Archiviazione e (successiva) calunnia: una relazione da precisare

La Cassazione conferma il grado di autonomia fra procedimento penale che ha condotto all’archiviazione per un fatto e procedimento penale che giudica sulla calunnia per quei medesimi fatti. Quando l’archiviazione è fondata su prove dichiarative incerte ed ambigue, ad egual esito si giunge per il procedimento di calunnia che ha seguito. Solo nuove prove possono fondare la calunnia.

Così la Cassazione, Sesta sez. Penale, sentenza n. 17951/2016, depositata il 29 aprile. Il fatto processuale gli strascichi di una archiviazione. Giunge archiviazione nei confronti di un cancelliere giudiziario che aveva mal apostrofato altra dipendente, contestati i reati di diffamazione ex art. 595 c.p., atti persecutori ex art. 612- bis c.p. e lesioni volontarie ex art. 582 c.p A seguito di richiesta risarcitoria in sede civile dell’offesa, il cancelliere avanza denuncia/querela per calunnia ex art. 368 c.p. nei confronti della dipendente denunciante nonché per false dichiarazioni al difensore ex art. 371- ter c.p. nei confronti di altre dipendenti che avevano suffragato l’ipotesi di reato nel procedimento penale poi archiviato, anche sulla scorta di un solido rapporto amichevole con la persona offesa, di cui il giudice non avrebbe tenuto adeguatamente conto. Il giudice per l’udienza preliminare emette per tutte sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p Il denunciante ricorre in Cassazione, rilevando la precarietà dei tessuti motivazionali a sostegno della determinazione giudiziaria. Il ricorso in Cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere. Non tutto è concesso rilevare. Non può avere ad oggetto la valutazione degli elementi acquisiti dal pubblico ministero, altrimenti si risolverebbe a giudizio di fatto precluso in sede di legittimità. Oggetto del giudizio è la sistematica degli elementi raccolti a sostenere l’accusa in giudizio - dunque l’incisività probatoria dei medesimi ai fini di un vaglio dibattimentale - ovvero l’immodificabilità degli stessi nella sede processuale della formazione della prova – tal che se è stato prodotto un giudizio negativo sulla sostenibilità dell’impianto accusatorio, questo non potrebbe maturare diversamente nei confronti dell’indagato, anche in relazione all’ampiezza della raccolta probatoria -. Archiviazione e successiva calunnia. Sotto il profilo logico, immediatamente intuitivo, pare evidente che l’innocenza dell’imputato costituisca la condizione necessaria per l’accertamento del reato di calunnia. Tuttavia, occorre fare i conti con il complesso dei sillogismi giudiziari e delle regole di diritto che governano l’accertamento penale per la reità di una condotta. Tanto vale innanzitutto sotto il profilo dell’elemento oggettivo del reato, da parte considerando quello sull’elemento soggettivo, che pur rileva, spesso in modo risolutivo della faccenda penale, in sede di accertamento penale della calunnia – Chiunque incolpa taluno di un reato taluno che il calunniatore sa innocente , ai sensi dell’art. 368 c.p. –. Quando l’archiviazione, pur se definitiva, ha conclusivamente statuito sull’innocenza dell’imputato non segue la lineare contestazione del fatto penale di calunnia in capo alla già querelante/denunciante. Perché vige, per entrambi i procedimenti, quell’area grigia di incertezza nella valutazione giudiziale penale – la condanna l’oltre ogni ragionevole dubbio – che impedisce di poter qualificare il processo per calunnia a carico del denunciante l’esito necessario di una archiviazione per quei medesimi fatti emessa a favore del denunciato. A tacer del fatto che, qualora si volesse sgretolare la relazione di autonomia fra determinazione di archiviazione per un fatto denunciato ed accertamento penale sulla calunnia, s’andrebbe a condizionare, pregiudicandola, la regola della tutelabilità in giudizio dei propri diritti ex art. 24 della Costituzione. L’incertezza uccide entrambi i reati. Specie se fondata su elementi dichiaratori. Dunque fra le righe della Cassazione in commento emerge l’intuitiva regola, di cui i Giudici fanno applicazione. Se di un fatto si discute la reità ma giunge l’archiviazione siccome le prove, specie se dichiarative, sono contrastanti, opposte e alla lunga fondate su valutazioni e percezioni personali del fatto – talvolta inscindibili dal dichiarato -, non può che seguire l’archiviazione anche per la successiva denuncia di calunnia mossa dall’asserito calunniato. L’incertezza costituisce terreno troppo arido per fondare gli accertamenti penali, da una parte o dall’altra delle contrapposizioni processuali. I giudici dichiarano inammissibile il ricorso. Ma, occorre precisare, che la sentenza di non luogo a procedere è decisione allo stato degli atti che non forma giudicato. Dunque il calunniato dovrebbe adoperarsi per trovare nuove prove meglio se non dichiarative, più certe ed univoche nell’attendibilità e nel significato indiziario e probatorio al fine di poter chiedere la revoca della sentenza ex art. 434 c.p

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 13 ottobre 2015 – 29 aprile 2016, n. 17951 Presidente Milo – Relatore Paoloni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa in data 8.6.2010, ai sensi dell’art. 410 - comma 3 - c.p.p., il g.i.p. del Tribunale di Verona su conforme richiesta del procedente p.m. ha disposto l’archiviazione del procedimento penale nei confronti di L.G.L. , cancelliere in servizio presso il Tribunale di Verona, per i reati di diffamazione, atti persecutori e lesioni volontarie in pregiudizio dell’operatore giudiziario Lo.Ci. , che - secondo la rappresentazione della vicenda esposta dalla denunciante - l’avrebbe pesantemente redarguita in presenza del pubblico per sue asserite inadempienze lavorative situazione produttiva di grave disagio alla Lo. rimasta vittima di un malore durante il suo successivo colloquio con il dirigente amministrativo del Tribunale caduta dalla sedia, riportando lesioni . In seguito all’archiviazione, vistosi raggiunto da una richiesta risarcitoria della Lo. , il L. ha presentato denuncia-querela per il reato di calunnia nei confronti della stessa Lo. avendola costei, con la sua iniziale denuncia, falsamente accusato di reati valutati insussistenti alla luce della menzionata ordinanza di archiviazione e per falsa testimonianza nei confronti di B.C. e S.A. , persone asseritamente presenti al battibecco - lite a suo tempo 9.5.2008 intercorso tra il L. e la Lo. , che - assunte a sommarie informazioni dal difensore della Lo. art. 391 bis c.p.p. - avevano avvalorato la prospettazione accusatoria dell’impiegata della giustizia. Il procedente pubblico ministero del Tribunale di Verona ha quindi iscritto procedimento penale nei confronti di Lo.Ci. per il delitto di calunnia in danno del L. falsamente accusato, con denuncia-querela dell’8.8.2008, dei reati di cui agli artt. 582, 594, 595 e 612 bis c.p. e nei confronti di B.C. e S.A. per il delitto di concorso in false dichiarazioni al difensore della Lo. ex art. 371 ter c.p. per aver falsamente affermato essere avvenuta un’aggressione verbale in data 9.5.2008 in danno di Lo.Ci. ad opera di Leonardo L. , a seguito della quale la Lo. era uscita piangendo . Delitti per i quali, acquisiti gli atti dell’originario procedimento archiviato a carico di L. , lo stesso p.m. ha esercitato l’azione penale, chiedendo il rinvio a giudizio delle tre imputate. 2. Al termine dell’udienza preliminare, in cui L.G.L. si è costituito parte civile, il g.u.p. del Tribunale di Verona, con sentenza del 28.11.2014, ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti della Lo. , della B. e della S. in ordine ai reati loro ascritti con le formule del fatto non costituente reato per la Lo. e dell’insussistenza del fatto per la B. e la S. . La sentenza, previamente inquadrata la vicenda integrante la regiudicanda nel quadro dei rapporti tesi o decisamente conflittuali venutisi a creare nel tempo tra il cancelliere L. e l’operatore giudiziario Lo. cui il primo rimprovera scarsa dedizione al lavoro dietro l’apparente giustificazione degli impegni sindacali dell’impiegata , ha escluso la sussistenza dei presupposti per la sostenibilità delle accuse prefigurate dal p.m. nei confronti delle tre imputate nell’eventuale successivo giudizio dibattimentale, sì che questo possa davvero apportare elementi conoscitivi ulteriori e diversi per definire in termini di affidabilità probatoria le posizioni processuali delle parti in causa. In sintesi il g.u.p., da un lato, ha valutato più che verosimile che la Lo. possa aver interpretato in perfetta buona fede, ancorché a torto, le sollecitazioni lavorative e i ripetuti richiami del dirigente L. , culminati nel pesante alterco del 9.5.2008, reputandoli espressione di una vera e propria strategia persecutoria a suo danno . Da un altro lato, lo stesso giudice ha considerato non dirimibile in sede dibattimentale il palese contrasto esistente quanto al citato episodio del 9.5.2008 tra le dichiarazioni rese dalla S. e dalla B. e quelle rilasciate dagli altri impiegati giudiziari in servizio presso la cancelleria del Tribunale veronese non si comprende per quale ragione la loro versione dovrebbe essere meno credibile di quella degli appartenenti alla cancelleria penale . 3. La sentenza di non luogo a procedere è stata impugnata per cassazione dalla parte civile L.G.L. e formalmente anche dal Procuratore della Repubblica di Verona, limitatosi a far propria la memoria-richiesta depositata presso il suo ufficio, ai sensi dell’art. 572 c.p.p., dalla parte civile e recante l’integrale traslitterazione dei contenuti del ricorso. La duplice impugnazione in realtà della sola parte civile per le ragioni appena precisate deduce, con un solo pluriarticolato motivo, vizi di legittimità del provvedimento decisorio per violazione di legge art. 425 c.p.p. nonché per travisamento delle fonti di prova e connessa carenza e contraddittorietà della motivazione. Vizi riassunti come di seguito per gli effetti di cui all’art. 173 co. 1 disp. att. c.p.p La specifica enunciazione dei motivi di doglianza segue un’estesa esposizione per oltre la metà del corposo atto impugnatorio delle sequenze processuali della vicenda oggetto delle imputazioni e, in particolare, la riproduzione delle dichiarazioni della B. e della S. raccolte dal difensore della Lo. pp. 1-17 del ricorso . Ancora ripercorrendo i passaggi del procedimento fino all’archiviazione degli atti nei confronti del L. e alla successiva incriminazione delle odierne imputate , il ricorso lamenta la mancata o fuorviata verifica dell’attendibilità intrinseca ed esterna della B. e della S. , avendo in particolare il g.u.p. omesso di apprezzare nella giusta valenza probatoria il rapporto di pregressa conoscenza esistente tra la Lo. e la B. alla luce delle visure camerali allegate alla denuncia dell’8.8.2013 della p.c. L. , dalle quali si evince che la Lo. ha effettivamente gestito un negozio di oggettistica etnica a Villafranca di Verona, che la Lo. avrebbe suggerito di visitare al cancelliere Loretta Soriani come da questa riferito alla p.g. , avendo appreso che abitava a Villafranca. Evenienza atta a dimostrare la preesistenza di rapporti amicali tra la Lo. e la stessa B. e, quindi, ad infirmare la terzietà delle dichiarazioni della B. . Analogamente il decidente g.u.p. non ha lumeggiato esattamente i luoghi in cui si sarebbe svolto il preteso alterco tra il L. e la Lo. , verificatosi non in luogo accessibile al pubblico degli utenti della cancelleria, ma - come riferito dall’autista della Procura della Repubblica G.P. da ritenersi l’unica persona effettivamente presente alla discussione - si è verificato nella sola anticamera della cancelleria penale del Tribunale. Le notizie riferite dal G. , sono indirettamente confermate dalle informazioni rese da una serie di persone, quali oltre al citato cancelliere Soriani dai cancellieri M.G. e Bu.Iv. e dall’operatore R.R. che hanno riferito di non aver visto transitare i due protagonisti nell’area di stazionamento del pubblico . Poiché numerosi testimoni non confortano l’assunto narrativo della Lo. nonché della B. e della S. , le valutazioni del g.u.p. trascendono l’ambito di operatività della decisione di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p., sicché gli elementi acquisiti nelle indagini non possono reputarsi insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio contro le tre imputate di cui il p.m. ha sollecitato il rinvio a giudizio. La stessa sentenza, d’altra parte, assume come sostanzialmente provata nella sua materialità la sussistenza dell’addebito mosso alla Lo. calunnia , unicamente stemperato dalla mera ipotesi che la donna sia rimasta vittima di una situazione psicologica che ne ha condizionato il giudizio e la memoria dei fatti, come conseguenza della sua pretesa caduta a terra, dopo la discussione con L. , caduta che vive solo nelle sue parole in assenza di attendibili testimoni diretti dell’episodio. Né, infine, il g.u.p. si è interrogato sulle ragioni per cui la Lo. abbia presentato la sua querela, valutata calunniosa dal p.m., soltanto alla scadenza del rituale termine di tre mesi dai fatti avvenuti il 9.5.2008, querela presentata l’8.8.2008 . 4. Le notazioni critiche della ricorrente parte civile e dell’adesivo ricorso del p.m. sono state contrastate dal difensore delle tre imputate, che - nel censurare la carenza di autonoma motivazione del ricorso del p.m. - ha osservato, tra l’altro, come le critiche della parte civile eludano il dato storico, pur messo in risalto dalla sentenza impugnata, dei risalenti rapporti di tensione e acrimonia instauratisi tra il L. e la Lo. , che impediscono di prestar fede alla sola ricostruzione dei fatti proposta dal cancelliere. Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto nell’interesse della parte civile L.G.L. e con esso il ricorso del pubblico ministero vanno dichiarati inammissibili per indeducibilità e manifesta infondatezza degli esposti argomenti critici, caratterizzati da difetto di specificità ovvero da prospettazioni incentrate su una rivisitazione di segno meramente fattuale delle fonti di prova, incongruamente rimessa all’apprezzamento di questo giudice di legittimità, nonché da assertivi presupposti in diritto, palesemente infondati, che non scalfiscono la logicità e coerenza della decisione del g.u.p. del Tribunale di Verona. 2. Ad onta della cospicua dilatazione dell’atto impugnatorio 33 pagine i rilievi elaborati dalla ricorrente parte civile sono privi di specificità, perché - oltre a pletoriche affermazioni di principio afferenti più alla sequenza della dinamica processuale che ai referenti del processo penale - non esprimono una effettiva e concreta lettura critica degli argomenti che sorreggono la decisione impugnata e della regola di giudizio che l’ha ispirata, correttamente incentrata sulla ritenuta inutilità del dibattimento. Regola correlata sia alla completezza dei dati di conoscenza già acquisiti e della loro non prevedibile surrogabilità in un successivo giudizio dibattimentale, sia alla conseguente impossibilità di sostenere con esito positivo l’accusa in giudizio Sez. 6, n. 36210 del 26.6.2014, Rv. 260248 Sez. 6, n. 5049/13 del 27.11.2011, Cappello, Rv. 254241 . In questa prospettiva irragionevoli e distoniche vanno valutate le censure formulate con il ricorso a sostegno della calunniosità dell’assunto dichiarativo della Lo. e della falsità delle informazioni rese dalla B. e dalla S. . Affatto impropria si mostra, per vero, l’incongrua sovrapposizione di pretesi profili fattuali della vicenda che il ricorso reputa di attribuire alla decisione impugnata, pretermettendo una puntuale lettura dei medesimi dati di fatto che, alla luce della coerente motivazione della decisione del g.u.p. veronese, non lasciano margini di reale incertezza sull’insufficienza delle prove della volontà calunniatrice della Lo. e delle valenze mistificatorie delle dichiarazioni delle due coimputate. L’odierno ricorso della parte civile si traduce, in altri termini, in una fuorviante e improponibile trasposizione in sede penale dell’accertata e perdurante situazione di conflittualità tra la Lo. e la parte civile L. . Il quadro probatorio che integra la regiudicanda rimane connotato, quindi, come precisa la sentenza impugnata, dalla inadeguata dimostrazione delle ipotesi di accusa, sì da non poter conseguire utili esiti nel corso del dibattimento nel contraddittorio fra le parti. La sentenza impugnata non ha travalicato, per tanto, i limiti valutativi coessenziali alla decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio degli imputati per gli effetti di cui al combinato disposto degli artt. 424 e 425 c.p.p Ribadito che in sede di legittimità il controllo sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere, ex art. 606, comma 1 - lett. d o lett. e , c.p.p. non può avere per oggetto gli elementi acquisiti dal p.m., ma soltanto la giustificazione adottata dal giudice nel valutarli, e quindi la riconoscibilità del criterio prognostico adottato per escludere che l’accusa sia sostenibile in giudizio Sez. 6, n. 35668 del 28/03/2013, Abbamonte, Rv. 256605 , è agevole osservare che il decidente g.u.p. non ha fatto altro che rappresentare nella loro diacronica dinamica evolutiva le emergenze processuali, giudicandole non idonee a sostenere con esiti positivi l’accusa in giudizio arg. ex art. 125 disp. att. c.p.p. . Deve allora riconoscersi che il g.u.p. ha motivatamente applicato l’indicata regola di giudizio fissata dall’art. 425 c.p.p. in funzione di una corretta prognosi dibattimentale imperniata sull’esigenza art. 111 Cost. di evitare dibattimenti inutili o non suscettibili, oggettivamente, di modificare una piattaforma probatoria scandita da discrasie non altrimenti sanabili. 3. Non è revocabile in dubbio che l’innocenza del calunniato costituisce un presupposto del delitto di calunnia, di tal che l’accertamento di essa è pregiudiziale al giudizio sulla sussistenza della calunnia. Ma tale pregiudizialità afferisce soprattutto, sul piano logico, al sillogismo della decisione sull’imputazione di calunnia e non richiede necessariamente, sul piano processuale, l’accertamento in un separato procedimento contro il calunniato volto a verificare l’inconsistenza o infondatezza dell’accusa indirizzatagli dal calunniatore. Il giudizio sul reato di calunnia è, infatti, del tutto autonomo da quello concernente il reato ascritto al calunniato. Di guisa che la sentenza, pur se definitiva, pronunciata nel processo instaurato nei confronti dell’incolpato non fa stato nel processo contro il calunniatore, in cui è consentito al giudice di rivalutare - ai fini della constatazione della falsità o meno della notizia di reato proveniente dal calunniatore - i fatti che hanno già formato oggetto di esame nel giudizio contro l’incolpato ex plurimis Sez. 6, n. 47314 del 12.11.2009, Cento, Rv. 245483 Sez. 6, n. 45907 del 15/10/2013, Rosato, Rv. 257442 Sez. 6, n. 53614 del 03/12/2014, Chiacchiaretta, Rv. 261873 . Ciò è quel che si è verificato nell’ambito della presente vicenda processuale, in cui l’intervenuta archiviazione degli atti relativi alla parte civile L. per i reati ipotizzati a suo carico non fa che confermare la situazione di indiscutibile incertezza sulla volontà calunniatrice della Lo. e, per effetto derivato, sulla reale finalità mistificatoria delle dichiarazioni della B. e della S. . Mette conto sottolineare, allora, che - come di recente precisato da questa Corte regolatrice - la regola di giudizio ai fini della transiatio jiudicii o del proscioglimento dell’imputato, quale definita dal combinato disposto degli artt. 425 c.p.p. e 125 disp. att. c.p.p., è rappresentata dalla verifica del giudice dell’udienza preliminare che il coefficiente di serietà della fondatezza delle contestazioni ipotizzate dalla pubblica accusa sia corredato o meno da una prospettiva di utile sviluppo delle prove a carico nel corso del dibattimento ovvero dalla impossibilità che ciò avvenga . Di guisa che la situazione di incertezza probatoria, pur se si collochi in un caso nel quale è innegabile lo sviluppo dibattimentale, non giustifica il rinvio a giudizio . Il ruolo del g.u.p., infatti, non è certamente quello di verificare l’innocenza se non evidente o la colpevolezza dell’imputato, ma quello di individuare una minima probabilità di colpevolezza, condizione che giustifica la sottoposizione al processo, e l’assenza di ragioni per ritenere che l’accusa non sia suscettibile di essere definitivamente provata in dibattimento . Con la conseguenza che il g.u.p. è chiamato ad una valutazione di effettiva consistenza del materiale probatorio a fondamento della accusa a carico dell’imputato, essendo tale condizione minima necessaria a giustificare la sottoposizione al processo ritenuta tale adeguatezza, se del caso esercitando i poteri di integrazione delle indagini che gli vengono riconosciuti, il g.u.p. dispone il rinvio a giudizio fatto salvo il caso in cui vi siano concrete ragioni per ritenere che non sia possibile giungere in alcun modo ad una prova di colpevolezza in dibattimento, a ciò non prestandosi il materiale individuato o che, ragionevolmente, potrebbe essere individuato in tali termini Sez. 6, n. 33763 del 30/04/2015, Quintavalle, Rv. 264427 cfr., altresì Sez. 6, n. 36210 del 26/06/2014, C., Rv. 260248 Sez. 6, n. 29156 del 03/06/2015, Arvonio, Rv. 264053 . 4. Ne discende, d’altro canto e come è opportuno aggiungere, che non può prescindersi dalla peculiarità della sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p., afferente al grado di stabilità stessa della decisione, che non forma giudicato le sentenze di non luogo a procedere sono revocabili in quanto tipiche decisioni allo stato degli atti e involgente il tema della non sempre agevole individuazione della linea divisoria tra il concetto di sostenibilità o non sostenibilità in giudizio dell’accusa, categoria giuridica fissata dal comma 3 dell’art. 425 c.p.p. come novellato nel 1999 e che costituisce il discrimine valutativo di riferimento del giudice di fronte a situazioni probatorie prive di univoca efficacia probatoria. In altri termini di situazioni di contraddittorietà delle fonti di prova o di vera e propria insufficienza di prova di risalente memoria. Non vi è dubbio che la nozione in esame denuncia una sua intrinseca volatilità, che rende in molti casi ardua l’opzione selettiva tra un apprezzamento positivo o negativo. Ed è appena il caso di osservare che il precetto di cui all’art. 425, comma 3, c.p.p. solo tendenzialmente è assimilabile a quello prefigurato, con omologa forma lessicale, dall’art. 530, comma 2, c.p.p Va da sé, infatti, che una cosa è esprimere un giudizio che si radichi su una esauriente e in linea di massima totalizzante basti pensare alle nuove prove assunte in dibattimento ex art. 507 c.p.p. acquisizione di elementi di prova, con i quali il percorso per raggiungere la verità processuale può, in linea di principio, considerarsi compiuto in tutte le sue possibili varianti. Altra cosa è formulare un vaglio di sufficienza od insufficienza delle prove in un contesto temporale che precede la dialettica dibattimentale. Vaglio da condursi secondo un modulo prognostico, dovendo il giudice rappresentarsi se ed in quale misura il compendio probatorio in quel momento disponibile sulla posizione dell’imputato possa o meno mutare nella successiva fase processuale sino ad arricchirsi di quei dati integrativi che avvalorino l’eventuale giudizio di sussistenza del fatto reato. Una valutazione complessa che racchiude in sé la delibazione imposta dal parametro della sostenibilità o insostenibilità dell’accusa in giudizio. Nondimeno ciò non può significare che - per usare un paradosso - in caso di dubbio sul dubbio, cioè sulla sufficienza o non contraddittorietà delle prove proponibili nel giudizio dibattimentale, il g.u.p. debba sempre e soltanto optare per l’ipotesi della potenziale sostenibilità dell’accusa e per il rinvio a giudizio dell’imputato evenienza che frustrerebbe le esigenze deflattive che, come è pacifico, ispirano il disposto del terzo comma dell’art. 425 c.p.p. Quanto piuttosto che il giudizio di sostenibilità dell’accusa deve per forza di cose coniugarsi ad un giudizio, più che di modificabilità in senso accusatorio dell’accusa evenienza sempre possibile , di maggiore o minore stabilità del materiale probatorio sul quale esprimere la valutazione. Nel senso che il giudizio di prognosi sulla tenuta dell’accusa in dibattimento è tanto più saldo quanto più esteso sia il ventaglio delle fonti di prova raccolte al momento della decisione conclusiva dell’udienza preliminare. Ne consegue, insomma, che nel particolare giudizio anticipato in cui si sostanzia l’udienza preliminare la decisione di non luogo a procedere è destinata a radicarsi più saldamente a tutte le valenze delle esaurienti, se non anche esaurite, fonti probatorie fino a quel momento raccolte e, dunque, anche a i postulare un incidentale giudizio di loro potenziale immodificabilità. Tale genere di articolata valutazione è in definitiva quel che caratterizza la decisione liberatoria del g.u.p. scaligero oggi impugnata. Il vero è che i parametri di volta in volta indicati o suggeriti per definire la regola di giudizio applicabile dal giudice dell’udienza preliminare rischiano di divenire autoreferenziali e, altresì, che assiomi imperniati sulla natura soltanto processuale della sentenza di non luogo a procedere ovvero sulla parzialità dell’area valutativa del g.u.p. c.d. cognizione semi-piena finiscano per eludere la ricorrente problematica. Problematica che, alla luce dei penetranti poteri di integrazione probatoria riconosciuti al giudice dell’udienza preliminare dall’art. 422 c.p.p., come modificato dalla legge 16.12.1999 n. 479, impone di prendere atto che la decisione adottata ai sensi dell’art. 425 c.p.p. non ha una struttura logica realmente diversa dalla decisione dibattimentale. A tale realistico esito dell’inquadramento sistematico dell’udienza preliminare e del suo possibile epilogo liberatorio non può non pervenirsi, allorché si rammenti che la ratio ispiratrice dell’originaria previsione dell’art. 425 c.p.p. risiede in palesi finalità deflattive, volte ad impedire pur nel rispetto del principio costituzionale di obbligatorietà dell’azione penale, ma parimenti di quello non meno rilevante di presunzione di innocenza la coltivazione di accuse infondate e la celebrazione di dibattimenti inutili o superflui c.d. funzione filtro dell’udienza preliminare . Ed ancora allorché si osservi come tali esigenze si raccordino vieppiù intensamente, nell’attuale evoluzione della giurisprudenza eurocomunitaria e ai suoi sempre più incisivi effetti sugli ordinamenti nazionali, ai principi di un processo equo e destinato ad esaurirsi in tempi ragionevolmente brevi artt. 6, 8 CEDU . Non sembra seriamente discutibile, dunque, che l’estensione della piattaforma cognitiva del giudice dell’udienza preliminare, favorita dall’attività integrativa delle indagini prevista dall’art. 422 c.p.p., avvicina il ruolo del g.u.p. a quello del giudice istruttore del previgente sistema processuale art. 378 c.p.p. 1930 sentenza istruttoria di proscioglimento, alternativa all’ordinanza di rinvio a giudizio . Con l’ovvia e insidiosa conseguenza che, nell’attuale ordinamento processuale diversamente da quanto previsto dal previgente codice di rito , il ricorso per cassazione, unico mezzo di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, non permette di risolvere per i limiti propri del giudizio di legittimità giudizio sulla decisione e non sui fatti oggetto di decisione le eventuali distonie valutative dello sbarramento improcedibilità posto alla prosecuzione dell’azione penale dalla decisione ex art. 425 c.p.p I rilievi fin qui sviluppati offrono spazio, allora, per puntualizzare che il giudizio del g.u.p. ai sensi dell’art. 425 c.p.p. non dissimile, quanto a criteri di valutazione delle prove ex art. 192 c.p.p., da quello conclusivo del giudizio di merito di primo grado, si connota in definitiva per un unico fondamentale criterio di valutazione anticipata prognostica, ma ancor prima diagnostica sul materiale probatorio disponibile e sulla sua evolutiva trasformazione diacronica nel successivo eventuale dibattimento. Di tal che il criterio o parametro della decisione regola di giudizio rimane, in definitiva, quello - come pure è stato chiarito dalla giurisprudenza di questa S.C. - della inutilità o non del dibattimento, anche in presenza di dati probatori contrastanti o insufficienti. Inutilità da correlare ovviamente alla verifica dei risultati delle indagini preliminari eventualmente surrogati ex art. 422 c.p.p. ed alla realistica valutazione di immediata definibilità del procedimento per una delle cause di improcedibilità elencate dall’art. 425 co. 1 c.p.p., in una proiezione probatoria ritenuta ragionevolmente destinata a non mutare. In un quadro prospettico, dunque, in cui le eventuali insufficienza e contraddittorietà dei dati probatori assumono aspetti tali da farli considerare intangibili o non superabili nel corso del giudizio dibattimentale v. in termini Sez. 5, 15.5.2009 n. 22864, Giacomin, Rv. 244202 Sez. 4, 6.10.2009 n. 43483, Pontessilli, Rv. 245464 Sez. 6, n. 33921 del 17/07/2012, Rolla, Rv. 253127 Sez. 6, n. 5049/13 del 27/11/2012, Cappello, Rv. 254241 . Per effetto della declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione il ricorrente privato va onerato del pagamento delle spese processuali e del versamento di una somma alla cassa delle ammende, equamente determinata in misura di euro 500,00 cinquecento . P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna la parte privata ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro cinquecento alla cassa delle ammende.