’uomo per lesioni aggravate , con pena fissata in tre mesi di reclusione . Consapevolezza. E la responsabilità del genitore non viene certo ridimensionata dai giudici della Cassazione. Anche nel contesto del ‘Palazzaccio’, difatti, l’uomo è ritenuto colpevole. Inequivocabile, come detto, il suo gesto, caratterizzato dalla consapevolezza della possibili ripercussioni per la figlia. Logico, quindi, parlare di dolo eventuale , che inchioda il padre alle proprie responsabilità. E su questo fronte, difatti, le lesioni riportate dalla bimba, ossia contusioni alle regioni laterali del collo testimoniano di una pressione esercitata con una certa intensità ciò conferma che l’uomo aveva previsto l’ evento lesivo che si è poi concretizzato. Risibile parlare di abuso dei mezzi di correzione , aggiungono i magistrati. Ciò perché è stata effettuata per fine correttivo e disciplinare un’azione non consentita, sia per la sua natura che per la sua potenzialità , come può essere afferrare la vittima, sia pur meritevole di castigo, per il collo, stringendolo e causarle, di conseguenza, una malattia nel corpo .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 ottobre 2015 – 24 maggio 2016, numero 21696 Presidente Fumo – Relatore Pezzullo Ritenuto in fatto 1.Con sentenza in data 1.7.2014 la Corte di Appello di Genova in riforma della sentenza emessa dal locale Tribunale in data 22.5.2013 dichiarava A.A. responsabile del reato di cui agli articolo 582, 585 in relazione all'articolo 577 numero 1 c.p. in danno della figlia A. A., così modificata l'originaria imputazione di cui all'articolo 572 c.p., e concesse le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante, lo condannava alla pena di mesi tre di reclusione, riducendola provvisionale in favore della minore A. A. ad euro 500,00 ed eliminando la provvisionale e la condanna al risarcimento dei danni nei confronti di A. G. e M 2. Avverso tale sentenza l'imputato, a mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, con i quali lamenta -con il primo motivo, la ricorrenza dei vizio di cui all'articolo 606, primo comma, lett. c c.p.p., per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza, atteso che i Giudici d'appello hanno riformato totalmente la sentenza emessa dal Giudice di prime cure, ritenendo che l'imputato dovesse essere dichiarato responsabile del reato di cui agli articolo 582, 585 c.p. in relazione all'articolo 577 numero 1 c.p., per uno solo degli episodi contestati nel capo d'imputazione integranti il reato di maltrattamenti di cui all'articolo 572 c.p., per il quale era intervenuta la sentenza di condanna di primo grado, ma nel far ciò non hanno rispettato il principio della correlazione tra accusa e sentenza previsto dall'articolo 521 c.p.p. e conseguentemente la sentenza impugnata risulta affetta dalla nullità dì cui all'articolo 522/2 c.p.p., non risultando, tra il reato contestato all'imputato ed il reato per cui è intervenuta sentenza di condanna, un rapporto di genere a specie -con il secondo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all'articolo 606, primo comma, lett. b ed e c.p.p. in particolare, tutti i molteplici ed articolati comportamenti contestati all'imputato nel capo d'imputazione sono stati valutati dai Giudici di appello non dimostrati e, comunque, non idonei a costituire la condotta prevista per la configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia datali premesse, sarebbe stato legittimo, dunque, aspettarsi la pronuncia di una sentenza assolutoria in relazione all'unico reato contestato all'appellante, con formula ampia, o quantomeno ai sensi dell'articolo 530/2 c.p.p., mentre la Corte di Appello di Genova è, invece, incorsa in una erronea applicazione della legge penale e processuale, allorquando ha ritenuto di valutare come dolose le lesioni provocate alla figlia A., giudicate guaribili in cinque giorni, senza ritenerle assorbite nel reato di maltrattamenti contestato all'imputato quest'ultimo, sottopostosi all'esame dibattimentale, affermava di aver preso la figlia A. per le spalle al solo fine di farle cessare un comportamento avvertito come eccessivamente scomposto e disturbante, ma i Giudici a quo hanno ritenuto che in tale occasione l'imputato avesse agito a titolo di dolo eventuale, al fine di cagionare alla figlia, una lesione personale giudicata poi guaribile in 5 giorni, giungendo ad una conclusione disancorata dalla realtà processuale e dalle premesse in fatto ed in diritto espresse nella sentenza da loro pronunciata invece, la citata ricostruzione dei fatti fornita dall'imputato e confermata dai testi presenti ai fatti, doveva essere considerata attendibile e la condotta tenuta dall'imputato doveva, pertanto, essere valutata come involontaria o al massimo come riconducibile al reato di abuso nei mezzi di correzione di cui all'articolo 571 c.p. nella sentenza impugnata non viene fornita alcuna motivazione in merito agli elementi di prova che dimostrerebbero la sussistenza del dolo per il delitto di lesioni in capo all'imputato, sicchè l'infondatezza dell'affermazione, secondo cui l'imputato avrebbe agito a titolo di dolo eventuale, appare evidente, anche solo dalla lettura dell'unico referto versato in atti, che riporta una diagnosi incompatibile con l'azione, mentre risulta compatibile con il racconto effettuato dall'imputato e dai testi presenti ai fatti. Considerato in diritto Il ricorso non merita accoglimento. 1.Con il primo motivo di ricorso l'imputato si duole della sua condanna per il reato di lesioni aggravate, così qualificata l'originaria ipotesi di reato a lui ascritta di maltrattamenti ex articolo 572 c.p., lamentando la violazione dei principio di cui all'articolo 521 c.p.p., ma tale deduzione si presenta priva di fondamento, atteso che, sussiste violazione dei principio di correlazione tra accusa e sentenza quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di incompatibilità ed eterogeneità, verificandosi un vero e proprio stravolgimento dei termini dell'accusa, a fronte dei quali l'imputato è impossibilitato a difendersi Sez, 1, numero 28877 del 04/06/2013 Sez. 5, numero 37532 del 17/04/2015 . In particolare, come recentemente evidenziato dalle S.U. di questa Corte, l'attribuzione all'esito del giudizio di appello, al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione non determina la violazione dell'articolo 521 cod. proc. penumero , neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell'articolo 111, secondo comma, Cost., e dell'articolo 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla Corte europea, qualora la nuova definizione del reato sia, comunque, prevedibile per l'imputato e non determini in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novità che da quel mutamento scaturiscono Sez. U, numero 31617 del 26/06/2015 . 1.1. Nel caso di specie non si ravvisa alcuna violazione della correlazione tra imputazione contestata e sentenza, ben potendo il reato di lesioni costituire uno degli epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, atteso che l'imputazione di maltrattamenti contestato originariamente all'imputato già in sé conteneva il preciso riferimento all'episodio di lesioni ritenuto in appello, sebbene il reato di lesioni, come ripetutamente affermato da questa Corte, non sia assorbito da quello di maltrattamenti in famiglia per la diversa obiettività giuridica dei reati Sez. 2, numero 15571 del 13/12/2012 . 2. Infondato si presenta, altresì, il secondo motivo di ricorso, con il quale l'imputato ha censurato l'avvenuto riconoscimento della sua responsabilità in ordine al reato di lesioni ascrittogli Ed invero, non merita censure la valutazione operata dalla Corte territoriale, secondo cui la condotta dell'imputato dell' afferrare la bambina alle spalle e precisamente per il collo, nel tentativo farla smettere di disturbare, comporta la configurabilità del reato in questione, ricorrendo quantomeno il dolo eventuale in capo all'imputato. Non può escludersi, infatti, che l'A. si sia rappresentato come seriamente possibile, sebbene non certa, l'esistenza dei presupposti della condotta, ovvero il verificarsi dell'evento come conseguenza dell'azione e, pur di non rinunciare ad essa, ha accettato che il fatto potesse verificarsi, decidendo di agire comunque. Sez. 2, numero 43348 del 30/09/2014, Rv. 260858 . Le lesioni riportate dalla bambina, ossia contusioni regioni laterali del collo, contrariamente a quanto sostenuto dall'imputato, danno chiaramente conto di una pressione esercitata con una certa intensità sul collo,che non può non aver comportato la prefigurazione nell'agente che l'evento lesivo si sarebbe verificato. 3. Per quanto concerne, poi, la mancata riqualificazione dei fatto nella fattispecie di cui all'articolo 571 c.p., essa si presenta destituita di fondamento, alla luce di quanto appena evidenziato. In particolare, non può parlarsi di abuso di mezzi di correzione quando sia stato adoperato per fine correttivo e disciplinare un'azione non consentita, sia per la sua natura che per la sua potenzialità, quale può essere afferrare la vittima, sia pur meritevole di castigo, per il collo, stringendolo, azione questa producente una malattia nel corpo. 3. Il ricorso va dunque respinto e l'imputato va condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli latri identificativi a norma dell'articolo 52 d.lgs. numero 196/2003 in quanto imposto dalla legge.