Dichiarazione di latitanza più “facile”, specie quando l’imputato è straniero

Per la declaratoria non occorrono le ricerche prescritte per l’irreperibile ex art. 159 c.p.p Occorre una verifica giudiziale di sufficiente idoneità delle ricerche, meno rigorose in caso di imputato fuori dal territorio nazionale.

Così la Cassazione, seconda sez. penale, n. 21045/2016, depositata il 20 maggio. Il fatto. Rumeni gestivano una fitta rete di prostituzione, compivano più atti di estorsione ex art. 629 c.p. – richiedevano alle ragazze ingenti somme di denaro per proseguire il meretricio - e violenza privata ex art. 610 c.p. nei confronti di inermi donne, poi denuncianti i fatti. Veniva emessa condanna in primo e secondo grado, acclarate le fonti di prova e l’attendibilità del dichiarato testimoniale delle persone offese. I ricorrenti in Cassazione contestano la dichiarazione giudiziale di latitanza degli aguzzini ex art. 296 c.p.p., a lor dire emessa senza approfondite e previe ricerche nei luoghi patri nemmeno attivando le forme di cooperazione internazionale, di fatto non consentendo agli imputati di partecipare allo sviluppo processuale per la conseguente nullità ex art. 179 c.p.p. degli atti di notifica dell’avviso della conclusione delle indagini preliminari ex art. 415- bis c.p.p., di fissazione dell’udienza preliminare e del decreto di citazione a giudizio ex art. 552 c.p.p., con evidente nocumento per i diritti difensivi. A conforto delle argomentazioni, contestano l’illegittimità del rifiuto di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello ex art. 603 c.p.p., per fonti di prova attestanti la circostanza della piena reperibilità degli imputati nel corso dello svolgimento processuale. Cosa distingue l’irreperibilità dalla latitanza. Ex artt. 159 e 160 c.p.p. il decreto di irreperibilità deve essere preceduto da accurate ricerche nei luoghi formali o abitudinari di frequentazione dell’imputato il quale, in ipotesi, può non venire a conoscenza del procedimento penale a suo carico. Ogni ricerca va reiterata alla conclusione di ogni singola fase processuale, a tutela delle esigenze difensive di conoscenza del processo in capo all’imputato. La latitanza, invece, costituisce qualifica di volontaria sottrazione dell’imputato ad atti giudiziali che ne limitano la libertà personale, ai sensi dell’art. 296 c.p.p Alla latitanza, per la pregnanza del disvalore della condotta dell’imputato, conseguono effetti meramente procedurali – le notifiche si perfezionano presso il difensore eletto o quello nominato d’ufficio ex art. 96, quarto comma, c.p.p. – oltre che sanzionatori ai sensi dell’aggravante ex art. 61, n. 6, c.p. o, se recidivo, dell’art. 99, secondo comma, n. 3, c.p Per la declaratoria di latitanza occorre meno della declaratoria di irreperibilità. La Cassazione scansa l’ipotesi di applicazione analogica dell’art. 159 c.p.p. – che prescrive i luoghi di ricerca dell’irreperibile – all’art. 296 c.p.p. – sulla latitanza -, sostenuta sulla scorta di un giudizio di semplice ampliato della latitanza sulla irreperibilità. I giudici rilevano l’assenza testuale nell’art. 296 c.p.p. di criteri formali per la dichiarazione di latitanza, permanendo al giudice la verifica dell’idoneità in concreto delle ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria. In breve, la Cassazione pone l’accento sul requisito della volontarietà” della sottrazione dell’imputato che, se adeguatamente riscontrata – nel caso specifico dei rumeni era stata accertata una notevole libertà di movimento anche in territorio nazionale, quando si erano sottratti con forza ad un posto di blocco -, non soffre di censure. L’assenza dal territorio nazionale giustifica la dichiarazione di latitanza. In particolare, la Cassazione si confà a nota giurisprudenza l’assenza dell’imputato dal territorio nazionale – anche quando è conosciuta la residenza estera – basta a dichiararne la latitanza, integrato il requisito dell’esaustività delle ricerche.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 8 aprile – 20 maggio 2016, numero 21045 Presidente Cammino – Relatore Pardo Ritenuto in fatto 1.1 Con sentenza in data 27 marzo 2015 la Corte di appello di Salerno, in riforma della pronuncia del 20-6-2014 del Tribunale dello stesso capoluogo, condannava M.N.T. alla pena di anni 3 di reclusione ed Euro 1.500 di multa e C.M.C. a quella di anni 3, mesi 6 di reclusione ed Euro 2.100 di multa in quanto entrambi colpevoli del delitto di tentata estorsione aggravata ed il secondo, anche, di tentata violenza privata. 1.2 Riteneva la Corte di Salerno che a carico degli imputati sussistevano adeguati elementi di prova, desumibili dai plurimi riconoscimenti effettuati dalle persone offese, per ritenere che gli stessi avessero minacciato varie prostitute di origine rumena di versare loro la somma di Euro 800,00 ciascuna mensili per proseguire la loro attività inoltre, il C. , in una occasione, aveva anche minacciato di morte alcune delle vittime, L.M. , Lo.Ma. e I.C. , per imporre loro di ritirare la denuncia dalle stesse precedentemente sporta. Il giudice di appello respingeva l’eccezione formulata dalla difesa degli imputati di nullità della sentenza e del procedimento di primo grado per irregolare emissione del decreto di latitanza nei confronti di entrambi gli imputati e sottolineava poi la sussistenza di adeguati elementi di prova. 1.3 Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione la difesa del C. lamentando, con un primo motivo, violazione di legge ex art. 606 lett. b per inosservanza di norme previste a pena di nullità e conseguente violazione del diritto alla difesa, per essere state le notificazioni degli atti di conclusione delle indagini, di fissazione dell’udienza preliminare e di citazione a giudizio, effettuate al difensore di ufficio in seguito alla emissione del decreto di latitanza in difetto dei presupposti. Lamentava, al proposito, che C. era volontariamente tornato in Italia nel febbraio del 2012 del tutto ignaro di essere stato raggiunto da un provvedimento restrittivo, sicché le ricerche effettuate prima dell’emissione del decreto di latitanza erano incongrue ed incomplete ed avrebbe dovuto invece procedersi con le forme degli irreperibili. Richiamato l’orientamento giurisprudenziale delle Sezioni Unite in tema di ricerche preventive la declaratoria di latitanza, lamentava che l’autorità giudiziaria pur essendo a conoscenza del luogo di domicilio del C. non aveva attivato gli strumenti di cooperazione internazionale. Difettava anche l’elemento della volontaria sottrazione all’ordine di custodia con la conseguenza che la notificazione degli atti al difensore di ufficio aveva impedito al C. di partecipare al procedimento, di conoscere la natura delle contestazioni a suo carico e quindi di esercitare in pieno il diritto di difesa. Con il secondo motivo deduceva violazione dell’art. 606 lett. c , d ed e , per avere illegittimamente il giudice di appello respinto l’istanza di rinnovazione del dibattimento mediante l’assunzione di prove documentali e testimoniali decisive per riferire in ordine alla presenza dell’imputato in Romania nei mesi in cui ebbero a svolgersi i fatti ed in relazione alla presenza nel luogo ove sarebbe avvenuta la condotta di violenza privata. Lamentava trattarsi di prove sopravvenute al giudizio di primo grado riguardanti il matrimonio contratto il 29 ottobre 2011 rispetto alle quali la motivazione del giudice di appello era meramente assertiva. Lamentava ancora la genericità delle dichiarazioni delle persone offese e la mancanza di ogni obiettivo riscontro per potere affermare la responsabilità dell’imputato e con il terzo motivo insisteva su tale aspetto contestando la credibilità delle persone offese e delle loro dichiarazioni. A tal fine la difesa del C. allegava i motivi nuovi di appello con i quali aveva avanzato le richieste di rinnovazione tramite l’acquisizione del video del matrimonio celebrato il 29-10-2011 nonché l’ammissione dei testimoni per riferire in ordine alla presenza dell’imputato in Romania nei mesi da settembre a novembre 2011. Con separato ricorso proponeva impugnazione anche il difensore del M. il quale deduceva, con il primo motivo, violazione dell’art. 606 lett. b cod. proc. penumero a cagione della illegittimità della declaratoria di latitanza, posto che il rientro in Romania del predetto non era stato motivato dalla volontà di sottrarsi alla applicazione della custodia cautelare bensì dovuto ad esigenze familiari. Lamentava ancora che l’emissione del decreto di latitanza non era stata proceduta da regolari ricerche con conseguente nullità delle notifiche al difensore di ufficio. All’udienza dell’8 aprile 2016 le parti concludevano come in epigrafe. Considerato in diritto I ricorsi sono infondati e devono, pertanto, essere respinti. 2.1 Ed infatti, quanto al primo motivo di doglianza comune ad entrambi gli imputati, va ricordato che in tema di declaratoria di latitanza di soggetto straniero l’emissione del decreto di latitanza non deve essere necessariamente preceduto dallo svolgimento all’estero di ricerche tese a rintracciare il soggetto nei cui confronti è stato adottato il provvedimento cautelare e della cui dimora o residenza in un paese straniero si abbia avuto generica notizia, non sussistendo i presupposti per l’applicazione in via analogica delle regole dettate per le ricerche dell’irreperibile dall’art. 169 comma quarto cod. proc. penumero Sez. 5, numero 46340 del 19/09/2012, Rv. 253636 . Del resto l’autonomia e la difformità delle due condizioni irreperibile - latitante è stata anche oggetto dell’approfondimento delle Sezioni Unite di detta Corte secondo cui ai fini della dichiarazione di latitanza, tenuto conto delle differenze che non rendono compatibili tale condizione con quella della irreperibilità, le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 295 cod. proc. penumero - pur dovendo essere tali da risultare esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare l’impossibilità di procedere alla esecuzione della misura per il mancato rintraccio dell’imputato e la volontaria sottrazione di quest’ultimo alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti - non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità e, di conseguenza, neanche le ricerche all’estero quando ricorrano le condizioni previste dall’art. 169, comma quarto, dello stesso codice Sez. U, numero 18822 del 27/03/2014, Rv. 258792 . L’applicazione dei suddetti principi al caso in esame deve pertanto fare escludere la fondatezza delle doglianze esposte del resto la sola circostanza che entrambi gli imputati si sarebbero contemporaneamente recati in Romania per ragioni familiari appare evidentemente mascherare la ragione del rientro in patria e cioè la sottrazione alla ordinanza cautelare. Al proposito va aggiunto, come peraltro già rilevato nei giudizi di merito, che il M. era colui che era fuggito all’atto dell’intervento delle forze dell’ordine allertate dalle prostitute rumene che venivano minacciate e che in seguito a perquisizione nel suo domicilio da cui si allontanava veniva ritrovato in possesso di una pistola. Il provvedimento restrittivo appare pertanto per lo stesso tutt’altro che imprevedibile ed il suo allontanamento effettuato proprio al fine di sottrarsi all’arresto. Analoghe considerazioni vanno svolte anche per il C. questi infatti era stato tratto in arresto una prima volta quando si era scagliato contro un posto di blocco con la propria auto per arrestare la marcia della quale era stato necessario addirittura esplodere dei colpi di arma all’indirizzo delle gomme tale condotta avveniva nel gennaio del 2012 e cioè pochi mesi dopo i fatti di estorsione e violenza privata e manifesta chiaramente come l’imputato, ben lungi dall’essere ignaro del procedimento a suo carico aveva tentato di sottrarsi ai controlli. Inoltre, proprio C. , era colui che si era recato dalle vittime a minacciarle di ritirare la denuncia altrimenti le avrebbe uccise, manifestando così assoluta spregiudicatezza e risolutezza criminale e più che precisa conoscenza del procedimento a carico proprio e dei correi. Appare pertanto evidente che entrambi i ricorrenti fossero a conoscenza del procedimento a loro carico, si fossero allontanati dal territorio italiano per recarsi all’estero e sfuggire alla misura cautelare disposta nei confronti dei correi sicché non possono lamentare di non avere avuto conoscenza del giudizio con la conseguenza che il decreto di latitanza appare correttamente emesso. 2.2 Quanto al motivo con il quale si deduce, nell’interesse del C. , violazione di legge per omessa assunzione di prova decisiva, si osserva che lo stesso è ugualmente manifestamente infondato. Difatti nessuna delle prove dedotte ha carattere di decisività poiché la presenza dell’imputato in occasione del suo matrimonio in Romania il OMISSIS non è in alcun modo incompatibile con la consumazione dei fatti in Italia sino al 18 novembre dello stesso anno ed infatti che l’imputato avesse facilità di spostamento è ampiamente dimostrato dalle circostanze emerse all’esito dell’istruzione dibattimentale essendo stato provato che lo stesso nel gennaio 2012 cercava di fuggire ad un controllo delle forze dell’ordine proprio nel territorio italiano con ciò dimostrando che lo stesso era aduso a frequenti trasferimenti tra Italia e Romania. Orbene, va ricordato, come deve ritenersi decisiva , secondo la previsione dell’art. 606 lett. d cod. proc. penumero , la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante Sez. 4, numero 6783 del 23/01/2014, Rv.259323 . E poiché nel caso in esame la prova dedotta dall’imputato non appariva idonea ad escludere la sua pur saltuaria presenza in Italia e quindi la consumazione dei fatti delittuosi anche nel periodo antecedente e successivo il suo matrimonio deve escludersi il carattere decisivo della stessa. Quanto al lamentato difetto di motivazione sul punto della rinnovazione istruttoria richiesta in appello, la Corte di Salerno ha fornito adeguate spiegazioni circa le ragioni del diniego di accedere alla procedura disciplinata dall’art. 603 cod. proc.penumero rilevando, a pagina 11 della sentenza gravata da ricorso, come la richiesta di rinnovazione del dibattimento è del tutto ultronea atteso che tutte le persone offese hanno riconosciuto nello zio soprannome dell’imputato uno degli autori delle condotte estorsive, verosimilmente quello più pericoloso che rivendicava il ruolo di comando nella zona in cui le stesse esercitavano il meretricio . E tali conclusioni appaiono avvalorate sotto il profilo della superfluità della prova richiesta con l’istanza di rinnovazione del dibattimento formulata con l’atto di appello, avuto riguardo all’accertato comportamento del C. nel periodo compreso tra la consumazione dei fatti ed il suo successivo arresto pur a dare accertato, così come richiesto dalla difesa, che il ricorrente si trovasse in Romania nell’ottobre del 2011 è accertato che lo stesso a OMISSIS si trovava in Italia, quando veniva tratto in arresto perché fuggiva ad un controllo di Polizia e poi ritornava nuovamente in Romania dove poi veniva tratto in arresto. Appare pertanto provato che C. abitualmente si spostava a breve distanza di tempo tra l’Italia e la Romania sicché le prove richieste appaiono prive del carattere di decisività non potendo escludere la presenza dell’imputato nel territorio italiano in occasione del compimento dei fatti delittuosi. Quanto poi alla natura di dette prove si osserva che non si tratta di prove sopravvenute al giudizio di primo grado che, si ricorda, si è concluso con sentenza in data giugno 2014 poiché deve affermarsi che l’imputato non può sottrarsi volontariamente al processo come nel caso del C. ancora latitante durante il giudizio di primo grado e poi invocare la rinnovazione istruttoria per l’ammissione di prove comunque formatesi antecedentemente la fase stessa di primo grado. Correttamente pertanto il giudice di appello in tal caso ha fatto applicazione dei criteri dettati dall’art. 603 cod.proc.penumero nella parte in cui prevedono che il giudice di appello ammette le istanze di parte ove ritiene di non potere decidere allo stato degli atti e, poiché tale condizione non sussisteva nel caso in esame a fonte di plurime e convergenti indicazioni testimoniali e riconoscimenti da parte delle persone offese, correttamente l’istanza veniva respinta. 2.3 Inammissibile è poi la doglianza in punto di credibilità delle vittime poiché i giudici di merito con valutazione conforme e priva di contraddizione o delle lamentate illogicità, hanno sottolineato come la concordanza dei riconoscimenti attribuisca valore certo all’identificazione degli imputati quali autori dei fatti senza alcuna necessità di dovere individuare ulteriori riscontri di carattere oggettivo. Peraltro, la fuga del M. , al momento dell’intervento delle forze dell’ordine il 18 novembre del 2011,e la condotta di sottrazione ai controlli operata dal C. costituiscono validi ed ulteriori riscontri alle dichiarazioni delle vittime tutte peraltro concordanti in ordine al coinvolgimento di entrambi con ruolo decisivo nella consumazione dei delitti contestati, come ampiamente ricostruito in fatto nelle pronunce di merito con valutazioni non sindacabili nella presente fase di legittimità e prive delle denunciate illogicità o contraddizioni. Alla luce delle predette considerazioni, le impugnazioni devono ritenersi infondate ed alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 cod.proc.penumero , la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.