Quando il denaro è pubblico, la malversazione corre sul filo ...

Il reato di cui all’art. 316-bis c.p. ha natura istantanea e si consuma nel momento in cui sovvenzioni, finanziamenti o contributi pubblici vengono distratti dalla destinazione per cui sono stati erogati.

La diversa destinazione data alle somme, erogate per quella specifica finalità di interesse pubblico, non può ritenersi compensata dalle garanzie fideiussorie e ipotecarie offerte e dalla parziale successiva restituzione della somma non viene infatti in gioco la semplice possibilità che la somma prima o poi sia per intero restituita, ma la verifica del soddisfacimento del pubblico interesse sotteso alla concreta destinazione della erogazione. Questo l’importante principio chiarito dalla Sezione VI della Cassazione con la pronuncia 12653/16, depositata il 25 marzo scorso. Dal caso di specie La vicenda oggetto di attenzione della Cassazione con la pronuncia in commento prende la mossa dalla erogazione di un finanziamento da parte della Regione Sicilia ad alcune società per la realizzazione di talune opere di interesse pubblico nel comune di Catania. Avvenuta l’aggiudicazione e l’erogazione del finanziamento, una serie di ritardi da parte della conferenza di servizi indetta dallo stesso Comune di Catania impedisce il rilascio delle autorizzazioni e delle concessioni volte alla esecuzione delle opere stesse che, dunque, non vengono realizzate dall’imprenditore aggiudicatario. Lo stesso viene quindi processato e condannato per malversazione ai danni dello stato in quanto, alla data in cui l’opera doveva essere realizzata, i lavori non erano neppure iniziati e la somma, pur effettivamente erogata, non era più disponibile in quanto l’imputato l’aveva destinata, nelle more, ad altre finalità. Alla difesa dell’imprenditore Evidenzia l’imputato, nei propri motivi di ricorso, la mancanza dell’elemento soggettivo del reato contestato. Ricorda infatti il ricorrente che le società al medesimo appartenenti avevano prestato fideiussioni e garanzie ipotecarie onde ottenere il finanziamento, si trattava di società solvibili e, infatti, di fronte alle intervenute contestazioni l’imprenditore aveva immediatamente restituito una parte del finanziamento erogato. Quanto al resto, erano società comunque dotate di risorse tali da consentire alle medesime di portare a termine i lavori oggetto di finanziamento ovvero di restituire quanto ottenuto dalla Regione Sicilia. Le suddette circostanze, in uno con il rilievo che l’erogazione dei finanziamenti pubblici era stata spontaneamente garantita dall’imputato con rilascio di fideiussioni e garanzie ipotecarie, dovevano necessariamente far escludere in capo allo stesso ogni finalità distrattiva, e dunque il dolo del delitto in esame. Peraltro la mancata esecuzione dei lavori nel termine previsto non era imputabile allo stesso imprenditore, quanto alla conferenza di Servizi indetta dal Comune di Catania che non aveva provveduto al rilascio delle indispensabili concessioni e autorizzazioni. la soluzione si rinviene nella ratio della norma La tenuta della ben argomentata, almeno apparentemente, linea difensiva si rinviene, come si evince chiaramente dall’ iter motivazionale della sentenza in commento, nella ratio della norma incriminatrice in esame. Secondo i più attenti commentatori della suddetta disposizione di legge, infatti, la fattispecie si caratterizza per il particolare rapporto fiduciario che intercorre tra l’Ente erogatore del finanziamento ed il privato che ne è beneficiario. Ciò imporrebbe al privato di agire, comunque, in vista dell’interesse pubblico che costituisce la scaturigine del finanziamento, qualificandolo dunque come un soggetto che persegue una pubblica funzione. Così ricostruita, la fattispecie appare del tutto assimilabile alla figura del peculato per distrazione, sicché la condotta punita è l’utilizzazione delle risorse pubbliche erogate in maniera difforme rispetto al progetto originario, a prescindere dalla sussistenza o meno di un arricchimento personale del privato beneficiario del pubblico finanziamento. Il fine perseguito dalla incriminazione è dunque l’interesse pubblico cui è finalizzata l’erogazione del contributo, sovvenzione o finanziamento. Ciò è tanto vero che in giurisprudenza si è ritenuto sussistente il reato anche allorché i finanziamenti pubblici fossero stati destinati dall’imprenditore sempre a fini pubblici, ma altri rispetto a quelli per cui l’erogazione era avvenuta Cass. Pen., Sez. VI, n. 40375/2002 . con la conferma della condanna. Nel caso di specie, dunque, evidenzia la Corte, appare dimostrato che al momento in cui le opere dovevano essere terminate nessuna attività era stata posta in essere a tale fine dall’imprenditore, né i finanziamenti erogati si rinvenivano ancora nella disponibilità dell’imputato che ne aveva beneficiato, il quale, per contro, aveva utilizzato grandissima parte di dette somme, poco dopo l’erogazione delle medesime, al fine di partecipare, con esito favorevole, ad un’asta di immobili provenienti da un fallimento, asta cui aveva partecipato, peraltro, confidando proprio sulla prossima erogazione di tali somme. Poiché l’elemento soggettivo del delitto in esame si risolve nel dolo generico volontà cosciente di sottrarre le risorse allo scopo prefissato per la loro erogazione è evidente che nel caso di specie il privato ha consapevolmente destinato ad altro scopo quanto erogato dalla Regione Sicilia. A nulla rileva la circostanza che l’imprenditore avesse fornito garanzie fideiussorie e ipotecarie sul corretto utilizzo delle somme erogande, che parte siano state rese e che le residue avrebbero potuto essere restituite, essendo comunque le società beneficiarie in bonis e solvibili, neppure ha rilevanza il dato che la mancata realizzazione delle opere sia dovuta ad inadempimenti della Conferenza di sevizi indetta dal Comune di Catania e non a colposa inerzia dell’imprenditore. La pesante sentenza di condanna viene dunque confermata dagli Ermellini. Il difficile equilibrio tra spirito imprenditoriale e rigidità pubblicistica. L’interpretazione della norma propugnata dalla Cassazione pare del tutto condivisibile in quanto ancorata alla necessità di uno stretto e rigoroso controllo della destinazione d’uso di finanze erogate da enti pubblici per pubblici interessi. Restano, tuttavia, le perplessità di fronte all’operato di pubbliche amministrazioni che, una volta avvenuta la aggiudicazione e la erogazione di ingenti somme, per loro stessa incapacità ne impediscono la concreta utilizzazione e che, dunque, imporrebbero all’imprenditore, che ne è stato beneficiario, di tenere dette somme bloccate ed inutilizzate per salvaguardarne la originaria destinazione, pena la criminalizzazione di colui che, come nel caso di specie, con puro ed invero sano spirito imprenditoriale destina tali risorse liquide ad altre attività, ben consapevole di aver comunque disponibilità tali da poter poi effettuare l’investimento nell’opera di pubblico interesse non appena ciò diverrà concretamente possibile per fatto e volontà delle stesse pubbliche amministrazioni.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 9 febbraio – 25 marzo 2016, n. 12653 Presidente Paoloni – Relatore Ricciarelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 28/11/2014 la Corte di appello di Catania ha confermato quella del Tribunale di Catania in data 4/11/2011, con la quale S.L. è stato riconosciuto colpevole del delitto di cui agli artt. 81, 61, comma primo, n. 7, 316-bis cod. pen. e condannato alla pena di anni due mesi sei di reclusione con i benefici di legge, in relazione a finanziamenti concessi dalla Regione Sicilia alle società S. Acque s.r.l. e Luisido s.r.l. lo stesso S. è stato condannato a risarcire il danno cagionato alla costituita parte civile, con assegnazione di provvisionale di Euro 2.000.000,00 le due società sono state condannate per l’illecito amministrativo di cui agli artt. 5 e 24, comma 1 e 2, d.lgs. 231 del 2001, rispettivamente alla sanzione pecuniaria di Euro 100.000,00 la S. Acque in ragione di 250 quote da Euro 400,00 ciascuna e di Euro 60.000,00 la Luisido in ragione di 200 quote da Euro 300,00 ciascuna sono state applicate alle società le sanzioni interdittive del divieto di contrarre con la P.A., dell’esclusione di agevolazioni, finanziamenti, sussidi, nonché del divieto di pubblicizzazione di beni o servizi per la durata di anni 1 è stata disposta la confisca di quanto ancora in sequestro. 2. Ha presentato ricorso il difensore di S.L. . 2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. pen., in relazione all’art. 316-bis cod. pen. e agli artt. 125, 546, comma 1, n. 1, cod. proc. pen Delineata giuridicamente la fattispecie, il ricorrente segnala di non aver mai mostrato di voler sottrarre le risorse erogate allo scopo prefissato, dovendosi considerare a tal fine i mezzi di garanzia offerti fideiussione, assicurazione, iscrizione ipotecaria , la spontanea restituzione di una parte delle somme ricevute in finanziamento e l’obiettiva solvibilità. Peraltro il comportamento del ricorrente era stato rivolto al raggiungimento dello scopo prefissato, risultato reso però impossibile da circostanze avverse. I funzionari degli enti competenti avevano impedito l’ottenimento dei provvedimenti concessori e autorizzatori, considerando la pretestuosa durata della conferenza di servizi, indetta dal comune di Catania. D’altro canto l’aggiudicazione dei beni del fallimento della società idrominerale siciliana Pozzillo era avvenuta secondo i principi della procedura concorsuale. Carenti e contraddittorie erano risultate le considerazioni della Corte territoriale in merito ai passaggi dell’aggiudicazione, al ruolo di un legale, all’asta del 16/10/2007, al pagamento a saldo, all’aggiudicazione dell’11/1/2008. Tutto denotava la correttezza del ricorrente al fine di assicurare la tracciabilità del capitale. Era mancata una valutazione critica degli elementi addotti dalla difesa e delle fonti di prova. Non vi era stata puntuale applicazione della fattispecie penale. 2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. b ed e , in relazione agli artt. 62-bis cod. pen. e agli artt. 125 e 546 cod. proc. pen La Corte territoriale aveva negato le attenuanti generiche, sottolineando la preordinazione, avendo il S. già prima della scadenza del termine ultimo adottato condotte che non gli avrebbero consentito di realizzare le opere per cui le società avevano ricevuto il finanziamento. Ma con apposita memoria erano stati segnalati la pregressa incensuratezza, protrattasi fino ad età avanzata, e le condizioni ostative poste dai pubblici funzionari, a fronte della correttezze della richiesta e del progetto presentato, elementi da aggiungersi al parziale rimborso e alle garanzie prestate. Si sarebbe dovuto inoltre aggiungere che non corrispondeva al vero quanto affermato dalla Corte territoriale circa il fatto che le società fossero prive di fondi e che la distrazione fosse stata preordinata, posto che comunque le opere avrebbero potuto proseguire con mezzi propri, una volta iniziate. Neppure l’acquisto dei beni nella procedura fallimentare era avvenuto con esclusivi mezzi provenienti dal finanziamento, acquisto che semmai aveva ampliato le garanzie per la Regione erogante. In ogni caso non sarebbe potuto applicarsi ratione temporis il limite della non valutabilità della pregressa incensuratezza introdotto dalla legge 125 del 2008. 2.3. Con il terzo motivo denuncia violazione di legge processuale e vizio di motivazione agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. c ed e , cod. proc. pen., in relazione alle disposizioni in tema di statuizioni civili. Già in sede di questioni preliminari era stata dedotta la carenza di legittimazione della Regione Sicilia, essendo persona offesa la Comunità Economica Europea, fatta salva la deduzione del danno all’immagine, peraltro non valorizzabile nei casi in cui il fatto non sia addebitabile a funzionari dell’ente. Inoltre si sarebbero dovute considerare le varie azioni, tutte identiche, concorrenti per il ristoro dei danni, oltre che la garanzia ipotecaria e quella fideiussoria e l’avvenuta restituzione della somma di un milione di Euro. L’esclusione della parte civile avrebbe travolto la disposizione riguardante le somme concesse a titolo di provvisionale, peraltro data illegittimamente in violazione dell’art. 523, comma 1, n. 2, cod. proc. pen Alla richiesta di estromissione della parte civile erano state date risposte censurabili, a cominciare da quella incentrata sulla mancanza di specifiche indicazioni in ordine alle pretese risarcitorie avviate, dovendosi a tale fine valutare i verbali relativi alle udienze tenutesi dinanzi al Tribunale in cui erano state formulate le eccezioni. 3. Ha presentato ricorso anche il difensore delle società S. Acque s.r.l. e Luisido s.r.l. 3.1. Con il primo motivo denuncia mancanza o manifesta illogicità della motivazione agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., in ordine all’affermazione di responsabilità per l’illecito amministrativo. Si contesta il carattere apodittico dell’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui il reato è stato compiuto nell’interesse delle società, in quanto il denaro ne aveva rimpinguato le casse. La circostanza del vantaggio inerente all’acquisizione delle anticipazioni dei finanziamenti non comprova l’interesse delle società, che rappresenta il parametro decisivo. In realtà sia la gestione delle somme prima del 22 dicembre 2007 sia la successiva acquisizione della Pozzillo Acque attestava la divergenza tra l’interesse delle società e le autonome determinazioni del S. . Non era valorizzabile il riferimento alla patrimonializzazione e alla liquidità conseguita dalle società, a fronte dell’onere di dar conto di dati probatori diversi, in particolare l’attualizzazione del ruolo avuto dal S. nel reggere da solo il timone delle determinazioni influenti sulla compagine societaria. 3.2. Con il secondo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., in riferimento all’art. 19 d.lgs 231 del 2001, e mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen Era stata disposta la confisca di quanto in sequestro senza alcuna valutazione del valore dei beni in sequestro e della corrispondenza di esso al profitto che le società avevano conseguito a seguito del fatto addebitato al S. . La confisca di cui all’art. 19 d.lgs 231 del 2001 costituisce sanzione, da applicarsi nei limiti del profitto o dell’entità dello stesso. Ciò implica un’operazione valutativa omessa in primo grado e la cui mancanza aveva formato oggetto di motivo di appello, allorché era stato segnalato che il valore dei beni confiscati eccedeva quello del profitto, pari ad Euro 5.863,140, risultante dalla restituzione già avvenuta di Euro 1.000.000,00. Inoltre la gran parte dei beni era stata confiscata a S. Acque s.r.l., la quale doveva rispondere di un profitto sino alla concorrenza di Euro 3.821.620. La Corte avrebbe dovuto dunque rispondere specificamente alle doglianze formulate e fornire i dovuti ragguagli giustificativi. A tal fine era stata chiesta la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per procedere ad una perizia, ove non fossero bastate le allegazioni di parte. Censurabile era da ritenersi la risposta della Corte, secondo cui non è compito del giudice la determinazione dell’effettivo valore dei beni confiscati per equivalente, da rinviarsi alla fase esecutiva, principio valido semmai per la fase cautelare. 3.3. Con il terzo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., sempre in riferimento all’art. 19 d.lgs. 231 del 2001. Viene sollevato il tema dei criteri di determinazione del profitto del reato da confiscare. In particolare si segnala che già con l’atto di appello era stato dedotto che si sarebbe dovuto tener conto della stipula di polizze fideiussorie e di ipoteche volontarie in favore dell’Ente erogante, incidenti in riduzione sul quantum del profitto. La Corte aveva però ritenuto che potesse tenersi conto solo di somme recuperate per intero dalla persona offesa, non bastando la prestazione di garanzie, e che, attesa la natura anche sanzionatoria della confisca per equivalente, il provvedimento ablatorio dovesse tenersi fermo fino alla restituzione di quanto illecitamente percepito dal reo e non da terzi garanti. In tal modo non si teneva conto del tenore dell’art. 19, secondo cui è disposta la confisca del prezzo o del profitto, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato, clausola da intendersi applicabile anche alla confisca per equivalente, e sono fatti salvi i diritti dei terzi di buona fede. A tal fine si sarebbe dovuto aver riguardo alla fondata possibilità giuridica di restituzione, a prescindere dalla già avvenuta restituzione, nel presupposto che l’interesse dello Stato soccomba di fronte agli interessi che i terzi vantano sui beni costituenti profitto del reato. Né sarebbe potuta condividersi l’affermazione per cui la confisca debba essere mantenuta fino a quando non abbia avuto esito positivo il giudizio di rivalsa nei confronti dell’obbligato principale, giacché ciò che conta è il vantaggio economico in diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto, definitivamente stabilizzatosi nella situazione patrimoniale dell’ente beneficiario. Inoltre con riguardo alla garanzia ipotecaria prestata da S. Acque in favore della Regione Sicilia, avrebbe dovuto tenersi conto della clausola di salvezza dei diritti acquistati dai terzi in buona fede, applicabile anche alla confisca di valore e riferibile anche a diritti reali insistenti sui beni. I Giudici di merito avrebbero dovuto valutare se eventuali diritti vantati da terzi fossero stati acquisiti in buona fede, escludendo i beni dalla sottoposizione a confisca in caso di esito positivo della verifica. 3.4. Con il quarto motivo deduce mancanza o manifesta illogicità della motivazione agli effetti dell’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., in relazione alla commisurazione della sanzione e alla durata delle misure interdittive. Non si era tenuto conto di quanto dedotto con l’atto di appello circa le ragioni per cui era mancata la realizzazione delle opere finanziate e circa lo sforzo compiuto per eliminare o attenuare le conseguenze del reato. Era stata inoltre dedotta l’insussistenza di un danno di rilevante entità, giacché i finanziamenti non erano stati utilizzati dalle società per motivi da esse non dipendenti. Inoltre andavano considerate le fideiussioni prestate e l’iscrizione di ipoteca volontaria, ciò di cui non s’era tenuto conto. 4. Ha presentato motivi aggiunti il difensore del S. . Deduce l’insussistenza dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo del reato contestato, in quanto il bando non prevedeva un vincolo immanente sulle somme e in quanto il complesso della Pozzillo Acque era stato acquisito con disponibilità del S. transitate sul conto della S. Acque, fermo restando che non era stato dimostrato che l’imputato avesse cercato di sottrarre le risorse allo scopo prefissato. Torna poi sulle ragioni per cui avrebbero dovuto concedersi le attenuanti generiche e sull’inadeguatezza della motivazione a fondamento del diniego, posto che comunque si sarebbe dovuto poi procedere a giudizio di comparazione in termini di prevalenza. Infine ribadisce la carenza di legittimazione della Regione Sicilia e la pluralità di azioni recuperatorie pendenti. Considerato in diritto 1. Il ricorso di S.L. è inammissibile in tutte le sue articolazioni. 2. Quanto al primo motivo e al principale motivo nuovo, si rileva che viene nuovamente prospettata la questione, ampiamente discussa nei precedenti gradi di giudizio, della configurabilità del reato, soprattutto con riferimento all’elemento soggettivo, in relazione all’intendimento, manifestato dall’imputato, di non voler sottrarre le risorse erogate allo scopo prefissato, avendo in tale ottica prestato garanzie, offerto ipoteca e spontaneamente restituito una parte delle somme. 2.1. Si tratta di assunto che non tiene conto in alcun modo delle puntuali risposte fornite dai Giudici di merito e che si appalesa inoltre manifestamente infondato. Invero il reato di cui all’art. 316-bis cod. pen., che ha natura istantanea, si consuma nel momento in cui sovvenzioni, finanziamenti o contributi pubblici vengono distratti dalla destinazione per cui erano stati erogati Cass. Sez. 6, n. 40830 del 3/6/2010, Marani, rv. 248787 . D’altro canto, esso consiste nell’elusione del vincolo di destinazione gravante sui finanziamenti erogati per la realizzazione di una determinata finalità pubblica, proprio per questo perfezionandosi nel momento della mancata destinazione dei fondi allo scopo per cui erano stati ottenuti Cass. Sez. 6, n. 40375 del 8/1172002, Cataldi, rv. 222987 . Ciò significa che, pur non richiedendosi la destinazione delle medesime banconote, occorre comunque che il valore erogato sia concretamente destinato dal soggetto beneficiario alla finalità prevista, la sola che avrebbe potuto giustificare l’erogazione. Corrispondentemente deve ritenersi illecito ogni utilizzo del finanziamento ricevuto per una finalità diversa, sia che la somma erogata formi oggetto di appropriazione e occultamento sia che la stessa venga utilizzata per la realizzazione di opere diverse o per qualsivoglia diversa finalità. In tale quadro il dolo generico si risolve nella consapevole volontà dell’agente di conferire alla somma erogata una destinazione diversa. D’altro canto, come esattamente posto in luce dai Giudici di merito, ciò che conta è la verifica della puntuale destinazione nel momento in cui la somma avrebbe dovuto trovare riscontro nell’opera da realizzare o nella finalità da soddisfare da tale rilievo non discende che debba aversi riguardo alle ragioni della mancata realizzazione dell’opera ma solo che in quel momento debba valutarsi l’effettività della destinazione dell’erogazione. 2.2. Orbene, i Giudici di merito hanno segnalato che alla data del 22/12/2007, in cui l’opera finanziata avrebbe dovuto essere realizzata, quest’ultima non era stata neppure avviata e nel contempo la somma erogata non era più disponibile, in quanto destinata dal S. , quale amministratore delle due società, ad utilizzi del tutto diversi. Posto che non è in contestazione la volontà consapevole da parte dell’imputato di utilizzare le somme per quei diversi scopi, non assume alcun rilievo sul piano giuridico il fatto che l’opera finanziata avesse trovato ostacoli di tipo burocratico inerenti al rilascio dei necessari titoli abilitativi infatti i Giudici di merito hanno, nel pieno rispetto della logica, osservato che l’opera implicava la disponibilità di quei titoli, in assenza dei quali non vi sarebbe stata ragione di utilizzare per intanto le somme erogate per scopi diversi, ciò che sarebbe avvenuto semmai con la piena assunzione del relativo rischio, senza la possibilità di accampare poi giustificazioni di sorta. Ma soprattutto è stato posto in rilievo, sulla base di una logica e plausibile lettura delle prove raccolte, che il S. aveva preordinato la distrazione delle somme, tanto che fin dal 16 ottobre 2007, a meno di due mesi dalla scadenza del termine entro il quale avrebbe dovuto ultimare l’opera, aveva dato incarico ad un legale di partecipare per conto di persona da nominare all’asta per l’assegnazione di un cospicuo compendio immobiliare, proveniente da un fallimento Società Idrominerale Pozzillo , che, dopo lo scioglimento della riserva da parte di detto legale, era stato in effetti assegnato alla S. Acque s.r.l. per la somma di Euro 2.810.000,00, erogata proprio in corrispondenza della scadenza di quel termine. D’altro canto è stato altresì sottolineato come la diversa destinazione data alle somme, erogate solo per quella specifica finalità di pubblico interesse, non possa ritenersi compensata dalle garanzie fideiussorie e ipotecarie offerte e dalla successiva parziale restituzione della somma non viene infatti in gioco la semplice possibilità che prima o poi la somma sia per intero restituita, ma la verifica del soddisfacimento del pubblico interesse sotteso alla concreta destinazione dell’erogazione. Ne discende che ai fini dell’integrazione della fattispecie e della ravvisabilità dell’elemento psicologico assume rilievo il fatto che, secondo i Giudici di merito, attenutisi ad una lettura non illogica delle risultanze processuali, il S. avesse gestito il finanziamento del tutto a prescindere dalla destinazione prevista e che alla data in cui la somma avrebbe dovuto risultare debitamente impiegata, l’erogazione si fosse dispersa in vari canali, fino all’acquisizione del cospicuo compendio immobiliare. Non rileva che le somme impiegate a tale ultimo fine dalla S. Acque s.r.l. potessero provenire da conti dello stesso S. , il quale, come rilevato nella puntuale disamina contenuta nella sentenza di primo grado, aveva compiuto plurime operazioni nelle quali aveva variamente disposto di somme riferite all’una e all’altra società, fermo restando che comunque alla resa dei conti nessuna delle due disponeva delle somme corrispondenti al finanziamento ricevuto. Tutti gli argomenti sui quali si fonda il primo motivo nonché il principale motivo aggiunto sono dunque meramente riproduttivi di rilievi già confutati, rispetto ai quali nulla è stato aggiunto a specifica censura della motivazione formulata dalla Corte territoriale. Quei motivi risultano peraltro manifestamente infondati, proprio sulla scorta dell’analisi della fattispecie, come condotta dai Giudici di merito. 3. È altresì inammissibile il secondo motivo di ricorso del S. , letto anche alla luce del motivo aggiunto, riguardante le attenuanti generiche. La deduzione difensiva è incentrata sul fatto che la Corte territoriale avrebbe eluso gli argomenti sui quali la richiesta si fondava, cioè l’assenza di precedenti, valutabile in ragione dell’epoca del fatto, anteriore alla modifica dell’art. 62-bis cod. pen. introdotta dalla legge 125 del 2008, e la circostanza che l’opera era stata impedita dall’atteggiamento ostruzionistico dei funzionari del comune di Catania. Ma in realtà, posto che tale secondo elemento risulta sostanzialmente deassaiale nella disamina della fattispecie e nell’apprezzamento del disvalore ad essa sotteso, va rimarcato come i Giudici di merito non abbiano affatto eluso le istanze difensive, avendo invece posto in luce, nel quadro di una complessiva valutazione degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., da un lato le modalità con le quali il prevenuto si era mosso, a fronte delle quali non erano ravvisabili elementi idonei a giustificare una riduzione della pena in special modo essendo irrilevante l’offerta di garanzia e la solo parziale restituzione sentenza del Tribunale a pagg. 29 e 30 , e dall’altro la preordinazione della condotta sentenza della Corte territoriale a pag. 7 , elemento all’evidenza incidente sull’intensità del dolo. Risulta dunque adeguatamente motivata l’esclusione delle attenuanti generiche, posto che a tal fine non occorre che il Giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti Cass. Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, Lule, rv. 259899 Cass. Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, rv. 248244 . L’assunto della violazione di legge e della mancanza di motivazione risulta dunque manifestamente infondato. 4. Altrettanto deve dirsi per il terzo motivo, volto al rigetto delle domande formulate dalla parte civile. 4.1. Non prova il ricorrente in questa sede di aver impugnato in sede di appello la decisione con la quale era stata respinta l’eccezione preliminare riguardante l’asserito difetto di legittimazione. L’eccezione è peraltro manifestamente infondata in quanto l’erogazione è stata effettuata dalla Regione Sicilia sotto la sua responsabilità, non rilevando la provenienza della provvista di cui la Regione si è avvalsa. 4.2. È del tutto generico e fondato su un richiamo parimenti generico a deduzioni formulate in limine litis, l’assunto difensivo secondo cui vi sarebbe stata duplicazione di domande recuperatorie, in sede penale e in sede civile, giacché non consta che in sede civile siano state proposte tra le medesime parti domande aventi il medesimo oggetto, essendo per contro legittima, come rilevato dalla Corte territoriale, la proposizione di domande aventi oggetto diverso, ad esempio in relazione a specifici profili risarcitori, ovvero nei confronti di soggetti diversi. È generico anche il riferimento a più cause pendenti dinanzi alla Curia palermitana e ad un giudizio dinanzi alla Corte dei Conti. D’altro canto è all’evidenza priva di rilievo rispetto al tema della legittimazione all’azione civile in questa sede la circostanza che siano state offerte garanzie personali o ipotecarie. 4.3. È altresì manifestamente infondato l’assunto -che peraltro il ricorrente non dimostra aver sottoposto anche al giudice di appello secondo cui le statuizioni civili sarebbero illegittime, a fronte di conclusioni formulate dalla parte civile oralmente in violazione dell’art. 523, comma 1, n. 2, cod. proc. pen In realtà sul punto aveva debitamente risposto il Tribunale pag. 32 in nota , rilevando che il rappresentante dell’Avvocatura dello Stato aveva richiamato espressamente le conclusioni scritte al fine di integrarle con la richiesta di provvisionale. Ed invero costituisce ius receptum che non dia luogo a revoca della parte civile la formulazione di conclusioni orali che richiamino quelle scritte già depositate, attestanti la domanda risarcitoria Cass. Sez. 5, n. 6641 del 14/11/2013, dep. nel 2014, A., rv. 262432 Cass. Sez. 4, n. 39595 del 27/6/2007, G., rv. 237773 . 4.4. È infine inconferente l’assunto della non deducibilità del danno all’immagine, giacché nel caso di specie è stata concessa solo una provvisionale, che, come tale, forma oggetto di mera delibazione Cass. Sez. 3, n. 18663 del 27/1/2015, D.G., rv. 263486 e che per giunta è stata genericamente commisurata dal Tribunale al danno patrimoniale in rapporto allo scostamento residuo rispetto alle somme erogate pag. 32 della sentenza del Tribunale . 5. Attesa l’inammissibilità del ricorso del S. , non ha rilievo il tempo trascorso ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, che peraltro non è maturato, dovendosi aggiungere al termine massimo di anni sette e mesi sei, quello derivante da numerosi rinvii del processo con connessa sospensione del termine di prescrizione in particolare, fra l’altro, dal 12 giugno al 7 dicembre 2012 e poi al 9/4/2013, e poi ancora un’ulteriore sospensione per giorni 61 . L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in relazione ai profili di colpa sottesi alla causa di inammissibilità, a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. Il ricorrente va altresì condannato a rifondere alla parte civile le spese di difesa del presente grado, liquidate in Euro 3.500,00. 6. Il ricorso presentato nell’interesse delle due società è parzialmente fondato. 7. Non coglie nel segno il primo motivo, con il quale si contesta il fondamento della responsabilità dei due enti. 7.1. Ed invero i Giudici di merito hanno rilevato come le due società fossero costituite dal S. nonché dalla moglie e dalla figlia di lui e come dunque fosse indiscusso il predominante ruolo del predetto, quale amministratore unico sentenza del Tribunale a pag. 29 . D’altro canto gli stessi Giudici si rinvia alla sentenza del Tribunale alle pagg. da 12 a 15 e alla pag. 30, nonché alla sentenza della Corte di appello a pag. 10 hanno segnalato che i finanziamenti erano entrati nel patrimonio delle due società, fornendo alle stesse la liquidità di cui erano prive e della quale si erano poi in varia guisa servite, divenendo finanziariamente attive e compiendo numerose operazioni, culminate fra l’altro in acquisizioni immobiliari da parte della S. Acque s.r.l. nonché in acquisti o pagamenti, secondo le valutazioni di opportunità facenti capo al dominus , sulla base della politica imprenditoriale da costui scelta per la concomitante azione di entrambe. In tale prospettiva è stato rilevato che il duplice reato era stato commesso dal S. , quale soggetto che ricopriva posizione apicale di amministrazione e rappresentanza, nell’interesse delle due società, che si erano in concreto avvantaggiate della distrazione delle somme si legge a pag. 30 della sentenza del Tribunale che l’acquisizione del vantaggio non era avvenuta a prescindere dalla previa finalizzazione del fatto-reato alla prospettiva di interesse per le persone giuridiche . 7.2. Va sul punto rilevato che ai sensi dell’art. 5 d.lgs. 231 del 2001 la responsabilità dell’ente è ravvisabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio, da persone che rivestono funzioni apicali ovvero da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti in posizione apicale. Nel caso di reato imputabile a soggetto in posizione apicale l’ente è esente da responsabilità se prova le circostanze di cui all’art. 6, comma 1, ciò che peraltro nel caso di specie non è stato neppure prospettato. Orbene, i due criteri di imputazione sono alternativi o conomitanti quello costituito dall’interesse esprime una valutazione teleologica, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo , mentre quello del vantaggio una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivanti dalla realizzazione dell’illecito Cass. Sez. U. n. 38343 del 24/4/2014, Espenhahn, rv. 261114 . 7.3. Deve rilevarsi a tale stregua come l’analisi compiuta dai Giudici di merito risulti pienamente rispondente al dato normativo, essendo stato posto in luce che l’azione illecita dell’organo apicale era stata funzionale all’interesse dei due enti, che erano stati in tal modo dotati di liquidità di cui avevano potuto disporre secondo la politica gestionale facente capo all’amministratore, e si era altresì risolta in un concreto vantaggio, soprattutto di S. Acque s.r.l., divenuta titolare di un cospicuo compendio immobiliare, di cui in precedenza era sprovvista. A fronte di ciò, i rilievi formulati nel ricorso sono volti a contestare il mero dato della patrimonializzazione ma in concreto non tengono conto della concreta capacità gestionale facente capo, indiscutibilmente, al S. , per come rilevato dal Tribunale, e neppure del fatto che si trattava di società in precedenza inattive, fermo restando che la pretesa divergenza dall’interesse delle due società è solo dedotta, ma non concretamente provata essendo del tutto generico il riferimento a rilievi contenuti nell’atto di appello , e che comunque deve certamente tenersi conto dell’acquisizione immobiliare. Il primo motivo di ricorso deve dunque reputarsi infondato. 8. È parimenti infondato il terzo motivo di ricorso. 8.1. Si censurano i criteri di determinazione del profitto, sottoposto a confisca ex art. 19 d.lgs. 231 del 2001. Si adduce in particolare che si dovrebbe tener conto anche nel caso di confisca per equivalente della parte che può essere restituita al danneggiato, includendo le somme corrispondenti alle polizze fideiussorie e le parti di debito coperte da garanzie ipotecarie, e che dovrebbero essere comunque fatti salvi i diritti dei terzi acquistati in buona fede, nel caso di specie identificabili nella garanzia ipotecaria volontariamente concessa dal S. su beni immobili della S. Acque s.r.l 8.2. Va rilevato che l’art. 19 d.lgs. 231 del 2001, letto in relazione all’art. 9 d.lgs. 231, introduce una vera e propria sanzione principale a carico degli enti che risultino responsabili, la quale ha la funzione di ripristinare l’equilibrio economico turbato dal reato. La norma al primo comma prevede che nei confronti dell’ente è disposta la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato fa inoltre salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede. Il secondo comma stabilisce che quando non possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato. Quanto alla nozione di profitto, deve condividersi il prevalente orientamento per cui esso coincide con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto Cass. Sez. U. n. 31617 del 26/6/2015, Lucci, rv. 264436 Cass. Sez. U. 26654 del 27/3/2008, Fisia Italimpianti, rv. 239924 . Nella specie dunque esso va determinato nell’importo erogato e distratto, dal quale va certamente detratto quello già restituito, pari ad Euro 1.000.000,00, peraltro imputabile per Euro 750.000,00 a S. Acque s.r.l. e per Euro 250.000,00 a Luisido s.r.l In concreto l’importo complessivo del profitto soggetto a confisca è di Euro 5.863.140,00. 8.3. Posto che il profitto discende dall’acquisizione di somme non più rinvenibili nel patrimonio delle due società, se non in minima parte somme giacenti nei conti e depositi bancari , si è fatto luogo nel caso di specie a confisca per equivalente, che ha avuto ad oggetto vari immobili. Si è sostenuto dalle società ricorrenti che la duplice clausola contenuta nel primo comma, relativa alla detrazione di ciò che può essere restituito e alla salvezza dei diritti di terzi, valga anche per la confisca per equivalente. L’assunto è fondato, in quanto la confisca per equivalente è parimenti obbligatoria e ha la stessa funzione di quella contemplata al primo comma, fermo restando che la stessa non può risolversi in un pregiudizio per i terzi in buona fede Cass. Sez. U. n. 11170 del 25/9/2014, dep. nel 2015, Uniland, rv. 263380, principio in parte non massimato . 8.4. Ma in concreto deve rilevarsi che la doppia clausola di salvaguardia opera diversamente quanto alla possibilità di disporre la restituzione al danneggiato, deve aversi riguardo non tanto ad una generica garanzia patrimoniale gravante sull’ente a vantaggio di un danneggiato, ma alla possibilità di distaccare concretamente una porzione del patrimonio, specificamente individuata, in quanto spettante come tale al danneggiato, che vi abbia dunque diritto, secondo una valutazione demandata al giudice penale competente la salvezza dei diritti dei terzi di buona fede prescinde invece dalla qualità dei terzi, cioè dalla loro veste di danneggiati, e implica un riferimento al diritto di tali soggetti su un bene specificamente individuato, in quanto prevalente sull’interesse dello Stato alla acquisizione del bene attraverso la confisca. Nel caso di specie non può dirsi che il soggetto danneggiato, cioè la Regione erogante, abbia diritto alla restituzione di un bene specificamente individuato, dovendosi invece ravvisare il diritto dell’Ente alla restituzione della somma distratta e al risarcimento del relativo danno. In tale prospettiva non può attribuirsi rilievo neppure alla prestazione di garanzie fideiussorie da parte di terzi, giacché queste ultime non ineriscono ad una porzione di patrimonio dell’ente specificamente individuata, da restituire al danneggiato. Esse potranno concorrere, ove escusse, al soddisfacimento delle pretese risarcitorie della Regione erogante, ma non possono essere considerate in detrazione in sede di computo del profitto e del relativo valore soggetto a confisca. Quanto alle garanzie ipotecarie, se per un verso potrà porsi al momento debito il problema di stabilire la prevalenza del diritto del creditore ipotecario, nondimeno è d’uopo osservare come attualmente la garanzia non sia stata in concreto, per quanto consta, esecutivamente escussa e come dunque il bene immobile ipotecato rientri nel patrimonio dell’ente responsabile, risultando per ciò stesso assoggettabile a confisca. Di qui l’infondatezza del motivo nella sua complessa articolazione. 9. È invece fondato il secondo motivo. 9.1. Il Tribunale aveva disposto la confisca dei beni ancora in sequestro somme giacenti su conti e immobili , semplicemente richiamando un provvedimento del Tribunale di Catania adottato in sede di riesame e segnalando come il compendio proveniente dal fallimento della Società Idrominerale ex Pozzillo fosse stato acquisito con le somme oggetto del finanziamento. La Corte di appello, a fronte di specifici motivi di appello, ha respinto la richiesta difensiva volta all’ammissione di una perizia per la determinazione del valore degli immobili confiscati e ha rilevato che alla precisa determinazione di tale valore potrebbe procedersi in fase esecutiva. In ogni caso i giudici di merito hanno tenuto conto dell’entità complessiva del profitto, riveniente dalle erogazioni effettuate in favore delle due società. 9.2. Va però rilevato che nel caso di specie è stata formulata a carico di ciascun ente una distinta contestazione, a fronte delle autonome erogazioni effettuate in favore dell’uno e dell’altro. Ciascun ente ha dunque conseguito un corrispondente profitto, cui va specificamente commisurata la confisca. Non varrebbe in senso opposto il richiamo al principio solidaristico che nel caso di illecito plurisoggettivo implica l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente Cass. Sez. U. n. 26654 del 27/372008, Fisia Italimpianti, rv. 239926 non ricorre infatti un concorso tra i due enti, che rispondono autonomamente della condotta del S. , che ricopriva in entrambe le società posizione apicale determinante. Ne discende l’erroneità del riferimento complessivo al profitto riveniente dall’intera condotta del S. , dovendosi invece distinguere il profitto imputabile a S. Acque s.r.l. e quello imputabile a Luisido s.r.l Ciò vale anche e prima di tutto ai fini del computo del valore cui commisurare la confisca per equivalente, che non potrà oltrepassare per ciascun ente l’entità dell’importo a ciascuno di essi riferibile. 9.3. In tale quadro deve ulteriormente osservarsi che l’affermazione della Corte territoriale secondo cui la determinazione del valore degli immobili potrebbe avvenire in sede esecutiva è erronea. In realtà anche ai fini del sequestro, ma tanto più ai fini della confisca, il valore dei beni da sottoporre a vincolo deve essere adeguato e proporzionato al prezzo o al profitto del reato e il giudice, nel compiere tale verifica, deve fare riferimento alle valutazioni di mercato degli stessi Cass. Sez. 6, n. 15807 del 9/1/2014, Anemone, rv. 259702 . Nel caso di specie dunque solo in quanto si disponga di un attendibile valore di riferimento degli immobili può disporsi la confisca degli stessi fino alla concorrenza del valore del profitto. A fronte dei puntuali rilievi delle società ricorrenti, che avevano prospettato un valore diverso, eccedente nel suo complesso quello del profitto, la Corte territoriale ha dunque formulato affermazioni non corrette e non ha posto alla base del proprio ragionamento un valore specificamente individuato, limitandosi a rinviare alla fase esecutiva. Di qui l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio sul punto, dovendosi in quella sede valutare anche se debba o meno farsi ricorso ad una perizia o si disponga di elementi idonei e sufficienti allo scopo. 10. Parimenti fondato è l’ultimo motivo di ricorso delle società. Se può dirsi argomentato sulla base delle sentenze di merito il profilo della rilevante entità del danno, non rilevando a tal fine le modalità di concreto utilizzo dei finanziamenti, una volta verificata l’avvenuta distrazione, deve invece prendersi atto che le censure -incentrate primariamente sulla parziale restituzione e sulla prestazione di garanzie rivolte contro il trattamento sanzionatorio, includente sia la sanzione pecuniaria sia le sanzioni interdittive, sono state immotivatamente disattese, giacché la Corte territoriale si è limitata laconicamente ad affermare, solo con riguardo alle sanzioni interdittive, che l’entità della sanzione è del tutto proporzionata alla gravità del fatto e all’ammontare del vantaggio economico. Si impone dunque, previo annullamento in parte qua, una nuova valutazione che dia conto del criterio adottato, a fronte del motivo di appello riguardante l’intero trattamento sanzionatorio applicato nei confronti delle due società. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti delle società S. Acque s.r.l. e Luisido s.r.l. limitatamente al trattamento sanzionatorio e alla confisca, e rinvia per nuovo giudizio su tali punti ad altra sezione della Corte di appello di Catania. Dichiara inammissibile il ricorso di S.L. , che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. Condanna il ricorrente S. a rifondere alla parte civile Regione Sicilia le spese di difesa del presente grado che liquida in Euro 3.500,00.