L’ordinanza cautelare non deve necessariamente motivare in ordine alla rilevanza del tempo trascorso dalla commissione del fatto

La Cassazione interviene in materia di misure cautelari personali definendo alcuni contorni della fattispecie concreta.

Presupposti applicativi per le misure cautelari. Con la sentenza n. 13477 depositata il 5 aprile 2016, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione interviene in materia di misure cautelari personali definendo alcuni contorni della fattispecie concreta. In particolare, secondo gli Ermellini, in tema di presupposti per l’applicazione delle misure cautelari personali, la legge di riforma del 2015, introducendo nell’art. 274 lett. c , c.p.p., il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, ha evidenziato la necessità che questo aspetto sia specificamente valutato dal giudice emittente la misura , avendo riguardo alla sopravvivenza del pericolo di recidiva al momento della adozione della misura in relazione al tempo trascorso dal fatto contestato ed alla peculiarità della vicenda cautelare. Traffico internazionale di stupefacenti. Nel caso di specie il Tribunale territoriale aveva confermato l’ordinanza del Gip dello stesso Tribunale, con la quale era stata applicata all’indagato la misura della custodia cautelare in carcere, in relazione ai reati di partecipazione, con il ruolo di promotore, ad un’associazione finalizzata al traffico internazionale di hashish. La difesa del ricorrente si sofferma principalmente sulla illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, considerando ancora attuale il pericolo di reiterazione dei reati a distanza di sei anni e sei mesi dai fatti. Inoltre, il Tribunale si sarebbe riferito alla intensa e specifica storia delinquenziale dell’indagato, così non considerando che i precedenti penali erano anch’essi molto risalenti nel tempo. In realtà, secondo i giudici di Piazza Cavour – come si legge nella sentenza in commento – affermano, con riferimento alla normativa di riforma delle misure cautelari, che non sia possibile enfatizzare oltremodo la portata innovativa delle modifiche introdotte con riguardo al pericolo della recidiva, che parte della giurisprudenza e della dottrina riteneva attributo implicito della concretezza richiesta dall’art. 274, lettera c c.p.p. per la sua configurabilità. Ciò anche in relazione all’orientamento giurisprudenziale secondo cui il requisito della concretezza non si identificava, nel regime anteriore alla riforma, con quello dell’attualità derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, ma con quello dell’esistenza di elementi concreti sulla base dei quali è possibile affermare che l’imputato possa commettere delitti della stessa specie di quello per cui si procede. In buona sostanza i giudici della Corte di Cassazione evidenziano che, per poter affermare che un pericolo concreto di reiterazione di condotte criminose sia anche attuale, non è più sufficiente ritenere con certezza o alta probabilità che l’imputato torni a delinquere ove se ne presenti l’occasione, ma è altresì necessario anzitutto prevedere che un’occasione per compiere nuovi delitti si presenti effettivamente. La distanza temporale tra la misura cautelare e il fatto commesso. Più in generale, per i giudici del Palazzaccio, in tema di misure coercitive, la distanza temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare, giacché tendenzialmente dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare, comporta un rigoroso obbligo di motivazione sia in relazione a detta attualità sia in relazione alla scelta della misura. Infine, risulta utile ricordare – così i giudici della Corte Suprema – che nel caso sia stata applicata una misura cautelare per uno dei delitti previsti dall’art. 275, comma 3, c.p.p., non è necessario che l’ordinanza cautelare motivi anche in ordine alla rilevanza del tempo trascorso dalla commissione del fatto, in quanto per tali reati vale la presunzione di cui al predetto art. 275 che impone di ritenere sussistenti le esigenze cautelari salvo prova contraria, fermo restando che il tempus commissi delicti può costituire un elemento specifico dal quale desumere l’insussistenza delle esigenze cautelari. Nel caso concreto, secondo la Corte di Cassazione, il Tribunale ha correttamente operato in quanto ha fornito in ogni caso una motivazione autonoma circa la necessità di fronteggiare le esigenze cautelari con la misura carceraria. Infatti, l’indagato era stato coinvolto in costanti attività di importazione di sostanze stupefacenti dall’estero in posizione di rilievo nell’ambito di un sodalizio criminale e che ciò fa presumere l’esistenza di contatti di alto livello con il mondo della criminalità organizzata. Da qui il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 novembre 2015 – 5 aprile 2016, n. 13477 Presidente Fiale – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza del 17 agosto 2015, il Tribunale di Napoli ha confermato l'ordinanza dei Gip dello stesso Tribunale del 3 luglio 2015, con la quale - per la parte che qui rileva - era stata applicata all'indagato la misura della custodia cautelare in carcere, in relazione ai reati di partecipazione, col ruolo di promotore, a un'associazione finalizzata al traffico internazionale di hashish, fino al maggio del 2009 articolo 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 capo 1 dell'imputazione provvisoria più condotte di importazione dalla Spagna hashish, fino al dicembre 2008 artt. 110, 81, secondo comma, cod. pen., 73, comma 4, dei d.P.R. n. 309 del 1990 capo 3 . 2. - Avverso l'ordinanza l'indagato ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. - Con un primo motivo di doglianza, si deducono la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato, nonché la violazione degli artt. 274, comma 1, lettera c , 292, comma 2, lettere c e c-bis , cod. proc. pen., sul rilievo che il Tribunale avrebbe indebitamente integrato l'ordinanza dei Gip, la quale non conteneva un'autonoma valutazione delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa. In particolare, l'ordinanza applicativa della misura avrebbe una motivazione meramente apparente, perché basata esclusivamente sul riferimento alle intercettazioni in atti e, quanto alle esigenze cautelari, su mere formule di stile. Mancherebbero inoltre elementi individualizzati, perché le argomentazioni svolte dal Gip sarebbero sempre riferite a tutti i compartecipi, pur essendo il ruolo svolto dai singoli estremamente differente. 2.2. - In secondo luogo, sempre sotto il profilo del vizio motivazionale, si sostiene che sarebbe manifestamente illogico considerare ancora attuale il pericolo di reiterazione dei reati a distanza di ben sei anni e sei mesi dei fatti. Il Tribunale si sarebbe riferito alla intensa e specifica storia delinquenziale dell'indagato, così non considerando che i precedenti penali erano anch'essi molto risalenti nel tempo. Non si sarebbe considerato, inoltre, che il Tribunale aveva annullato le ordinanze di custodia cautelare a carico di alcuni coindagati, rilevando proprio la mancanza dell'attualità dei pericolo di reiterazione. 2.3. - In terzo luogo, si lamenta l'inosservanza dell'articolo 275, comma 3, cod. proc. pen. quanto alla motivazione circa l'inadeguatezza di misure cautelari diverse dalla custodia carceraria. Si farebbe ancora riferimento alla personalità dell'imputato, senza tuttavia specificare le ragioni dell'inidoneità di misure meno afflittive a salvaguardare le esigenze cautelari. Non si sarebbero considerati, inoltre i rapporti della struttura carceraria, dai quali si evincerebbe la rivalutazione critica dei passato dei ricorrente il lungo periodo trascorso ìn detenzione domiciliare senza violazioni l'ulteriore periodo di circa otto mesi senza la commissione di reati. Considerato in diritto 3 - II ricorso è infondato. 3.1. - II primo motivo di doglianza - con cui si deducono la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione dei provvedimento impugnato, nonché la violazione degli artt. 274, comma 1, lettera c , 292, comma 2, lettere c e c-bis , cod. proc. pen., sul rilievo che il Tribunale avrebbe indebitamente integrato le carenze motivazionali dell'ordinanza del Gip - è infondato. 3.1.1. - Va premesso che la legge 16 aprile 2015, n. 47, ha introdotto, nelle lettere c e c-bis dell'articolo 292 cod. proc. pen. un ulteriore requisito motivazionale si prevede infatti che l'ordinanza cautelare debba contenere non solo l'esposizione , ma anche l'autonoma valutazione degli elementi ivi rispettivamente indicati. Parallelamente si sono modificati anche i poteri attribuiti, in fase decisoria, al tribunale del riesame in particolare, è stato aggiunto, al comma 9 dell'articolo 309, il seguente periodo conclusivo Il tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l'autonoma valutazione, a norma dell'articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa . E la nuova disposizione costituisce una evidente deroga al principio generale - contenuto nel medesimo comma 9 dell'articolo 309 - della possibilità di confermare il provvedimento impugnato anche per ragioni diverse da quelle indicate nella sua motivazione. La giurisprudenza di questa Corte ha comunque sottolineato, sul punto, che dia previsione dell'autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza ad opera della legge n. 47 del 2015, che ha novellato l'articolo 292, cod. proc. pen., non ha carattere innovativo, essendo essa espressione del principio generale per cui l'esercizio di un autonomo potere comporta il dovere di esplicitare le ragioni che giustificano la decisione ex multis, sez. 6, 29 ottobre 2015, n. 47233, rv. 265337 sez. 6, 22 ottobre 2015, n. 45934, rv. 265068 . 3.1.2. - Le richiamate disposizioni sono state correttamente applicate nel caso di specie. Contrariamente a quanto rilevato dal ricorrente, i passaggi motivazionali dell'ordinanza applicativa della misura cautelare sono sintetici, ma sufficienti a delineare i gravi indizi di colpevolezza relativi alla specifica posizione dell'indagato odierno ricorrente. Gli indizi sono stati infatti desunti dalle intercettazioni in atti, le quali sono state oggetto di analitica valutazione, tanto che il Gip ha escluso la gravità indiziaria per alcune fattispecie, nonché in ordine alla posizione della moglie dei ricorrente. La motivazione dell'ordinanza dei Tribunale, dunque, contiene semplicemente una rivisitazione sistematica delle argomentazioni già spese dal Gip diretta al precipuo scopo di rispondere alle doglianze sollevate con la richiesta di riesame essa evidenzia che, dal tenore delle conversazioni intercettate, nonché dai servizi di osservazione e dai sequestri di sostanza stupefacente, anche di peso rilevante, è emersa l'esistenza di un'associazione dedita al commercio di hashish, importato dalla Spagna. Quanto ai ruolo dell'odierno ricorrente nell'ambito dell'associazione, questo è stato ritenuto di primo piano, sul rilievo che egli aveva contatti con soggetti spagnoli del mondo dei narcotraffico e intratteneva rapporti con i potenziali acquirenti, con l'approntamento di rilevanti mezzi economici. Né, a ben vedere, il ricorrente contesta puntualmente la motivazione adottata dai giudici dei riesame, limitandosi ad asserire, come visto, che il Tribunale avrebbe adottato una propria autonoma motivazione, in presenza di un titolo cautelare del tutto carente. 3.2. - Quanto al secondo e al terzo motivo di doglianza, deve premettersi che, in tema dì presupposti per l'applicazione delle misure cautelari personali, la legge 16 aprile 2015, n. 47, introducendo, nell'articolo 274, lettera c , cod. proc. pen., il requisito dell'attualità dei pericolo di reiterazione del reato, ha evidenziato la necessità che tale aspetto sia specificamente valutato dal giudice emittente la misura, avendo riguardo alla sopravvivenza del pericolo di recidiva al momento della adozione della misura in relazione al tempo trascorso dal fatto contestato ed alle peculiarità della vicenda cautelare. Come la giurisprudenza di questa Corte sez. 5, 24 settembre 2015, n. 43083, rv. 264902 ha di recente affermato, non è, però, possibile enfatizzare oltremodo la portata innovativa delle modifiche introdotte con riguardo all'attualità del pericolo di recidiva, che parte della giurisprudenza e la dottrina riteneva attributo implicito della concretezza richiesta dalla disposizione citata per la sua configurabilità. E ciò, anche a fronte dell'orientamento giurisprudenziale secondo cui il requisito della concretezza non si identificava, nel regime anteriore alla riforma, con quello dell'attualità, derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, ma con quello dell'esistenza di elementi concreti sulla base dei quali è possibile affermare che l'imputato possa commettere delitti della stessa specie di quello per cui si procede ex multis, sez. 6, 5 aprile 2013, n. 28618, rv. 255857 sez. 1, 3 giugno 2009, n. 25214, rv. 244829 . In tal senso, successivamente alla novella, una recente pronuncia ha inteso precisare che, per poter affermare che un pericolo concreto di reiterazione di condotte criminose sia anche attuale , non è più sufficiente ritenere - con certezza o alta probabilità - che l'imputato torni a delinquere ove se ne presenti l'occasione, ma è altresì necessario, anzitutto, prevedere negli stessi termini di certezza o alta probabilità che un'occasione per compiere nuovi delitti si presenti effettivamente sez. 3, 19 maggio 2015, n. 37087 . Nondimeno, tenuto conto delle peculiarità della fattispecie oggetto di ricorso e dell'effettivo contenuto delle censure del ricorrente, deve osservarsi come già nell'assetto normativo previgente, ai sensi dell'articolo 292, comma 2, lettera c , sul giudice incombeva l'onere di specifica motivazione sull'attualità delle esigenze cautelarì in ragione del tempo trascorso dalla consumazione del reato contestato sez. 6, 1 ottobre 2015, n. 44605, rv. 265350 . Deve anche ricordarsi che, in generale, in tema di misure coercitive, la distanza temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare, giacché tendenzialmente dissonante con l'attualità e l'intensità dell'esigenza cautelare, comporta un rigoroso obbligo di motivazione sia in relazione a detta attualità sia in relazione alla scelta della misura sez. 4, 12 marzo 2015, n. 24478, rv. 263722 . Deve infine rammentarsi - sempre in via preliminare - che, qualora sia stata applicata una misura cautelare per uno dei delitti indicati nell'articolo 275, comma 3, cod. proc. pen. nella specie, articolo 74 d.P.R. n. 309 dei 1990 , non è necessario che l'ordinanza cautelare motivi anche in ordine alla rilevanza dei tempo trascorso dalla commissione dei fatto, così come richiesto dall'articolo 292, comma 2, lettera c , dello stesso codice, in quanto per tali reati vale la presunzione dì cui al predetto articolo 275, che impone di ritenere sussistenti le esigenze cautelari salvo prova contraria, fermo restando che il tempus commissi delicti può costituire un elemento specifico dal quale desumere l'insussistenza delle esigenze cautelare argomento ex sez. 3, 1 aprile 2014, n. 27439, rv. 259723 . Si tratta, peraltro, di principi interpretativi che sono stati correttamente applicati nel caso di specie, in cui le censure del ricorrente si incentravano, anche in sede di riesame, sulla ritenuta mancanza di attualità delle esigenze cautelari, nonché sulla scelta della misura custodiale. Anche a prescindere dall'operatività della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari in relazione al reato associativo, deve rilevarsi che il Tribunale ha, in ogni caso fornito, sul punto dell'attualità di tali esigenze, una motivazione ampia e coerente, la quale dà analiticamente conto sia della valenza del tempo trascorso dei reati per cui si procede sia degli elementi addotti dalla difesa a sostegno di una pretesa revisione del vissuto antisociale dell'indagato. In particolare, si osserva che il soggetto ha una intensa e specifica storia delinquenziale, mai interrottasi e proseguita fino all'arresto del 2009, che ne fa un solido punto di riferimento per le organizzazioni criminali operanti in Spagna e in Italia. E, del resto, la circostanza che questo non abbia commesso reati nell'ultimo periodo è spiegabile sulla base dei semplice dato che l'imputato è stato detenuto dal 2009 ai 2014 né risulta che egli, libero da diversi mesi, svolga un'attività lavorativa lecita. Tali elementi permettono di superare anche la valenza delle relazioni dell'amministrazione carceraria dalle quali emerge una complessiva buona condotta con una discreta revisione critica dei vissuto antisociale, a fronte di una caratura delinquenziale dì tale spessore da rendere poco significativi il decorso del tempo e l'efficacia dissuasiva del carcere. Quanto alla scelta della misura, il Tribunale, dato atto dell'applicabilità nel caso di specie della doppia presunzione di cui all'articolo 275, comma 3, cod. proc. pen., avuto riguardo al reato associativo, fornisce in ogni caso una motivazione autonoma circa la necessità di fronteggiare le esigenze cautelari con la misura carceraria. Evidenzia, infatti, che l'indagato è stato coinvolto in costanti attività volte all'importazione di sostanza stupefacente dall'estero in posizione di rilievo nell'ambito di un sodalizio criminale e che ciò fa presumere l'esistenza di contatti di alto livello con il mondo della criminalità organizzata. 4. - Ne deriva il rigetto dei ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.