Abbandonata dal marito, con quattro figli e senza casa: condannata per aver occupato l’alloggio Iacp

Respinta la tesi difensiva, centrata sullo stato di necessità” provocato, a dire della donna, da una precaria situazione economica. Tale elemento, però, per i Giudici non è sufficiente per legittimare l’occupazione dell’immobile.

Situazione davvero difficile per una donna. Ella, abbandonata dal marito, si ritrova a dover gestire da sola i quattro figli, pur non avendo a disposizione una abitazione. Ciò nonostante, è comunque non comprensibile la scelta di prendere possesso illegittimamente di un alloggio dell’‘Istituto autonomo case popolari’ Cassazione, sentenza n. 12840/2016, Sezione Seconda Penale, depositata oggi . Occupazione. Nessun dubbio per i giudici di merito così, in Tribunale prima e in Appello, poi la donna viene ritenuta colpevole del reato di invasione di edifici pubblici . Non discutibile la gravità della sua condotta, cioè l’essersi introdotta, con la sua famiglia, in un immobile di proprietà dello Iacp . Secondo la donna, però, è stato trascurato lo stato di necessità in cui ella si è trovata, cioè abbandonata dal marito e con quattro figli . Questo l’elemento centrale del ricorso in Cassazione, finalizzato anche a porre in evidenza che in sede di separazione dal coniuge a lei era stata assegnata la casa familiare . In questa ottica, quindi, sempre secondo la donna, l’occupazione dell’alloggio di proprietà dello Iacp non poteva considerarsi arbitraria . Ogni obiezione, però, si rivela inutile per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, la condanna va assolutamente confermata. Non contestabile la violazione compiuta dalla donna. Soprattutto perché, chiariscono i magistrati, il richiamo a una condizione di difficoltà economica non può legittimare l’occupazione permanente di un immobile finalizzata a risolvere, in realtà, in modo surrettizio, un’esigenza abitativa .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 15 gennaio – 30 marzo 2016, n. 12840 Presidente Prestipino – Relatore Verga Motivi della decisione Con sentenza in data 4 aprile 2014 la Corte d'appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale di Sciacca che il 13 maggio 2013 aveva condannato M.A. perché ritenuta colpevole del reato di invasione di edifici pubblici per essersi introdotta, con la sua famiglia, al fine di occuparlo o di trarne altrimenti profitto, nell'immobile di proprietà dello IACP di Trapani. Ricorre per cassazione l'imputata deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in violazione e falsa applicazione degli articoli 633,639-bis e 54 codice penale lamenta che i giudici di merito hanno omesso di valutare gli elementi favorevoli emersi nel corso dell'istruttoria dibattimentale. Ritiene operante l'esimente di cui all'articolo 54 codice penale considerato che la condotta è stata posta in essere non solo per soddisfare le esigenze abitative ma anche per la necessità di tutelare i componenti della famiglia da danni gravi alla persona fra i quali deve essere compreso la violazione del diritto primario di abitazione. Rileva che la donna è stata abbandonata dal marito con quattro figli e che in sede di separazione le era stata assegnata la casa familiare e che quindi l'occupazione non poteva considerarsi arbitraria. Il ricorso manifestamente infondato. Certa è l'occupazione dell'appartamento almeno dal 1990, non contestata neppure dalla ricorrente che si è limitata a lamentare il mancato riconoscimento della sussistenza dell'esimente dello stato di necessità considerata la precaria situazione economica in cui versava, la presenza di quattro figli e la mancanza di una abitazione Sul punto deve ricordarsi che la giurisprudenza di questa Corte N. 4292 del 2012 Rv. 251800, N. 19147 del 2013 Rv. 255412 n. 28067 del 2015 Rv. 264560 ha avuto modo di affermare che il dettato dell'art. 54 c.p., che presuppone l'attualità del pericolo richiede che, nel momento in cui l'agente agisce contra ius - al fine di evitare un danno grave alla persona - il pericolo sia imminente e, quindi, individuato e circoscritto nel tempo e nello spazio. Non può infatti parlarsi di attualità del pericolo in tutte quelle situazioni non contingenti, caratterizzate da una sorta di cronicità essendo destinate a protrarsi nel tempo, quale appunto l'esigenza di una soluzione abitativa. Infatti, ove, nelle suddette situazioni, si ritenesse la configurabilità dello stato di necessità, si effettuerebbe una torsione interpretativa del dettato legislativo in quanto si opererebbe una inammissibile sostituzione dei requisito dell'attualità dei pericolo con quello della permanenza, alterando così il significato e la ratio della norma che, essendo di natura eccezionale, necessariamente va interpretata in senso stretto. Invero, il pericolo non sarebbe più attuale rectius imminente bensì permanente proprio perché l'esigenza abitativa - ove non sia transeunte e derivante dalla stretta ed immediata necessità di salvare sè od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona è necessariamente destinata a prolungarsi nel tempo. Va, poi, osservato che, venendo in rilievo il diritto di proprietà, un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 54 c.p., alla luce dell'art. 42 Cost., non può che pervenire ad una nozione che concili l'attualità del pericolo con l'esigenza di tutela del diritto di proprietà del terzo che non può essere compresso in permanenza perché, in caso contrario, si verificherebbe, di fatto, un'alterazione della destinazione della proprietà al di fuori di ogni procedura legale o convenzionale cfr. sul punto, Cass. 35580/2007 riv 237305 Cass. 7183/2008 riv 239447 . In conclusione, la doglianza deve ritenersi infondata in quanto una condizione di difficoltà economica non può legittimare, ai sensi dell'art. 54 c.p., un'occupazione permanente di un immobile per risolvere, in realtà, in modo surrettizio, un'esigenza abitativa. Il ricorso è pertanto inammissibile e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.