La lex mitior si applica anche nel caso di ricorso per cassazione inammissibile

L’intangibilità del giudicato è un principio giuridico desumibile da norme giuridiche è principio, tuttavia, non assoluto ma che ammette deroghe.

Al di là dei casi nominati”, cioè definiti espressamente dal legislatore, nel tempo la giurisprudenza è andata a delineare alcune fattispecie innominate”, che nella sostanza garantiscono i diritti di libertà che sottostanno alla disciplina penale o, per meglio dire, che devono ispirare”, costituzione alla mano, la configurazione del nostro sistema sanzionatorio criminale. D’altra parte, l’intangibilità del giudicato, benché abbia valenza processuale, essenzialmente rappresenta la concretizzazione della fattispecie astratta, sicché è ben possibile che esigenze superiori” di natura sostanziale possano avere la prevalenza rispetto a finzioni giuridiche o a profili prettamente formali, che connotano tale principio. Così chiarito il contesto di riferimento, ben si può comprendere la sentenza della Cassazione n. 15864/2016, depositata il 15 aprile. Il caso. A fronte di un ricorso per cassazione inammissibile per manifesta infondatezza”, la Corte di Cassazione ha comunque dovuto annullare con rinvio la decisione impugnata, in considerazione del fatto che l’apparato sanzionatorio applicato dal giudice nel mentre era mutato in senso più favorevole al reo . Infatti, tenuto conto dei più recenti indirizzi giurisprudenziali delle Sezioni Unite sentenza n. 46653/2015 , secondo cui, in ragione degli artt. 2, 24 e 27 della Costituzione, in tema di successione di leggi nel tempo, la Corte di Cassazione può, anche d’ufficio, ritenere applicabile il nuovo e più favorevole trattamento sanzionatorio per l’imputato, anche in presenza di un ricorso inammissibile , constatato che era intervenuta una modifica dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 ai sensi del d.l. n. 36/2014, la Suprema Corte ha ritenuto correttamente che il giudice del merito avrebbe dovuto tenere in considerazione tale nuovo dato” e quindi procedere ad una rideterminazione della pena evidentemente in senso più favorevole all’imputato, visto il nuovo minimo edittale previsto. Conclusioni. La decisione è pienamente condivisibile così come l’indirizzo giurisprudenziale sul quale la stessa si è fondata. Come accennato, del resto, l’intangibilità del giudicato penale di condanna non può essere letto, in un contesto di garanzie, come capace di vincere i diritti costituzionalmente sanciti, posto che il giudice è pur sempre soggetto alla legge ed in particolar modo a quella costituzionale. Né può negarsi che un procedimento penale, ancorché mirante a far dichiarare l’inammissibilità di un gravame, sussista la legge processuale, infatti, lo disciplina e le persone che vi partecipano non sono dei fantasmi e fino a che la decisione sull’inammissibilità non è stata pronunciata, il ricorso è pendente e con esso il processo penale. Ecco che allora l’apparente contraddizione, che potrebbe obiettarsi nel considerare astrattamente la formazione del giudicato e la modifica della legge penale sostanziale, in realtà non sussiste poiché il giudicato si forma, pendente un giudizio di Cassazione, proprio con la dichiarazione di inammissibilità, sicché nel mentre non vi è alcun giudicato e, quindi, non vi è alcuna preclusione ad applicare l’art. 2 c.p. nella parte che qui interessa. Da ultimo, non pare inutile osservare che nel caso in questione, seppur sotto mentite spoglie, la difesa aveva lamentato in sede di legittimità la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed in definitiva l’eccessività della pena determinata. E’ noto che sul punto molti aneddoti e molte ironie sono state poste nel tempo a carico di una avvocatura ritenuta assai spesso non adeguata rispetto alla professionalità richiesta in sede di legittimità. Non è qui il caso di affrontare tale delicato tema, ma è oltremodo evidente che se in questo caso come in molti altri non si avesse avuto l’ardire e l’ardore di presentare un ricorso, che al tempo della sua presentazione ragionevolmente poteva darsi per nato morto”, si sarebbe applicato una sanzione non meritata e, quindi, si sarebbe data parvenza di definitività legittimità ad una decisione ingiusta. Ecco che allora, quasi come un contrappasso storico, ciò che per molto tempo si è ritenuto essere l’esempio tipico della mediocrità dell’avvocato improvvido e sprovvisto di adeguate capacità tecniche, oggi ben può essere riconosciuto come un elemento di virtù professionale mirante a considerare che non solo i giudici ma anche i legislatori col tempo si possono rendere conto della loro esagerata severità rispetto a talune soluzioni adottate. Ciò comunque non deve stupire, poiché quando il diritto positivo si piega troppo alle esigenze politiche ed economiche del momento, esso è per definizione storicamente e geograficamente determinato e delimitato, sicché il suo mutamento è sempre prossimo. Non sempre, quindi, la lunghezza del processo è un male non sempre con la presentazione di un ricorso raffazzonato” in cassazione si mira ad ottenere una prescrizione immeritata non sempre lamentarsi con scritti o a parole dell’ingiustizia della legge attuale è inutile.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 23 marzo – 15 aprile 2016, n. 15864 Presidente Peruzzellis – Relatore Tronci Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 24.01.2014 la Corte d'appello di Perugia, nel confermare la declaratoria di colpevolezza emessa dal giudice monocratico del Tribunale dei capoluogo nei confronti di M.C., per aver ceduto poco più di un grammo di marijuana a tale B.C. per il corrispettivo di euro 20,00, dichiarava prevalente rispetto alla contestata recidiva la già concessa attenuante di cui all'art. 73 co. 5 D.P.R. 309/90 nella formulazione precedente alle modifiche apportate dal d.l. 146/2013, in quanto disposizione più favorevole e, per l'effetto, rideterminava la pena a suo carico in anni uno di reclusione ed € 3.000,00 di multa. 2. Avverso detta sentenza propone tempestivo ricorso l'imputato personalmente, il quale lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche, negate dal giudice d'appello sulla scorta di una pretesa professionalità nell'attività di spaccio, che il ricorrente reputa frutto di deduzioni congetturali, senza un'adeguata ponderazione dei dati oggettivi in atti e perciò in contrasto con il dettato dell'art. 192 cpv. cod. proc. pen. nonché in forza di una motivazione apparente, perché priva di valutazione degli elementi discordanti rispetto alla tesi privilegiata, e comunque contraddittoria, atteso che il riconoscimento dell'attenuante della peculiare tenuità del fatto e la stessa misura della pena irrogata risultano asseritamente incompatibili con la pretesa gravità del fatto, pure evocata per negare il beneficio di cui all'art. 62 bis cod. pen. Inoltre, nel corpo dei primo motivo, si sollecita anche la riduzione della pena, alla luce delle implicazioni discendenti dalla sopravvenuta sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale. Considerato in diritto 1. II proposto ricorso è privo di consistenza, pur dovendosi comunque pervenire all'annullamento con rinvio della sentenza, per le ragioni di seguito esposte. Premesso che il giudice distrettuale ha dato atto con argomentazioni del tutto congrue e logiche della statuizione adottata in tema di attenuanti generiche, di talché non è consentito in questa sede sostituire con altra la decisione avente siffatte caratteristiche, rileva la Corte che il ragionamento difensivo è comunque inficiato, innanzi tutto, dall'aver preso le mosse dall'attribuzione all'imputato di una veste di spacciatore professionale che non trova riscontro nella sentenza impugnata, ove si parla semplicemente - ma diversamente - di non occasionalità dell'attività di spaccio in secondo luogo, ma non certo in ordine d'importanza, dall'aver del tutto pretermesso ogni riferimento ai precedenti giudiziari, la cui valutazione ha concorso nella formazione dei giudizio negativo sulla personalità dell'imputato, che costituisce l'effettiva ed esplicitata causale della deliberazione qui contestata e non già la gravità dei fatto, come si assume nel ricorso. Onde non sussiste alcun profilo di contraddittorietà della motivazione, neppure desumibile dall'entità della pena, in quanto pari al minimo edittale, giusta la previsione normativa dei tempo lo sviluppo dei calcolo contenuto in parte motiva è palesemente erroneo, dovendo comunque attribuirsi prevalenza all'indicazione risultante dal dispositivo . Quanto precede vale inoltre a significare la palese inconsistenza dei riferimento alla nota sentenza n. 32/2014 del giudice delle leggi, posto che - anche a volervi riconoscere la dignità di uno specifico motivo di censura - la relativa declaratoria di incostituzionalità ha riguardato una disposizione diversa da quella qui applicata, nella sua misura minima del tempo e perciò non suscettibile di attenuazioni di sorta. 2. Fermo quanto sopra, è notorio che, successivamente alla pronuncia della cui impugnazione si tratta, la norma incriminatrice è stata ulteriormente modificata, in senso favorevole all'imputato, ai sensi del d.l. 20.03.2014 n. 36, convertito in legge 16.05.2014 n. 79 discende da ciò, in conformità all'insegnamento delle Sezioni Unite, Il diritto dell'imputato, desumibile dall'art. 2, comma quarto, cod. pen., di essere giudicato in base al trattamento più favorevole tra quelli succedutisi nel tempo, comporta per il giudice della cognizione il dovere di applicare la lex mitior anche nel caso in cui la pena inflitta con la legge previgente rientri nella nuova cornice sopravvenuta, in quanto la finalità rieducativa della pena ed il rispetto dei principi di uguaglianza e di proporzionalità impongono di rivalutare la misura della sanzione, precedentemente individuata, sulla base dei parametri edittali modificati dal legislatore in termini di minore gravità così la sent. n. 46653 del 26.06.2015, Della Fazia, Rv. 265110, relativa giusto ad un'ipotesi di reato ex art 73 co. 5 D.P.R. 309/90 . Inoltre, con la medesima sentenza testé citata, le Sezioni Unite hanno puntualizzato, alla luce della legittima erosione dei principio dell'intangibilità del giudicato ogniqualvolta esso entra in rotta di collisione con l'esigenza di tutela di un diritto fondamentale della persona - a tale riguardo venendo in considerazione i parametri costituzionali di cui agli artt. 2, 24 e 27 della Carta Fondamentale, evocati anche con la massima che precede, e, correlativamente, l'ampliamento dei poteri del giudice dell'esecuzione - che In tema di successione di leggi nel tempo, la Corte di cassazione può, anche d'ufficio, ritenere applicabile il nuovo e più favorevole trattamento sanzionatorio per l'imputato, anche in presenza di un ricorso inammissibile - da intendersi con esclusione dei soli casi di inammissibilità per tardività, in tal caso essendosi in presenza di un già perfezionato giudicato formale - disponendo, ai sensi dell'art. 609 cod. proc. pen., l'annullamento sul punto della sentenza impugnata pronunciata prima delle modifiche normative 'in melius ' cfr. sent. cit., Rv. 265111 . In applicazione di tali principi la sentenza va dunque annullata e rimessa ad altro giudice per la determinazione del quantum di pena. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, e rinvio, per nuovo giudizio sul punto, alla Corte di appello di Firenze. Rigetta nel resto il ricorso.