Quando la professionalità fa la differenza

In tema di esercizio abusivo di una professione anche se un solo atto posto in essere senza i necessari titoli abilitativi può valere a integrare il reato, occorre che questo sia comunque posto in essere con caratteri di professionalità.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, con la sentenza n. 15957, depositata il 18 aprile 2016. Anche per insegnare a sciare occorre l’abilitazione. Non che il protagonista del processo oggetto della sentenza in commento non l’avesse soltanto che il titolo abilitativo posseduto dall’imputato era stato conseguito in Romania. Questa circostanza è costata un processo penale a un maestro di sci, sorpreso in una sola occasione a istruire alcuni allievi. Tratto a giudizio, veniva condannato in primo grado, ma la Corte d’appello ribaltava il verdetto e lo assolveva. La formula, però, adottata dai secondi giudici non è piaciuta alla difesa dell’imputato, che non ha condiviso la conclusione dell’errore di diritto scusabile derivante dalla farraginosità della disciplina amministrativa di riferimento anche l’insegnamento dello sci, in Italia, non sfugge al consueto caos normativo . Nessun errore scusabile, sostiene la difesa nel proprio ricorso, difetta semmai l’elemento materiale del reato di abusivo esercizio di una professione. Un’interessante pronuncia che valorizza la differenza tra tipicità effettiva ed apparente. La Cassazione accoglie in pieno la tesi difensiva illustrata dalla efficace difesa dell’imputato. Il dato fattuale di riferimento, quello che, in altri termini fa da guida all’intero giudizio, è costituito dalla unicità dell’occasione in cui l’imputato veniva sorpreso a insegnare abusivamente sci ai propri allievi una singola occasione, nella quale il ricorrente agiva per mera cortesia e per puro spirito collaborativo . Non conosciamo il contesto di riferimento, ma immaginiamo che lo sfondo sia quello di una classica settimana bianca” all’insegna del relax. Partendo da questo punto di riferimento, la Cassazione passa all’inquadramento giuridico del fatto. Un singolo atto tipico di una professione può senz’altro bastare per integrare il reato di esercizio abusivo, dicono gli Ermellini. Che proseguono, però, specificando che l’atto professionale deve essere non soltanto tipico” ma anche professionalmente” eseguito. Un atto tipico di una specifica professione, posto in essere occasionalmente e per pura cortesia, come nel caso di specie, sarebbe soltanto apparentemente tipico” nel senso voluto dalla norma incriminatrice. L’importanza di un principio non generalizzabile. Leggendo i passaggi salienti della decisione in commento si può essere tentati di ricavarne equazioni inesatte. Gli Ermellini, a nostro giudizio, non hanno voluto affermare che l’atto professionalmente tipico” posto in essere in via del tutto occasionale o gratuitamente non sia sufficiente per integrare il reato. Così ragionando, infatti, si finirebbe con il legittimare qualunque esercizio abusivo di qualsiasi professione. In realtà il messaggio che traspare dalle righe della motivazione è più sottile, destinato certamente a trovare applicazione soltanto in pochi casi, ma proprio per questo più utile di quanto possa sembrare. Con questa sentenza la Cassazione ha operato una scrematura, e ha privato di rilievo penale un fatto che, in effetti ed a tutta prima, si lasciava pacificamente inquadrare nell’alveo della fattispecie di riferimento. La tipicità formale c’era, ma appunto perchè soltanto formale era apparente. Quindi, di fatto, l’elemento oggettivo del reato, in un caso come quello oggetto della decisione commentata, è carente. Sul tema della consistenza della tipicità occorre riflettere a lungo. Distinguere tra un fatto soltanto apparentemente rientrante sotto una determinata norma incriminatrice ed uno che, invece, ne soddisfa effettivamente i requisiti oggettivi può fare la differenza, per impedire ad una buona mole di notizie di reato di varcare la soglia delle indagini. Già, perchè in effetti la valutazione sulla tipicità apparente dovrebbe essere condotta in prima battuta dal pubblico ministero, in modo tale da risparmiare la pena” del processo al malcapitato indagato di turno. Se si incrementasse l’approfondimento delle potenzialità deflattive contenute nel giudizio di rispondenza effettiva tra fatto e norma incriminatrice non ci sarebbe bisogno, probabilmente, di ricorrere a complicati marchingegni normativi di dubbia utilità concreta. Vedi, tanto per non fare nomi, l’istituto della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 settembre 2015 – 18 aprile 2016, n. 15957 Presidente Agrò – Relatore Paoloni Fatto e diritto 1. Con sentenza del 29.4.2013 il Tribunale di Trento, sezione distaccata di Cavalese, ha dichiarato B.A. colpevole dl reato di cui all’art. 348 c.p. per avere in OMISSIS esercitato abusivamente la professione di maestro di sci senza apposito titolo abilitativo e senza essere iscritto nello speciale albo professionale della Provincia Autonoma di Trento e per l’effetto, concessegli le attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di euro 140,00 di multa e al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile. Il Tribunale ha ritenuto che il ricostruito comportamento dell’imputato notato il 1.2.2011 sulle piste di sci di XXXXX mentre istruiva dei bambini che indossavano le pettorine proprie di una scuola di sci ed erano incolonnati come avviene nelle lezioni l’imputato mimava le condotte da tenere e verificava che gli allievi lo seguissero fosse integrativo della contestata fattispecie criminosa ex art. 348 c.p. sulla base di due rilievi a assenza di un titolo abilitativo italiano, non surrogabile dal titolo di maestro di sci non riconosciuto in Italia” pur conseguito in Romania dal B. che pacificamente svolgeva e svolge attività professionale affatto diversa da quella di maestro di sci b irrilevanza della domanda di autorizzazione all’esercizio della predetta attività non professionale rivolta dall’imputato all’Ufficio dello Sport presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, domanda non idonea ad elidere la competenza della Provincia di Trento, cui il prevenuto avrebbe dovuto rivolgere espressa richiesta all’espletamento temporaneo dell’attività di maestro di sci. 2. Adita dall’impugnazione dell’imputato, la Corte di Appello di Trento con sentenza del 26.11.2014 ha assolto il B. dal reato ascrittogli con la formula del fatto non costituente reato. Muovendo dal presupposto storico che l’imputato il 1 febbraio 2011 stesse impartendo una vera e propria lezione di sci ad un gruppetto di sette/otto bambini, i giudici del gravame hanno ritenuto infondata la tesi difensiva del B. , secondo cui alla stregua degli artt. 9 D.Lgs. 206/2007 e 47 L.Prov. Trentino 20/1993 - il titolo abilitativo di maestro di sci conseguito in Romania lo legittimasse all’esercizio temporaneo dell’attività anche in assenza di iscrizione in un albo italiano ovvero di specifica autorizzazione, a tal fine non potendo bastare la previa comunicazione all’Ufficio dello Sport di XXXX ancorché erroneamente individuato in luogo del competente organo provinciale trentino . Ciò perché, afferma la Corte territoriale, l’esercizio temporaneo e occasionale di un’attività professionale, conforme ai connessi principi comunitari di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi negli Stati della U.E., è sottoposto alla condizione che l’interessato sia legalmente stabilito in un Paese U.E. o dimostri di avervi esercitato la specifica attività per almeno due anni negli ultimi dieci. Condizione da escludersi per il B. , poiché questi che non ha provato di aver svolto l’attività di maestro di sci in Romania o in altro Stato U.E. non può qualificarsi soggetto legalmente stabilito in Romania per la Corte il cittadino italiano che abbia conseguito la sola abilitazione professionale in uno Stato U.E., senza esservisi stabilito per l’esercizio della professione di maestro di sci, non è assimilabile a un lavoratore legalmente stabilito in detto Stato . Nondimeno la Corte di Appello di Trento ha ritenuto di mandare comunque assolto il B. , pur privo di autorizzazione all’esercizio dell’attività di maestro di sci del Collegio provinciale di Trento, in base al rilievo che - a fronte della indiscussa effettiva complessità della normativa extrapenale di riferimento che implica difficoltà interpretative di un certo spessore - del ragionevole assunto che lo stesso sia caduto in errore scusabile, da valutarsi ai sensi dell’art. 5 c.p. come interpretato dalla nota sentenza costituzionale n. 364 del 1988 . 3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il difensore di B.A. , invocandone l’annullamento sulla base di un duplice ordine di rilievi, di natura normativa e probatoria, dimostrativi dell’erronea applicazione della disciplina regolamentare comunitaria, nazionale e regionale della attività di maestro di sci e dell’illogicità e contraddittorietà manifeste della decisione impugnata. 3.1. Sotto il primo aspetto il ricorso contesta, con meticolosa analisi e con richiami giurisprudenziali, l’assunto giuridico della Corte territoriale incentrato sulla necessità da parte del B. di conseguire specifica autorizzazione all’esercizio pur temporaneo dell’attività di maestro di sci del Collegio provinciale dei maestri di sci trentino. Posto che nel coacervo di norme di varia forza precettiva - al contrario di quanto implicitamente ipotizzato nella sentenza di appello - proprio la evocata legge provinciale trentina n. 20/1993 opera una sostanziale equiparazione tra i maestri di sci iscritti in altri albi italiani regionali o provinciali e i maestri di sci legalmente stabiliti in altro Stato U.E., nessuno dubita che l’imputato ha conseguito il titolo abilitativo alla professione di maestro di sci in Romania, sì da doversi ivi reputare legalmente stabilito, l’unica condizione prevista dall’art. 9 del D.Lgs. 2206/2007 ai fini dell’esercizio della corrispondente prestazione di servizio, temporale e occasionale, essendo costituita dall’invio di una anteriore dichiarazione o comunicazione all’autorità nazionale indicata dall’art. 5 del citato decreto legislativo. Adempimento osservato dal B. , che non aveva bisogno di ulteriore specifica autorizzazione dell’organo collegiale professionale trentino. In ogni caso - in tesi e a tutto concedere - la mancata comunicazione del B. della sua temporanea attività di maestro di sci al Collegio provinciale trentino giammai integrerebbe un abusivo svolgimento della professione sanzionabile ai sensi dell’art. 348 c.p Ma al più una semplice omissione censurabile con sola sanzione amministrativa in vero, al pari di quanto sarebbe accaduto a un maestro di sci iscritto in altro albo italiano sorpreso ad esercitare occasionalmente in provincia di Trento, il B. era certamente già abilitato all’esercizio della professione di maestro di sci, possedendo il relativo titolo avendo inviato la dichiarazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e non al collegio provinciale di Trento, è incorso in un vizio di comunicazione e, dunque, in una semplice violazione amministrativa . 3.2. Sotto il secondo aspetto il ricorso censura l’applicabilità dell’art. 348 c.p. per difetto del requisito della professionalità della prestazione di maestro di sci ascritta al B. titolare, nella vita quotidiana, di una farmacia in provincia di Bergamo , atteso che dall’istruzione dibattimentale non sono emerse idonee prove di siffatto connotato i della condotta del prevenuto oggetto della regiudicanda. A differenza di altre attività che richiedono cognizioni tecniche specialistiche e il cui abusivo esercizio è sufficiente per integrare la fattispecie criminosa di cui all’art. 348 c.p., in guisa da rendere punibile per la riconosciuta natura istantanea del reato de quo anche un solo atto tipico di una di quelle determinate attività espletato in assenza della prevista abilitazione di pertinenza, l’esercizio della attività di maestro di sci ricade nell’alveo dell’art. 348 c.p. nei soli casi in cui lo stesso sia svolto con caratteri di professionalità. Non a caso, infatti, l’art. 2 della legge 8.3.1991 n. 81, legge quadro per la professione di maestro di sci presupposto dall’art. 348 c.p. , valorizza al ridetto fine la sola attività di insegnamento di tecniche sciistiche qualificata da una sua intrinseca natura professionale, definendo maestro di sci chi insegni professionalmente, anche in modo non esclusivo e non continuativo , le tecniche sciistiche a singoli e a gruppi di persone. Ora non appare revocabile in dubbio che il B. , imputato in ragione di un solo episodio asseritamente accertato da terzi sulle piste di sci di XXXXX, al momento del fatto non vestisse alcuna divisa o pettorina che potesse davvero individuarlo come maestro di sci pettorina, indossata dai presunti suoi giovani allievi al solo fine di renderli immediatamente riconoscibili sui campi di sci anche in occasione della pausa tra la lezione mattutina e quella pomeridiana loro impartita dato incontroverso dai veri e ovviamente abilitati mastri della scuola di sci di XXXXX in conformità ai pacchetti turistici offerti dalle strutture alberghiere dell’area montana agli ospiti e ai loro bambini . 4. Il ricorso è basato su motivi fondati e deve, per ciò, essere accolto. Senz’altro corrette e aderenti alle evenienze probatorie desumibili dalla ricostruzione dell’intera vicenda offerta dalle due sentenze di merito si delineano le considerazione critiche sviluppato con il secondo tema di censura enunciato in ricorso. 4.1. Profilo che assorbe e rende ultroneo un approfondito vaglio del primo tema di censura afferente alla disamina della peculiare disciplina dell’attività dei maestri di sci in vigore per la Provincia autonoma di Trento. Ciò pur non facendosi velo alla linearità e coerenza delle notazioni formulate con l’impugnazione in ordine alla latitudine applicativa dei principi di ascendenza sovranazionale comunitaria dettati dal più volte citato D.Lgs. 9.11.2007 n. 206 emesso in attuazione di direttive della U.E. sul riconoscimento delle qualifiche professionali e sull’adeguamento di tali direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell’adesione alla U.E. di più Stati tra cui la Romania . In proposito non può non rimarcarsi, da un lato, la singolare precisazione contenuta nell’impugnata sentenza di appello, secondo cui a conferma della viscosità e dei dubbi interpretativi fatti palesi dalla c.d. disciplina extrapenale di riferimento perfino l’Ufficio Professioni per il Turismo di Trento, cui si era rivolto per ottenerne un parere l’originario coimputato Achille Crispino dell’attuale ricorrente B. , non aveva esitato a rassicurarlo verbalmente sulla possibilità di esercitare temporaneamente la professione di maestro di sci nella Provincia proprio perché munito, come B. , di titolo abilitativo di maestro di sci rilasciato dall’autorità rumena . Né, d’altro lato, appare agevole superare - come semplicisticamente concluso dai giudici di appello trentini - il rilievo in base al quale la legge provinciale trentina 23.8.1993 n. 20, che pure equipara le posizioni di maestri di sci italiani o non iscritti in altri albi italiani e di maestri di sci italiani o non legalmente stabiliti in altro Stato europeo per avervi ivi conseguito il corrispondente titolo abilitativo, indurrebbe ad un differente deteriore trattamento per i secondi rendendoli punibili ex art. 348 c.p. , imponendo loro condizioni per lo svolgimento di attività temporanea nella provincia trentina ulteriori rispetto alla semplice comunicazione preventiva al collegio provinciale dei maestri di sci trentino non essendo irragionevole ritenere, secondo quel che si sostiene in ricorso, che il concetto di stabilimento in uno Stato U.E. nel quale sia regolamentato, come in Romania, l’esercizio della professione per cui è stato rilasciato titolo abilitativo, prescinde dall’esercizio effettivo o attuale della professione in quello Stato . 4.2. In realtà, come diffusamente esposto nell’odierno ricorso, difettano concrete e affidabili prove per concludere che il B. - ove davvero abbia svolto attività di insegnamento di tecniche sciistiche allo sparuto gruppo di bambini che l’1.2.2011 lo seguivano sulle piste di XXXXX - abbia ciò fatto per effetto di una condotta espletata con caratteri di professionalità, dal momento che è dato pacifico in atti che l’imputato che nessuna remunerazione ha, tra l’altro, percepito per siffatta ipotetica attività , tale condotta ha svolto in modo puramente occasionale e per puro spirito collaborativo con l’associazione dei maestri di sci di XXXXX, chiarendo la stessa sentenza di appello che tale collaborazione è avvenuta in modo affatto gratuito e a titolo di semplice cortesia. Senonché a monte di tali notazioni resta il dato per cui le fonti probatorie richiamate dalle due sentenze di merito non permettono di attingere elementi di certezza sulla effettività o meno dei presunti insegnamenti tecnici che il B. avrebbe impartito o, meglio, sarebbe stato in procinto di impartire ai bambini o non si sia piuttosto limitato unicamente a farsi seguire a fondo pista dagli stessi bambini. In ogni caso l’unicità dell’episodio attribuito al ricorrente non è inutile segnalare che la sentenza di primo grado, che aveva affermato la penale responsabilità del B. , evoca semplici sospetti alimentati dalla osservazione di un maestro di sci presente sulle piste di XXXXX, correlandola alla pure presunta scarsa disponibilità di maestri di sci della scuola locale per fronteggiare la richiesta turistica di lezioni , se - in via teorica e in adesione alla giurisprudenza di questo giudice di legittimità - alimenta l’astratta configurabilità del contestato reato ex art. 348 c.p., essendo a tal fine sufficiente il compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professione in ipotesi abusivamente esercitata cfr. Sez. U, n. 11545 del 15/12/2011, Cani, Rv. 251819 Sez. 6, n. 11493 del 21/10/2013, dep. 2014, Tosto, Rv. 259490 , si delinea in tutta evidenza non sorretta dall’irrinunciabile presupposto o condizione della valenza professionale del medesimo episodio. Ne discende che, se non è dubitabile che il reato di cui all’art. 348 c.p. è realizzato dallo svolgimento da parte di soggetto non abilitato di attività rientranti tra quelle tipiche o c.d. riservate di una specifica professione per il cui esercizio occorra essere muniti di un titolo abilitante, è non meno indubbio che - ai fini penali - si rende sempre necessario verificare, in termini di palese pregiudizialità, la sussistenza e la commissione reali di un atto professionale tipico e soprattutto delle specifiche ed effettive modalità con cui lo stesso è stato posto in essere. È proprio questo secondo aspetto di valenza storica e comportamentale che nell’impugnata decisione di appello si mostra privo di adeguata motivazione dimostrativa nonché scandito da palesi discrasie logiche. Non vi è prova, in altri termini, che il B. con il suo comportamento sia incorso, come dedotto in discussione dallo stesso concludente Procuratore Generale, nella illiceità speciale ascrittagli. O, più esattamente, che egli abbia davvero svolto uno o più atti tipicamente propri della condotta professionale di maestro di sci, avendo piuttosto e a tutto voler supporre attuato - per quanto emerso ex actis - una semplice opera di conduzione o accompagnamento di alcuni bambini su una pista di sci, di per sé agevolmente praticabile da qualunque persona dotata di semplice ed elementare esperienza sciistica. Di tal che nel caso di specie il contegno dell’imputato non ha integrato la fattispecie di cui all’art. 348 c.p. tipica norma penale in bianco, rinviante alla disciplina giuridica qualificante l’attività professionale di maestro di sci . Con la logica conseguenza che nella vicenda oggetto della regiudicanda difetta in radice 1 elemento materiale del reato, giacché la condotta posta in essere dall’imputato non ha assunto peculiare rilevanza esterna, palesandosi non caratterizzata dalla tipicità degli atti compiuti, riferibile all’attività professionale di maestro di sci, per la quale è richiesta speciale abilitazione di cui, per altro, come non è superfluo ribadire, il B. era comunque munito, avendo conseguito il relativo titolo in uno Stato della U.E. . Di conseguenza la sentenza della Corte di Appello di Trento impugnata dal B. deve essere annullata per insussistenza del fatto reato ascritto al ricorrente. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.