Detiene un documento falso e propone denaro in cambio dell’interruzione dell’accertamento: è istigazione alla corruzione!

Per la consumazione del reato d’istigazione alla corruzione è richiesta solamente la prova dell’offerta corruttiva, risultando del tutto irrilevanti i motivi che hanno spinto l’imputato a formularla.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14029/16, depositata il 7 aprile. Il caso. La Corte di appello di Roma confermava la sentenza di primo grado che condannava l’imputato per il reato di istigazione alla corruzione e possesso di documenti di identificazione falsi, per avere proposto più volte agli operanti di dividersi in parti uguali la somma in suo possesso, al fine di convincerli a non denunziarlo per il concorrente reato di falso e desistendo unicamente nel momento in cui veniva avvertito che sarebbe stato denunziato anche per il delitto di istigazione alla corruzione. Motivi di ricorso. Questi proponeva ricorso per cassazione deducendo errata applicazione della legge penale, non essendo emerso dagli atti né il destinatario della presunta offerta di denaro, né tanto meno lo scopo, risultando, peraltro, a tal fine, irragionevole l’esorbitante offerta di una somma pari ad euro 93.000. Analogo vizio veniva lamentato con riguardo all’applicazione della confisca facoltativa disposta dai giudici. Secondo il ricorrente, invero, non si ricaverebbe dalla sentenza quale sia il paventato pericolo insito nel mantenimento del possesso della cosa da parte dell’agente. Infine, deduce manifesta illogicità della motivazione ove non riconosce la grossolanità del falso in presenza di una errata indicazione della provincia nei documenti validi per l’espatrio, circostanza che avrebbe dovuto essere rilevata dai soggetti tenuti al controllo ai confini. La Corte rigetta il ricorso sotto tutti i profili lamentati. Serietà dell’offerta corruttiva. Perché possa ritenersi sussistente il reato d’istigazione alla corruzione, la Corte ricorda che non occorre che l’offerta sia motivata e/o giustificata, essendo sufficiente la prova che la stessa sia avvenuta e che fosse seria. Tale elemento, tuttavia, non pare sussistere quando l’offerta sia talmente modesta da non apparire in alcun modo bilanciata rispetto alla controprestazione, al punto da non riuscire minimamente ad ingenerare il pericolo di una possibile accettazione. Nel caso di specie, la cospicua offerta di 93.000 euro, ovviamente, non può che apparire seria” e in grado di creare turbamento nei destinatari. A nulla vale, pertanto, l’argomento di parte che vuole che l’imputato avrebbe potuto raggiungere lo stesso risultato anche con somme inferiori e che, pertanto, vuole oggettivamente impossibile l’offerta stessa. Confisca del denaro. Secondo l’insegnamento della Corte, poi, il denaro offerto o promesso al pubblico ufficiale non costituisce il prezzo o il profitto del reato, ma un semplice mezzo per la sua esecuzione da parte dell’autore dell’istigazione pertanto, può essere oggetto di confisca facoltativa ai sensi dell’art. 240, comma 1, c.p Correttamente, dunque, i giudici di merito avrebbero disposto tale misura nei confronti del denaro utilizzato dall’imputato. È, infatti, indubbio il nesso tra questo e la proposta corruttiva, dato che è stato il mezzo utilizzato per potere ottenere un certo risultato. La confisca, dunque, si è rivelata necessaria perché se lasciato nella disponibilità dell’imputato, il denaro avrebbe potuto essere utilizzato per la commissione di altri illeciti. Documenti falsi. Con riguardo, infine, al delitto di falsificazione, la Corte rammenta come il reato di cui all’art. 497- bis c.p. si configura solo per il fatto di possedere un documento contraffatto. Non occorre, dunque, anche il suo utilizzo. Seppure la norma sia stata modificata con il d.l. n. 144/2005, teso a potenziare gli strumenti di contrasto al terrorismo internazionale, la stessa, tuttavia, non ha un ambito di applicazione ridotto ai soli casi di documenti validi per l’espatrio, come vuole il ricorrente, seppure in questi casi la condotta può essere più grave. Infatti, l’uso dei documenti non concorre in alcun modo a definire le fattispecie in questione .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 gennaio – 7 aprile 2016, n. 14029 Presidente Lapalorcia – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Roma ha confermato la condanna, pronunziata in giudizio abbreviato, di C.M. per i reati di istigazione alla corruzione e di possesso di documenti di identificazione falsi, concedendo all'imputato, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, i doppi benefici di legge. 2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato a mezzo dei proprio difensore articolando tre motivi. 2.1 Con il primo deduce errata applicazione della legge penale e connessi vizi della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del C. per il reato di istigazione alla corruzione, lamentando come dagli atti non emerga il destinatario della presunta offerta di danaro che egli avrebbe effettuato, né lo scopo della medesima, risultando comunque oggettivamente irragionevole che l'imputato abbia offerto una somma così esorbitante 93.000 euro per convincere gli operanti a non denunziarlo per il concorrente reato di falso, attesa la minima entità delle conseguenze che da tale denunzia potevano derivargli. Conseguentemente, quantomeno, la Corte territoriale avrebbe dovuto escludere la serietà dell'offerta e dunque la sua tipicità. 2.2 Analoghi vizi vengono denunziati con il secondo motivo in relazione alla disposta confisca della somma ricordata in precedenza ai sensi del primo comma dell'art. 240 c.p., difettando un effettivo rapporto di strumentalità tra il bene oggetto di ablazione e il reato, posto che tale rapporto per costante giurisprudenza non può avere natura meramente occasionale, bensì deve estrinsecarsi in uno stretto nesso strumentale in grado di rivelare il pericolo insito nel mantenimento del possesso della cosa da parte dell'agente, profilo sul quale la sentenza avrebbe altresì omesso di motivare. 2.3 Con il terzo motivo gli stessi vizi vengono dedotti anche con riguardo alla ritenuta responsabilità del C. anche per il reato di cui all'art. 497-bis c.p. rilevandosi in proposito come il C. non avesse il possesso immediato dei documenti di cui si è ritenuta la falsità, come invece richiesto dalla norma incriminatrice. Non di meno la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto del fatto che l'imputato sin dall'inizio aveva riferito di non vivere da solo nell'abitazione in cui i documenti sono stati rinvenuti ed aveva escluso che la foto apposta su uno di essi lo ritraesse, talchè non vi sarebbe prova della riferibilità degli stessi al medesimo in assenza di accertamenti antropometrici sulla fotografia in questione. Infine manifestamente illogica sarebbe la motivazione con la quale i giudici dell'appello hanno escluso la grossolanità dei falso con riferimenti all'erronea indicazione della sigla della provincia di Cosenza, atteso che tale grossolanità deve essere parametrata al fatto che la norma punisce il falso in documenti validi per l'espatrio e dunque l'idoneità ingannatoria deve essere riferita ai soggetti tenuti al controllo degli stessi ai confini. Considerato in diritto 1. II ricorso è infondato e per certi versi inammissibile e deve conseguentemente essere rigettato. 2. II primo motivo è inammissibile. 2.1 L'obiezione relativa alla mancata individuazione del destinatario dell'offerta corruttiva e le sue modalità si rivela in realtà la mera riproposizione di quella avanzata con i motivi d'appello e puntualmente confutata dalla Corte territoriale, la quale ha evidenziato come dal verbale d'arresto del C. risulti specificamente come egli propose più volte agli operanti di dividersi in parti uguali la somma in suo possesso, desistendo dal suo intento solo dopo essere stato avvertito che sarebbe stato denunziato anche per il reato di istigazione alla corruzione. Motivazione del tutto adeguata a sostenere l'affermazione di responsabilità dell'imputato e che il ricorso ha omesso di confutare risultando sul punto dei tutto generico. E analoghe considerazioni devono essere riservate alle doglianze relative all'indeterminatezza della condotta illecita che avrebbero dovuto tenere i pubblici ufficiali, atteso che anche in proposito la sentenza chiarisce come ciò che veniva richiesto agli stessi era di interrompere gli accertamenti in corso. 2.2 Quanto poi alla presunta irragionevolezza di un'offerta così cospicua per evitare le conseguenze legate al rinvenimento dei documenti falsi in possesso del C., si tratta di censura versata in fatto che tende - in ultima analisi - a sollecitare a questa Corte una per l'appunto inammissibile rivalutazione del compendio probatorio e in particolare dell'attendibilità di quanto attestato dagli operanti nel verbale d'arresto. Non di meno deve rammentarsi come i motivi che hanno mosso l'imputato a formulare l'offerta sono del tutto irrilevanti, essendo richiesta solo la prova dell'offerta corruttiva senza che sia necessario accertare che la stessa abbia una giustificazione Sez. 6, n. 21095 del 25 febbraio 2004, Barhoumi, Rv. 229022 . 2.3 Manifestamente infondati sono infine i rilievi sulla presunta non serietà dell'offerta, che sono il frutto di una errata interpretazione della giurisprudenza di questa Corte, la quale ha individuato il suddetto requisito in relazione all'ipotesi in cui al pubblico ufficiale venga formulata una offerta di entità così modesta rispetto alla controprestazione richiesta da non integrare un effettivo pericolo di accettazione. Ipotesi che all'evidenza non ricorre nel caso di specie dove l'offerta era certamente seria e in grado di creare un turbamento psicologico nei suoi destinatari, rimanendo dunque irrilevante che l'imputato, nella sua prospettiva, avrebbe potuto raggiungere il medesimo risultato anche promettendo la consegna di somme inferiori a quella effettivamente proposta ed altresì il motivo per cui abbia esagerato il panico del momento, il fatto - che pure emerge dalla sentenza - che asseritamente il danaro non fosse suo o altro ancora . 3. II secondo motivo è invece infondato. Premesso che in caso di istigazione alla corruzione il denaro offerto o promesso al pubblico ufficiale non costituisce il prezzo o il profitto dei reato, ma un semplice mezzo per la sua esecuzione da parte dell'autore dell'istigazione e, come tale, secondo l'insegnamento di questa Corte può essere oggetto di confisca facoltativa ai sensi dell'art. 240 comma 1 c.p. Sez. 6, n. 14178 del 27 febbraio 2009, Sampietro, Rv. 243579 , deve rilevarsi che correttamente la Corte territoriale ha confermato la misura ablativa. E' infatti indubbio che sussista uno stretto nesso strumentale tra il danaro offerto e la proposta corruttiva, atteso che lo stesso ne è stato l'infungibile mezzo e più specificamente la cosa destinata a commettere il reato. E dal complesso della motivazione emerge in maniera sufficientemente chiara come il giudice del merito abbia desunto in maniera tutt'altro che illogica dalla entità della somma rinvenuta in possesso dell'imputato e dalle modalità dell'azione il pericolo che, se lasciata nella sua disponibilità, la stessa potesse costituire l'occasione per la commissione di ulteriori comportamenti illeciti. 3. Infondato e per certi versi inammissibile è anche il terzo motivo di ricorso. 3.1 Le fattispecie di possesso e fabbricazione di documenti d'identità falsi di cui all'art. 497 bis c.p. sono state introdotte dal legislatore tra i reati contro la fede pubblica nel capo dedicato a quelli concernenti le falsità personali al fine di rendere più severa la repressione penale dei comportamenti tesi ad ostacolare l'identificazione delle persone come suggerisce la stessa rubrica dell'articolo del d.l. n. 144 del 2005 che ha configurato la nuova disposizione . Non può dunque dubitarsi che il bene giuridico oggetto delle nuove incriminazioni sia innanzi tutto la pubblica fede personale, ancorché tutelato in maniera indiretta, tanto da rimanere sullo sfondo, attraverso la punizione di condotte che sembrano anticipare perfino il pericolo di una lesione o che comunque si rivelano solo astrattamente idonee a generarlo. Ciò che rileva ai fini della sussistenza del reato è infatti già la materiale falsificazione dell'atto certificativo o il mero possesso del documento contraffatto e non anche l'uso dello stesso. 3.2 E' sì vero che le nuove figure di reato sono state introdotte nell'ambito di un intervento normativo il già citato d.l. n. 144 del 2005 teso a potenziare gli strumenti di contrasto al terrorismo internazionale, ma è ultroneo dedurne un ambito di applicazione della norma incriminatrice così specializzato quale quello suggerito dal ricorrente. In tal senso la perimetrazione dell'oggetto materiale delle incriminazioni in questione ai soli documenti validi per l'espatrio trova la sua giustificazione semplicemente nella ritenuta maggiore pericolosità delle condotte che riguardano questi ultimi - in quanto considerate, sulla base dell'esperienza investigativa maturata in quegli anni, sintomatiche del fenomeno terroristico in questione -, ma non rivela l'intenzione del legislatore di punire solo quelle rivolte ad agevolare effettivamente l'espatrio o l'ingresso dell'utilizzatore dei suddetti documenti. Come già evidenziato, infatti, l'uso qualunque esso sia di questi ultimi non concorre in alcun modo a definire le fattispecie in questione, risultando dunque improprio introdurre un elemento di selezione del loro profilo di tipicità che non trovi riscontro nella lettera della norma che non può essere dedotto dall'artificiosa costruzione di un'oggettività giuridica la tutela della libera circolazione fra Stati di dubbia autonomia concettuale e che non trova riscontro nei lavori parlamentari della legge di conversione del citato decreto legge I. n. 155 del 2005 Sez. 5, n. 39408 del 18 luglio 2012, D'Agostino, Rv. 253579 . E' conseguentemente irrilevante che il personale addetto al controllo delle frontiere avrebbe potuto rilevare agevolmente la falsità del documento dall'erroneità della sigla della provincia del luogo di nascita e ciò anche a prescindere che tale eventualità è tutt'altro che oggettivamente scontata, trattandosi di un dettaglio che facilmente può sfuggire ad un controllo di routine e dunque insufficiente a compromettere l'idoneità ingannatoria dei documento. 3.3 Parimenti infondata è l'obiezione relativa al fatto che i documenti non siano stati rinvenuti sulla persona del C., ma in un mobile della sua abitazione. In proposito questa Corte ha già avuto modo di chiarire come, per l'integrazione del delitto di possesso di documenti di identificazione falsi, non sia necessaria una contiguità fisica, attuale e costante, tra il documento ed il soggetto agente, essendo sufficiente che questi detenga o abbia detenuto, anche prima dell'accertamento del fatto da parte della polizia giudiziaria, l'atto certificativo in un luogo e con modalità tali da assicurarsene l'immediata disponibilità, come certamente avvenuto nel caso di specie Sez. 5, n. 17944 del 19 marzo 2014, Sino, Rv. 259075 . 3.4 Generici infine sono gli ulteriori rilevi sulla riconducibilità dei documenti rinvenuti all'imputato, che si fondano peraltro sulle indimostrate dichiarazioni dello stesso peraltro evocate in maniera altrettanto generica , mentre correttamente i giudici dei merito hanno fondato la prova della circostanza su quanto riferito dagli operanti circa la corrispondenza della foto apposta su uno di essi all'immagine del C., non essendo necessari particolari ulteriori accertamenti se non in caso di dubbio sulla attendibilità dei riconoscimento, che il ricorrente non ha saputo ancorare ad alcun elemento oggettivo idoneo a suffragarlo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.