Atto abnorme ossia affetto da inaccettabile irragionevolezza. Ma è davvero questo il caso?

A seguito della richiesta da parte del ricorrente, delle copie integrali delle intercettazioni telefoniche e ambientali al fine di verificare la correttezza procedimentale delle indagini, il gip si rifiuta adducendo esigenze di segretezza e di salvaguardia del diritto alla riservatezza.

Con sentenza n. 17173/16 depositata il 26 aprile, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Il caso Ricorre il difensore dell’istante per l’annullamento del decreto emesso nell’ambito di un procedimento penale presso il Tribunale di Napoli, con il quale il gip aveva rigettato la richiesta di autorizzazione ad estrarre copia di tutte le richieste e di tutti i decreti di autorizzazione e proroga delle intercettazioni telefoniche ed ambientali richiamate negli atti del fascicolo, nonché delle bobine delle medesime captazioni . Lo stesso gip, nell’archiviare il procedimento, aveva comunque autorizzato il rilascio delle copie richieste dagli aventi diritto, benché i medesimi avessero poi ricevuto solo copie parziali, mancando non solo le bobine, ma anche i decreti di intercettazione e proroga. Avanzando, pertanto, una nuova richiesta in tal senso, si erano visti rigettare l’istanza in ragione di esigenze di segretezza e di salvaguardia del diritto alla riservatezza degli altri soggetti in vario modo coinvolti nella vicenda . Il suddetto provvedimento, a detta del ricorrente, deve essere considerato abnorme. Un atto è considerato affetto da vizio di abnormità se, per singolarità e stranezza del suo contenuto, si presenti avulso dall’intero ordinamento processuale ovvero, pur essendo in astratto manifestazione di un potere legittimo, sia in realtà emesso al di fuori dei casi consentiti e dalle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. La Corte chiarisce tuttavia che il provvedimento non solo non è abnorme ma anche inoppugnabile. Il gip ha infatti rigettato la richiesta sulla base di una valutazione comparativa avente ad oggetto, da un lato, l’interesse del richiedente che aveva già avuto conoscenza di tutti gli atti dell’indagine e, dall’altro, il diritto alla riservatezza di soggetti terzi. Inoltre, dinanzi ad una richiesta di archiviazione, l’indagato non aveva particolari esigenze difensive da tutelare.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 4 – 26 aprile 2016, n. 17173 Presidente Ippolito - Relatore Rotundo Fatto e diritto 1 .-. Con il ricorso indicato in epigrafe il difensore di A.M. ha chiesto l'annullamento del decreto emesso in data 26-10-15, nell'ambito del proc. pen. nn. 46434/14 RGNR e 12645/15 RGGIP, dal GIP presso il Tribunale di Napoli, con il quale è stata rigettata la richiesta di autorizzazione ad estrarre copia di tutte le richieste e di tutti i decreti di autorizzazione e proroga delle intercettazioni telefoniche ed ambientali richiamate negli atti del fascicolo, nonché delle bobine delle medesime captazioni. Il ricorrente premette che il GIP di Napoli, nell'archiviare in data 9-7-15 il procedimento, aveva autorizzato il rilascio di copie a richiesta degli aventi diritto. In data 9-10-15, a seguito della richiesta di copia integrale del fascicolo delle indagini preliminari comprese le bobine delle intercettazioni , il medesimo ricorrente aveva ottenuto copia parziale degli atti, mancando non solo dette bobine ma anche i decreti di intercettazione e proroga. Egli aveva, quindi, avanzato nuova richiesta in tal senso, ma il 26-10-15 tale istanza era stata rigettata dal GIP alla luce della informazione resa dai P.M. in ordine alla pendenza di altri procedimenti a carico di terzi , in cui gli atti richiesti sarebbero confluiti trattandosi di procedimenti in fase di indagine, doveva necessariamente prevalere la esigenza di segretezza e si doveva altresì salvaguardare il diritto alla riservatezza degli altri soggetti in vario modo coinvolti nella vicenda . Questo provvedimento del 26-10-15 sarebbe, ad avviso del ricorrente, abnorme, in quanto, pur essendo in astratto manifestazione di un legittimo potere, sarebbe stato emesso al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite e realizzerebbe un atto palesemente irragionevole, in considerazione, da un lato, del fatto che la copia degli atti era già stata autorizzata dal GIP e il contenuto delle intercettazioni era già stato riportato nei brogliacci e, dall'altro, della possibilità di omissare le conversazioni non ancora ostensibili. 2 .-. Questa Corte ha già chiarito che é inoppugnabile il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari rigetta l'istanza della persona indagata di rilascio di copia della richiesta di archiviazione all'esito di una valutazione degli interessi coinvolti nel procedimento, non trattandosi di atto abnorme v. da ultimo sentenza n. 14999 del 13/12/2013, Rv. 260884, Cisterna . Infatti l'art. 116 c.p.p., che disciplina la materia, non prevede la possibilità di impugnare i provvedimenti adottati al riguardo, ne' è rinvenibile nell'ordinamento processuale altra disposizione che preveda una tale facoltà. Ne consegue che, in forza del principio di tassatività dei provvedimenti impugnabili e dei relativi mezzi di impugnazione art. 586 c.p.p., comma 1 il ricorso per cassazione proposto avverso il rifiuto di rilasciare copie di atti processuali deve ritenersi inammissibile Sez. 6^, 11 aprile 1995, n. 1412, lacovelli Sez. 1^, 25 maggio 1994, n. 2498, Ascione Sez. 6^, 10 maggio 1993, n. 1356, Di Napoli Sez. 3^, 2 settembre 1993, n. 1851, Boccolato , a meno che non si deduca l'abnormità del provvedimento, così come ha fatto il ricorrente nel presente ricorso. Tuttavia, nel caso in esame deve escludersi che il diniego del G.i.p. all'estrazione di copia degli atti richiesti possa essere considerato atto abnorme e come tale impugnabile direttamente in cassazione. Mancando una espressa definizione legislativa di abnormità, la Cassazione ne ha ormai elaborato i tratti caratteristici, rinvenendoli nell'atto che si ponga al di fuori dell'ordinamento e determini una stasi del procedimento non altrimenti rimuovibile se non con l'impugnazione. Più precisamente è affetto da tale vizio l'atto che, per singolarità e stranezza del suo contenuto si presenti avulso dall'intero ordinamento processuale ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, sia emesso al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite Sez. un., 25 febbraio 2004, n. 19289, p.m. in proc. Lustri Sez. 2^, 5 giugno 2003, n. 27716, p.o. in proc. Biagia Sez. un., 29 maggio 2002, n. 28807, Manca Sez. un., 11 luglio 2001, n. 34536, p.g. in proc. Chirico Sez. un., 24 marzo 1995, n. 8, p.m. in proc. Cimili Sez. un., 18 giugno 1993, n. 19, p.m. in proc. Garonzi . Si è anche precisato che l'abnormità dell'atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l'atto per la sua singolarità si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo Sez. 5^, 11 marzo 1994, n. 1465, p.m. in proc. Luchino Sez. 3^, 14 luglio 1995, n. 2853, p.m. in proc. Beggiato Sez. 5^, 14 gennaio 1997, n. 87, p.m. in proc. Biancucei . La vastità della casistica rende complicata l'individuazione dei caratteri comuni dell'abnormità, che tuttavia appare identificabile, con una certa approssimazione, sotto un duplice profilo da un lato, il provvedimento abnorme è quello che presenta un forte grado di eccentricità rispetto al sistema, risulta cioè estraneo e avulso all'ordinamento processuale, inteso come complesso normativo unitario dall'altro, la giurisprudenza riconosce la natura abnorme anche all'atto che sia frutto di un esercizio del potere processuale legittimo, ma che si caratterizzi per una carenza dei presupposti particolarmente intensa, tanto da tradursi in irragionevolezza. Inoltre, perché ricorra questa categoria di atto è necessario che non sia previsto alcun mezzo di impugnazione, sicché il ricorso per cassazione rappresenta l'unico strumento per eliminare una situazione che produrrebbe effetti irreversibili. Si tratta di una categoria di creazione giurisprudenziale che finisce per integrare il sistema di invalidità degli atti, introducendo un correttivo al principio di tassatività dei mezzi di impugnazione attraverso il rimedio del ricorso immediato per cassazione contro provvedimenti non impugnabili autonomamente e comunque affetti da anomalie talmente radicali da giustificare una forma di tutela. Tenendo conto di quanto è stato detto dalla giurisprudenza di questa Corte riguardo ai caratteri dell'abnormità, deve riconoscersi che il provvedimento del GIP del Tribunale di Napoli oggetto del ricorso non rientra in tale categoria. Non vi rientra ne' dal punto di vista strutturale, ne da quello funzionale, in quanto si tratta di un provvedimento che non presenta alcun profilo di eccentricità che lo collochi al di fuori del sistema organico della legge processuale. In altre parole, l'atto con cui si è negata la possibilità di estrazione di copia degli atti richiesti non può qualificarsi come avulso o estraneo all'ordinamento giuridico, in quanto è lo stesso art. 116 c.p.p., che conferisce al giudice un tale potere, riconoscendogli un'ampia discrezionalità nella valutazione dell'interesse della parte richiedente. Infatti, l'art. 116 c.p.p., subordina il rilascio ad una valutazione discrezionale del giudice e la stessa insussistenza di un diritto della parte interessata ad ottenere copia degli atti di indagine è stata affermata dalle Sezioni unite di questa Corte Sez. un., 3 febbraio 1995, n. 4, Sciancalepore , che ha confermato l'assunto secondo cui la norma richiamata pone, come regola generale, una mera possibilità e non un vero diritto della parte interessata ad ottenere il rilascio di copia degli atti. Inoltre, deve escludersi una intrinseca irragionevolezza del diniego, tale da compromettere il diritto di difesa di A.M Il giudice ha rigettato la richiesta sulla base di una valutazione comparativa avente ad oggetto, da un lato, l'interesse del richiedente, che già aveva avuto conoscenza di quasi tutti gli atti di indagine, dall'altro, il diritto alla riservatezza di terzi, dando prevalenza a quest'ultimo in forza di una scelta che non assume i tratti dell'abnormità, intesa appunto come inaccettabile irragionevolezza. Peraltro, dinanzi ad una richiesta di archiviazione l'indagato non aveva particolari esigenze difensive da tutelare. È vero che il difensore, nel tentativo di evidenziare l'interesse che avrebbe potuto giustificare l'autorizzazione al rilascio della copia degli atti richiesti, ha rappresentato l'esigenza in capo all'istante di verificare la correttezza procedimentale dell'iter imposto dale norme del codice di rito con riguardo al mezzo di ricerca della prova in parola e di controllare la corrispondenza tra quanto trasfuso nei brogliacci e quanto effettivamente registrato nei nastri magnetici. Tuttavia non sembra potersi sostenere che, stanti le sopra evidenziate esigenze, l'istanza sia funzionale a tutelare il diritto di difesa in quel procedimento, dal momento che si tratta di procedimento conclusosi con l'archiviazione e non può escludersi che la richiesta sia diretta a verificare l'esistenza di temi estranei all'oggetto del procedimento. Inoltre, non può parlarsi di stasi processuale, che è quella determinata da un atto che non sia funzionale ad introdurre una pausa temporale nella progressione che porta alla sentenza definitiva e che qualifica una situazione in termini di abnormità, ne' tantomeno ricorre un'ipotesi di regressione indebita del procedimento, ritenuta anch'essa tipico sintomo dell'abnormità del provvedimento. Nella specie, la richiesta di cui all'art. 116 c.p.p., non si inserisce in alcuna fase processuale in corso, dal momento che il procedimento si é concluso con l'archiviazione. Pertanto, deve escludersi ogni ipotesi di stasi processuale , trattandosi di un procedimento del tutto autonomo - del quale non è neppure certa la natura giurisdizionale - e in cui l'atto conclusivo non è in grado di spiegare alcun effetto preclusivo di medesime istanze o richieste, diversamente motivate e argomentate. 3 .-. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché di una somma che si quantifica in euro cinquecento in considerazione della questione trattata alla cassa per le ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro cinquecento in favore della cassa delle ammende.