Le «indispensabili esigenze di vita» non possono identificarsi con fini rieducativi o morali

Chi si trova agli arresti domiciliari può avere la necessità di soddisfare esigenze di vita nonché di provvedere a sé o, per meglio dire, al suo mantenimento al di fuori del luogo di reclusione” e, quindi, di avere la necessità di uscire” dal proprio domicilio.

Naturalmente non ogni situazione di bisogno può essere presa in considerazione poiché, essendovi l’applicazione di una misura cautelare coercitiva, è indispensabile che la possibilità di attenuare detta misura non solo non vanifichi le finalità delle stessa ma anche che non si alterino dette finalità. In questo delicato bilanciamento di interessi, il legislatore italiano, com’è noto, ha previsto ex art. 284, comma 3, c.p.p. che se l'imputato non può altrimenti provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita ovvero versa in situazione di assoluta indigenza, il giudice può autorizzarlo ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo di arresto per il tempo strettamente necessario per provvedere alle suddette esigenze ovvero per esercitare una attività lavorativa . La norma non pone particolari problemi interpretativi in merito al concetto di assoluta indigenza , posto che si fa chiaramente riferimento alla situazione economica e al bisogno di vita del soggetto più complesso, invece, è definire quali siano le indispensabili esigenze di vita . Di per sé rientrano quelle esigenze che attengono allo stato di salute dell’arrestato, che non possa essere adeguatamente curato in ambito domestico sul punto in genere il giudice si affida ad una consulenza tecnica onde verificare se in effetti sia necessario spostarsi dal domicilio. Dubbi, invece, possono sorgere nel caso di esigenze relazionali ed in particolar modo con riguardo a eventi straordinari id est non ordinari riferite a persone con i quali l’arrestato intrattiene rapporti qualificati oppure in vista dell’adempimento di obblighi di natura familiare o religiosa. La giurisprudenza sul punto è molto variegata ma oltremodo stringente ed ha sempre richiesto che in ogni caso il bisogno da soddisfare non deve essere altrimenti perseguibile ed ha ribadito più volte che il soddisfacimento dell’esigenza de qua non deve pregiudicare, in punto di fatto, le finalità cautelari” degli arresti domiciliari imposti. Ne discende che una categoria ben definita di situazioni non sussiste, dovendosi valutare di volta in volta il caso, ben consapevoli che a rigor di legge nel dubbio non vi sarà attenuazione. Quanto sopra ben può far comprendere il caso analizzato nella sentenza in commento. Il caso. Il ricorrente aveva chiesto di essere autorizzato ex art. 284 comma 3 c.p.p. ad allontanarsi dal domicilio per svolgere attività di volontariato presso una Onlus per intraprendere un serio percorso rieducativo e a crescere in maturità, a trovare un senso nella vita, a spendersi per il prossimo . La Cassazione con motivazione sintetica ma efficace ha osservato che l’art. 284 comma 3 c.p.p. non può certo investire il profilo meramente risocializzante , che è più propriamente riferibile ad altra e ben diversa fase, in particolare, a quella esecutiva della pena che a tale profilo dedica svariati istituti” . D’altra parte, si è detto che se è vero che il provvedimento di concessione dell’autorizzazione ad assentarsi non investe le condizioni di applicabilità della misura cautelare , è oltremodo innegabile che non possono consentirsi attività lavorative che, per loro natura, come nella fattispecie, sono destinate a snaturare la qualità dell’istituto degli arresti domiciliari, incidendo in modo apprezzabile sul regime cautelare . Da ciò il rigetto del ricorso, motivato altresì sull’estrema pericolosità del soggetto. Conclusioni. Di per sé la decisione è condivisibile, posto che la prospettazione del ricorso lasciava in effetti perplessi. Se non che è innegabile che il vero punto dolente è la durata della misura cautelare e la conseguente possibilità che col protrarsi della stessa le esigenze di vita da soddisfare aumentino oggettivamente e con esse il carico di afflizione della misura cautelare in questione. Molte delle questioni proposte e respinte sul punto dalla giurisprudenza hanno avuto, in fondo, questa considerazione di partenza se si tratta di misura cautelare, essa deve essere ritenuta eccezionale” non solo nei suoi presupposti ma anche nella sua durata. Riemergono così i classici profili di tensione in merito alle misure cautelari coercitive, che non è qui il caso di discutere per non andare fuori tema. Se non che è innegabile che gli arresti domiciliari, così come le custodia in carcere, limitando la libertà di movimento, possono comunque incidere anche su altri ambiti della libertà, come la sfera religiosa e familiare, che certamente non rappresentano beni che si possono diminuire in ragione della pendenza di un processo penale. Alla fine, insomma, risulta sempre che la custodia” è comunque un male” ovvero una sofferenza” che si applica in quanto ritenuta a torto o ragione necessaria. Pragmaticamente parlando, tutto potrebbe essere, come accennato, ridimensionato con una celebrazione veloce” del processo ma senza compromettere o ridurre le garanzie specie difensive. Come ciò potrà essere, è la principale sfida dei prossimi anni per il futuro delle prossime generazioni.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 marzo – 13 aprile 2016, n. 15426 Presidente Ramacci – Relatore De Masi Ritenuto in fatto Con ordinanza emessa il 7/1/2016, il Tribunale di Bologna ha respinto la richiesta di riesame presentata nell'interesse di X.E., avverso il provvedimento con il quale la Corte di Appello di Bologna aveva rigettato l'istanza di autorizzazione del medesimo, sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, a frequentare in qualità di volontario il Campo Emmaus gestito dall'Associazione di Volontariato Campo Emmaus di Cesena ed a partecipare all'attività di prelievo di mobili ed oggetti donati nel territorio cesenatese insieme ad altri volontari e sotto la direzione dei responsabili del Campo. La medesima Corte di Appello aveva, con sentenza dei 15/9/2015, respinto l'appello proposto dall'imputato avverso la sentenza emessa il 17/2/2015 dal G.I.P. del Tribunale di Forlì che lo aveva condannato, con la continuazione, le attenuanti generiche e la riduzione del rito, alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione, per i reati di violenza sessuale, furto e lesioni aggravate commessi in Cesena, in data 12/11/2014, ai danni di J.K., e contestualmente aveva respinto anche l'istanza di sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari sul rilievo della estrema pericolosità sociale dimostrata e l'altamente probabile pericolo di recidiva, contenibile solo con la misura custodiale limitativa della libertà di movimento sul territorio . Tali argomentazioni erano state poi riprese nell'impugnata ordinanza nella quale la Corte territoriale aveva stigmatizzato il tentativo della difesa di ricondurre alla indispensabile esigenza di vita dell'imputato l'attività gratuita e libera di volontariato che quand'anche circoscritta all'interno del Campo Emmaus risulterebbe comunque incompatibile con l'esigenza di salvaguardia connesse al pericolo di recidivanza. Avverso l'ordinanza lo X. propone, tramite difensore fiduciario, ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Con il primo motivo, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b , c.p.p., deduce violazione e comunque erronea applicazione degli artt. 284, c.3, 277, comma 2, 27, c.2, seconda parte, 31, c.2, Cost., 1, comma 6, L. n. 354 dei 1975 Ord. Penit. , per avere la Corte territoriale escluso che la partecipazione dell'imputato all'attività del Campo Emmaus corrisponda ad una sua indispensabile esigenza di vita . Evidenzia la difesa dei ricorrente che erroneo è anche il richiamo alle esigenze cautelari in quanto esse devono necessariamente essere contemperate con le indispensabile esigenza di vita dell'imputato. Con il secondo motivo, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p., deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 274, lett. C , c.p.p., in quanto la Corte territoriale afferma la ricorrenza di un concreto e attuale pericolo che lo X. commetta ulteriori reati senza considerare che i fatti risalgono ad oltre un anno ed i rilevanti elementi di novità emersi successivamente e risultanti dagli atti del processo, quali l'assunzione di responsabilità, il pentimento e la volontà di impegnarsi per risarcire il danno alla parte offesa, come da dichiarazione scritta indirizzata al G.I.P. del Tribunale di Forlì, ma anche la nascita della figlia Erika e la cura e l'accudimento alla stessa positivamente riservati nel periodo trascorso agli arresti domiciliari. Con il terzo motivo, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b , c.p.p., deduce inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 284, c.2 e 4, 277, c.p.p., per aver la Corte territoriale omesso di considerare la possibile adozione di limiti e strumenti di controllo nelle modalità di frequentazione del Campo onde evitare situazioni di pericolo per i terzi. Considerato in diritto I motivi di ricorso, che possono essere scrutinati congiuntamente, sono infondati e vanno respinto. Per consolidata giurisprudenza di legittimità, la valutazione ai fini della concessione, a soggetto agli arresti domiciliari, del beneficio ex art. 284 c.p.p., comma 3, deve essere improntata a criteri di particolare rigore, tenendo conto della compatibilità dell'attività lavorativa proposta rispetto alle esigenze cautelari poste a base della misura coercitiva cfr., Sez. 6, n. 12337 del 25/02/2008, Presta, Rv. 239316 . Il giudice può autorizzare l'imputato sottoposto agli arresti domiciliari ad assentarsi dall'abitazione per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita , quando questi non possa provvedere altrimenti, ovvero per esercitare un'attività lavorativa, quando versi in una situazione di assoluta indigenza . Dal testo normativo, e soprattutto dalla qualificazione dei presupposti autorizzativi in termini di indispensabilità e di assolutezza , emerge ali' evidenza che la valutazione del giudice deve essere improntata a criteri rigorosi, di cui deve essere dato conto nella motivazione del relativo provvedimento Sez. 3, n. 3649 del 23/2/2000 . È sicuramente vero infatti che il provvedimento di concessione dell'autorizzazione ad assentarsi non investe le condizioni di applicabilità della misura cautelare già valutate dal giudice nella decisione sulla libertà personale dell'imputato, attraverso la scelta della misura cautelare degli arresti domiciliari , in quanto il provvedimento di concessione o diniego dell'autorizzazione a svolgere attività lavorativa è un provvedimento di natura regolamentare, che si limita a disciplinare le modalità di esecuzione della misura cautelare in atto, ma è anche vero che la concessione dell'autorizzazione è un beneficio che non si configura come un diritto dell'imputato , per cui non possono ritenersi consentite attività lavorative che, per loro natura, come nella fattispecie, sono destinate a snaturare la qualità dell'istituto degli arresti domiciliari, incidendo in modo apprezzabile sul regime cautelare cfr., Sez. 6, n. 190 del 25/01/1993, Valerio, Rv. 193548 . Tanto premesso, lo X., sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, aveva chiesto di essere autorizzato a frequentare, in qualità di volontario, il Campo Emmaus gestito dall'Associazione di Volontariato Campo Emmaus di Cesena ed a partecipare all'attività di prelievo di mobili ed oggetti donati, nell'ambito del territorio Cesena/tese, con gli altri volontari, attività svolta dunque a titolo assolutamente gratuito. Ma secondo la difesa del ricorrente, le indispensabili esigenze di vita di cui al richiamato art. 284 c.p.p., comma 3, ricomprendono la necessità di un serio percorso educativo o rieducativo per cui l'esperienza di volontariato, unitamente all'esercizio delle funzioni genitoriali, potrebbe aiutere l'imputato a crescere in maturità, a trovare un senso nella vita, a spendersi per il prossimo . La Corte territoriale ha correttamente dissentito dalla suesposta lettura della disposizione atteso che l'espressione indispensabili esigenze di vita , come si legge nell'impugnata ordinanza, non può certo investire il profilo meramente risocializzante dallo stesso difensore descritto , che è più propriamente riferibile ad altra e ben diversa fase, in particolare, a quella esecutiva della pena che a tale profilo dedica svariati istituti . Questa Corte ha avuto modo di affermare che, pur potendo ricomprendersi nei bisogni primari dell'individuo anche le necessità ulteriori rispetto alla fisica sopravvivenza, quali quelle relative alla comunicazione, l'educazione e la salute, la valutazione del giudice in ordine alla situazione di assoluta indigenza dello stesso deve essere improntata, stante l'eccezionalità della previsione, a criteri di particolare rigore Sez. 3, n. 34235 del 15/7/2010, Gatti, Rv. 248228 , sicché va ribadito il principio, affermato in altra pronuncia, secondo cui tra le indispensabili esigenze di vita previste per ottenere dal giudice l'autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, non rientra il mero soddisfacimento dei bisogni spirituali o religiosi Sez. 4, n. 32364 del 27/472012, Cristillo, Rv. 253130 . Le ragioni che precedono assorbono le ulteriori doglianze, involgenti direttamente le valutazioni del Tribunale del Riesame sulle esigenze cautelari, ma non appare superfluo osservare che, fermo quanto precede, quand'anche, contro ogni ragionevole lettura della disposizione, si potesse ritenere provata in atti un'esigenza giustificativa dell'attenuazione dei regime degli arresti domiciliari, osterebbe all'accoglimento dell'istanza l'insuperabile considerazione che la misura verrebbe di fatto svuotata della sua funzione tipica, in quanto essa, ex art. 284 c.p.p., comma 5, c.p.p., costituisce pur sempre una forma di custodia cautelare Sez. 6, n. 12337 del 19/3/2008, Sez. 2, n. 1556 del 16/1/2006 . E sul punto il Tribunale del Riesame non ha mancato di evidenziare la negativa ed allarmante personalità dello X., desunta dalle modalità della condotta criminosa 'violente e sopraffattorie , motivatamente ritenute incompatibili con un indiscriminato e giornaliero contatto con una pluralità di soggetti di ambo i sessi all'interno di un contesto associativo aperto e non costantemente e rigidamente controllato , a nulla rilevando, ai fini qui considerati, i propositi di pentimento ed il non lungo tempo trascorso dal commesso reato. Si tratta di valutazioni compiute in piena aderenza ai principi di cui sopra e che appaiono pertanto incensurabili nella presente sede di legittimità. Segue, per il disposto dell'art. 616 comma p. p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese dei procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.