Tra colpa e pericolo presunto la bancarotta documentale è davvero “semplice”

Il delitto di bancarotta semplice documentale è reato di pericolo presunto e mira ad evitare che vi siano ostacoli alla attività di ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari della società da parte degli organi fallimentari, con possibile pregiudizio degli interessi dei creditori. Il reato consiste nel mero inadempimento al precetto formale dell’art. 2214 c.c., ed è quindi un reato di pura condotta, che si realizza anche quando non vi sia un danno per i creditori.

Questo il principio di diritto riaffermato dalla Quinta Sezione della Cassazione Penale, con la sentenza n. 20695/16 depositata il 18 maggio, volta a rimarcare la natura di delitto meramente colposo e di pericolo presunto della bancarotta semplice documentale Il caso in esame. Avverso la sentenza di condanna della Corte d’appello di Firenze per bancarotta semplice documentale propone ricorso per cassazione l’imputato rilevando come, in conseguenza di una serie di pignoramenti subiti dalla propria azienda, si fosse trovato nella impossibilità di procedere all’aggiornamento delle scritture contabili a causa del blocco totale della attività. Non sussisterebbe dunque, secondo il ricorrente, l'elemento soggettivo della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 217 legge fallimentare. L’elemento soggettivo del delitto di bancarotta semplice. Preliminarmente, dunque, la Suprema Corte è chiamata a chiarire quale sia l’elemento soggettivo necessario e sufficiente ad integrare la fattispecie astratta contestata nel caso di specie. Sul punto, ricordano gli Ermellini che il delitto di bancarotta semplice, come peraltro correttamente ha ricostruito la Corte d’appello nella impugnata sentenza, sotto il profilo soggettivo può essere punito indifferentemente sia a titolo di dolo che a titolo di colpa. Se è pur vero, infatti, che l’art. 217 l.fall. non prevede esplicitamente la punibilità a titolo di colpa, si deve rammentare che l’art. 42 c.p. richiede la previsione espressa” della punibilità a titolo di colpa di un delitto e non quella esplicita”, che è concetto diverso. Orbene la previsione implicita della punibilità a titolo di colpa della bancarotta semplice documentale, affermano gli Ermellini, è ben presente nella legge fallimentare in quanto è desumibile, a contrario, dalla definizione come dolosa della bancarotta fraudolenta documentale. e quello oggettivo. Sotto il profilo invece oggettivo, prosegue la Cassazione, il delitto in esame è, da un primo punto di vista, reato di mera condotta che viene integrato con il semplice inadempimento al precetto formale di cui all’art. 2214 c.c., norma integratrice di quella penale contenuta nell’art. 217 l.fall Sotto altro aspetto, la bancarotta semplice documentale, prosegue nella propria motivazione la Quinta Sezione, è reato di pericolo presunto, la cui configurabilità, dunque, prescinde assolutamente dal verificarsi di alcun danno per i creditori. La fattispecie, infatti, mira semplicemente ad evitare che vi siano difficoltà da parte degli organi della procedura fallimentare a ricostruire la situazione contabile e patrimoniale della società fallita. L’imprenditore è, infatti, obbligato alla tenuta delle scritture contabili anche quando l’attività commerciale della società sia cessata, in quanto le stesse, come noto, sono finalizzate ad accertare altresì l’esistenza di mere passività insolute. Il precipitato sul caso in esame. L’applicazione di detti principi, tanto rigorosi, quanto ormai consolidati, nel caso di specie porta ad una soluzione necessitata. Come correttamente evidenziato dalla Corte d’appello – rilevano gli Ermellini – la società fallita aveva svolto attività commerciale nei primi due mesi dell’anno 2008, come documentato dagli estratti conto bancari, e solo successivamente all’intervenuto pignoramento della azienda aveva, effettivamente, come sostiene il ricorrente, bloccato l’attività. Seppur per un limitato lasso di tempo, l’imprenditore avrebbe dunque potuto e dovuto – stante l’obbligo nascente dalla normativa civilistica – procedere alle registrazioni contabili. Registrazioni che peraltro, osserva la Cassazione, ben avrebbero potuto avvenire anche in costanza di avvenuto pignoramento della azienda, da parte di professionista terzo incaricato e previa eventuale autorizzazione da parte del giudice ad accedere ai locali pignorati, onde recuperare la documentazione contabile necessaria per procedere a tale adempimento. Nel caso in esame, infatti, non essendovi stato uno scioglimento della società, ma anzi una continuazione, seppur per un arco temporale limitato, dell’attività commerciale, non può revocarsi in dubbio la sussistenza dell’obbligo, penalmente sanzionato in caso di successivo fallimento, di conservare e aggiornare puntualmente le scritture contabili. Altrettanto evidente, osserva la Cassazione, è il profilo psicologico della negligenza, e quindi della colpa, dell’imprenditore, che a tale incombente non aveva provveduto, pur non essendovi stato alcun impedimento assoluto e insuperabile tale da costituire caso fortuito o forza maggiore. Evidente dunque, secondo la Quinta Sezione, la sussistenza nel caso di specie del reato, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo. Il primo motivo di ricorso viene dunque rigettato dalla Cassazione. Rilevanza della mancanza di danno per i creditori. Se è quindi vero che la mancanza di alcun danno per i creditori non incide sulla configurabilità del delitto di cui all’art. 217 l.fall., in quanto delitto di pericolo presunto, ciò non significa che tale aspetto sia privo di conseguenze sotto il profilo giuridico e sanzionatorio. Sul punto, per contro, osservano gli Ermellini, coglie nel segno il motivo di impugnazione del ricorrente. La Corte d’appello di Firenze aveva infatti negato la sussistenza della invocata circostanza attenuante di cui all’art. 219 l.fall., sulla base dell’entità dell’ammontare delle annotazioni omesse. Occorre invece valutare, spiegano gli Ermellini, la concreta incidenza che tali omissioni abbiano avuto in relazioni alle dimensioni della impresa ed al volume degli affari e, soprattutto, se la mancata registrazione nelle scritture contabili abbia effettivamente o meno ingenerato o inciso sul danno patito dai creditori fallimentari. Poiché la Corte d’appello di Firenze aveva completamente omesso tali valutazioni, sul punto il ricorso viene invece accolto e la sentenza annullato con rinvio.

Corte di Cassazione, Sez. V Penale, sentenza 29 gennaio – 18 maggio 2016, n. 20695 Presidente Vessichelli – Relatore Miccoli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 26 settembre 2014 la Corte d’appello di Firenze riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di Pistoia emessa in data 25 giugno 2012 , riconoscendo le attenuanti generiche e rideterminando in quattro mesi di reclusione la pena inflitta a C.A. , condannato per il reato di bancarotta documentale semplice, commesso in qualità di amministratore della società CENTRO COMMERCIALE IPERBIMBO, dichiarata fallita in data omissis . 2. Con atto sottoscritto personalmente ha proposto ricorso il C. , deducendo in primo luogo la violazione di legge in relazione all’art. 217 legge fallimentare. Secondo il ricorrente non sussisterebbe l’elemento soggettivo del reato contestato, giacché egli si era trovato nell’impossibilità di procedere alle annotazioni nelle scritture contabili perché aveva subito dei pignoramenti dell’azienda, con il conseguente blocco totale dell’attività. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione di legge in relazione al diniego dell’attenuante di cui al comma terzo dell’art. 219 legge fallimentare. Il deducente sostiene che sarebbe errata la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’applicabilità della suddetta attenuante facendo riferimento all’ammontare degli importi delle somme relative alle omesse annotazioni nelle scritture contabili e non all’effettivo danno cagionato alla massa dei creditori. Considerato in diritto Il ricorso può essere accolto nei limiti qui di seguito indicati. 1. Infondato è il primo motivo. Rispondendo all’analoga doglianza proposta con l’atto d’appello, la Corte territoriale ha evidenziato che i bilanci e la relativa contabilità della società fallita erano stati tenuti solo fino alla data del 31 dicembre 2007, pur essendo l’attività proseguita oltre, ovvero fino alla formale cessazione in data 30 aprile 2008 o, quanto meno, fino alla fine di febbraio dello stesso anno, quando ebbe luogo il pignoramento dell’azienda su istanza del proprietario dei locali sede della società, a causa del mancato pagamento dei canoni di locazione. Ha aggiunto la Corte territoriale che, quanto all’attività commerciale svolta nei primi due mesi del 2008 e non registrata in contabilità, se ne desume prova anche dal rinvenimento da parte del curatore, negli estratti conti bancari, di registrazioni di versamenti in contanti nei mesi di gennaio e febbraio 2008 presso il conto Intesa San Paolo e nell’estratto conto Cariprato di incassi P.O.S. fino al 24 febbraio 2008. Il C. , pertanto, prima dell’esecuzione del pignoramento, avrebbe potuto procedere a tali registrazioni, consegnando i relativi documenti a professionista incaricato della tenuta della contabilità, e anche in costanza di pignoramento, avrebbe potuto chiedere l’autorizzazione all’accesso presso i locali pignorati per prelevare i documenti occorrenti . Sostiene quindi la Corte di appello che non avendovi l’imputato provveduto, anche solo per negligenza, la sua condotta integra certamente sia l’elemento oggettivo e quello soggettivo richiesti dalla norma incriminatrice, trattandosi di reato punibile anche a titolo di mera colpa . Si tratta di motivazione congrua, logica e corretta in diritto, dovendo in proposito ribadirsi che, ai fini dell’integrazione della bancarotta semplice art. 217, comma secondo, I. fall. , l’elemento soggettivo può indifferentemente essere costituito dal dolo o dalla colpa, che sono ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture Sez. 5, n. 48523 del 06/10/2011, Barbieri, Rv. 251709 si veda anche, ex multis, Sez. 5, n. 24297 del 11/03/2015, Cutrera, Rv. 265138 . E questa Corte ha avuto modo di precisare che non osta alla punibilità della bancarotta semplice il tenore dell’art. 42 cod. pen., che esige la previsione espressa della punibilità di un delitto a titolo di colpa, in quanto la nozione di previsione espressa non equivale a quella di previsione esplicita e, nel caso della bancarotta semplice documentale, la previsione implicita è desumibile dalla definizione come dolosa della bancarotta fraudolenta documentale Sez. 5, n. 38598 del 09/07/2009, Romano, Rv. 244823 . Va, peraltro, detto che il delitto di bancarotta semplice documentale è reato di pericolo presunto e mira ad evitare che vi siano ostacoli all’attività di ricostruzione del patrimonio e dei movimenti di affari della società da parte degli organi fallimentari, con possibile pregiudizio degli interessi dei creditori. La finalità ultima della norma è, quindi, quella di consentire ai creditori l’esatta conoscenza della consistenza del patrimonio del fallito sul quale potersi soddisfare. Il reato consiste nel mero inadempimento al precetto formale previsto dall’art. 2214 cod. civ. che ovviamente integra la norma penale prevista dall’art. 217 legge fallimentare - ed è quindi un reato di pura condotta, che si realizza anche quando non vi sia un danno per i creditori Sez. 5, n. 20911 del 19/04/2011, Gaiero e altro, Rv. 250407 . L’imprenditore ha l’obbligo di tenere le scritture contabili anche quando l’attività commerciale della società sia cessata Sez. 5, n. 15516 del 11/02/2011, Di Mambro, Rv. 250086 Sez. 5, n. 4727 del 15/03/2000, Albini F ed altro, Rv. 215985 , con l’unica eccezione, talvolta riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità, dell’assenza di passività insolute Sez. 5, n. 6883 del 08/04/1999, Cuccarini V, Rv. 213605 . Eccezione discutibile, sia perché contrastante con la natura del reato che - come si è detto - è di pericolo presunto, sia perché le iscrizioni nei libri obbligatori e parzialmente obbligatori serve proprio ad accertare i movimenti della società e, quindi, anche la esistenza di eventuali passività insolute. Tuttavia nel caso di specie, come rilevato dai giudici di merito, non risulta che la società abbia cessato formalmente né tanto meno sostanzialmente l’attività di impresa, tanto è vero che sono state rilevate delle movimentazioni di denaro nei termini sopra indicati. A tutto voler concedere vi è stata di fatto, e proprio a cagione del pignoramento indicato dal ricorrente, una carente attività commerciale, ma mai una cessazione formale della attività dell’impresa, che è stata poi travolta dal fallimento. In tali condizioni - mancanza di uno scioglimento della società - la tenuta regolare dei libri, ai quali si è fatto prima riferimento, era certamente obbligatoria e, quindi, non può trovare accoglimento la tesi del ricorrente, poiché i giudici di merito hanno correttamente interpretato ed applicato la normativa in esame. 2. Fondato è il secondo motivo. Rispondendo alla stessa doglianza proposta con l’atto di appello, la Corte territoriale ha affermato che non può trovare accoglimento la richiesta di concessione dell’attenuante del danno di speciale tenuta di cui all’articolo 219 comma 3 l. fall., considerato che gli importi di cui risulta omessa la registrazione, come si evince dagli estratti conto bancari, ammontano ad oltre Euro 20.000. L’argomentazione cui ha fatto ricorso la Corte di appello non è sufficiente, ove si consideri che nel caso in esame non sono stati contestati fatti di bancarotta patrimoniale e non sono oggettivabili parametri cui agganciare la valutazione del danno causato ai creditori. Invero, in tema di bancarotta semplice fallimentare, la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, prevista dall’art. 219, comma terzo, l. fall., è configurabile quando il danno arrecato ai creditori è particolarmente tenue o manchi del tutto e la valutazione rimessa al giudice non può prescindere dal considerare le dimensioni dell’impresa, il movimento degli affari e l’ammontare dell’attivo e del passivo Sez. 5, n. 17351 del 02/03/2015, Pierini, Rv. 263676 . Peraltro, ai fini della applicazione della suddetta circostanza attenuante nella bancarotta documentale, non rileva l’ammontare del passivo, ma la differenza che la mancanza dei libri o delle scritture contabili ha determinato nella quota complessiva dell’attivo da ripartire tra i creditori, avendo riguardo al momento della consumazione del reato Sez. 5, n. 44443 del 04/07/2012, Robbiano e altro, Rv. 253778 . Insomma, la valutazione cui devono fare riferimento i giudici di merito non può limitarsi - come avvenuto nel caso in esame - alla considerazione degli importi delle somme non registrate nelle scritture contabili, ma deve estendersi alle dimensioni dell’impresa, al movimento degli affari, all’ammontare dell’attivo e del passivo, nonché – ovviamente - alla incidenza che la condotta illecita la mancata registrazione di dati contabili ha avuto sul danno derivato alla massa dei creditori. 3. In ragione delle suesposte considerazioni, l’impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’appello di Firenze, che nella piena libertà delle valutazioni di merito di sua competenza dovrà porre rimedio alle rilevate carenze motivazionali, uniformandosi al quadro dei principi di diritto in questa sede stabiliti. P.Q.M. La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto del diniego della circostanza attenuante prevista dall’art. 219 comma terzo legge fallimentare e rinvia, per nuovo esame, ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze. Rigetta nel resto.