Omesso versamento IVA e delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato

L’omesso versamento dell’IVA non si pone in rapporto di specialità con il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 15922/16, depositata il 18 aprile. Il caso. Nei confronti del legale rappresentante di una s.r.l. viene eseguito un provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente per asserito reato di omesso versamento dell’IVA ex art. 10- ter , d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 nel caso di specie l’IVA dovuta dalla società contribuente era stata abbattuta in misura rilevante mediante una falsa attestazione di sede operativa presso un comune colpito da sisma. Il decreto del giudice per le indagini preliminari viene confermato dal Tribunale della libertà. Nella sentenza n. 15922 del 2016 la Corte di Cassazione rigetta il ricorso, con condanna alle spese. La confisca diretta del denaro depositato sul conto della società non necessita della prova del nesso di derivazione diretta. Nel caso di specie è stato sottoposto a sequestro il denaro rinvenuto sul conto corrente della società contribuente per illeciti tributari commessi dal suo rappresentante legale. Il Collegio ritiene che il vincolo cautelare sia sorto non attraverso l’istituto del sequestro per equivalente, vietato dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 nei confronti delle persone giuridiche, ma mediante il sequestro diretto del profitto del reato identificabile con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito cfr. Cass., sez. Unite Pen., n. 31617/2015 . La Suprema Corte ricorda inoltre che è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto rimasto nella disponibilità di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, non potendo considerarsi l’ente una persona estranea al detto reato Cass., sez. Unite Pen., 5 marzo 2014, n. 10561 e che, qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, in considerazione della natura del bene la confisca non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato. L’omesso versamento dell’IVA non è in rapporto di specialità con la truffa aggravata ai danni dello Stato. Il ricorrente si duole in ragione della insussistenza di un concorso tra il delitto tributario e quello di truffa aggravata ai danni dello Stato. Il Giudice di legittimità ritiene infondato tale motivo di ricorso, giacché l’illecito fiscale di omesso versamento dell’IVA ex art. 10- ter , d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 sarebbe astrattamente diverso rispetto a quello di truffa e non sussisterebbe tra essi un rapporto di specialità il reato tributario infatti si perfeziona e si esaurisce con il mancato versamento, nel termine previsto, della somma dovuta con riferimento all’IVA in misura pari o superiore alla soglia di punibilità prevista per la realizzazione del fatto tipico, il quale non richiede e non contiene, diversamente dalla truffa, note descrittive dell’illecito che caratterizzano in modo fraudolento il fatto di reato cfr. Cass., III pen., 26 settembre 2012, n. 37044 . Secondo il Collegio la configurabilità di un rapporto di specialità tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale ex artt. 2 e 8, d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 e il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato ex art. 640, comma 2, n. 1 c.p. cfr. Cass., sez. unite pen., 28 ottobre 2010, n. 1235 non può essere estesa a tutti i reati tributari, giacché per comporre le questioni sul concorso di norme occorre avere riguardo ai rapporti strutturali tra le fattispecie mediante una verifica ed una comparazione di essere che va condotta in astratto avuto riguardo agli elementi costitutivi delle norme da porre a confronto .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 novembre 2015 – 18 aprile 2016, numero 15922 Presidente Grillo – Relatore Di Nicola Ritenuto in fatto 1. D.A.V. ricorre per cassazione impugnando l’ordinanza indicata in epigrafe con la quale il tribunale della libertà dell’Aquila ha confermato il decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, della somma di Euro 906.883,56 emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale presso la medesima città per i reati di cui agli articoli 10 ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, numero 74 e 640 capoverso numero 1 e 61 numero 2 codice penale codice penale. 2. Per la cassazione dell’impugnata ordinanza, il ricorrente, tramite il difensore, articola i tre seguenti motivi di gravame. 2.1. Con il primo motivo deduce la violazione, l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche in particolare dell’articolo 321 del codice di procedura penale in relazione agli articoli 322-ter codice penale, 19 e 24 e seguenti del decreto legislativo 231 del 2001 e 27 Costituzione. Assume che il Tribunale del riesame, confermando integralmente il decreto emesso dal giudice per le indagini preliminari, sarebbe incorso in un palese errore giuridico, con conseguente violazione di legge, dal momento che veniva eseguito il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, dei conti correnti intestati ed in uso alla società Agorà S.r.l., per asseriti fatti di reato commessi dal legale rappresentante D.A.V. . 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale e processuale articolo 606, comma 1, lettere b e c , codice di procedura penale in relazione agli articoli 15, 322-ter, 640 codice penale e 321 codice di procedura penale . Si sostiene che il Tribunale cautelare avrebbe erroneamente ritenuto il concorso di reati tra il delitto tributario e quello di truffa aggravata ai danni dello stato o di altro ente pubblico, concorso escluso dal principio di specialità. 2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione, l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale per l’assenza dei presupposti legittimanti il sequestro preventivo stante la carenza del periculum in mora , non avendo il Tribunale cautelare motivato circa l’attitudine delle cose sequestrate a poter essere ritenute strumentali ed oggettivamente collegate all’aggravarsi o al protrarsi di un illecito già realizzato o alla perpetrazione degli altri fatti criminosi collegati al precedente. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Quanto al primo motivo, dal decreto di sequestro e dal relativo verbale di esecuzione, risulta che sono state sottoposte a vincolo esclusivamente somme di denaro rinvenute suoi conti correnti della società. Le Sezioni Unite Gubert hanno affermato che è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto rimasto nella disponibilità di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, non potendo considerarsi l’ente una persona estranea al detto reato Sez. U, numero 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258647 . Le Sezioni Unite Lucci hanno successivamente precisato, confermando il precedente orientamento, che, qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato Sez. U, numero 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437 . Ne consegue che, siccome sono state sottoposte a sequestro somme di denaro rinvenute sui conti correnti della Agorà S.r.l., per asseriti fatti di reato commessi dal legale rappresentante D.A.V. , il vincolo cautelare deve ritenersi adottato, nel caso di specie, nei confronti della società non attraverso l’istituto del sequestro per equivalente, vietato dal d.lgs. 8 giugno 2001, numero 231 nei confronti delle persone giuridiche, ma attraverso il sequestro diretto del profitto del reato identificabile con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito Sez. U, numero 31617 del 26/06/2015, cit., Rv. 264436 , che invece è consentito in via generale e non vietato dal d.lgs. 8 giugno 2001, numero 231 nei confronti delle persone giuridiche. 3. Il secondo motivo è parimenti infondato. Nel caso di specie, sono stati contestati, in via cautelare, il delitto di cui all’articolo 10-ter decreto legislativo 10 marzo 2000, numero 74 ed il delitto di cui agli artt. 640, comma 2, numero 1 e 61 numero 2 codice penale in quanto era stato versato unicamente il 40% dell’Iva dovuta e quindi era stato omesso il versamento del restante 60%, perché, con artifici e raggiri, consistiti nella falsa attestazione di una sede operativa del comune del cratere sismico, il ricorrente, nella qualità di legale rappresentante della società Agorà S.r.l., aveva indotto in errore l’amministrazione finanziaria beneficiando di una riduzione dell’importo dell’Iva in realtà non spettante, procurando alla società un ingiusto profitto di Euro 906.883,56 pari all’Iva non versata, con pari danno per l’amministrazione finanziaria. Ciò posto, ritiene il Collegio che, in tema di reati tributari, il reato di omesso versamento dell’Iva articolo 10-ter d.lgs. numero 74 del 2000 non si pone in rapporto di specialità con il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato in quanto la condotta ex articolo 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, numero 74 non presenta alcuna delle caratteristiche che la rende speciale rispetto all’articolo 640, comma 2, cod. penumero sul punto, quanto ai rapporti tra articolo 10 d.lgs. numero 74 del 2000 e articolo 640 cpv. cod. penumero , Sez. 3, numero 37044 del 30/05/2012, Agenzia delle entrate di Roma, Rv. 253391 , posto che il reato tributario si perfeziona e si esaurisce con il mancato versamento, nel termine previsto, della somma dovuta con riferimento all’Iva in misura pari o superiore alla soglia di punibilità prevista per la realizzazione del fatto tipico, il quale non richiede e non contiene, diversamente dalla truffa, note descrittive dell’illecito che caratterizzano in modo fraudolento il fatto di reato. Ne consegue che non rileva il riferimento del ricorrente all’arresto giurisprudenziale delle Sezioni Unite le quali hanno affermato che qualsiasi condotta fraudolenta diretta all’evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione Sez. U, numero 1235 del 28/10/2010, Giordano, Rv. 248865 , ancorando tuttavia il principio di diritto agli artt. 2 e 8 del d.lgs. 10 marzo 2000, numero 74, affermandone la specialità rispetto al delitto di truffa aggravata a danno dello Stato di cui all’articolo 640, secondo comma, numero 1 cod. penumero . A tale conclusione la giurisprudenza di legittimità è giunta facendo rigorosa applicazione del principio di specialità, disciplinato dall’articolo 15 cod. penumero , principio che, siccome ancorato alla disciplina positiva, è stato ritenuto unico ed appagante criterio per individuare se e quale, tra le diverse norme eventualmente concorrenti, debba trovare applicazione, con la sottolineatura che la comparazione tra le fattispecie va eseguita in astratto e non in relazione alla fattispecie storica sottesa al concorso apparente o materiale di norme penali, riconoscendo così validità al criterio logico-formale, quale solo criterio selettivo utile a delineare i rapporti tra fattispecie. Esso, secondo una ricorrente descrizione dottrinale ripresa nella sentenza delle Sezioni Unite, ritrae le norme come cerchi concentrici, il più grande dei quali contiene interamente quello più piccolo con in aggiunta un elemento che al secondo difetta, e che identifica appunto l’elemento specializzante della fattispecie. Non dovrebbero trovare applicazione, secondo le Sezioni unite, altri e più incerti criteri che rischierebbero, per il mancato ancoraggio alla disciplina positiva, di riflettere modelli normativi, neppure in linea con i principi fondanti del diritto comunitario, e dunque tali da poter mettere in crisi il principio di legalità ed i conseguenti principi di determinatezza e tassatività, posti a presidio anche della materia del concorso apparente di norme penali incriminatrici. Ciò posto, il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite non può essere esportato senza distinzioni ai rapporti tra il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato ed i reati finanziari in genere e neppure ai rapporti tra la truffa e le fattispecie incriminatrici che compongono il sistema penale tributario. Ed infatti il distillato del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite è nel senso che per comporre le questioni sul concorso di norme occorre avere riguardo ai rapporti strutturali tra le fattispecie mediante una verifica ed una comparazione di esse che va condotta in astratto avuto riguardo agli elementi costitutivi delle norme da porre a confronto. Sicché un tale principio, proprio prestando convinta adesione all’arresto delle Sezioni Unite, non può essere affatto generalizzato e dunque non può essere esteso tout court né a tutto il diritto penale tributario e neppure a tutto il comparto del diritto penale finanziario, sul decisivo rilievo che il rapporto di specialità tra le fattispecie incriminatrici va verificato, di volta in volta, attraverso una comparazione tra le stesse. Facendo allora buon governo di tali principi, è di tutta evidenza come la fattispecie astratta ossia il titolo di reato ex articolo 10-ter d.lgs. numero 74 del 2000 punisce la condotta di chi omette il versamento dell’Iva dovuta all’erario. Infatti, il debito verso il fisco relativo ai versamenti Iva è collegato al compimento delle operazioni imponibili sicché ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già dall’acquirente del bene o del servizio l’Iva dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter, alla scadenza, adempiere all’obbligazione tributaria Sez. U, numero 37424 del 28/03/2013, Romano, in motiv. . Ed è allora di tutta evidenza come tale modello legale di reato, caratterizzante la violazione penale tributaria che è omissiva propria , sia astrattamente diverso rispetto agli elementi costitutivi del reato di truffa con la conseguenza che, non ponendosi in rapporto di specialità, concorre con esso. Peraltro, il motivo sarebbe comunque infondato potendo il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato, sia in forma diretta che per equivalente, trovare fondamento anche alternativamente su una delle due fattispecie incriminatrici provvisoriamente contestate in via cautelare. 3. Il terzo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza perché il sequestro strumentale alla confisca previsto dall’articolo 321, secondo comma, cod. proc. penumero costituisce figura specifica ed autonoma rispetto al sequestro preventivo regolato dal primo comma dello stesso articolo, per la cui legittimità non occorre necessariamente la presenza dei requisiti di applicabilità previsti per il sequestro preventivo tipico , essendo sufficiente il presupposto della confiscabilità, con la conseguenza che compito del giudice è quello di verificare che i beni rientrino nelle categorie delle cose oggettivamente suscettibili di confisca, tanto nell’ipotesi facoltativa che in quella obbligatoria Sez. 3, numero 47684 del 17/09/2014, Mannino, Rv. 261242 . Perciò, identificato il periculum in mora nella confiscabilità del bene, non occorre che le esigenze cautelari si fondino anche sulla necessità di evitare l’aggravamento o la protrazione dell’illecito realizzato o che mirino ad impedire la perpetrazione di altri fatti criminosi della stessa specie, circostanze che sostengono la tipologia di sequestro preventivo, di cui al primo comma dell’articolo 321 cod. proc. penumero , e non anche quella del secondo comma dell’articolo 321 cod. proc. penumero , applicato nel caso di specie. Ne deriva il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.