Condanna ex art. 416-bis c.p.: misura cautelare da applicare alla luce di circostanze attuali e sopravvenute

Anche quando viene emessa sentenza di condanna per il delitto di cui all’articolo 416-bis c.p., ove trova piena applicabilità la presunzione relativa di adeguatezza esclusiva della carcerazione contemplata dall’articolo 275, comma 3, c.p.p., l’indagine da condursi dal giudice della cognizione, investito della cautela, impone la ponderata valutazione di ogni elemento attuale e sopravvenuto rispetto al fatto da cui possa emergere l’esigenza cautelare del pericolo di recidivanza o di fuga.

La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 13750/2016, depositata il 6 aprile scorso, si è pronunciata in tema di misure cautelari nell’ambito di procedimenti attinenti al reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, in fase postuma all’accertamento della responsabilità penale da parte del giudice di primo grado. Il caso di specie. Il Tribunale di Reggio Calabria rigettava la richiesta di revoca di misura cautelare proposta da un soggetto imputato del delitto di cui all’articolo 416- bis c.p., condannato in primo grado, già respinta dal gup presso il medesimo Tribunale. L’originario provvedimento cautelare veniva adottato su richiesta del pm procedente all’esito del giudizio abbreviato, conclusosi con sentenza di condanna. Avverso l’ ordinanza ricorre per cassazione il prevenuto, a mezzo del proprio difensore, il quale lamenta il ripristino di una misura cautelare, applicata in prima battuta in corso d’indagine ed annullata dalla Corte di legittimità per vizio di motivazione in ordine alla solidità della base indiziaria. Viene denunciato, pertanto, vizio della motivazione dell’ordinanza pronunciata dal gup in sede in punto di valutazione delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274, lett.b e lett.c , c.p.p., non essendo operativo, nel caso di specie, alcun automatismo cautelare presuntivo ai sensi dell’articolo 275, comma 3, c.p.p Il gravame merita accoglimento. I Giudici della VI sezione del Palazzaccio avallano in toto le doglianze difensive. In effetti, è l’articolo 275, comma 3, c.p.p. a dettare le regole destinate a guidare il giudizio sui pericula libertatis quando a pronunciarsi in ordine cautelare sia il giudice della cognizione dopo l’intervenuta sentenza di condanna. In particolare, siffatta norma impone una regola di giudizio relativamente alle esigenze cautelari, stabilendo che, all’esito di un giudizio di condanna, il giudice debba tener conto anche dell’esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta taluna delle esigenze indicate dall’articolo 274, comma 1, lett.b e c , c.p.p . Ciò posto, è di tutta evidenza che il giudice investito della cautela, nel caso in disamina, non abbia proceduto secondo siffatta ponderazione. Invero, gli elementi apprezzati dal Tribunale del Riesame, che confermava l’ordinanza applicativa genetica pronunciata dal gup, rappresentano dati risalenti nel tempo e valorizzati in corso d’indagine. Invero, il Collegio non ha, erroneamente, tenuto conto del decorso del tempo rispetto al tempus commissi delicti , né del cambiamento delle abitudini di vita del condannato secondo le circostanze addotte dalla difesa. Ne consegue che in presenza di elementi positivi volti a dimostrare il superamento della presunzione di adeguatezza della misura cautelare inframuraria, il giudice delle cautela deve motivare compiutamente in ordine tanto all’effettivo ed attuale pericolo di fuga quanto al concreto ed attuale pericolo di recidiva da parte dell’imputato. In ragione delle sopra esposte considerazioni, la Suprema Corte annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale del Riesame per nuovo esame della quaestio .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 marzo – 6 aprile 2016, n. 13750 Presidente Paoloni – Relatore Scalia Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato la richiesta di revoca proposta da M.C. avverso l’ordinanza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria che è stata così confermata. L’originario provvedimento cautelare è stato adottato, su richiesta avanzata dal Pubblico Ministro, in via incidentale, nel giudizio di primo grado definito per sentenza di condanna, nelle forme del rito abbreviato. 2. Il M. è stato attinto dall’indicata misura custodiate in quanto imputato, in posizione subordinata rispetto ai capi del sodalizio, di partecipazione, unitamente ad altri non identificati ed altri ancora giudicati separatamente, all’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, nella sua articolazione locale di omissis , cosca facente capo alla famiglia I. . È stata contestata e ritenuta l’aggravante del carattere armato dell’associazione e del finanziamento delle attività economiche strumentalmente perseguite, in tutto o in parte, con il prezzo, il prodotto ed il profitto dei delitti alla cui realizzazione il programma criminoso era diretto art. 416 bis, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6, cod. pen. artt. 3 e 4 I. n. 146 del 2006 . 3. Avverso l’indicata ordinanza, propone ricorso per cassazione la difesa del prevenuto. 4. La difesa premette come per l’impugnato provvedimento cautelare sia stata ripristinata misura custodiate che aveva attinto in corso di indagine il M. e che, in seguito ad annullamento della Corte di cassazione per vizi di motivazione, quanto alla solidità della base indiziaria, era stata annullata dal Tribunale del riesame, pronunciatosi in sede di rinvio. Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza del 27 gennaio 2015, all’esito di giudizio abbreviato, ha condannato il M. alla pena di sei anni e dieci giorni di reclusione. Su istanza del Pubblico Ministero procedente, il medesimo giudicante con l’ordinanza gravata, datata 1 ottobre 2015, adottata successivamente alla sentenza di condanna le cui motivazioni erano state depositate il precedente 12 agosto, ha, sul presupposto dell’intervenuta condanna e della ricorrenza delle esigenze cautelari lettere b e c dell’art. 274, comma 1, cod. proc. pen. , applicato nuovamente al M. la misura cautelare. 5. Sulle indicate vicende processuali, la difesa affida il proposto mezzo ad un unico articolato motivo con cui denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in particolare degli artt. 274 e 275 cod.proc. pen., e vizi di motivazione in punto di valutazione delle esigenze cautelari art. 606, comma 1 lett. b ed e cod. proc. pen. . Il ricorrente, richiamata sul punto giurisprudenza di legittimità, premette come l’adozione di misura cautelare contestualmente a sentenza di condanna per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. non comporti alcun automatismo presuntivo delle esigenze cautelari ai sensi dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen Piuttosto, la gravità della pena diverrebbe solo uno degli elementi da valutare al fine di stabilire la sussistenza del pericolo di fuga, non spiegando alcun effetto quanto alle ulteriori esigenze cautelari, in relazione alle quali il giudice deve fare riferimento ad altri parametri valutativi, come la personalità del reo, la tendenza a delinquere, il pregresso comportamento. Il ricorrente lamenta quindi, quanto all’estremo del pericolo di fuga, come il Tribunale del riesame, e prima ancora il Giudice dell’udienza preliminare, si siano affidati, nel valutare detta esigenza cautelare, a giudizi astratti e non concreti così per il richiamo all’interesse della cosca a favorire la latitanza dei soggetti appartenenti ed alla volontà della stessa di avvalersi del ricorrente per controllare la gestione degli affari imprenditoriali , riferiti come tali ad elementi e circostanze non attinenti al singolo soggetto e non comprovanti la reviviscenza delle esigenze cautelari, senza in tal modo farsi carico delle deduzioni difensive. I Giudici della cautela, formulando un giudizio meramente ipotetico nella parte in cui hanno sostenuto che una condanna a sei anni e dieci giorni possa costituire una spinta a sottrarsi all’esecuzione della pena senza valutare il pre-sofferto di oltre un anno , non avrebbero poi debitamente valorizzato né le complicate situazioni di salute del M. privo di uno degli arti inferiori e non autosufficiente se non per una protesi nella deambulazione né la condotta nell’immediato dal medesimo assunta il prevenuto, trasferitosi in dall’ottobre del 2014, avrebbe fatto spontaneamente rientro in Italia una volta avuta conoscenza della nuova ordinanza cautelare . Quanto al pericolo di reiterazione, deduce la difesa come i Giudici della cautela si sarebbero richiamati, attraverso l’intervenuta sentenza di condanna, ad elementi risalenti nel tempo, così per le riunioni tra i sodali valorizzate in corso di indagine, e non avrebbero invece adeguatamente apprezzato le ragioni - dirette ad attestare l’assenza di un rischio cautelare attuale e concreto - documentate dalla difesa sul trasferimento dall’ottobre 2014 dell’imputato in e sul suo stabile impegno lavorativo in detto Stato, richiamando la mera insufficienza di siffatto allontanamento ad attestare una dissociazione dalle condotte di partecipazione. L’ordinanza viene quindi conclusivamente censurata perché contraddistinta da un apparato argomentativo totalmente mancante o comunque illogico e contraddittorio in punto di valutazione della sussistenza di effettive, concrete ed attuali esigenze cautelari e comunque perché erronea nell’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen., pervenendo la stessa all’effetto di estendere oltre i limiti di norma la possibilità di applicazione della misura cautelare contestualmente all’emissione della sentenza di condanna. Considerato in diritto 1. L’art. 275, comma 1 bis, cod. proc. pen. detta le regole destinate a guidare il giudizio sui pericula libertatis allorché il giudice risulti investito della cognizione degli stessi dopo che sia intervenuta una sentenza di condanna. Più in particolare, la norma in questione pone una particolare regola di giudizio quanto all’esame delle esigenze cautelari allorché l’imputato sia stato condannato, stabilendo che il giudice investito della cautela debba tener conto anche dell’esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta taluna delle esigenze indicate nell’art. 274, comma 1, lettere b e c . Come già rilevato in più occasioni dalla giurisprudenza di legittimità, del richiamo alla contestualità” rispetto alla sentenza di condanna, pure contenuto nella norma, non va data una lettura nel senso che le misure debbano essere adottate al momento della pronuncia della sentenza di condanna. Secondo regola generale, infatti, le misure cautelari possono intervenire in ogni stato del procedimento, e la ratio della disposizione è da intendere quella di ampliare, nell’arricchimento che agli stessi viene dall’accertamento contenuto nella sentenza di condanna, i margini di applicabilità delle misure cautelari quanto all’apprezzamento delle esigenze cautelari e dei criteri di scelta Sez. 6, n. 14223 del 19/01/2005, Strisciuglio, Rv. 231377 Sez. 6, n. 18074 del 15/03/2012, Ancora, massimata su altro punto Sez. 2, n. 36239 del 08/07/2011, Bunjaku, massimata su altro punto . 2. Per il resto, il ricorso è fondato. 2.1. Anche ove, come nella specie, risulti emessa sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. e trovi quindi operatività la presunzione relativa di adeguatezza esclusiva della carcerazione posta all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., l’indagine da condursi dal giudice della cognizione, che sia stato investito della cautela, secondo la regola di giudizio fissata dall’art. 275, comma 1-bis cod. proc. pen., vuole che egli tenga conto, in uno alla condanna e alle modalità del fatto accertato, degli elementi sopravvenuti da cui possa emergere l’esigenza cautelare da pericolo di recidivanza o di fuga art. 274, comma 1, lettere b e c cod. proc. pen. . Nella formulazione di un siffatto giudizio, un elemento che il giudice della cautela deve tenere in specifico conto è il tempo trascorso dalla commissione del reato art. 292, comma 2, lett. c cod. proc. pen. , destinato a valere quale che sia la specie del reato in considerazione ove al trascorrere del tempo non si accompagnino elementi successivi alla formulazione dell’ipotesi di accusa Sez. 6, n. 23362 del 20/02/2014, Meduri . In tema di misure cautelari, il riferimento in ordine al tempo trascorso dalla commissione del reato di cui all’art. 292, comma secondo, lett. c cod. proc. pen., impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009, Lattanzi, Rv. 244377 . L’indicata veste non può riconoscersi agli elementi apprezzati dal Tribunale del riesame nel confermare il giudizio espresso nell’ordinanza genetica, elementi risalenti nel tempo e valorizzati in corso d’indagine. Resta inoltre il mancato confronto degli indicati elementi con gli argomenti addotti dalla difesa per dimostrare l’adozione di scelte di vita significative dell’assenza di un rischio cautelare attuale e concreto, nel superamento della presunzione di adeguatezza della misura carceraria di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen Tanto valga per le circostanze positivamente dedotte al fine di dimostrare un cambiamento nelle abitudini di vita del condannato trasferimento in Francia e stabile impegno lavorativo in quello Stato rispetto alle quali il Tribunale del riesame ha contrapposto, disancorato da ogni elemento di attualità e concretezza, la riproponibilità di condotte osservate dal condannato per il passato così per l’allontanamento dalla cui era seguito un rientro nel medesimo territorio nell’anno 2009 . Resta del tutto generico ed imprecisato poi ogni riferimento al carattere assolutamente vivo della cosca di appartenenza, pure contenuto nell’ordinanza impugnata. 2.2. Fondato è inoltre l’ulteriore motivo diretto a censurare la motivazione adottata dal Tribunale del riesame in punto di sussistenza del pericolo di fuga. In tema di misure cautelari, il pericolo di fuga di cui all’art. 274, comma 1, lett. b cod. proc. pen. nel testo modificato dalla L. n. 47 del 2015 deve essere non più solo concreto, dovendosi comunque trattare di un reale ed effettivo pericolo, difficilmente eliminabile con tardivi interventi Sez. 2, n. 51436 del 05/12/201, Morosanu, Rv. 257981 , ma anche attuale Sez. 2, n. 44526 del 13/10/2015, Castillo Quintana, Rv. 265042 . La motivazione articolata dal Tribunale non dà conto in modo univoco e conducente della concretezza e dell’attualità dell’indicato estremo comunque non provvedendo ad indicare quegli ulteriori obiettivi elementi da cui ragionevolmente desumere l’alta probabilità che l’evento paventato possa concretamente verificarsi. In tal senso non potendo qualificarsi il generico richiamo ai periodi di latitanza goduti da altri affiliati o ancora la misura di una pena inflitta per sei anni e dieci giorni di reclusione in motivazione richiamata in termini meramente ipotetici nella sua capacità di rappresentare premessa di ogni spinta alla sua sottrazione. Restano poi estraneo ad ogni argomento speso dal Tribunale il confronto con gli argomenti dedotti dalla difesa sulla condotta, anche processuale, del condannato - che ha fatto rientro immediato in Italia una volta avuta conoscenza della nuova ordinanza cautelare - e sulle esigenze di vita dello stesso, come rappresentate complicate condizioni di salute segnate dalla mancanza di un arto inferiore . 4. Va quindi disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio degli atti al Tribunale di Reggio Calabria perché, in applicazione degli indicati principi di diritto, proceda a nuovo esame sui punti segnalati, avuto riguardo anche alle specifiche censure enunciate dal ricorrente, in tal modo integrando - nella piena autonomia dei relativi apprezzamenti di merito - le esposte lacune e carenze della motivazione, provvedendo ad una verifica di resistenza della presunzione di pericolosità sociale art. 275, comma 1-bis, cod. proc. pen. nella parte in cui richiama l’art. 274 lett. b e c art. 275, comma 3 cod. proc. pen. . P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1-ter disp. att. Cod. proc. Pen