Violenza sessuale e misura cautelare della custodia inframuraria

In tema di violenza sessuale, laddove sussistano i gravi indizi di colpevolezza e ricorrano le esigenze cautelari, si presume unica misura adeguata alla preservazione delle stesse, in assenza di prova contraria fornita dall'interessato, quella della custodia in carcere.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 18495/16, depositata il 4 maggio. Il fatto. La vicenda giunta sino in Cassazione riguardava un uomo indagato in ordine al reato di violenza sessuale commesso in danno di una ragazza che, all'epoca della vicenda, aveva età inferiore ad anni 18. Il fatto era aggravato dalla circostanza che l'indagato, per commettere il reato in questione, simulava la propria qualità di pubblico ufficiale esibendo alla parte offesa un tesserino recante lo stemma della Repubblica e qualificandosi falsamente come appartenente alle forze dell'ordine. L'uomo interponeva ricorso per cassazione deducendo 1 la illogicità manifesta della motivazione della ordinanza nella parte in cui essa si fonda sulle dichiarazioni accusatorie della persona offesa senza valutarne l'effettiva attendibilità 2 la violazione di legge in ordine alla motivazione contenuta nella ordinanza impugnata avente ad oggetto l'esistenza delle esigenze cautelari ravvisate nel pericolo della reiterazione della condotta criminosa nonché nella sua idoneità a tutelare le esigenze della misura custodiale. La Suprema Corte, dopo una articolata motivazione, rigetta il ricorso dell’uomo per i seguenti motivi. Dichiarazioni persona offesa. In ordine al punto 1 gli Ermellini, premessa la adesione al consolidato orientamento giurisprudenziale in forza del quale ai fini dell'accertamento della verità è sufficiente il contenuto delle dichiarazioni rese anche solo della parte offesa, ritengono erronea la tesi difensiva del ricorrente, basata sulla presunta equivocità della massima di esperienza che nell'ordinanza impugnata è posta a conforto della attendibilità di quanto riferito dalla persona offesa. Invero, premessa la mancanza di controversia in ordine alla sussistenza del rapporto sessuale tra l'indagato e la parte offesa, le singolari circostanze che hanno fatto da prologo a quest'episodio circostanze in tutto determinate dal fraudolento comportamento dell'indagato e confortate dalla puntuale ricostruzione di esse fatte delle amiche della parte offesa nonché l'epilogo del medesimo invero poco glorioso per il ricorrente messo in fuga dalle grida della madre di una delle ragazze e le successive preoccupate confidenze rivolte dallo stesso al di lui fratello, la Corte osserva che ben il Tribunale aveva ravvisato in esse tutti elementi che cooperano a rendere del tutto attendibile il racconto della parte offesa. Esigenze cautelari. Con riferimento al punto 2 , cioè alla violazione di legge in ordine all'applicazione dell'art. 274, comma 1, lettera c , c.p.p. nonché dell'art. 275, comma 3- bis , c.p.p., la Corte ritiene che lo stesso sia infondato. Intanto, perché il Tribunale competente ha fatto discendere la concretezza del pericolo da intendersi come certezza o quanto meno elevata probabilità che il prevenuto, laddove se ne presentasse l'occasione, tornerebbe a commettere delitti del tipo per cui è indagato sia dalla apparente estemporanea e callida progettazione sia dalla spregiudicata esecuzione della violenza sessuale provvisoriamente contestata all'indagato, considerate ambedue chiaro indice della inidoneità dello stesso a contenere gli stimoli di un istinto sessuale malamente canalizzato sia, infine, dal fatto che lo stesso non aveva esitato a tenere nel corso dell'episodio atteggiamenti violenti e minacciosi, così, rivelando un’indole non aliena all'uso illecito della forza. Mentre, per quanto attiene alla attualità del pericolo consistente nella attendibile previsione in termini di certezza, o quanto meno elevata probabilità, che al prevenuto si potesse presentare entro un periodo cronologicamente vicino, se non prossimo o immediato, una occasione per compiere nuovamente altri delitti analoghi la Corte rileva come le modalità di verosimile perpetrazione del delitto erano tali da rendere indubbio che il requisito dell'attualità del pericolo fosse di manifesta evidenza. Infine, quanto alla asserita violazione dell'art. 275, comma 3- bis , c.p.p. il quale impone, laddove il giudice intenda disporre la misura cautelare della custodia in carcere, che sia data in motivazione ragione della inadeguatezza al caso concreto della meno afflittiva misura degli arresti domiciliari, invero, nel caso di specie la richiamata disposizione non trova applicazione. La Corte ricorda che, laddove sussistano i gravi indizi di colpevolezza per il reato di violenza sessuale e ricorrano altresì le esigenze cautelari, si presume in assenza di prova contraria fornita dall'interessato, o comunque di elementi di diversamente indicanti pure acquisiti d'ufficio, unica misura adeguata alla preservazione di queste quelle della custodia in carcere.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 novembre 2015 – 4 maggio 2016, n. 18495 Presidente Franco – Relatore Gentili Ritenuto in fatto Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 15 luglio 2015, ha confermato la misura cautelare della custodia in carcere applicata a F.G. con provvedimento del Gip dello stesso Tribunale del 3 luglio 2015, essendo questi indagato in ordine al reato di violenza sessuale commesso in danno di tale Fi.Sa. , avente all’epoca dei fatti età inferiore ad anni 18, aggravato dalla circostanza che l’indagato per commettere il reato in questione simulava la propria qualità di pubblico ufficiale, esibendo alla parte offesa un tesserino recante lo stemma della Repubblica e qualificandosi falsamente come appartenente alle forze dell’ordine. Ha interposto ricorso per cassazione il F. deducendo la illogicità manifesta della motivazione della ordinanza nella parte in cui essa si fonda sulle dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa, senza valutarne la effettiva attendibilità, minata dalla numerose incongruenze riscontrabili nel narrato di questa e senza che sia stato valutato dal giudice del riesame il fatto che le predette dichiarazioni accusatorie appaiono prive di alcun riscontro, tale, in particolare, non potendo ritenersi né il fatto che il F. , una volta riportata la ragazza lì dove la aveva prelevata, si sarebbe dato alla fuga né il contenuto delle confidenze da questo fatte al di lui fratello. Il F. ha altresì dedotto la violazione di legge in ordine alla affermazione contenuta nella ordinanza impugnata avente ad oggetto la esistenza delle esigenze cautelari, ravvisate nel pericolo della reiterazione della condotta criminosa, nonché la sola idoneità a tutelare dette esigenze della misura custodiale. Considerato in diritto Il ricorso, essendone risultati infondati i motivi posti a suo sostegno, non è, pertanto, meritevole di accoglimento. Osserva la Corte, quanto al primo motivo di ricorso, che con lo stesso il F. deduce, in sostanza, la manifesta illogicità della ordinanza impugnata nella parte in cui il Tribunale di Roma, attribuendo credito alla versione dei fatti riferita dalla parte offesa, ha ritenuto provata, nei limiti della attuale cognizione cautelare, l’ipotesi accusatoria a lui provvisoriamente contestata, senza tenere conto delle numerose incongruenze che essa conterrebbe. L’argomento difensivo non ha pregio rileva, infatti, la Corte - premessa la adesione al consolidato orientamento giurisprudenziale in forza del quale ai fini dell’accertamento della verità è sufficiente tanto più in questa fase cautelare del procedimento caratterizzata dalla adeguatezza probatoria ai fini della conservazione della misura in atto anche soltanto della presenza elementi indizianti di reato, purché connotati dalla gravità il contenuto delle dichiarazioni rese anche dalla sola parte offesa - che la tesi difensiva del ricorrente si basa sulla presunta equivocità della massima di esperienza che nella ordinanza impugnata è posta a conforto della attendibilità di quanto riferito dalla persona offesa e secondo la quale non sarebbe credibile che, secondo la ricostruzione dell’episodio fatta dall’indagato, una ragazza di 15 anni, incontrato per caso uno sconosciuto di notte in realtà nella tarda serata per strada in una città che non è la sua, sia presa, mentre si trovava a passeggiare in compagnia di due sue coetanee, da un improvviso ed irrefrenabile desiderio sessuale che la induca a concedersi, con modalità per altro caratterizzate quanto meno dalla assenza di alcun agio né fisico né morale, ad un passante incontrato per la strada. Sul punto, deve, però obbiettarsi che non solo il ragionamento svolto dal Tribunale appare certamente non manifestamente illogico rispondendo esso al criterio dell’ id quod plerumque accidit , ma che lo stesso risulta essere supportato da non pochi riscontri obbiettivi che evidenziano, anche ove si intendesse prescindere dal pur ragionevole rilievo contenuto nella ordinanza impugnata, la complessiva attendibilità di quanto riferito dalla persona offesa ed invece, la intima inaffidabilità di quanto asserito a proprio discarico dal prevenuto. Invero, premessa la mancanza di controversia in ordine alla sussistenza del rapporto sessuale fra indagato e parte offesa, le singolari circostanze che hanno fatto da prologo a tale episodio, circostanze in tutto determinate dal fraudolento comportamento del F. tale da far ritenere che lo stesso avesse già adocchiato la ragazza onde circuirla attraverso l’esercizio, doppiamente abusiva, di un’autorità della quale egli neppure era rivestito e confortate dalla puntuale ricostruzione di esse fatte dalla amiche della parte offesa, nonché l’epilogo del medesimo - invero poco glorioso per il ricorrente, messo in fuga dalle grida della madre di una delle ragazze - e le successive preoccupate confidenze rivolte dal F. al di lui fratello elementi questi che, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, in assenza di altra coerente giustificazione, si inseriscono congruamente, arricchendolo come rilevato dal giudice del riesame, nel complessivo quadro accusatorio a carico dell’indagato costituiscono elementi che cooperano a rendere del tutto attendibile il racconto della parte offesa. Posta, pertanto, la piena coerenza della ricostruzione operata dei fatti dal Tribunale di Roma e la sua rispondenza ai principi giuridici vigenti in materia, poco interesse ha verificare, tanto più in questa fase cautelare del procedimento. se sarebbe stata altrettanto attendibile un’altra ricostruzione infatti, al di là della dubbia tenuta logica della ricostruzione operata dalla difesa del ricorrente, in questa sede di legittimità non e evidentemente possibile scrutinare la esistenza di altre possibili letture dei fatti di causa, essendo compito di questa Corte solo controllare, sotto appunto il profilo della legittimità, se la ricostruzione fatta dal Tribunale di Roma vada o meno esente dai vizi attribuitile dal ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio. Con riferimento al secondo motivo di doglianza contenuto nel ricorso dell’indagato, col quale la difesa dello stesso deduce la violazione di legge in ordine alla applicazione degli artt. 274, comma 1, lettera b recte lettera c , e 275, comma 3 recte 3-bis , cod. proc. pen., ritiene la Corte che lo stesso sia, sotto il duplice profilo in cui esso è declinato, comunque infondato. Quanto alla pretesa violazione dell’art. 274, comma 1, lettera c , cod. proc. pen., così emendato l’evidente errore materiale in cui è incorso il ricorrente nell’indicare come norma di riferimento ai fini della indicazione della esigenza cautelare alla cui preservazione è sottesa la misura in concreto disposta, va rilevato premessa la intervenuta modifica normativa, la quale per effetto della novella introdotta nella disposizione de qua con legge n. 47 del 2015 - impone ai fini della adozione della misura cautelare la sussistenza del pericolo concreto ed attuale della reiterazione di condotte criminose costituenti delitti della stessa specie di quello per cui si procede che il Tribunale di Roma ha fatto discendere la concretezza del pericolo - da intendersi questo come certezza o, quantomeno, elevata probabilità che il prevenuto, laddove se ne presenti l’occasione, torni a commettere delitti del tipo per cui è indagato - sia dalla apparentemente estemporanea e tuttavia callida progettazione e spregiudicata esecuzione della violenza sessuale provvisoriamente contestata al F. , considerate ambedue chiaro indice della inidoneità dello stesso a contenere gli stimoli di un istinto sessuale malamente canalizzato, sia dal fatto che lo stesso non ha esitato a tenere, nel corso dell’episodio, atteggiamenti violenti e minacciosi, così rivelando un’indole non aliena all’uso illecito della forza. Mentre per quanto attiene alla attualità del pericolo - consistente nella attendibile previsione in termini di certezza o, quantomeno, di elevata probabilità, che al prevenuto si potrà presentare, entro un periodo cronologicamente vicino, se non prossimo od immediato, un’occasione per compiere nuovamente altri analoghi delitti - non vi è chi non veda che le modalità di verosimile perpetrazione del delitto per cui è processo violenza sessuale commessa in ora serale nei confronti di una sconosciuta passante occasionalmente incontrata e presa di mira in un ambito territoriale intensamente urbanizzato sono tali da rendere indubbio che il requisito della attualità del pericolo, come dianzi descritto, è di manifesta evidenza. Quanto infine alla asserita violazione dell’art. 275, comma 3-bis, cod. proc. pen., il quale, sempre nella versione della norma introdotta a seguito della entrata in vigore della legge n. 47 del 2015, impone, laddove il giudice intenda disporre la misura cautelare della custodia in carcere, che sia data in motivazione ragione della inadeguatezza al caso concreto della meno afflittiva misura degli arresti domiciliari con applicazione dei particolari mezzi di controllo di cui all’art. 275-bis, comma 1, cod. proc. pen. ergo il cosiddetto braccialetto elettronico , osserva questa Corte come nel caso di specie la richiamata disposizione non trovi applicazione. Deve, infatti, ricordarsi che, secondo la previsione di cui al precedente art. 274, comma 1, lettera c , cod. proc. pen., laddove sussistano i gravi indizi di colpevolezza per il reato, fra gli altri, di cui all’art. 609-bis cod. pen. come è nel caso in questione e ricorrano le esigenze cautelari, si presume, in assenza di prova contraria fornita dall’interessato o, comunque, di elementi diversamente indicanti pur acquisiti d’ufficio, unica misura adeguata alla preservazione di queste quella della custodia in carcere Corte di cassazione, Sezione III penale, 15 gennaio 2014, n. 1488 . Siffatto principio, come ha coerentemente indotto la giurisprudenza di questa Corte ad affermare che non vi è ragione di espressamente motivare in tema di inidoneità della misura cautelare degli arresti domiciliari con l’applicazione dei ricordati strumenti di controllo, laddove il giudice abbia specificamente evidenziato che unica misura idonea alla bisogna è quella della custodia intramuraria cfr Corte di cassazione, Sezione III penale, 6 novembre 2015, n. 44634 , deve altresì comportare che ancor più irrilevante va considerata la omessa motivazione sul punto, non costituendo al riguardo ciò neppure violazione di legge, laddove la valutazione sulla specifica adeguatezza, in assenza di prova contraria, della sola massima misura custodiale sia operata direttamente dal legislatore come avviene ai sensi dell’art. 274, comma 1, lettera c , in relazione al reato per cui ora si procede, dovendosi detta ultima disposizione ritenere lex specialis idonea a costituire deroga alla lex generalis . In conclusione il ricorso proposto dal F. deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. Il presene provvedimento va comunicato in copia, ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., al direttore dell’Istituto penitenziario ove il ricorrente è attualmente ristretto per quanto di sua competenza. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente ai pagamento delle spese processuali. Dispone altresì che il presente provvedimento sia trasmesso in copia, ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., al direttore dell’Istituto penitenziario ove il ricorrente è attualmente ristretto.