Quote sociali cedute subito dopo il pignoramento da parte dell’ex moglie: condannato

La condotta tenuta dall’amministratore della società è valutata dai magistrati come un escamotage. Obiettivo era sottrarsi all’obbligo di provvedere ai versamenti mensili in favore della moglie da cui si è separato e della figlia minore. Inutile il richiamo al fatto che la compagine societaria fosse oramai ‘decotta’, e che quindi le quote non avessero valore economico.

Operazione sospetta. L’amministratore cede all’improvviso le proprie quote della società. Escamotage finalizzato, secondo i giudici, ad aggirare il pignoramento fattogli recapitare dall’ex moglie. Ciò legittima la condanna dell’uomo, ritenuto colpevole di violazione degli obblighi di assistenza familiare Cassazione, sentenza n. 18437/2016, Sezione Sesta Penale, depositata ieri . Cessione. È la tempistica a tradire il padre di famiglia. Questo aspetto, difatti, è decisivo, secondo i giudici di merito le quote della società sono state cedute subito dopo la notifica del pignoramento ottenuto dalla moglie . Chiaro l’obiettivo dell’uomo sottrarsi alla obbligazione di versamento , sancita dal Tribunale civile, a favore della consorte e della figlia. Secondo il difensore, invece, è stata letta in modo sbagliato l’intera operazione, perché la cessione delle quote societarie aveva in realtà ragioni esclusivamente economico-aziendali . E, aggiunge ancora il legale, quelle quote non avevano alcun valore economico concreto, essendo la società oramai sostanzialmente ‘decotta’ . Ogni obiezione si rivela, però, inutile. I magistrati della Cassazione, difatti, ritengono corretta la visione tracciata dai giudici del Tribunale. Ciò significa che l’alienazione delle quote sociali è evidentemente un atto di sostanziale, dolosa elusione dell’obbligo di corresponsione di somme mensili a favore della moglie separata e della figlia minore .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 aprile – 3 maggio 2016, n. 18437 Presidente Conti – Relatore Gianesini Ritenuto in fatto 1. II difensore di M.V.V. ha proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza con la quale la Corte di Appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza di condanna del Tribunale della stessa città per il reato di cui all'art. 388 e 570, secondo comma n. 2 cod. pen. per avere il V. alienato, dopo la notifica dei pignoramento ottenuto dalla moglie e per sottrarsi alla obbligazione di versamento a favore di quest'ultima e della figlia minore, le proprie quote di una società di cui era amministratore e per avere fatto mancare alla moglie e alla figlia i mezzi di sussistenza. 2. II difensore ha dedotto un unico motivo con il quale sono stati lamentati violazioni di legge e vizi di motivazione. 2.1 Sotto un primo profilo relativo alla imputazione di cui all'art. 388 cod. pen., il ricorrente ha affermato che la Corte non aveva correttamente valutato la circostanza che la cessione delle quote societarie aveva in realtà ragioni esclusivamente economico-aziendali e le quote stesse non avevano alcun valore economico, il tutto poi a prescindere dalla osservazione che l'alienazione delle quote stesse era stata realizzata prima della notizia dei pignoramento, così che mancava l'elemento soggettivo del reato. 2.2 Sotto un secondo profilo relativo alla imputazione di cui all'art. 570 cod. pen., il ricorrente ha lamentato in termini generali che non fosse stata data risposta alle problematiche sollevate con i motivi di appello e che la Corte territoriale non avesse valutato la concreta capacità economica dell'obbligato che era a capo di una società sostanzialmente decotta e che aveva corrisposto, seppure in modo parziale, quello che aveva potuto, così che anche per questa ipotesi difettava l'elemento soggettivo dei reato tanto più che non era stata sufficientemente motivata nemmeno l'effettiva sussistenza dello stato di bisogno della ex moglie. Considerato in diritto 1. II ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. 2. II primo motivo di ricorso, quello direttamente riferibile al reato di cui all'art. 388 cod. pen., costituisce la riproposizione di profili e considerazioni di fatto già sollevati davanti alla Corte di Appello e da questa convincentemente ed esaurientemente confutati, senza alcuna specifica critica del percorso motivazionale della prima e della seconda sentenza di merito che avevano dettagliatamente indicato le ragioni per le quali l'alienazione delle quote sociali indicate al capo A doveva ritenersi un atto di sostanziale, dolosa elusione dell'obbligo di corresponsione di somme mensili a favore della moglie separata e della figlia minore di cui alla sentenza 1352/07 del Tribunale Civile di Reggio Calabria. 3. In merito poi al reato di cui all'art. 570 cod. pen. va premessa la necessaria considerazione che, secondo costante ed univoca giurisprudenza della Corte di Cassazione, quando le decisioni dei giudici di primo e di secondo grado sono concordanti, avendo utilizzato criteri omogenei di decisione e seguito un apparato logico - argomentativo uniforme, la motivazione della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico corpo argomentativo si vedano al riguardo e da ultimo, Cass. sez. 6 del 8/10/2013, n. 46742, Rv 257332 che fa seguito ad altra, di identico tenore, quale Cass. sez. 4 del 11/7/2012, n. 35922, Rv 254617 . 3.1 Ciò detto, va osservato come in realtà i motivi di appello dell'imputato, benché costituiti per la quasi totalità dalla enunciazione di principi giurisprudenziali relativi al reato di cui all'art. 570 cod. pen., siano stati valutati sul punto specifico sollevato con gli stessi e cioè quello della esistenza dello stato di bisogno della moglie e della figlia minore, sia pure con una motivazione assai stringata che si deve però saldare, sulla base dei principi sopra ricordati, con la motivazione della sentenza di primo grado dove si era dato ampiamente conto della esistenza sia dello stato di bisogno della moglie e della figlia sia della concreta possibilità, da parte dell'imputato, di corrispondere i mezzi di sussistenza necessari alla vita delle due congiunte. 3.2 Al rigetto del ricorso consegue poi la condanna al pagamento delle spese processuali, come previsto dall'art. 616 cod. proc. pen. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.