Denuncia (e calunnia) le stesse persone, ma in città e date diverse: c’è identità del fatto?

Il delitto di calunnia è istantaneo e si consuma ed esaurisce con la comunicazione all’autorità della falsa incolpazione, a carico di soggetto che si sa essere innocente. La reiterazione delle dichiarazioni, che confermano la falsa accusa, non costituisce un’altra violazione della medesima norma però l’identità del fatto si configura soltanto nell’ipotesi in cui sussista una corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, con riferimento a tutti i suoi elementi costitutivi ed alle circostanze di tempo, luogo e persona.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13416/2016, depositata il 4 aprile. Il caso. Il Tribunale di Ravenna assolveva un imputato per il reato di calunnia, ritenendo l’insussistenza del fatto. In particolare, al soggetto era stato rimproverato di aver incolpato tre operanti della Polizia di Stato dell’illecito di cui all’art. 479 c.p. falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici , con una denuncia contenuta nell’atto di opposizione ad una richiesta di archiviazione proposta in un procedimento che coinvolgeva le persone offese. Il giudice di merito, inoltre, trasmetteva gli atti al pm, per il reato di calunnia commesso dall’imputato, con denuncia-querela, in altro luogo Pistoia , ma nei confronti degli stessi soggetti. Il pm ricorreva per cassazione, rilevando inosservanza dell’art. 521 c.p.p., in relazione all’art. 649 c.p.p Calunnia reato istantaneo. La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso, rilevando come il Tribunale abbia basato la pronuncia di assoluzione sulla considerazione che il contenuto calunnioso dell’atto di opposizione all’archiviazione integra semplicemente una ripetizione delle accuse formulate dall’imputato nella denuncia-querela sporta a Pistoia. Il giudice di prime cure, decidendo per l’assoluzione, ha ribadito che il delitto di calunnia è istantaneo e, quindi, si consuma ed esaurisce con la comunicazione all’autorità della falsa incolpazione, a carico di soggetto che si sa essere innocente. La reiterazione delle dichiarazioni, che confermano la falsa accusa, non costituisce un’altra violazione della medesima norma. Quando c’è identità del fatto? Secondo gli Ermellini, però, il Tribunale avrebbe dovuto porre in essere una valutazione in relazione alla corretta formulazione del tema d’accusa, per la correlazione, ex art. 521, secondo comma, cod. proc. pen., tra l’imputazione contestata e la sentenza . Il Collegio ha affermato che l’identità del fatto c’è soltanto nell’ipotesi in cui si instauri una corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, con riferimento a tutti i suoi elementi costitutivi ed alle circostanze di tempo, luogo e persona. Il fatto è diverso, hanno chiosato i Giudici del Palazzaccio, se, pur violando la stessa norma , costituisce un’estrinsecazione ulteriore dell’attività del soggetto agente, diversa e distinta nello spazio e nel tempo da quella in precedenza posta in essere . Rilevando profili di diversità, in ambito spaziale e temporale, del fatto accertato nel caso di specie, per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, con trasmissione degli atti al pm competente.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 marzo – 4 aprile 2016, n. 13416 Presidente Citterio – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 9 luglio 2014 il Tribunale di Ravenna ha assolto F.P., perché il fatto non sussiste, dal reato di calunnia contestatogli per avere, in data 11 maggio 2010, con una denuncia contenuta nell'atto di opposizione ad una richiesta di archiviazione proposta in un procedimento iscritto nei confronti di tre appartenenti alla Polizia di Stato, incolpato questi ultimi del reato di cui all'art. 479 cod. pen., in relazione ad una perquisizione da loro eseguita nei suoi confronti in un altro procedimento penale. Il Tribunale, inoltre, disponeva la trasmissione degli atti al P.M. per il delitto di calunnia commesso dall' imputato ai danni delle stesse persone offese in altro luogo, ossia in Pistoia, con una denuncia querela del 9 febbraio 2010, depositata il 10 febbraio dello stesso anno. 2. Avverso la su indicata pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il P.M. presso il Tribunale di Ravenna, deducendo l'inosservanza dell'art. 521, secondo comma, cod. proc. pen., in relazione all'art. 649 cod. proc. pen., sul presupposto che il Giudice, avendo riscontrato nel corso del giudizio che le medesime accuse calunniose erano state precedute da una denuncia presentata dal P. ai Carabinieri di Pistoia il 10 febbraio 2010, riteneva insussistente il fatto avvenuto in data 11 maggio 2010, qualificandolo come post factum non punibile rispetto alla calunnia del 10 febbraio 2010, ed erroneamente disponeva, nel contempo, la trasmissione degli atti al P.M. per il delitto commesso in Pistoia il 10 febbraio, trattandosi in realtà di un fatto diverso nella data e nel luogo di consumazione, con la conseguenza che egli, valutata la unicità del fatto contestato rispetto alla precedente denuncia calunniosa, avrebbe dovuto applicare il disposto di cui al su citato art. 521, secondo comma, del codice di rito. Ulteriore conseguenza di tale errore, ad avviso del ricorrente, è da ravvisare nella possibilità che nell'instaurando giudizio presso il Tribunale di Pistoia venga applicato il divieto di secondo giudizio a norma dell'art. 649 cod. proc. pen Considerato in diritto 1. II ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito indicate. 2. La premessa dei ragionamento sul quale il Tribunale di Ravenna ha basato la impugnata pronuncia assolutoria è costituita dal fatto che il contenuto calunnioso dell'atto di opposizione depositato presso la Procura di Ravenna in data 11 maggio 2010 rappresenta la semplice reiterazione delle stesse accuse formulate dall'imputato nella denuncia querela sporta il 9 febbraio 2010, diretta alla Procura della Repubblica di Ravenna, ma depositata il 10 febbraio 2010 alla Stazione dei Carabinieri di Pistoia . Al riguardo il Tribunale ha richiamato la pacifica giurisprudenza di questa Suprema Corte Sez. 6, n. 2933 del 12/11/2009, dep. 22/01/2010, Rv. 245773 Sez. 6, n. 9961 del 28/04/1999, dep. 05/08/1999, Rv. 214181 , secondo cui il delitto di calunnia è un reato istantaneo, la cui consumazione si esaurisce con la comunicazione all'autorità di una falsa incolpazione a carico di persona che si sa essere innocente, con la conseguenza che la reiterazione di eventuali, successive, dichiarazioni di conferma della falsa accusa non può concretare ulteriori violazioni della stessa norma incriminatrice. Preliminare al giudizio di merito sul contenuto della regiudicanda, e in particolare sull'eventuale presenza di sostanziali aggiunte o variazioni nelle successive dichiarazioni di conferma dell'iniziale atto di incolpazione, era tuttavia il doveroso apprezzamento che il Tribunale avrebbe dovuto svolgere in relazione al problema della corretta formulazione del tema d'accusa ai fini della correlazione, ex art. 521, secondo comma, cod. proc. pen., tra l'imputazione contestata e la sentenza. L'identità del fatto, invero, sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi condotta, evento, nesso causale e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona da ultimo, v. Sez. 5, n. 52215 del 30/10/2014, dep. 16/12/2014, Rv. 261364 . Ne consegue che costituisce fatto diverso quello che, pur violando la stessa norma ed integrando gli estremi del medesimo reato, sia un'ulteriore estrinsecazione dell'attività del soggetto agente, diversa e distinta nello spazio e nel tempo da quella in precedenza posta in essere arg. ex Sez. 2, n. 292 del 04/12/2013, dep. 08/01/2014, Rv. 257992 . Nel caso in esame emergono chiaramente dalla motivazione della sentenza impugnata i profili di diversità, sul piano sia spaziale che temporale, del fatto accertato in giudizio rispetto alle linee essenziali della contestazione inizialmente cristallizzata nel capo d'imputazione, le cui coordinate, pertanto, avrebbero dovuto essere correttamente riformulate in ossequio al principio generale che è alla base del potere-dovere del giudice di disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 521, secondo comma, cod. proc. pen. . 3. S'impone, dunque, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con le ulteriori conseguenziali statuizioni in dispositivo enunciate. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al P.M. presso il Tribunale di Ravenna.