Separazione ed affidamento figli: sempre punibile il genitore che impedisce all’altro di vedere il minore?

In materia di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice civile relativo all’affidamento di un figlio minore, può infatti costituire valida causa di esclusione della colpevolezza, un motivo plausibile e giustificato che, pur senza configurare l’esimente dello stato di necessità, deve comunque essere stato determinato dalla volontà di esercitare il diritto-dovere di tutela dell’interesse del minore in situazioni che, connotate da transitorietà e sopravvenute, non siano state ancora devolute al giudice civile per l’eventuale modifica del provvedimento di affidamento, ma che tuttavia integrano i presupposti di fatto per ottenerla.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15971/16, depositata il 18 aprile. Il caso. La Corte di appello di Venezia confermava la sentenza con cui il Tribunale di Padova aveva assolto P.C. dal reato di cui all’art. 388 c.p. secondo la prospettazione accusatoria l’imputata, a fronte delle modalità di visita stabilite dal Tribunale in sede di omologa della separazione tra la stessa ed il di lei marito C.C. – per le quali la figlia B. era stata affidata alla madre con diritto del padre di tenerla con se alcuni giorni a settimana – aveva rifiutato di dare al padre la minore. I giudici di merito, tuttavia, ritenendo che tale rifiuto fosse stato determinato esclusivamente dal timore che potesse derivare alla minore – affetta da gravi handicap psico-motori – un grave danno alla salute o alla vita, hanno escluso l’elemento soggettivo del reato per la ritenuta esistenza, in capo all’imputata, di un eccesso colposo determinato da stato di necessità ex artt. 54 e 55 c.p Ricorreva per cassazione la parte civile, deducendo manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge. In particolare, sostiene il ricorrente, anzitutto la pretesa incapacità del genitore non affidatario di provvedere alla minore non poteva qualificarsi come evenienza sopravvenuta, in quanto il giudice civile aveva disposto una consulenza tecnica d’ufficio in tal modo verificando la capacità del padre di provvedere alla minore, donde la condotta dell’imputata sarebbe stata quindi espressiva di un dissenso nei confronti di un provvedimento giudiziale ingiustificatamente non condiviso. In secondo luogo, argomenta ancora la parte ricorrente, erronea sarebbe stata l’applicazione degli artt. 54 e 55 c.p. per scriminare la condotta dell’imputata, in quanto l’eccesso colposo nel ritenere sussistente lo stato di necessità scrimina infatti una condotta riconducibile al reato contestato solo quando si siano verificate circostanze nuove rispetto a quelle prese in considerazione dal giudice civile al fine di emettere il provvedimento, circostanze che potrebbero sostenere una modifica dello stesso, ma che in ragione della presunta attualità del pericolo non è possibile sottoporre all’attenzione del giudice competente. Il reato di cui all’art. 388 c.p. e l’esclusione della colpevolezza. La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato come in materia di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice civile relativo all’affidamento di un figlio minore, può infatti costituire valida causa di esclusione della colpevolezza, un motivo plausibile e giustificato che, pur senza configurare l’esimente dello stato di necessità, deve comunque essere stato determinato dalla volontà di esercitare il diritto-dovere di tutela dell’interesse del minore in situazioni che, connotate da transitorietà e sopravvenute, non siano state ancora devolute al giudice civile per l’eventuale modifica del provvedimento di affidamento, ma che tuttavia integrano i presupposti di fatto per ottenerla. Donde, la circostanza della incapacità del padre non affidatario di provvedere alla minore a causa dello stato di handicap della stessa non può ritenersi, come erroneamente fatto dai giudici di merito, quale evenienza sopravvenuta rispetto alla disciplina dettata dal giudice civile, stante la sussistenza di una consulenza tecnica d’ufficio dallo stesso disposta proprio per verificare la capacità del padre di far fronte alle particolari esigenze della figlia. Infatti, all’esito di tale accertamento, il giudice ha riconosciuto al padre il diritto di tenere con se la figlia secondo quelle modalità che sono state disconosciute e rimaste inosservate dalla prevenuta. L’eccesso colposo nello stato di necessità. La Corte territoriale è incorsa in errore anche nella parte della sentenza in cui riconduce il rifiuto frapposto dal genitore affidatario ad un eccesso colposo nello stato di necessità ex artt. 54 e 55 c.p Invero, l’indicata fattispecie postula che vi sia una situazione giustificata da uno stato di necessità i cui termini di definizione e contenimento siano stati superati dall’agente. Donde, perché la condotta possa dirsi scriminata dall’indicata causa di giustificazione è necessario che l’imputato alleghi che l’erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità si fondi non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d’animo dell’agente, bensì su dati di fatto concreti, tali da giustificare l’erroneo convincimento in capo all’imputato di trovarsi in tale stato.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 16 marzo – 18 aprile 2016, numero 15971 Presidente Ippolito – Relatore Scalia Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Venezia, confermando la sentenza emessa dal Tribunale di Padova, ha assolto P.C. dal reato, contestatole in forma continuata, di mancata esecuzione dolosa del provvedimento del Tribunale di Padova artt. 81 cpv e 388, primo e secondo comma, cod. penumero . Secondo originaria imputazione, a fronte delle modalità di visita stabilite dal Tribunale, in sede di omologa della separazione dei coniugi C. e Ca., per le quali la figlia Beatrice era stata affidata alla madre con il diritto dei padre di tenerla con sé per alcuni pomeriggi ed alcuni giorni a settimana, la prevenuta aveva rifiutato di dare al padre la minore. Nell'apprezzato contesto in cui ebbero a maturare le attribuite condotte, i giudici di merito hanno ritenuto che la C. avesse rifiutato la consegna della figlia al padre, spinta dal timore che potesse derivare alla minore grave danno alla salute o alla vita. Le sentenze di merito hanno escluso, con formula assolutoria non piena, l'elemento soggettivo del contestato reato per la ritenuta esistenza, in capo alla prevenuta, di un eccesso colposo determinato da stato di necessità art. 530, comma 2, cod. proc. penumero artt. 54 e 55 cod. penumero . Avrebbe in tal senso deposto l'invalidità da cui risultava affetta fin dalla nascita la minore, incapace, per un grave ritardo mentale, di deambulare e di nutrirsi autonomamente per grosse difficoltà nella deglutizione la conseguente difficile condizione psichica in cui versava la madre la scarsa disponibilità collaborativa manifestata dal padre. 2. La parte civile propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia ed articola due motivi con cui lamenta manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge art. 606, comma 1, lett. e e b , in relazione agli artt. 388, comma primo e secondo, 54 e 55 cod. penumero . 2.1. La Corte territoriale, in tal modo incorrendo in manifesta illogicità della motivazione, avrebbe ritenuto la condotta della prevenuta determinata da circostanza sopravvenuta rispetto all'epoca di adozione del provvedimento dei giudice civile tale l'incapacità dei padre di provvedere alla figlia menomata, nel convincimento, sostenuto da colpa, di sottrarre in tal modo la minore ad un pericolo attuale alla salute. Deduce la difesa come la pretesa incapacità del genitore non affidatario di provvedere alla minore non potesse qualificarsi come evenienza sopravvenuta. Il giudice civile aveva infatti disposto consulenza tecnica di ufficio in tal modo verificando la capacità del padre di provvedere alla minore. Nella esposta situazione la condotta dell'imputata sarebbe stata quindi espressiva di un dissenso nei confronti di un provvedimento giudiziale, ingiustificatamente non condiviso dalla prima. 2.2. Sulle indicate premesse, erronea sarebbe inoltre stata l'applicazione degli artt. 54 e 55 cod. penumero , per scriminare la condotta dell'imputata. L'eccesso colposo in cui incorra l'agente nel ritenere sussistente lo stato di necessità scrimina infatti una condotta riconducibile al reato contestato art. 388, commi primo e secondo, cod. penumero solo quando si siano verificate circostanze nuove rispetto a quelle prese in considerazione dal giudice civile al fine di emettere il provvedimento, circostanze che potrebbero sostenere una modifica dello stesso, ma che in ragione della presunta attualità dei pericolo non è possibile sottoporre all'attenzione del giudice competente. Considerato in diritto 1. II ricorso proposto, ai soli effetti della responsabilità civile è per entrambi gli articolati motivi fondato. Manifestamente illogica, e come tale censurabile in sede di legittimità, è la motivazione della sentenza della Corte di appello di Venezia nella parte in cui apprezza come insussistente l'estremo soggettivo dei contestato reato dì mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice civile art. 388, commi primo e secondo, cod. penumero . In materia di mancata esecuzione di un provvedimento dei giudice civile relativo all'affidamento di un figlio minore, può infatti costituire valida causa di esclusione della colpevolezza, un motivo plausibile e giustificato che, pur senza configurare l'esimente dello stato di necessità, deve comunque essere stato determinato dalla volontà di esercitare il diritto-dovere di tutela dell'interesse del minore, in situazioni che, connotate da transitorietà e sopravvenute, non siano state ancora devolute al giudice civile per l'eventuale modifica dei provvedimento di affidamento, ma che tuttavia integrano i presupposti di fatto per ottenerla Sez. 6, numero 7611 del 11/12/2014, dep. 2015, D.L., Rv. 262494 Sez. 6, numero 27613 dei 19/06/2006, Dei Duca, Rv. 235130 . La circostanza della incapacità dei padre, non affidatario, di provvedere alla minore, affetta da grave handicap psico-motorio e non in grado di deambulare e nutrirsi se non debitamente assistita, non può ritenersi, diversamente da quanto apprezzato dai giudici della Corte di appello, quale evenienza sopravvenuta rispetto alla disciplina dettata dal giudice civile. Come dedotto dalla parte civile ricorrente ed esposto nella stessa impugnata sentenza, nel corso del procedimento civile venne disposta ed espletata una consulenza tecnica d'ufficio sulla capacità dei genitore non affidatario di far fronte all'esigenze della minore. All'esito di detto accertamento, il giudice istruttore ha riconosciuto al padre il diritto di tenere con sé la figlia secondo quelle modalità che sono state disconosciute, e rimaste inosservate, dalla prevenuta. Quanto viene quindi dedotto nell'impugnata sentenza come situazione sopravvenuta alla disciplina dettata in materia di affido dal giudice della separazione dei coniugi non riveste, in realtà, siffatto carattere. Nell'immutata natura del quadro di riferimento non è esclusa infatti in capo al genitore inadempiente la consapevolezza di violare un provvedimento giudiziale. L'indicata circostanza segnala la manifesta illogicità della motivazione dell'impugnata sentenza ed integra la denunciata violazione di legge nella piena riconducibilità delle contestate condotte alla fattispecie normativa di riferimento artt. 388, primo e secondo comma, cod. penumero . Incorre in errore di diritto la Corte di appello nella parte in cui riconduce il rifiuto frapposto dal genitore affidatario ad un eccesso colposo nello stato di necessità artt. 54 e 55 cod. penumero . L'indicata fattispecie postula invero che vi sia una situazione giustificata da uno stato di necessità i cui termini di definizione e contenimento siano stati colposamente superati dall'agente. Ciò posto, perché la condotta possa dirsi scriminata dall'indicata causa di giustificazione è necessario che l'imputato alleghi che l'erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità si fondi non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d'animo dell'agente, bensì su dati di fatto concreti, tali da giustificare l'erroneo convincimento in capo all'imputato di trovarsi in tale stato Sez.6, numero 18711 del 21/03/2012, Giusto, Rv. 252636 . La Corte di appello non ha individuato una evenienza di carattere obiettivo, tale da giustificare l'erroneo, ma scriminante, nel senso anzidetto, convincimento della prevenuta. Come dedotto dal ricorrente, piuttosto ed invece, il giudice aveva accuratamente vagliato la capacità del genitore non affidatario di prendersi cura della minore all'esito di una disposta consulenza tecnica di ufficio sul punto. 2. II ricorso va quindi accolto, con annullamento dell'impugnata sentenza ai soli effetti civili e rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al competente giudice civile in grado di appello.