Prescrizione: patteggiare significa rinunciarvi?

Per rinunciare alla prescrizione occorre procedervi con dichiarazione espressa, sicché il patteggiamento della pena non può valere come atto di rinuncia alla predetta.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, con la sentenza n. 18953 depositata il 6 maggio 2016. Uno Zombie con la pensione. Una donna aveva falsamente dichiarato l’esistenza in vita di un pensionato già passato a miglior vita, del quale era delegata all`incasso dei ratei mensili imputata di truffa, decide di patteggiare. Poi si accorge che alcuni episodi contestatile, per i quali aveva già concluso l’accordo col PM, erano defunti anch’essi, stroncati dall’inesorabile decorso del tempo. A questo punto, il ricorso per cassazione diventa necessario il patteggiamento può essere considerato una forma tacita di rinuncia alla prescrizione? Esternazione esplicita o per fatti concludenti? La norma del codice parla chiaro, e afferma che la prescrizione è sempre rinunciabile dall`imputato espressamente”. Ma la chiarezza dell’avverbio non ha impedito il sorgere di contrasti sul modo in cui detta volontà debba essere esteriorizzata. La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, procede ad un`analitica disamina della questione, che si segnala non solo per il livello di approfondimento della problematica citata, ma anche per l’approccio multidisciplinare”, numerosi essendo, infatti, i parallelismi con l’omonimo istituto del diritto civile. Già nel 2010 le Sezioni Unite avevano affermato il principio secondo cui la rinuncia alla prescrizione deve essere contenuta in una manifestazione di volontà espressa e che, di conseguenza, non si può desumerla dalla proposizione del ricorso per cassazione avverso, evidentemente, una sentenza che giudichi su un reato ormai prescritto . Se questo è il principio generale - la natura esplicita dell`atto di rinunzia - dobbiamo però osservare che, in relazione alla significanza dell`accordo per applicazione della pena su richiesta delle parti la giurisprudenza non è così univoca. Patteggiare = rinunciare alla prescrizione? Partiamo da un rilievo di carattere generale, sintetizzato in una domanda perché un imputato potrebbe avere interesse a rinunciare alla prescrizione? La risposta più immediata è perché egli spera nell`assoluzione nel merito. Ciò posto, intuiamo facilmente qual è il profilo problematico che riguarda l`assegnazione di un significato abdicativo al patteggiamento. Chi concorda una pena non può certamente sperare in un esito assolutorio della propria vicenda giudiziaria. I filoni giurisprudenziali in argomento sono due un primo, del tutto in linea con l`orientamento delle Sezioni Unite del 2010, secondo cui la rinuncia alla prescrizione va fatta esplicitamente e un secondo che - con sfumature varie - equipara la richiesta di patteggiamento alla rinuncia. Gli Ermellini, nella pronuncia in commento, sono netti in nessun caso può, fondatamente, ritenersi che una volontà diversa”, racchiusa in un modello legale di richiesta, che sia orientata a tutt`altri fini, possa qualificarsi espressa”, nella precipua accezione del termine . Il giudice non è un notaio. La figura del giudice nel patteggiamento ha lungamente impegnato gli studiosi, richiamandone l’attenzione rispetto alla individuazione dei confini dei suoi poteri. Possiamo dire in pillole” che egli ha il potere di valutare se i termini giuridici dell`accordo tra le parti sono corretti e se la pena è congrua prima di tutto, però, sul giudice incombe il dovere di verificare se l’imputato non debba essere prosciolto per qualche ragione. Il decorso del tempo necessario a prescrivere il reato è una di esse. Quindi l`accordo finalizzato ad applicare una pena non contiene una implicita rinuncia alla prescrizione. Che, evidentemente, può essere fatta soltanto con dichiarazione espressa dell`imputato.

Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 25 febbraio – 6 maggio 2016, n. 18953 Presidente Canzio – Relatore Bruno Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Velletri, pronunciando ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., applicava la pena concordata dalle parti a P.L. , imputata dei reati di cui agli artt. 81 e 640, secondo comma, n. 1, cod. pen. perché, agendo in tempi diversi e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, con artifici e raggiri consistiti nel dichiarare l’esistenza in vita di R.A. , deceduto in data omissis , e dell’essere validamente delegata dallo stesso alla riscossione della pensione erogata dall’INPS, induceva in errore i funzionari preposti che attraverso le Poste italiane versavano all’indagata la somma complessiva di euro 60.724,00 dal 20 novembre 2007 ad aprile 2012, a titolo di pensione INPS, così procurandosi l’ingiusto profitto di euro 60.724,00 con pari danno per l’ente pubblico INPS . 2. Avverso l’anzidetta pronuncia l’imputata, personalmente, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando - con unico motivo - la mancata applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen., in relazione ad alcuni episodi di truffa contestati, relativamente ai quali era maturato il termine di prescrizione alla data di emissione della richiesta di rinvio a giudizio da parte del Pubblico Ministero procedente. In particolare, ha dedotto che la detta richiesta - costituente valido evento interruttivo - era stata emessa il 3 settembre 2014, a distanza di oltre sei anni dal primo episodio di truffa in contestazione, risalente al novembre 2007 che, in mancanza di precedenti atti interruttivi, al momento della stessa richiesta era, ormai, decorso il termine prescrizionale, da ragguagliare al massimo della pena edittale prevista dall’art. 640 cod. pen., così come prescritto dall’art. 157, primo comma, cod. pen. che il Giudice dell’udienza preliminare avrebbe dovuto pronunciare sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine agli episodi risalenti ad oltre sei anni prima dell’anzidetto atto interruttivo che, pertanto, la sentenza impugnata era nulla in relazione ai fatti-reato per i quali avrebbe dovuto farsi luogo alla relativa declaratoria. 3. Con ordinanza in data 1 dicembre 2015, la Seconda Sezione penale, cui il ricorso era stato assegnato, ha rilevato che nella giurisprudenza di legittimità vi era un contrasto interpretativo sulla questione della possibile valenza della richiesta di patteggiamento come rinunzia alla prescrizione e rimetteva, pertanto, il ricorso all’esame delle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen., sul seguente quesito di diritto Se la presentazione della richiesta di applicazione della pena da parte dell’imputato e il consenso a quella proposta dal pubblico ministero costituiscono una dichiarazione legale tipica di rinuncia alla prescrizione non più revocabile . 4. Con decreto del 14 dicembre 2015, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, disponendone la trattazione all’odierna camera di consiglio. Considerato in diritto 1. In linea preliminare, si osserva che la quaestio iuris in esame era già pervenuta alla cognizione delle Sezioni Unite, il 23 settembre 2013, a seguito della rimessione dei ricorsi Citarella Giovanni ed altri. Nell’occasione, però, il quesito non era stato risolto, giacché ne era emersa l’irrilevanza, posto che per nessuno dei molteplici reati oggetto di patteggiamento era maturato il termine di prescrizione prima della sentenza di patteggiamento Sez. U, n. 5838 del 28/11/2013, dep. 2014, Citarella, Rv. 257824 . 2. La questione oggi riproposta evoca, nella sua formulazione, una risalente querelle , agitata in dottrina e in giurisprudenza all’indomani della pronuncia additiva della Corte costituzionale n. 275 del 1990, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 157 cod. pen. nella parte in cui non prevedeva che la prescrizione del reato potesse essere rinunziata dall’imputato. Si era, infatti, posto il quesito se la rinuncia alla prescrizione dovesse essere manifestata in forma espressa ovvero fosse anche deducibile da facta concludentia , ossia da fatti incompatibili con la volontà di avvalersi della causa estintiva, sulla falsariga dell’alternativa prospettazione prevista, per la prescrizione civile, dall’art. 2937, terzo comma, cod. civ., secondo cui La rinuncia può risultare da un fatto incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione . In ossequio al dictum del Giudice delle leggi, la legge 5 dicembre 2005, n. 151, nel novellare il regime della prescrizione, ha riformulato, con l’art. 6, comma 1, l’originario art. 157 cod. pen., disponendo, al settimo comma, che La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall’imputato . In tutta evidenza, nel dare cittadinanza all’istituto della rinuncia, il legislatore ha inteso stabilire i termini di formulazione dell’atto abdicativo, sancendo, per un verso, che la prescrizione è sempre rinunciabile, ossia in ogni momento, e - per altro verso - che è rinunciabile espressamente , ossia in modo esplicito e formale. Si tratta, indubbiamente, di previsione perspicua, che - nel chiaro intendimento del legislatore, di certo non ignaro delle cennate incertezze interpretative - aveva lo scopo di fugare ogni possibile ragione di equivoco, eliminando in nuce qualsivoglia ambiguità nell’applicazione dell’istituto. Ed infatti, ove si consideri che, nell’interpretazione della legge, non è consentito attribuire ai termini del precipitato normativo altro senso che quello fatto palese dal significato proprio degli stessi, nella loro connessione testuale, e dall’intenzione del legislatore - secondo il dettato dell’art. 12, primo comma, preleggi - non è revocabile in dubbio che l’avverbio espressamente attenga al modo di esteriorizzazione della volontà di rinuncia, che, dovendo essere esplicita e formale, non può essere dedotta, in via congetturale, da fatti incompatibili con la volontà di avvalersi della prescrizione, diversamente da quanto consentito in ambito civilistico. Parimenti, non è dubitabile che l’avverbio anzidetto - nella comune accezione del lemma ed in piena coerenza con la precipua funzione di modificatore semantico , propria di tutti gli avverbi onde modificare o determinare il significato di altre categorie grammaticali, nella specie dell’aggettivo rinunciabile - riguardi proprio la modalità di esternazione, ossia il modo con cui la volontà di rinuncia deve essere portata all’esterno. Sulla base della comune significazione, della connessione letterale e della ratio legis è dunque improprio il tentativo di assegnare al termine una diversa valenza semantica, assumendolo, ad esempio, come sinonimo di univocamente od inequivocamente . Ed invero, univocità ed inequivocità attengono a differenti ambiti concettuali, afferendo al piano sostanziale della significazione e non già alla sua forma. 3. D’altro canto, ove, per un attimo, si volesse lasciare il pur perspicuo dato letterale per porsi in prospettiva sistematica, non sarebbe difficile cogliere la ratio della previsione della forma espressa. Ed infatti, sulla base di una rapida ricognizione delle molteplici fattispecie di rinuncia nei diversi settori dell’ordinamento giuridico, è dato cogliere - al di là delle differenze strutturali tra i vari istituti - che la prescrizione della forma espressa si pone ogni qual volta la rilevanza dell’atto dismissivo e la pregnanza dei suoi effetti siano tali da richiedere una particolare modalità di manifestazione perché sia richiamata l’attenzione del titolare del diritto sull’importanza dell’atto da compiere e, al tempo stesso, non si dia adito a dubbi od ambiguità di sorta sul suo reale significato. In linea meramente esemplificativa, basterà considerare quanto all’ambito civilistico, l’ipotesi paradigmatica della rinuncia ai diritti immobiliari, per la quale è richiesta anzi la forma scritta ad substantiam , ai sensi dell’art. 1350, primo comma, n. 5, cod. civ., oltre al regime di pubblicità, ai sensi dell’art. 2643 cod. civ. la rinuncia all’eredità per la quale il sistema delineato dagli artt. 519 e 525 cod. civ. postula, per l’appunto, la forma solenne dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere ed iscrizione nel registro delle successioni , con la conseguenza che una revoca tacita della rinunzia è inammissibile Sez. 2 civ., n. 21014 del 12/10/2011, Rv. 619859 e poi, in ambito processualcivilistico, la rinuncia agli atti del giudizio, che necessita di forma espressa, comportando l’estinzione del processo, ove accettata dalle parti che avrebbero interesse alla sua prosecuzione, ai sensi dell’art. 306 cod. proc. civ. Sez. 3 civ., n. 21848 del 24/09/2013, Rv. 628157 Sez. 3 civ., n. 23749 del 14/11/2011, Rv. 620474, con riferimento alla differenza rispetto alla rinuncia alla domanda, che non richiede forme particolari in ambito processuapenalistico la rinuncia all’impugnazione per la quale è richiesta apposita dichiarazione, ai sensi dell’art. 589 cod. proc. pen. Sez. 1, n. 37727 del 28/09/2011, Russo, Rv. 250787 la revoca dell’elezione di domicilio Sez. 6, n. 41720 del 07/11/2006, Moltisanti, Rv. 235297 la rinuncia all’udienza preliminare, per la quale l’art. 419, comma 5, cod. proc. pen. richiede una dichiarazione scritta ed altro ancora. In tale visione d’assieme ben s’intendono, allora, le ragioni per le quali il legislatore ha previsto che la rinuncia alla prescrizione penale debba essere formulata espressamente, proprio perché si tratta di atto dismissivo gravido di conseguenze per l’imputato. Ed infatti, rinunciare ad un diritto già maturato, ossia a quello di far valere gli effetti dell’estinzione del reato per il decorso del termine prescrizionale, significa - in definitiva - esercitare il diritto al processo e, quindi, alla prova, nell’ambito dell’inalienabile diritto alla difesa, sancito dall’art. 24 Cost., in sintonia, peraltro, con la presunzione di innocenza, di cui all’art. 27, secondo comma, della stessa Carta costituzionale, ed all’art. 6, par. 2, CEDU. La rinuncia implica, dunque, opzione per la prosecuzione del processo verso l’epilogo di una pronuncia nel merito della regiudicanda e comporta, pertanto, anche rivitalizzazione della pretesa punitiva statuale, altrimenti affievolita dal decorso del termine di prescrizione. Il tutto, com’è ovvio, nella ragionevole aspettativa, per l’imputato od indagato , di conseguire un risultato più vantaggioso rispetto alla maturata causa estintiva, ossia una pronuncia assolutoria nel merito. La gravità degli effetti dell’atto dismissivo si coglie in ragione della possibilità che, inopinatamente, al processo segua la condanna e non già l’auspicata assoluzione. Proprio per tali rilevanti implicazioni, e per la chiara venatura di aleatorietà che, in filigrana, pervade l’istituto, si è affermato, nella giurisprudenza di legittimità, che la rinuncia alla prescrizione rientra nell’alveo dei diritti personalissimi , che possono essere esercitati dall’interessato personalmente o, al più, con il ministero di un procuratore speciale, restando dunque estranea alla sfera delle facoltà e dei diritti esercitabili dal difensore, ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. pen., in nome e per conto del suo assistito Sez. 1, n. 21666 del 14/12/2012, dep. 2013, Gattuso, Rv. 256076 . E si è anche sostenuto che la rinuncia alla prescrizione non è esercitabile dal difensore neppure nell’ipotesi in cui sia formulata alla presenza dell’imputato, che rimanga silente Sez. 2, n. 23412 del 09/06/2005, Avallone, Rv. 231879 . Tanto più a fronte dell’affermazione di principio, racchiusa in una pronuncia delle Sezioni Unite - sia pure in riferimento a diversa fattispecie processuale secondo cui, alla luce del nuovo dettato normativo, la rinuncia alla prescrizione richiede una dichiarazione di volontà espressa e specifica che non ammette equipollenti che, pertanto, non si può desumere implicitamente dalla mera proposizione del ricorso per cassazione Sez. U, n. 43055 del 30/09/2010, Dalla Serra, Rv. 248379 . 4. Dopo queste brevi premesse sul piano dommatico, occorre ora saggiarne la tenuta anche nello specifico ambito del patteggiamento . È indubbio, infatti, che, con riferimento al rito speciale previsto dall’art. 444 cod. proc. pen., la dinamica del rapporto tra rinuncia alla prescrizione ed epilogo decisorio si ponga in termini diversi. Nella fattispecie processuale in esame, la rinuncia alla prescrizione, se - da un lato - implica dismissione del diritto di avvalersi della causa estintiva del reato, non può - dall’altro - essere proiettata verso un esito di assoluzione, posto che l’opzione processuale per il rito alternativo è intesa, univocamente, ad un risultato sanzionatorio, ancorché concordato e mitigato, senza prospettiva assolutoria, ab origine esclusa. Una siffatta strutturale diversità non è, però, tale da comportare, per il patteggiamento, un regime differenziato in tema di rinuncia alla prescrizione, posto che la norma di cui all’art. 157, settimo comma, cod. pen., è disposizione di carattere generale, valida per tutti i casi e moduli procedurali, senza eccezioni o diversificazioni di sorta. 5. Venendo, ora, ai termini specifici del denunciato contrasto interpretativo, è dato, in effetti, ravvisare negli arresti della giurisprudenza di legittimità una radicale divergenza di prospettiva. All’orientamento che ritiene necessaria una forma espressa ad hoc Sez. 5, n. 45023 del 12/10/2010, Coata, Rv. 249077 Sez. 3, n. 14331 del 04/03/2010, Cardinali, Rv. 246608 Sez. 5, n. 3548 del 26/11/2009, dep. 2010, Collura, Rv. 245841 Sez. 1, n. 18391 del 13/03/2007, Cariglia, Rv. 236576 Sez. 5, n. 17399 del 01/04/2008, Bongiolatti, Rv. 240423 nello stesso senso, tra le altre, Sez. 5, n. 15852 del 30/01/2013, Cannizzo, n.m. e Sez. 5, n. 42958 del 30/09/2011, Drammis, n.m. si è contrapposta altra linea esegetica, secondo cui nella richiesta di patteggiamento sarebbe, in qualche modo, possibile ravvisare una forma di rinuncia alla prescrizione già maturata. Più esattamente, nell’ambito della contraria opinio , si colgono due distinti sottoinsiemi e, precisamente, la tesi secondo cui la proposta di patteggiamento recherebbe in sé una dichiarazione legale tipica di rinuncia alla prescrizione non più revocabile Sez. 5, n. 7021 del 25/11/2009, dep. 2010, Puorro, Rv 246151 Sez. 5, n. 38984 del 15/05/2015, Defendini, n.m. Sez. 2, n. 42748 del 20/10/2015, Zappella, n.m. e la tesi secondo cui la richiesta di patteggiamento implica rinuncia espressa Sez. 7, n. 35329 del 02/07/2015, Galan, n.m. Sez. 6, n. 36689 del 30/06/2015, Mazzi, n.m. Sez. 4, n. 51792 del 30/09/2014, Hounaini, Rv. 261570 Sez. 3, n. 25185 del 08/05/2014, Silva, n.m. Sez. 3, n. 207 del 05/07/2012, dep. 2013, Mazzoli, Rv. 254144 Sez. 2, n. 47940 del 06/12/2011, Piccinno, Rv. 252052 . 5.1. Orbene, la locuzione che sostanzia la prima specificazione del secondo orientamento con il richiamo ad una dichiarazione legale tipica non più revocabile ed è riportata tralatiziamente in tutte le sentenze che si sono espresse a sostegno, risulta per vero non condivisibile, sembrando assai difficile ipotizzare, sul piano strettamente dogmatico, una dichiarazione tipica - ossia, per definizione, conforme ad un modello legale standardizzato , capace di attribuire ad essa una particolare rilevanza, così come prescritto dal vigente art. 157, settimo comma, cod. pen. - e, al tempo stesso, implicita . Con ogni probabilità, con l’anzidetta espressione si è inteso significare che la richiesta di patteggiamento, in quanto logicamente incompatibile con la volontà di avvalersi di una causa estintiva già maturata, reca in sé un distinto contenuto di volontà, ulteriore e diverso rispetto a quello direttamente volto al patteggiamento. Ma anche così intesa la locuzione non può dirsi propriamente corretta. Quanto alla ritenuta antinomia logico-concettuale tra richiesta di patteggiamento e rinuncia alla prescrizione, è agevole, intanto, osservare che l’assunto postula la consapevolezza - da parte dell’imputato od indagato dell’esistenza della causa estintiva, potendo ragionevolmente configurarsi una volontà di rinunciare ad un diritto solo in quanto se ne conosca la reale esistenza. Sennonché, la proposta di patteggiamento è opzione processuale che, di per sé, lascia dubitare dello stato di consapevolezza. Ed infatti, in caso di conoscenza della causa estintiva, e quindi della possibilità di conseguire subito una pronuncia di proscioglimento, sarebbe davvero paradossale una richiesta di applicazione della pena, preferita ad una causa di estinzione del reato, in seno, peraltro, ad una pronuncia che è equiparata ad una sentenza di condanna, ai sensi dell’art. 445, comma 1-bis, cod. proc. pen., anche al di là degli immediati effetti premiali . Tra questi - a mente del comma 2 dello stesso articolo - vi è anche l’effetto estintivo del reato, il cui conseguimento è però differito nel tempo, realizzandosi solo al compimento del quinquennio dalla sentenza, a condizione peraltro che, medio tempore, non venga commesso un reato della stessa indole insomma un effetto estintivo, che, invece, sarebbe immediatamente conseguibile mediante tempestiva eccezione e conseguente rilievo da parte del giudice. Sicché, nella gamma delle astratte possibilità - che siano, però, dotate di un minimo coefficiente di razionalità - residuano solo le ipotesi dell’inconsapevolezza e, sull’opposto versante, della piena contezza, quella dell’uso strumentale del patteggiamento, piegato, per mero tatticismo difensivo, al perseguimento di fini estranei alla sua precipua funzione ipotesi affatto residuale, quest’ultima, fondata su strategia difensiva il cui buon esito postulerebbe l’inosservanza - da parte del giudice - dei doveri di controllo di cui all’art. 129 del codice di rito. Ad ogni modo, in nessun caso può, fondatamente, ritenersi che una volontà diversa , racchiusa in un modello legale di richiesta, che sia orientata a tutt’altri fini, possa qualificarsi espressa , nella precipua accezione del termine. 5.2. Per quanto riguarda, poi, il secondo sottoinsieme nell’ambito della tesi giurisprudenziale ora in esame, ovvero l’orientamento interpretativo secondo cui la proposta di patteggiamento recherebbe, in sé, rinuncia espressa alla prescrizione, l’assunto argomentativo si fonda su indebito traslato del requisito della forma espressa - che, indubbiamente, deve connotare la manifestazione di volontà volta al patteggiamento - ad altra volontà, ipoteticamente contenuta nella stessa richiesta d patteggiamento e finalizzata alla rinuncia della prescrizione già maturata. Si tratta, però, di inammissibile sovrapposizione concettuale, alimentata, peraltro, da postulato di assai dubbia valenza, ossia dalla pretesa incompatibilità logica tra proposta di patteggiamento e rinuncia alla prescrizione già maturata. 6. In conclusione, in nessuno dei due profili nei quali si articola la tesi giurisprudenziale ammissiva di equipollenti alla forma espressa ad hoc può essere condivisa. D’altronde, oltreché sul piano logico-concettuale, la tesi anzidetta trova eloquente smentita sul versante positivo, alla stregua dello stesso impianto codicistico. Sicuri riferimenti, in tal senso, sono le disposizioni di cui agli artt. 444, comma 2, e 129 cod. proc. pen., oltre alla previsione dell’art. 157, settimo comma, cod. pen Il richiamo alla norma di cui al comma 2 dell’art. 444 del codice di rito assume fondamentale importanza ai fini del presente giudizio, posto che la norma in parola detta la sequenza diacronica che caratterizza il modulo procedimentale del patteggiamento . Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite Sez. U, n. 5 del 28/05/1997, Lisuzzo, Rv. 207877 e Sez. U, n. 3 del 25/11/1998, dep. 1999, Messina, Rv. 212438 il paradigma procedimentale assegna priorità alla verifica dell’insussistenza delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen., da compiersi aliunde, ossia indipendentemente dalla piattaforma negoziale, e precisamente sulla base degli atti del fascicolo del pubblico ministero sulla scansione nelle due fasi della procedura del patteggiamento, anche Sez. U, n. 18 del 21/06/2000, Franzo, Rv 216431 . Soltanto in caso di negativa delibazione il giudice può, poi, procedere all’esame di legittimità della piattaforma negoziale offertagli dalle parti, al fine di verificare correttezza del nomen iuris attribuito al fatto-reato, legalità e congruità dell’assetto sanzionatorio concordato. Sicché, solo sino ad un certo punto può dirsi esatta l’affermazione che il rito speciale si incentra nel potere dispositivo delle parti, posto che un ruolo centrale è pur sempre attribuito al giudice, chiamato, anche in questa speciale procedura, ad un compito attivo e vigile, che lo rende tutt’altro che spettatore inerme e silente di una vicenda negoziale inter partes , deputato ad una funzione meramente notarile - di semplice ratifica di un accordo privatistico - secondo l’efficace espressione della Corte costituzionale sent. n. 313 del 1990 . Dunque, sono due le scansioni dell’iter procedimentale, in stretta connessione logico-temporale ed in termini di stringente pregiudizialità. In ragione di tale rapporto, la seconda fase è persino eventuale, nel senso che ad essa potrà anche non farsi luogo, qualora il giudice ravvisi la sussistenza di una delle cause di proscioglimento di cui all’art. 129 cod. proc. pen., al cui rilievo dovrà far luogo, anche d’ufficio, con relativa declaratoria. L’utile disimpegno del dovere di verifica da parte del giudice - costituente profilo pregnante di funzione giurisdizionale - pone, dunque, nel nulla l’esercizio del potere dispositivo delle parti, le quali, pur avendo ipotizzato la definizione negoziale della vicenda processuale in questione, devono prendere atto della declaratoria giudiziale e della pronuncia di proscioglimento che viene loro imposta”. La dinamica della vicenda processuale in esame enfatizza, dunque, la centralità del ruolo del giudice, chiamato alla verifica del rispetto delle forme di legge, la cui violazione può risiedere non solo nella prospettazione di un’intesa negoziale che si sostanzi nel concordato sul reato e non già sulla pena, in virtù di erronea attribuzione di nomen iuris , o nella proposta di una pena avulsa dai parametri normativi o vistosamente incongrua, ma anche nel mancato rilievo, da parte sua, di cause di proscioglimento, scientemente od inconsapevolmente pretermesse dalle parti. È di tutta evidenza, allora, che se davvero la richiesta di patteggiamento implicasse, sempre e comunque, rinuncia alla prescrizione non avrebbe alcun senso la previsione di un potere di controllo del giudice, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., con riferimento alle cause di estinzione del reato, indipendentemente, quantomeno, da un’espressa esclusione della prescrizione dal novero delle cause estintive. D’altronde, l’attribuzione al giudice del patteggiamento del potere di rilevare, pure ex officio, la presenza di eventuali cause estintive, anche al di là della consapevole od inconsapevole rappresentazione delle parti, costituisce ineludibile presidio di legalità ed efficace deterrente rispetto a speculative o strumentali applicazioni dell’istituto. Ed il controllo cui è chiamato il giudice, a mente dell’art. 129 cod. proc. pen., è a tal punto pregnante che l’omesso od erroneo esercizio del relativo potere integra, per pacifica acquisizione giurisprudenziale, vizio di legittimità deducibile in cassazione. Sicché, anche in presenza di richiesta condivisa di patteggiamento, che, per qualsiasi ragione, non abbia tenuto conto di maturate cause estintive del reato, il giudice - in nessun modo condizionato dall’esercizio di un potere di rinuncia alla prescrizione, non espresso nelle forme di legge - non è comunque esentato dal dovere funzionale del pertinente rilievo, ai sensi del menzionato art. 129 cod. proc. pen., che segna, pertanto, il momento di criticità della tesi che ammette equipollenti alla dichiarazione espressa di rinuncia. 7. Alla stregua delle considerazioni che precedono deve, dunque, affermarsi il seguente principio di diritto Ai fini del valido esercizio del diritto di rinuncia alla prescrizione è necessaria la forma espressa, che non ammette equipollenti, sicché la richiesta di applicazione della pena da parte dell’imputato, o il consenso prestato alla proposta del pubblico ministero, non possono, di per sé, valere come rinuncia . 8. Sulla base dell’anzidetto principio risulta evidente la piena fondatezza del ricorso. Ed invero, la ricorrente ha ragione di dolersi del mancato esercizio, da parte del giudice a quo, del potere-dovere di cui all’art. 129 cod. proc. pen., ai fini del rilievo officioso della prescrizione maturata per alcuni tra i reati contestati, avvinti dal vincolo della continuazione. La pluralità degli episodi delittuosi è, infatti, ipotesi rispondente alla formulazione del capo d’imputazione, che richiama espressamente l’art. 81, secondo comma, cod. pen., in palese adesione all’indirizzo interpretativo in ordine alla configurabilità, nella fattispecie in esame persistente riscossione di ratei di pensione, nonostante l’estinzione del titolo giustificativo per morte dell’avente diritto , di plurimi reati di truffa in luogo di un solo fatto-reato, a condotta frazionata o a consumazione prolungata . L’intervenuta soppressione nel testo dell’art. 158, primo comma, cod. pen. degli incisi o continuato e o la continuazione - ad opera dell’art. 6 legge 5 dicembre 2005, n. 251, con riferimento alla decorrenza del termine prescrizionale che, per il reato continuato, coincideva, per l’innanzi, con il giorno in cui fosse cessata la continuazione - comporta lo scioglimento del vincolo della continuazione ai fini del computo della prescrizione, di talché il dies a quo deve essere fissato per ciascuno dei fatti illeciti nel giorno della relativa consumazione. Orbene, considerato che, ai sensi del nuovo art. 157, primo comma, cod. pen., il termine di prescrizione deve rapportarsi al massimo della pena edittale ed essere, comunque, pari ad anni sei in caso di delitto , per i reati di truffa in contestazione - punibili, ai sensi dell’art. 640, secondo comma, cod. pen. con pena detentiva da uno a cinque anni, oltre alla pena pecuniaria - il termine utile alla prescrizione è pari ad anni sei. E considerato, altresì, che il primo atto interruttivo è costituito dalla richiesta di rinvio a giudizio, emessa dal Pubblico Ministero procedente il 3 settembre 2014, tutti gli episodi di truffa anteriori di sei anni rispetto alla data anzidetta sono ormai prescritti al momento della pronuncia della sentenza di patteggiamento. Pertanto, il mancato rilievo della prescrizione, risolvendosi in vizio di legittimità, comporta - in applicazione del principio vitiatur et vitiat - l’invalidità dell’intera pronuncia emessa sulla base di un assetto negoziale che prevedeva l’applicazione della pena anche per i reati prescritti, tra quelli affasciati nella continuazione. Ai sensi dell’art. 129 del codice di rito il giudice a quo avrebbe dovuto, infatti, rilevare la prescrizione e rifiutare l’accordo negoziale fondato su reati ormai prescritti. Donde l’annullamento della sentenza impugnata, da dichiarare nei termini di cui in dispositivo. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Velletri per l’ulteriore corso.